Rudolf Steiner
Sul pensare matematico-immaginativo
Prima e terza conferenza del ciclo
"Osservazione Esperimento Matematica
I Gradi di Conoscenza della Ricerca
Spirituale"
- a cura di Nereo Villa
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Presentazione. È mia convinzione che la scienza dello spirito a carattere antroposofico - probabilmente a causa dell'imperizia scientifica o della superficialità di molti suoi sostenitori che, in nome di Rudolf Steiner, incominciarono da impreparati a insegnare l'antroposofia o a farne subito una scuola, in realtà un affare economico, o forse anche a causa di fraintendimenti di sedicenti antroposofi o di loro oppositori inorriditi di fronte a termini come "immaginativa morale ("fantasia morale"), "logica immaginativa", "individualismo etico", "chiaroveggenza", "corpo eterico", ecc., che contribuiscono solo a farne una specie di setta teologico-massonica, e che NON possono impunemente essere pronunciati da chi non ne sappia avere esperienza reale (esperimento reale) - non abbia mai preso piede, se non come un passatismo romantico, più poetico che scientifico, più velleitario che realistico, e più adatto allo stato di sogno che a quello di veglia. Il contenuto del concetto di IMMAGINE, per esempio, ma ciò vale per ogni terminologia - come per esempio anche quella del formalismo logico matematico in uso nella fisica contemporanea, fu, è, e sempre sarà anch'esso generatore di SETTARISMO là, dove chi la usa non ne sia portatore profondamente consapevole, cioè in grado di rispondere a qualsiasi domanda possa essergli posta da un qualsiasi ricercatore inesperto o non addetto ai lavori. Occorre quindi a mio parere avere chiaro il senso scientifico che devono comportare certi contenuti concettuali. L'esperienza del concetto è infatti una delle più ripetute raccomandazioni di Steiner a chi si voglia avvicinare alla scienza, quella vera, realisticamente poggiante su osservazione, esperimento e matematica. Questo comporta la reale vita immaginativa di coloro che si avvicinano alla scienza dello spirito. E credo che queste due conferenze possano caratterizzare al meglio cosa si intende col concetto stesso di IMMAGINE, che Scaligero per esempio volle sottolineare nella sua forma latina di "imago" scrivendo IMAGINE con una sola "emme" (Nereo Villa, Le Crose, 3 giugno 2017).
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Prima conferenza, Stoccarda, 16 marzo 1921
Indice sommario della prima conferenza:
Le
tre forme della scienza. osservazione, esperimento; compenetrazione matematica
della natura. La sicurezza della conoscenza matematica. Psicologia: ieri e oggi.
La crescita del fanciullo. La consueta conoscenza della natura. La filosofia di
David Hume. Conoscenza matematica come attività costruttiva interiore.
Conoscenza spirituale come attività interiore che abbraccia la realtà.
La scienza dello spirito, quale vive noi corsi dell'università antroposofica,
deve lottare per farsi valere, per far riconoscere i suoi diritti nel nostro
tempo. Chi conosce le forze motrici della scienza dello spirito ha notato che
essa si pone sul piano delle indagini scientifiche e culturali del nostro tempo
e che tiene conto delle necessità della vita spirituale attuale. Tuttavia, se
deve combattere è perché, in quanto scienza dello spirito ad orientamento
antroposofico, deve volgersi anzitutto contro i pregiudizi più forti del nostro
tempo. In un certo senso, è l'avversaria naturale di tutte le residue forze
reazionarie ancora presenti nelle anime umane contemporanee. Chi è in grado di
osservare, anche poco, avrà pur notato che molti pensieri reazionari occupano le
anime umane.
In queste conferenze sarà mio compito spiegarvi il significato e darvi la
GIUSTIFICAZIONE DELLA SCIENZA DELLO SPIRITO [le evidenziazioni in maiuscolo sono
mie - ndc] dal punto di vista scientifico. Comincerò da fatti relativamente
elementari, e poi via via, nel corso delle conferenze, arriveremo alla vera
conoscenza dell'uomo, sempre dal punto di vista della scienza dello spirito. E
poiché dovrò parlare prevalentemente di metodologia, cercherò di introdurvi ai
singoli capitoli e alle varie questioni per mezzo di ESEMPI della scienza dello
spirito, sia in generale che nel suo significato per le singole scienze
contemporanee.
Prima di tutto voglio oggi ricordare come l'attuale pensiero scientifico sia
giunto poco alla volta a basarsi principalmente sull'esperimento,
sull'esperimento scientifico. E questo fa sì che l'attuale pensiero scientifico
venga a trovarsi in certo senso in opposizione con le antiche forme di
conoscenza che partivano principalmente dall'osservazione della natura e del
cosmo. Non è la stessa cosa partire dai fatti - che natura e cosmo ci presentano
già completi - oppure stabilire le premesse di un processo e osservare un fatto
di cui ci sono note tali premesse, per giungere poi ad un determinato risultato
scientifico. Sapete inoltre che IL PIÙ RECENTE PENSIERO SCIENTIFICO È PORTATO
SEMPRE PIÙ - SPECIALMENTE NEL CAMPO DELLE SCIENZE NATURALI - A INTRODURRE NEL
MATERIALE DI STUDIO PENSIERI MATEMATICI, RISULTATI MATEMATICI. Conoscete tutti
la famosa frase di Kant secondo la quale nella scienza esiste tanta vera
sapienza e tanta vera conoscenza quanto vi è in essa di matematica (I. Kant,
Prefazione a "Principi metafisici alle scienze naturali" (1786). Letteralmente
«Affermo che in ogni singola disciplina scientifica si può trovare tanta vera
scienza quanta matematica è contenuta in essa»). Sia nell'osservare, quindi, sia
nell'esperimento devono essere introdotti pensieri matematici, risultati
matematici. E così ci sentiamo al sicuro; sentiamo che con tutta la serie dei
fatti che possono essere compresi in formule matematiche - abbiamo un rapporto
di conoscenza ben diverso che non con i fatti che descriviamo nella loro
situazione empirica. Questa sensazione di sicurezza, data dal trattamento
matematico, è già da tempo caratteristica per il pensiero scientifico. Tuttavia,
non si può dire che oggi si abbia chiara e reale conoscenza del perché si provi
questa sicurezza trattando natura e cosmo con la matematica. E proprio la chiara
conoscenza di questa sicurezza percepita nel trattamento matematico porterà a
riconoscere la necessità di una scienza dello spirito nel senso in cui noi la
intendiamo. QUESTA SCIENZA DELLO SPIRITO NON HA BISOGNO DI MENDICARE UN
RICONOSCIMENTO DA PARTE DELLE VARIE SCIENZE NATURALI, O DI ALTRE SCIENZE. Questa
scienza dello spirito tiene sempre conto - in tutti i suoi campi - della
coscienziosità della scienza moderna; vuole anzi prendere anche posizione nei
riguardi dei dubbi, degli enigmi, delle questioni non risolte e intende porre la
scienza su basi ben precise in un senso ben deciso, in senso matematico.
Voglio porvi una semplice questione, e vedrete che il senso di sicurezza del
trattamento matematico ci condurrà, già a metà percorso, a una certa MANCANZA di
sicurezza. Infatti, come dovremmo comportarci con una scienza come la storia, se
dovesse contenere tanta verità quanta matematica? E come regolarci con gli
eventi dell'anima umana, se abbiano affannosamente studiato tutto il materiale
raccolto dalla psicologia matematica herbartiana (Johann Friedrich Herbart,
1776-1804, filosofo, psicologo e pedagogo svizzero), per giungere a una
sicurezza anche in questo campo? Si è arrivati solo a concludere che in questo
campo, appunto, NON SI RIESCE A INTRODURRE LA MATEMATICA. E questa è la prima
questione di cui ci occuperemo: che COSA SIGNIFICA LA SICUREZZA MATEMATICA
RISPETTO ALLA CONOSCENZA DELL'UOMO? E se sapremo rispondere, saremo introdotti
alla giustificazione delle indagini secondo la scienza dello spirito.
Ho detto che la scienza attuale preferisce l'esperimento, di cui si conoscono
esattamente i dati, all'osservazione esteriore, in cui le condizioni sono
nascoste, direi, nel fondo dell'essere. Negli stessi campi della psicologia e
della pedagogia si è tentato attualmente di passare dall'osservazione
all'esperimento. Ricordo espressamente che la scienza dello spirito non ha nulla
da obiettare contro l'esperimento giustificato, sia nel campo psicologico che in
quello pedagogico; si tratta qui di comprendere su che cosa si fondi questa
tendenza all'esperimento proprio in questi campi della conoscenza. Vediamo, per
esempio, come si è passati all'esperimento nel campo della psicologia e della
pedagogia. Possiamo notare come, fino a relativamente poco tempo fa, sia la
psicologia - la scienza dell'anima - che la pedagogia si dedicassero
all'osservazione accurata della vita dell'uomo, dell'uomo adulto e anche
dell'uomo in divenire, il bambino. Ma per fare questo che cosa è necessario? È
necessaria una partecipazione INTERIORE all'oggetto dell'osservazione. Se
guardiamo ai più antichi metodi di osservazione nei campi della psicologia o
della pedagogia e dell'istruzione, vedremo subito la PARTECIPAZIONE INTERIORE
DELL'UOMO ALL'UOMO, partecipazione che è diminuita col passare del tempo. Ormai
non siamo più obiettivamente vicini all'anima degli altri, com'erano un tempo
gli psicologi o i pedagoghi; nei sentimenti, nelle vibrazioni della nostra anima
non percepiamo più l'eco dell'esperienza delle anime altrui. Direi che ora siamo
più lontani dalla vita obiettiva dell'anima di quanto non lo fossero gli uomini
che un tempo si dedicavano all'osservazione dell'anima. E via via che ci si
estrania dall'intimità dell'anima altrui, e diventa più difficile percepire
l'interiorità altrui con l'intuizione immediata e la partecipazione intima e
profonda, nella stessa misura si cerca di riavvicinare l'anima umana
dall'esterno con i nostri pur eccellenti strumenti. Si cerca di riconoscere le
manifestazioni dell'anima umana per mezzo di strumenti, si cerca quasi - direi -
di raggiungere l'uomo dall'esterno. E in un senso limitato, tutto ciò è anche
giustificato e va valutato in pieno, proprio per il carattere del nostro tempo.
SE SI È DIVENTATI PIÙ ESTRANEI ALL'INTERIORITÀ CI SI DEVE ADATTARE A RICONOSCERE
LE MANIFESTAZIONI ESTERIORI, LA SUPERFICIE DI QUESTA INTERIORITÀ, ANCHE PER
MEZZO DI METODI E DI ESPERIMENTI ESTERIORI.
Ma proprio allora, quando ci allontaniamo in certo senso dallo spirito e
dall'anima dell'uomo e compiamo esperimenti sugli aspetti più esteriori, ci è
più che mai necessario INTERPRETARE questi esperimenti in un senso spirituale e
approfondirli con l'indagine spirituale. Non abbiamo quindi nulla contro
l'esperimento in quanto tale, ma SORGE LA NECESSITÀ, e oggi ne parlo in senso
generico, DI ILLUMINARE DALL'INTERIORITÀ IL SIGNIFICATO DELL'ESPERIMENTO: ve ne dò un esempio.
La pedagogia sperimentale ha giustamente constatato che la crescita avviene in
modo diverso nei ragazzi e nelle ragazze. Si è visto che nel periodo della
scuola dell'obbligo bambini e bambine crescono in modo diverso - ne parleremo
ancora. In certi periodi i maschi crescono più lentamente, mentre le bambine
crescono più in fretta. Se si segue il metodo sperimentale, è solo un fatto che
può essere registrato - se si tiene conto cioè solo della manifestazione
esteriore della vita animica. Tuttavia, il vero significato di questo fatto può
essere riconosciuto solo da chi sa come il processo della crescita parta
dall'anima, e come l'elemento animico del ragazzo sia diverso, e come si
manifesti la forza di questo elemento animico secondo le diverse epoche della
vita. E allora si vedrà che la differenza dei periodi di crescita tra maschi e
femmine è dovuta a ciò che avviene nelle anime degli uni e delle altre. Si
saprà, per esempio, che un essere che cresce più rapidamente tra il
quattordicesimo e il diciassettesimo anno di età sviluppa forze diverse da un
essere che cresce invece più rapidamente in età più giovane.
Un'epoca progredita nel trattamento sperimentale esteriore dei fatti - se non
vuole abbandonarsi alla superficialità e all'esteriorità - deve essere in grado
di PENETRARE CON L'INDAGINE SPIRITUALE IL RISULTATO DELLA SPERIMENTAZIONE. A
FRONTE DI TUTTO QUESTO VI È LA COSCIENZA DI AVERE NELLA MATEMATICA QUALCOSA CHE
DÀ SICUREZZA NELLA RICERCA. Ma se vogliamo dare giusto valore c significato a
questo fatto dobbiamo porre alcune domande: COME SI CONOSCE MATEMATICAMENTE?
COME SI APPLICA LA MATEMATICA AI FATTI ESTERIORI E DEI SENSI? IN CHE COSA SI
DISTINGUE IL TRATTAMENTO MATEMATICO DAGLI ALTRI TRATTAMENTI DEL MATERIALE DI
FATTI CHE CI È DATO?
Vedete, all'uomo sono dati innanzitutto i fatti esteriori per mezzo dei sensi.
Fin da bambini entriamo in questo mondo dei fatti esteriori che rappresenta una
specie di caos rispetto alla nostra soggettività. Solo quando siamo
interiormente più forti nei riguardi di concetti e di rappresentazioni di ogni
genere - l'ho detto più precisamente nel mio libretto "Verità e scienza" (O.O.
n° 3) -, quando colleghiamo un fatto all'altro quando raggruppiamo i fatti,
quando riuniamo concettualmente fatti che sembrano assai distanti fra loro
all'osservazione esteriore, solo allora creiamo un certo ordine ideale, un
ordine nelle rappresentazioni, nel caos dell'esperienza sensoriale immediata.
Dobbiamo ora esaminare esattamente come avviene la nostra elaborazione dei fatti
esteriori quando, per la nostra conoscenza, non usiamo la matematica ma
osserviamo il mondo esterno e formiamo rappresentazioni sui collegamenti tra i
fatti esteriori della natura, magari secondo la solita legge di causa ed effetto
e così via o anche secondo altre leggi. Dobbiamo avere rappresentazioni di quale
sia il trattamento del mondo esterno. CHE COSA FACCIAMO, QUANDO METTIAMO ORDINE
NEL CAOS DEI SENSI? Mi sembra che su questa questione David Hume (cfr. D. Hume,
"Enquiry concerning human understanding", i.e.: "Ricerche sulla ragione umana",
parte J, cap. V: "Soluzione scettica di queste riflessioni", 1748) si sia
espresso in modo giusto. Il suo grande errore dipende solo dal fatto di aver
creduto valido per tutto l'insieme della conoscenza umana ciò che invece vale
solo per l'osservazione non matematica della natura.
LA MAGGIOR PARTE DEGLI ERRORI E DELLE UNILATERALITÀ DEL PENSIERO SCIENTIFICO
DIPENDONO PROPRIO DAL FATTO CHE SI ADOPERA PER TUTTA LA CONOSCENZA UMANA UN
PRINCIPIO CHE INVECE È VALIDO SOLO PER UN CAMPO SPECIFICO. È quindi spesso
difficile comprendere ciò che è errato da un punto di vista universale -
permettetemi il paradosso - ; una legge da considerarsi errata per l'universale
che non abbia qua o là una giustificazione per un campo speciale, forse non
esiste. Così che si potrebbero trovare, in un campo specifico ottime ragioni per
una legge che deve invece essere rifiutata se si vuol pretendere di darle valore
universale. Così è quanto Hume dice: noi osserviamo il mondo esterno, e con le
nostre osservazioni lo articoliamo secondo leggi; però quello che abbiamo come
legge nella nostra anima non è tale da consentirci di dire che corrisponde a
qualcosa di obiettivo nel mondo esterno, o che nel mondo esterno le cose si
svolgano secondo questa legge; si potrebbe - continua Hume - dire soltanto che
finora tutti gli uomini hanno visto sorgere il sole ogni giorno; questa è una
legge ricavata dall'esperienza; e tutti i fatti di genere analogo che si sono
presentati potrebbero essere enunciaci in una legge generale, ma nulla ci
garantisce di non avere invece riunito in una rappresentazione una serie
qualsiasi di fatti sperimentati. Che cosa c'è dunque in noi che crea leggi e
relazioni dai fatti osservati coi sensi, e che significato hanno queste leggi e
queste relazioni per il campo ora indicato? Ha ben ragione Hume quando dice: è
un'abitudine dell'anima riunire secondo leggi i fatti che ci si presentano; per
questa abitudine ci IMMAGINIAMO certe leggi di natura. Ma tali leggi non sono
altro che ciò che è stato riunito dai singoli fatti secondo l'abitudine della
nostra anima.
Si arriva così a pensare: l'uomo nella sua vita empirica si evolve in modo da
abituarsi a portare interiormente ordine e armonia nel caos dei fatti empirici,
e si deve dire che più si procede nella conoscenza - proprio nel campo qui
delimitato - più si è portati a questa caratteristica abitudine animica. Non si
è più in grado di considerare fatti non collegati, si vuoi seguire questa
abitudine dell'anima, si vuol portare l'anima in tutto ciò che ci si presenta
empiricamente ai sensi come molteplicità. Ma se esaminiamo senza pregiudizi
questo tipo di conoscenza, dovremmo pur renderei conto di trovarci di fronte al
mondo esterno in una situazione tale per cui tale mondo non penetra la nostra
conoscenza. In questo campo della conoscenza dovremo continuare a pensare che i
fatti materiali siano al di fuori. Per abitudine li articoliamo nel nostro
sistema di rappresentazione, li esaminiamo, e sappiamo che se un fatto si è
ripetuto un certo numero di volte, se condizioni analoghe si ripresenteranno, si
ripeterà anche in seguito in modo analogo. Ma se ci fermiamo a questo non
conosciamo la parte esteriore, né pretendiamo di conoscerla. Quando però dovremo
stabilire ipotesi metafisiche, dovremo dire: la materia è questo o quello. Ma se
non vogliamo fare tali ipotesi metafisiche dovremo lasciar stare là fuori la
materia. NON VEDIAMO CIÒ CHE LA MATERIA È NEL SUO INTIMO, MA SOLO CIÒ CHE CI
VIENE OFFERTO DAL LATO CHE ESSA CI PRESENTA; NOI ALLORA LO ORDINIAMO IN
DETERMINATE SERIE DI PENSIERI, IN DETERMINATE LEGGI DI PENSIERO. RIMANIAMO
QUINDI FUORI DELLA REALTÀ ESTERIORE, FORMANDOCI IMMAGINI DEL DECORSO DEI FATTI
DAL LATO ESTERIORE DELLA MATERIA. E per la nostra conoscenza umana, in fondo,
abbiamo bisogno di essere consci di avere a che fare con IMMAGINI. Pensate che
cosa significherebbe la coscienza umana, se non potessimo ammettere che abbiamo
in primo luogo a che fare con IMMAGINI del mondo esteriore. Pensate se, del
campo che abbiamo descritto, dovessimo pensare che qualcosa entra in noi dal
mondo esterno nello stesso modo in cui, per esempio, si mangia o si beve. E
pensate quanto poco corrisponderebbe questo manifestarsi dell'esistenza
materiale nell'interiorità, a quel che deve essere la nostra anima nel
riconoscere il mondo esterno. Possiamo trovarci in condizione di dover pensare:
dal mondo esterno non fluisce nulla nel processo conoscitivo delle nostre anime.
QUANTO SPERIMENTIAMO NEL MONDO ESTERNO NOI LO FORMIAMO IN IMMAGINI, LE QUALI IN
FONDO NON HANNO NULLA A CHE FARE COL MONDO ESTERNO.
Potrei servirmi a questo punto di un'immagine presa dall'arte. Supponete che io
dipinga qualcosa. Ciò che riporto sulla tela è qualcosa che non interessa il
mondo esterno che mi serve da modello. Per gli alberi davanti a me, che io
dipingo sulla tela, è perfettamente indifferente se essi sono come io li
dipingo. A ciò che è fuori il mio dipinto è estraneo, senza rapporti interiori
con la realtà esterna. Da un punto di vista psicologico e GNOSEOLOGICO, la
stessa cosa vale per ogni tipo di conoscenza che riguardi il campo del quale sto
parlando. ARRIVEREMMO AL PUNTO DI NON RIUSCIRE PIÙ A DISTINGUERCI DAL MONDO
ESTERIORE, FINO A RELAZIONARCI CON ESSO COME FACCIAMO CON CIBI E BEVANDE, SE
QUANTO AVVIENE MENTRE CONOSCIAMO NON SI MANIFESTASSE COME QUALCOSA DI
ASSOLUTAMENTE ESTRANEO RISPETTO AL MONDO ESTERIORE. Vedremo in seguito che ciò
che va inteso come libertà umana lo si può comprendere solo a condizione che la
conoscenza del mondo esteriore avvenga come appunto ho ora descritto.
Non avviene però così quando io conosco matematicamente. Rappresentatevi come si
conosca matematicamente, sia nel campo della matematica e dell'algebra, sia nei
campi più alti dell'analisi o della geometria sintetica o analitica. Là, non ci
sta di fronte un mondo esterno che noi non possiamo afferrare, ma nel conoscere
matematico viviamo immediatamente DENTRO ciò che per noi è oggetto. Noi formiamo
INTERIORMENTE gli oggetti matematici e i loro rapporti, e quando disegniamo
forme matematiche lo facciamo solo, diciamo così, per nostra comodità. CIÒ CHE
INTENDIAMO MATEMATICAMENTE NON APPARTIENE MAI AL MONDO ESTERIORE QUALE LO
PERCEPIAMO COI SENSI, MA È UNA COSTRUZIONE INTERIORE, qualcosa che vive solo in
quella nostra attività animica che dà qualcosa di tutto quello che è
inaccessibile ai sensi in quanto tali. Quando creiamo il campo della scienza
matematica, procediamo a una COSTRUZIONE INTERIORE. E vi è una differenza
sostanziale rispetto alla prima forma di conoscenza: la conoscenza empirica del
mondo esterno rispetto ai sensi. In questo caso l'oggetto rimane nettamente
fuori di essi; invece, CON LA CONOSCENZA MATEMATICA SIAMO COMPLETAMENTE
NELL'OGGETTO, e TUTTO IL CONTENUTO DELLA SCIENZA MATEMATICA È IL RISULTATO DI
UNA COSTRUZIONE FATTA E SPERIMENTATA NELLA NOSTRA ANIMA.
Questo è un PROBLEMA IMPORTANTE, e vorrei dire anzi che esso costituisce il
gradino inferiore rispetto a un altro problema, che si trova su un gradino
successivo: come si sale dalle scienze abituali alla scienza dello spirito? Non
credo che nessuno possa per conto suo rispondere a questa domanda
scientificamente, se non si sia già risposto alla domanda: COME SI COMPORTA
L'OSSERVAZIONE ESTERIORE, E LA CONOSCENZA DELLA NATURA CHE È COMPENETRATA DI
MATEMATICA, NEI CONFRONTI DELLA MATEMATICA VERA E PROPRIA?
Ma si presenta allora un'ULTERIORE DOMANDA, alla quale deve rispondere lo
scienziato con la propria esperienza nei lavori scientifici. Ho già detto che KANT ha osservato che in ogni scienza esiste tanta verità quanto vi è di
matematica. Ma questo è un PUNTO DI VISTA UNILATERALE che vale solo in un
determinato campo. L'ERRORE DI KANT CONSISTE PROPRIO NELL'AVER STABILITO E PRESO
COME UNIVERSALE QUALCOSA CHE INVECE VALE SOLO IN UN CAMPO SPECIFICO. Però per
quanto riguarda alcune parti della natura esterna quale ci è mediata dai sensi,
dobbiamo dire: portiamo in noi l'ESIGENZA - parleremo in seguito anche di
quest'esigenza -, giustamente detta SCIENTIFICA, DI INDAGARE MATEMATICAMENTE I
FATTI CHE CI SI PRESENTANO; NON SOLO MISURANDOLI E CONFRONTANDO LE MISURAZIONI,
MA ANCHE APPROFONDENDOLI CON CIÒ CHE NOI STESSI ABBIAMO COSTRUITO IN FORMULE
MATEMATICHE.
Che cosa agisce in noi quando - senza fermarci per abitudine e collegare i fatti
esterni empirici con regole generali - scendiamo invece a penetrare in tali
fatti empirici mediante ciò che costruiamo interiormente, e che abbiamo
formulato con tutta l'attività dell'anima in piena presenza dell'oggetto
matematico? È EVIDENTE - chiunque abbia fatto esperienze scientifiche in questo
campo lo può riconoscere, se studia se stesso SENZA PREGIUDIZI - è evidente
dicevo CHE SENTIAMO COME TUTTA LA NATURA CHE CI CIRCONDA SIA QUALCOSA DI
MATERIALMENTE ESTRANEO ALLA NOSTRA ESSENZA UMANA. Se ora osserviamo che possiamo
in certo qual modo immergerci in questa essenza ESTRANEA con ciò che noi stessi
abbiamo dapprima costruito interiormente, possiamo esprimere con una formula
matematica ciò che altrimenti si presenta solo secondo il suo lato esteriore.
Notiamo anche che se lo esprimiamo matematicamente, il processo naturale stesso
si volge secondo quella formula matematica. Che cosa avviene? Non avviene solo
che noi ci impadroniamo interiormente di un processo naturale che all'inizio era
esteriore ed estraneo ma avviene che tendiamo a unirci a questo. E allora NON
AFFERRIAMO FORSE CIÒ CHE CI SI PRESENTA DAPPRIMA COMPLETAMENTE DALL'ESTERNO IN
MODO DA PATERNE RICOSTRUIRE IL PROCESSO COSÌ COME LO COSTRUIAMO ALL'INTERNO DEI
PURI FATTI MATEMATICI? NON TENDIAMO FORSE A SPERIMENTARE INTERIORMENTE, DAVVERO
INTERIORMENTE, QUALCOSA CHE AL PRINCIPIO SEMBRA GUARDARCI SOLO DALL'ESTERNO?
QUESTA INTERIORIZZAZIONE DELL'ESTERNO È CIÒ CHE DÀ L'AVVIO ALLA SPIEGAZIONE
MATEMATICA DELLA NATURA, E CHE VIVE NELLA SPIEGAZIONE MATEMATICA DELLA NATURA. È
tipico della nuova tendenza scientifica e del suo rapporto con la tecnica (su
cui torneremo ancora) che esista una così
intensa aspirazione a introdurre la matematica nei fatti esteriori, il che
significa però introdurre qualcosa di costruito dapprima interiormente; ossia
esaminare pienamente ciò che ci si presenta allo sguardo, per il fatto che lo
possiamo guardare come se lo avessimo ridotto noi stessi nella sua forma, nella
forma del suo essere. Quando siamo riusciti - almeno per quanto ci è possibile -
a introdurre la matematica nelle manifestazioni esteriori della natura, fino a
raggiungere un cerro ideale, quando siamo riusciti a giungere al punto in cui
siamo ora - nel quale non si hanno più tante aspirazioni quante ne avevano una
volta gli atomisti, i quali nel campo dei fenomeni luminosi avevano tentato di
penetrare ogni aspetto esteriore con formule matematiche -, quando dunque siamo
riusciti a raggiungere l'ideale di introdurre la matematica nei fatti esteriori,
che cosa abbiamo? Chiediamoci che cosa abbiamo raggiunto, e osserviamolo.
Possiamo vedere chiaramente quale sia il contenuto della nostra anima se essa,
invece di guardare all'esteriorità, invece - per esempio - di osservare i
fenomeni di polarizzazione, presenta a se stessa una serie di formulazioni
matematiche. Che cosa ne ha la nostra anima? GUARDIAMO questa creazione, QUESTO
MONDO ESTERIORE RIPRODOTTO IN FORMULE MATEMATICHE, GUARDIAMOLO E CONTEMPLIAMOLO
SENZA PREGIUDIZI: SE SIAMO POI IN GRADO DI RIVOLGERE LO SGUARDO VERSO IL MONDO
ESTERIORE, TROVIAMO QUALCOSA DI MOLTO SPECIALE. Troviamo che abbiamo tenuto
CONTO di tutte le premesse matematiche che ci dà il mondo esterno, per
collegarvi le nostre formule matematiche, troviamo che prima avevamo qualcosa
che ci sembrava oscuro e che ora è luminoso, ossia ci appare illuminato da
concetti matematici. Troviamo questo, ma NON POSSIAMO PIÙ NEGARE IL FATTO CHE
CONTEMPORANEAMENTE IMPONIAMO ALLA NATURA, AL MONDO ESTERNO, UN'IMMAGINE CHE NON
CONTIENE PIÙ NULLA DELLA REALTÀ QUALE CI SI ERA PRESENTATA ALL'INIZIO.
Prendete i fenomeni ottici nella loro pienezza, nella loro intensità, prendeteli
come ci si presentano alla vista, e confrontateli con ciò che -
giustificatamente, da un certo punto di vista - produce la costruzione
matematica interiore ; diciamo, per esempio, l'ottica matematica come IMMAGINE
di questa manifestazione dell'occhio prodotta secondo regole matematiche.
Dovrete dirvi - e occorre una certa spregiudicatezza per farlo -: IN QUESTA
IMMAGINE MATEMATICA NON C'È PIÙ NULLA DELLA PIENEZZA DELLA MANIFESTAZIONE DEI
COLORI; DA QUESTA IMMAGINE È STATO SPAZZATO VIA TUTTO CIÒ CHE CI ERA OFFERTO DAI
SENSI, OSSIA DALLA REALTÀ ESTERIORE: ABBIAMO UN IMMAGINE DEL MONDO ESTERNO CHE
NON CONTIENE PIÙ NULLA DELLA SUA PIENEZZA INTERIORE, CHE È PRIVA DELLA SUA
INTENSA REALTÀ.
Vi farò un PARAGONE (e dalle conferenze seguenti vedrete che non si tratta di un
semplice paragone). Vi prego però di prenderlo inizialmente come una pura
analogia. Quando studiamo i fatti matematicamente, abbiamo DUE FASI DELLA
CONOSCENZA. La prima l'abbiamo quando dobbiamo guardare i fatti empirici, ovvero
I FATTI VISIBILI. La seconda è quando organizziamo queste osservazioni in
FORMULE MATEMATICHE che costituiscono per noi il risultato. E allora non
osserviamo più i fatti empirici. È proprio come quando - per fare un paragone
esatto - inspiriamo l'ossigeno che dà vita e ne compenetriamo il nostro
organismo: l'ossigeno si combina col carbonio in anidride carbonica; espiriamo
l'anidride, e questa non è più aria che ci dà vita, ma tutto il processo è stato
indispensabile per la nostra vita. Abbiamo dovuto inspirare il vivificante
ossigeno, unirlo alla nostra sostanza. QUANDO POI PORTIAMO AL MONDO ESTERNO IL
PRODOTTO DI QUESTO PROCESSO, GLI DIAMO QUALCOSA CHE UCCIDE, mentre l'aria
inspirata è qualcosa che suscita vita. Per ora ciò va preso solo come immagine
del modo in cui ci comportiamo nella conoscenza della natura. IMMETTIAMO IN NOI
QUANTO SI OFFRE AI NOSTRI SENSI, CERCHIAMO DI UNIRLO INTIMAMENTE con qualcosa
che è in noi, con qualcosa che si trova solo in noi: CON LE NOSTRE COSTRUZIONI
MATEMATICHE. E l'incontro della conoscenza empirica con la costruzione
matematica produce qualcosa: il risultato appunto della conoscenza matematica
della natura. Se confrontiamo questo risultato con la natura, vediamo che esso
non contiene più la natura nella sua vitalità, proprio come l'aria espirata non
contiene più la forza vivificante dell'aria che inspiriamo. In certo senso
abbiamo un'inspirazione animica del mondo esterno, al quale però si contrappone
una espirazione che ha trasformato, quasi capovolto, quanto era stato unito
all'organismo dell'anima al momento dell'inspirazione. QUANDO TENDIAMO ALLA
CONOSCENZA MATEMATICA DELLA NATURA DOBBIAMO RICORDARE QUESTO PROCESSO CHE
AVVIENE IN NOI, POICHÉ ESSO CI CONFERMA CHE LA CONOSCENZA MATEMATICA DELLA
NATURA È TOTALMENTE DIVERSA DALLA CONOSCENZA EMPIRICA DELLA NATURA. La
conoscenza empirica arriva fino alle nostre abitudini animiche esteriori, LA
CONOSCENZA MATEMATICA non presenta al mondo esterno semplicemente un'abitudine
che gli è estranea, ma anche qualcosa di interiormente solido e sperimentato, di
interiormente formato, e da questa formazione interiore VUOLE ottenere qualcosa
che spieghi il mondo esteriore secondo la sua essenza, vuole dunque UNIRE
L'INTERIORE CON L'ESTERIORE.
Se riconosciamo nel modo giusto come il desiderio di spiegare matematicamente la
natura dipenda da tale adattamento interiore del mondo esterno, non ci sfuggirà
come NELLA MATEMATICA SI ABBIA UN TIPO DI CONOSCENZA TOTALMENTE DIVERSO DA
QUELLO DELLA CONOSCENZA ESTERIORE, sensoria, e della conoscenza empirica che
sintetizza l'esperienza dei sensi secondo ragione. Si penetra più profondamente
nell'interiorità umana per mezzo della conoscenza matematica, e proprio per ciò
SI CREDE di sperimentare più intimamente ciò che il mondo esterno rappresenta.
MA si fa solo l'esperienza del fatto che QUANTO È STATO DA NOI TRASFORMATO IN
FORMULE MATEMATICHE HA PERSO, IN FONDO, LA VERA PIENEZZA DEL MONDO ESTERNO.
Dobbiamo essere consci del fatto che NOI colleghiamo ciò che esiste nel mondo
esterno con qualcosa di costruito in modo puramente interiore, e DOBBIAMO
IMPARARE A SPERIMENTARE NEL MODO GIUSTO QUANTO AVVIENE NELL'ANIMA, QUANDO
FACCIAMO FORMULAZIONI MATEMATICHE. Dobbiamo comprendere che la parte matematica
è una creazione interiore dell'uomo e che, benché si tratti di un prodotto
dell'uomo abbiamo la sensazione - più tardi vedremo che è una conoscenza - che
in questa costruzione interiore matematica ci sia dato qualcosa che ci avvicina
più del solito al mondo esterno. EPPURE QUESTA COSTRUZIONE MATEMATICA INTERIORE
NON PUÒ ESSERE REALTÀ INTERIORE, ALMENO NON RISPETTO AL MONDO ESTERNO REALE.
Altrimenti, quando ci troviamo davanti a un'IMMAGINE MATEMATICA come risultato
dell'indagine, non dovremmo avere la sensazione di vedere come impallidita la
pienezza del mondo esterno, ma dovremmo invece sentire di avere in questa
formula matematica qualcosa che ha una propria forte realtà interiore. Pensate
come sarebbe diverso se avessimo di fronte a noi l'intero campo delle esperienze
visive con tutte le intense sensazioni di colori, e, avendo sviluppato formule
matematiche, vedessimo in esse spiritualmente quel che prima avevamo percepito.
Vedremmo splendere, balenare nelle nostre formule matematiche la teoria
ondulatoria dei colori, vi percepiremmo i fenomeni di interferenza e così via.
Ma non avviene così. E questo ci dimostra che PENETRIAMO, SÌ, IL MONDO ESTERNO
CON LE NOSTRE FORMULE MATEMATICHE TANTO DA AVVICINARCI A ESSO SEMPRE DI PIÙ; MA
LO FACCIAMO AL PREZZO DI NON AVERE PIÙ LA SUA PIENA REALTÀ.
Siamo allora passati dalla conoscenza consueta abituale, alla conoscenza
matematicamente formulata che deve essere preceduta dalla formulazione di
strutture matematiche sperimentate in modo prettamente interiore; e a questo
punto sorge la domanda: questo sviluppo può essere continuato nell'anima umana?
Dapprima ci troviamo davanti a un mondo esterno, di fronte al quale stiamo in
modo che le leggi e le regole che formuliamo sulla base dell'osservazione sono
qui formazioni totalmente estranee. Andiamo avanti, e possiamo farlo solo perché
sperimentiamo interiormente le formule matematiche completamente separate dal
mondo esterno. Poi penetriamo il mondo esterno con queste formule matematiche
soltanto. È evidente che queste NON sono interiormente compenetrate di realtà,
altrimenti la avremmo anche, la realtà [Nota di Nereo: la traduzione di questa
frase è incomprensibile, perciò la intendo così: "È evidente che queste NON sono
interiormente compenetrate di realtà, altrimenti ci sarebbe già realtà anche
nella matematica"]. Se noi le osserviamo, se le esaminiamo attentamente,
riflettendo, vediamo che non possono essere reali, anzi al contrario esse
smorzano la realtà alla quale le abbiano applicate. A questo punto della
considerazione sorge la domanda: PUÒ ESSERE CHE, PER IL FATTO CHE NOI FORMULIAMO
MATEMATICAMENTE NELL'INTERIORITÀ, PER IL FATTO CHE TENTIAMO DI PENETRARE PIÙ A
FONDO IL MONDO SENSORIO ESTERNO CI RAFFORZIAMO? È possibile che questa
esperienza matematica interiore, che a tutta prima è una astrazione talmente
pallida da rendere pallida anche la realtà, è possibile che quel che
sperimentiamo interiormente in forme matematiche venga reso interiormente
presente con maggiore intensità? In altre parole, LA FORZA CHE NOI DOBBIAMO
USARE PER PREPARARE E OTTENERE UNA CONOSCENZA MATEMATICA DELLA NATURA, PUÒ
ESSERE APPLICATA PIÙ INTENSAMENTE, COSÌ CHE NON SOLO COSTRUIAMO INTERIORMENTE
ASTRAZIONI MATEMATICHE, MA ANCHE CONCRETA SPIRITUALITÀ? CERTO non vedremmo
risorgere il mondo sensorio esteriore in ciò che abbiamo strutturato
interiormente, ma avremmo davanti a noi qualcosa che non è neppure una struttura
matematica - giacché la struttura matematica è astratta -, qualcosa di
diversamente strutturato. AVREMMO QUALCOSA CHE È STATO OTTENUTO NELLO STESSO
MODO DI UNA STRUTTURA MATEMATICA, MA CON IL CARATTERE DELLA REALTÀ. E DAVANTI A
NOI - VISTO SPIRITUALMENTE - DOVREBBE ESISTERE QUALCOSA DI CUI POTREMMO DIRE CHE
SPLENDE IN EFFETTI COME LA REALTÀ SENSORIA ESTERIORE, MA CHE ABBIAMO OTTENUTO
TRAENDO DA NOI NON SOLO FORME MATEMATICHE ASTRATTE, MA FORME REALI. Abbiamo
accresciuto la forza matematizzante e SIAMO ARRIVATI A FARE EMERGERE REALTÀ
INTERIORE DA NOI STESSI. E questo sarebbe un terzo gradino del nostro conoscere.
Il primo gradino sarebbe la percezione abituale del mondo esteriore reale. Il
secondo sarebbe la sua penetrazione matematica, avendo dapprima sviluppato la
pura matematica. Il terzo sarebbe l'esperienza interiore dello spirito,
necessariamente interiore quanto l'esperienza matematica ma col carattere della
realtà spirituale. Avremmo così: l'esperienza empirica esteriore della natura,
la conoscenza secondo il metodo matematico e la conoscenza spirituale, quella
conoscenza per cui - giacché siamo diventati interiormente produttivi - abbiamo
davanti a noi i mondi spirituali.
Una preparazione alla possibilità di ritenere reali questi mondi l'abbiamo già
nel fatto che noi applichiamo al mondo esterno quanto troviamo nella conoscenza
matematicamente costruita, ancorché astratta e che possiamo così anche dire:
QUANTO COSTRUIAMO MATEMATICAMENTE NON HA ANCORA IN SÉ UNA REALTÀ, NON COGLIE UNA
REALTÀ DALLA PROFONDITÀ DELLA NOSTRA ANIMA, MA PORTA IN SUPERFICIE QUALCOSA CHE
È IMMAGINE DELLA REALTÀ. Nella scienza dello spirito cogliamo dal fondo delle
nostre anime qualcosa che non è solo IMMAGINE di una realtà esteriore ma che è
esso stesso realtà. Abbiamo questi tre gradini della conoscenza umana: I - la
conoscenza fisica della natura, II - la scienza secondo il metodo matematico,
III - la scienza dello spirito. E non è per pura congettura che un metodo
scientifico-spirituale venga costruito come necessità, ma, come vedete, proprio
per colui che comprende il prodursi della matematica dalla semplice osservazione
scientifica, la conoscenza spirituale si dà come un ulteriore sviluppo - benché
per suo mezzo non si ottenga un mondo matematico, ma un mondo totalmente
diverso, UN MONDO SPIRITUALE. E dobbiamo ben dire: CHI COMPRENDE COME SORGA LA
MATEMATICA, POTRÀ ANCHE ELEVARSI FINO ALLA COMPRENSIONE DI COME SORGA LA SCIENZA
DELLO SPIRITO A ORIENTAMENTO ANTROPOSOFICO.
Questo volevo dirvi oggi come introduzione. Volevo mostrarvi che LA SCIENZA
DELLO SPIRITO ANTROPOSOFICA conosce la propria posizione in tutto il sistema
delle scienze. Non è nata da qualche arbitrio, o dal dilettantismo, bensì da una
basilare teoria della conoscenza, È NATA DA QUELLA CONOSCENZA CHE DEVE DAPPRIMA
ESSERE UTILIZZATA PER COMPRENDERE LA GIUSTIFICAZIONE STESSA DELLA MATEMATICA.
Non invano - benché a partire da conoscenze scientifiche più antiche e intuitive
-, non invano Platone chiedeva ai discepoli una buona preparazione in geometria
o in matematica (Platone, 427-347 a.C. «La matematica era stimata da Platone sia
per la sua utilità nella vita e per il suo contenuto pedagogico, sia per la sua
qualità propedeutica una speculazione... quale trasformatrice dello spirito "dal
materiale al pensiero", "Repubblica". L'innalzamento della matematica ad
elevamento della vita spirituale e scuola preparatoria della speculazione,
iniziato da Pitagora, fu completato da Platone», cfr. "Geschichte des Idealismus",
i.e.: "Storia dell'idealismo" di O. Willmann, Braunschweig, 1894, p. 394). Non
voleva che i suoi discepoli avessero singole nozioni di aritmetica o geometria,
ma proprio la comprensione basilare di quanto avviene nell'uomo quando studia
matematica o geometria. E su questo si fonda il detto di Platone, apparentemente
paradossale eppure profondamente significativo: «Dio geometrizza» (letteralmente
«Dio geometrizza continuamente». È tramandato da Plutarco nel "Convito".
Plutarco osserva che questa espressione non si trova nelle opere di Platone,
benché abbia un suono autentico e sia nello stesso spirito). Non intendeva dire
che Dio semplicemente crea nel pentagono o nell'esagono, bensì che crea con una
forza interiore tale, quale noi possiamo richiamare alla mente - sia pure in
immagini astratte - nel pensiero matematico. Ecco perché credo che chi sa quale
sia il posto della matematica nel campo delle scienze saprà anche riconoscere il
posto della scienza dello spirito.
La scienza dello spirito combatterà per i suoi diritti (così come faranno anche
i suoi avversari) giacché non intende costruire su basi dilettantistiche o
superficiali, ma secondo reale esattezza e accuratezza storica. E quindi posso
già dire che gli eventuali avversari che studieranno in modo realmente serio ciò
che la nostra scienza dello spirito ha da dire a propria giustificazione,
saranno sempre i benvenuti, giacché con loro la scienza dello spirito discuterà
volentieri. Essa non li teme, perché è provvista di tutte le armi scientifiche
delle scienze superiori e le sa usare. Non ha però tempo da perdere coi
dilettanti, né con chi vuol tracciare confini tra una scienza e un'altra, poiché
la scienza dello spirito intende proprio superare queste frontiere. E può darsi
che di questi dilettanti si parli ancora nel corso di queste conferenze con una
certa severità. In conclusione, la scienza dello spirito va comunicata
all'umanità odierna con la massima serietà e con scientifica precisione, e
questo potrà anche avvenire, se solo le si darà ascolto.
***
Terza conferenza, Stoccarda, 18 marzo 1921
Indice sommario della terza conferenza: La spiegabilità della natura e il mondo
soprasensibile. Conoscenza ordinaria e conoscenza matematica. L'applicabilità
della conoscenza matematica al mondo minerale; la conquista di una visione della
vegetalità mediante la conoscenza immaginativa. Due tipi di chiaroveggenza. La
dottrina della soggettività della percezione sensoriale. La dualità dell'occhio.
L'anelito all'ampliamento e all'approfondimento della nostra conoscenza.
Ieri ho cercato di studiare anzitutto qualcosa che possa introdurci alla
scaturigine della rappresentazione delle DIMENSIONI [le evidenziazioni in
maiuscolo sono mie - ndc] nell'interiorità umana. E per ora lasciamolo da parte.
Nella scienza dello spirito, infatti, è bene studiare i diversi argomenti
secondo diversi aspetti, ed è ciò che vorrei fare in queste conferenze. Oggi
dunque aggiungeremo qualcosa a quanto abbiamo studiato ieri, ma partendo da un
altro punto di vista, così che poi saremo in grado di unificare le varie
osservazioni e di salire al livello della scienza dello spirito.
Si dice spesso che le considerazioni della scienza dello spirito interessano
soltanto coloro che si trovano a loro agio nella speciale forma di
contemplazione che sta alla base della descrizione di questi risultati
scientifico-spirituali. In un certo senso, ma in un senso molto limitato, si può
anche ammettere che qualcuno abbia questa sensazione. Ma si tratta sempre di
sapere se quanto risulta dalla scienza dello spirito possa essere compreso in
genere nel suo contenuto SENZA necessità di salire a conoscenze superiori. E in
queste mie conferenze cerco proprio di far vedere come il risultato delle
ricerche scientifico-spirituali possa essere perfettamente accettato dal NORMALE
BUON SENSO.
Ma è indispensabile seguire realmente quanto la scienza dello spirito ha da dire
a propria giustificazione secondo i più vari punti di vista. E per rifiutare la
scienza dello spirito non serve obiettare che quando osserviamo la natura
intorno a noi essa ci si spiega da sola con l'esperienza esteriore, né sarebbe
possibile salire da questa spiegabilità a una qualsivoglia premessa essenziale
che sola dovrebbe permetterei di comprendere pienamente quanto ci circonda nel
mondo dei sensi. Sarò sempre il primo io stesso a ricordare che, da un certo
punto di vista, il mondo dei sensi si spiega da sé. Una volta, con un paragone -
lo confesso - abbastanza mediocre, ho spiegato già che intendo. Ho detto: se uno
guarda il meccanismo dell'orologio, non gli serve ricorrere a spiegazioni che si
basino sul "mondo-esterno-all'orologio", se appunto ne vuole spiegare il
meccanismo. L'orologio - da un certo punto di vista - si spiega da sé. Ciò non
toglie, però, che se si vuole arrivare a far piena chiarezza sul senso
dell'orologio, ci è necessario sapere qualcosa dell'orologiaio e simili, ossia
conoscere qualcosa che è completamente al di fuori dell'orologio. Non si possono
spiegare tanto facilmente certe cose - come si crederebbe - e dobbiamo quindi
vedere QUALI SPIEGAZIONI PRESE DAL CAMPO SOPRASENSIBILE SONO APPLICATE DALLA
SCIENZA DELLO SPIRITO PER L'ESAME E LO STUDIO DI FATTI VISTI EMPIRICAMENTE NEL
CAMPO DEI SENSI. Ne parleremo oggi.
Devo ancora premettere qualcosa su cui torneremo con maggior precisione nei
prossimi giorni. Devo premettere che LO STUDIO DELLA SCIENZA DELLO SPIRITO PORTA
A UNA CONOSCENZA diversa, direi addirittura a una diversa DISPOSIZIONE ANIMICA
rispetto alla realtà; DIVERSA DA QUELLA CHE CI È CONSENTITA NELLA VITA DI VEGLIA
O NELLA SCIENZA ATTUALE. QUESTO PRIMO GRADINO DELLA CONOSCENZA SOPRASENSIBILE -
se così la vogliamo chiamare - È STATO DETTO DA ME IL GRADO DELLA IMMAGINAZIONE.
Dirò in seguito in qual modo, partendo da determinati atteggiamenti dell'anima,
si possa giungere all'immaginazione. Oggi voglio però spiegare L'ESSENZA
DELL'IMMAGINAZIONE, E PER FARLO DOBBIAMO TORNARE A QUANTO HO DETTO NON TANTO
SULLA MATEMATICA, QUANTO SUL PENSARE MATEMATICAMENTE.
Ho cercato di caratterizzare la differenza che c'è, per il contenuto della
nostra coscienza, quando da un lato ci immergiamo in qualcosa che ci è
presentato dal mondo esterno e a cui poi diamo valore interiormente con la
nostra ragione, e anche con gli impulsi di sentire e volere - lo dico per amore
della completezza -, e quando, dall'altro, conosciamo matematicamente. Possiamo
facilmente vedere che ciò che agisce come primissima cosa nell'anima umana,
detto in modo puramente esteriore, è una sorta di scambio, di diretto rapporto
di scambio fra l'uomo e un qualsiasi mondo esteriore. Vi prego di comprendere
quanto vi dico secondo il suo reale contenuto. Non intendo presentare ipotesi, e
nemmeno parlare di una realtà che sta dietro ai fatti, voglio solo indicare
quello che si trova nel nostro normalissimo contenuto di coscienza quando siamo
di fronte al mondo esterno con questa modalità conoscitiva. Questa conoscenza
non avrebbe infatti senso, se non facessimo la premessa di essere in diretto
rapporto di scambio con un mondo esterno qualsiasi.
NELLA CONOSCENZA MATEMATICA, vorrei dire nella conoscenza matematica di primo
grado, ossia nel puro pensiero matematico, LE COSE SONO GIÀ DIVERSE. Ricordo
questa diversità per il caso in cui, SENZA SERVIRCI DI CONTENUTI, SENSORI,
VIVIAMO E DEDUCIAMO SOLO ALL'INTERNO DEL CAMPO GEOMETRICO O DI QUELLO
ALGEBRICO-ARITMETICO. E quanto di questo campo geometrico-aritmetico-algebrico
poniamo davanti alla nostra anima con evidenza interiore, sia esso elementare
come il teorema di Pitagora o più complesso come la teoria delle funzioni, è
sempre qualcosa che vive completamente nell'attività costruttiva dell'anima - se
posso esprimermi così - ed è sperimentato nell'essere continuamente attivi e
nell'osservare la propria attività. Questo pensiero matematico di primo grado -
sempre se posso chiamarlo così - che decorre tutto nell'interiorità dell'anima,
lo applichiamo al mondo esterno nelle scienze naturali - o anche in altri campi
dell'esistenza -, ed è proprio lavorando che TROVIAMO CHE QUANTO AVEVAMO
DAPPRIMA SPERIMENTATO IN MODO PURAMENTE INTERIORE PUÒ ESSERE APPLICATO AL NOSTRO
MONDO ESTERIORE DEI SENSI. E PER IL FATTO STESSO CHE È APPLICABILE AL MONDO
ESTERIORE NE DERIVA CHE DEVE AVERE UN PURO CARATTERE DI IMMAGINE, un carattere
che può essere descritto dicendo: ciò che sperimentiamo matematicamente non ha
di per sé un contenuto quale lo ritroviamo fuori, nel nostro ambiente esterno.
Sotto questo aspetto ciò che è racchiuso nel pensiero matematico è privo di
contenuto, ossia è solo immagine. Fino a che punto l'elemento spaziale - che
nella matematica è solo immagine - inquadri una realtà, l'ho mostrato ieri a
proposito delle dimensioni. Ma ALL'INTERNO DELLA MATEMATICA CIÒ CHE NOI
SVILUPPIAMO NON È CHE PURA IMMAGINE. SE NON FOSSE IMMAGINE NON POTREMMO ESEGUIRE
QUEI PROCESSI CHE OSSERVIAMO QUANDO PER ESEMPIO PRATICHIAMO LE SCIENZE
MATEMATICHE, PERCHÉ ALLORA NELL'ATTO DELLA CONOSCENZA AVREMMO UNA REALTÀ E NON
SEMPLICEMENTE UN'IMMAGINE; E CHE NON SI AGGIUNGA REALTÀ ALL'ATTO CONOSCITIVO, LO
CONSTATIAMO APPUNTO QUANDO ESEGUIAMO TALE ATTO LAVORANDO REALMENTE.
Se dunque da un lato riconosciamo questo aspetto di immagine della matematica, e
dall'altro però ci rendiamo conto che queste immagini matematiche noi le
sperimentiamo, allora ci accorgiamo davvero - si tratta di un contenuto della
coscienza che può proprio essere da noi vissuto, sperimentato nella sua qualità
di immagine - come ci rimangano nascoste certe cose che pure dobbiamo presumere
esistenti in quel che i sensi ci presentano, rispetto a ciò che sperimentiamo
matematicamente. Con il pensiero matematico ci troviamo completamente
all'interno degli avvenimenti, possiamo dire di essere totalmente immersi in ciò
che avviene. E questo - in relazione al carattere di immagine della matematica -
ci permette di avere nella coscienza una chiara rappresentazione di ciò che
sperimentiamo nella matematica. La grandissima sicurezza che proviamo
nell'esercizio della matematica dipende dal fatto che sappiamo - quando la
esercitiamo - di trovarci in un campo che ci dà garanzie di conoscenza. E potrà
essere accaduto, a chi studia queste cose, di notare la differenza che vi è tra
l'occuparsi delle realtà sensibili esteriori e l'occuparsi di quel che si trova
nel campo della matematica pura. Prima di tutto, quando si esercita la
matematica, si ha la certezza di farlo sempre con piena, limpida, chiara
coscienza, e credo che non si esageri dicendo che si può misurare la chiarirà di
coscienza prendendo la matematica come il campo in cui più nettamente essa
appare. Non possiamo dubitare del fatto che ogni nostro singolo gesto - per
usare questa espressione come immagine -, OGNI GESTO CHE NOI COMPIAMO QUANDO
SEGUIAMO IL PENSIERO MATEMATICO, MENTRE È INTERIORMENTE VISIBILE È AL TEMPO
STESSO ACCOMPAGNATO DALLA NOSTRA ATTIVITÀ VOLONTARIA INTERIORE. In un certo
senso siamo perfettamente padroni di noi stessi.
Vedete, quello che avviene nella coscienza durante il pensare matematico è
proprio ciò a cui aspira chi vuole salire fino a quella che io chiamo
RAPPRESENTAZIONE IMMAGINATIVA. Quando seguiamo un pensiero matematico, come
contenuto dell'anima abbiamo l'elemento numerico (di cui parlerò ancora), quello
spaziale e altro ancora del genere. Abbiamo così nell'anima un determinato campo
di un ben determinato contenuto di immagini. IN UNA CONDIZIONE ANIMICA DEL TUTTO
SIMILE CI SI TROVA RISPETTO AD ALTRE IMMAGINI, A QUELLE CHE CI SI PRESENTANO
QUANDO SI SVILUPPA LA CONOSCENZA IMMAGINATIVA - e così arriviamo a quanto segue.
Se applichiamo la matematica alla natura esteriore - se abbiamo molto lavorato
in questa direzione - a tutta prima non possiamo applicare il procedimento
matematico che a un solo campo, cioè a quello che chiamiamo il mondo minerale. IL
MONDO MINERALE CI PRESENTA QUALCOSA CHE PUÒ ESSERE TRATTATO IN MODO
ESCLUSIVAMENTE MATEMATICO, MA NEL MOMENTO IN CUI DAL REGNO MINERALE PASSIAMO
ALL'ALTRO REGNO, AL REGNO VEGETALE, IL PROCEDIMENTO MATEMATICO AL QUALE SIAMO
ABITUATI NON CI SORREGGE PIÙ. Ora, chi vuole salire alla rappresentazione
immaginativa vuole introdurre nella propria anima qualcosa che viva in modo
identico alle forme matematiche, ma che le superi riguardo al contenuto, cioè
che non riguardi solo forme geometriche o relazioni numeriche. Vorrebbe ottenere
forme da poter applicare al regno vegetale così come egli applica forme
matematiche al mondo minerale. E quindi - per ora lasciamo da parte i vari
metodi per giungere alla conoscenza immaginativa - si deve tendere in primo
luogo a far sì che tutto ciò che porta alla conoscenza immaginativa avvenga in
una condizione animica che equivalga pienamente a quella della conoscenza
matematica. LA MIGLIOR PREPARAZIONE PER LA CONOSCENZA IMMAGINATIVA È DUNQUE
L'AVER MOLTO STUDIATO MATEMATICA, per quanto possibile, e questo non tanto per
ottenere singole conoscenze matematiche, quanto per sperimentare chiaramente ciò
che fa l'anima umana quando si muove tra le forme matematiche. Questa attività
pienamente cosciente dell'anima deve essere ora applicata a un altro campo, in
modo tale che, come facciamo nella matematica, dalle nostre forme interiori - se
posso usare l'espressione in senso esteso - ne costruiamo di ulteriori che ci
permettano di approfondirci nella vita vegetale, o di venirne a capo così come
possiamo venire a capo della natura minerale, della natura fisico-chimica e così
via mediante le forme matematiche.
Ho dovuto sottolineare tutto ciò in modo speciale perché, se si usa volgarmente
l'espressione "chiaroveggenza" per ciò che nella scienza dello spirito riguarda
la visione soprasensibile, si comprendono le cose in modo confuso. Spesso,
infatti, si confonde facilmente ciò che giustamente si può indicare come
chiaroveggenza - non importa la parola - con tutto ciò che si affaccia nella
costituzione umana quando le funzioni della coscienza sono attutite, tanto da
scendere al di sorto del suo normale livello, come nell'ipnosi o per influsso di
rappresentazioni suggestive. Naturalmente, CIÒ CHE NOI CHIAMIAMO VITA
IMMAGINATIVA NON HA ASSOLUTAMENTE NULLA IN COMUNE CON QUESTO ABBASSAMENTO DELLA
COSCIENZA, con questo ingresso nel subconscio; noi PARLIAMO INVECE
DELL'INNALZAMENTO DELLA COSCIENZA, del muoversi con essa proprio nella direzione
opposta a ciò che in senso volgare viene chiamato chiaroveggenza. In quel che si
chiama volgarmente chiaroveggenza abbiamo in effetti sempre a che fare con una
visione offuscata, ma sarebbe corretto poter dire, senza essere fraintesi, che
l'aspirazione alla conoscenza immaginativa è una reale aspirazione della
chiaroveggenza. Provate a confrontare ciò che chiamo visione offuscata con
quanto ho qui brevemente caratterizzato. Quando ci si fa incontro qualcosa in
una disposizione d'animo più o meno medianica, assistiamo all'ottundimento della
coscienza, sia nel caso in cui esso avvenga artificialmente, sia nel caso in cui
la persona usata come medium sia già di suo debole e facilmente influenzabile.
Abbiamo qui qualcosa che non si può in nessun modo paragonare a una costituzione
animica che procede in piena chiarirà, così come dobbiamo averla per lo studio
matematico. Come avrete potuto osservare, quanto oggi è spesso chiamato
chiaroveggenza non ha nulla a che fare con l'aspirazione a una disposizione
d'animo improntata alla chiarezza matematica, anzi al contrario denota piuttosto
la tendenza a sprofondare nelle tenebre della confusione. VI DESCRIVERÒ ORA LA
VISIONE IMMAGINATIVA, la quale si comporta esattamente nel modo opposto.
Questa visione immaginativa è qualcosa che può vivere nell'anima solo se viene
sviluppato. Del resto, nemmeno un bambino di cinque anni è ancora un matematico.
Anche l'immaginività matematica deve essere sviluppata, né ci si deve stupire
che ciò che dallo stato pre-matematico passa a quello stato animico in cui si
esperisce la matematica possa essere ulteriormente sviluppato, così che anche la
chiarezza dell'esperienza matematica possa ancora progredire. SI TRATTA DI
vedere se ha ragione chi dice: "D'accordo, però si devono STABILIRE RAPPORTI CON
LA NORMALE OSSERVAZIONE SENSORIA". In un certo senso costui ha assolutamente
ragione, e dobbiamo ora cercare DI RINTRACCIARE REALMENTE QUESTI RAPPORTI NELLE
LORO VARIE MANIFESTAZIONI.
A questo scopo osserviamo ancora una volta ciò che ieri ho chiamato
l'organizzazione nervoso-sensoria dell'uomo. Questa organizzazione
nervoso-sensoria si concentra principalmente nella testa, benché io vi abbia
anche detto che si diffonde in tutta l'organizzazione dell'uomo. Si può però
osservare l'organizzazione della testa anche in un altro modo. PARTIAMO DA
QUALCOSA CHE HA PRESENTATO A LUNGO DIFFICOLTÀ ALL'ATTUALE SCIENZA. Ho trattato
queste difficoltà nel mio libro "Gli enigmi della filosofia" (O. O. n. 18, Ed.
Tilopa, Roma), nel capitolo "Il mondo come illusione". IL PENSIERO MODERNO PROVA
UNA GRAN DIFFICOLTÀ A COLLEGARE LE IMPRESSIONI CHE IL MONDO ESTERNO PRODUCE
NELL'UOMO, ALL'ESPERIENZA DELLA RAPPRESENTAZIONE NELL'INTERIORITÀ, O ADDIRITTURA
AL CONTENUTO DEI SENTIMENTI. E questa difficoltà ha portato a dire che quanto
avviene all'esterno non può trasformarsi in contenuto della nostra coscienza, e
che ciò che diviene il contenuto della nostra coscienza è in fin dei conti
prodotto dall'anima come reazione all'impressione esterna, giacché l'impressione
esterna rimane al di qua del percepibile. Quindi, nel campo del percepibile è in
effetti contenuto solo ciò che risulta come reazione dell'anima al percepibile.
Anzi, PER UN CERTO TEMPO QUESTO CONCETTO È STATO GROSSOLANAMENTE INTERPRETATO
COSÌ: NEL MONDO ESTERNO ESISTONO VIBRAZIONI DI UN QUALCHE MEZZO, VIBRAZIONI
MOLTO RAPIDE, E QUESTE VIBRAZIONI CI IMPRESSIONANO TANTO CHE L'ANIMA REAGISCE;
COSÌ CI CREIAMO TUTTO IL MONDO COLORATO, TUTTO QUELLO CHE POTREMMO CHIAMARE
MONDO VISIVO. Ciò che abbiamo creato attorno a noi per la nostra coscienza,
tutto il mondo colorato, rappresenterebbe dunque soltanto la reazione della nostra
anima alle vibrazioni di un quid sconosciuto che riempie lo spazio esterno. E
MOLTI PENSANO ANCORA COSÌ. Ve lo cito solo come un esempio, e passo ora a
descrivervi un altro modo di
vedere questi fatti.
Se tornate ancora a quanto vi ho detto ieri, a considerare cioè l'intero atto
del vedere, avrete una base per studiare anche gli altri sensi. CHE
COSA TROVIAMO QUANDO STUDIAMO IL SIGNIFICATO DELLA PERCEZIONE ESTERIORE? PER
SPIEGARCELO, PENSIAMO ANZITUTTO ALLA VISTA. Ve ne parlo ora in modo descrittivo.
Quando consideriamo l'occhio non possiamo non riconoscere che - benché l'occhio
sia una parte vivente di tutto il nostro organismo vivente - nell'atto del
vedere esistono certi processi che possiamo seguire nello stesso modo di altri
processi che hanno luogo in quella che, in senso lato, chiamiamo realtà
minerale. Benché l'occhio sia vivo, possiamo concepire per esempio il modo in
cui la luce lo colpisce, che è qualcosa di analogo a quando la luce - passando
per una fessura - produce un'immagine su una parete. Ossia, fino a un alto grado
si può concepire all'interno dell'occhio ciò che ci sentiamo autorizzati a
concepire nel mondo minerale-meccanico. Per gli altri sensi non è proprio
identico, ma possiamo prendere l'occhio come rappresentante di una serie di
corrispondenze. Vedete, quello che avviene e che seguiamo con le nostre
considerazioni, avviene all'interno dell'occhio e quindi all'interno del nostro
organismo, e si tratta ora di sapere se possiamo in qualche modo giungere a ciò
che effettivamente si svolge all'interno del nostro organismo. SE CI SI FERMA A
UNA CONSIDERAZIONE PURAMENTE ESTERIORE SI DICE: "UN CERTO MONDO ESTERNO
INFLUENZA L'OCCHIO. ALL'INTERNO DELL'OCCHIO AVVIENE QUALCOSA CHE INFLUISCE SUL
NERVO OTTICO, E COSÌ VIA FINO AI NOSTRI ORGANI CENTRALI. E POI, IN UN MODO A NOI
SCONOSCIUTO, SI HA LA REAZIONE DELL'ANIMA, E NELL'ANIMA CREIAMO TUTTO IL MONDO
COLORATO COME REAZIONE A QUESTA IMPRESSIONE".
QUESTO È IN EFFETTI UN MODO DI CONSIDERARE LE COSE CHE PORTA VERSO UN
PRECIPIZIO, e già molti studiosi moderni ammettono che se studiamo prima ciò che
è esterno all'occhio, poi i processi nell'occhio, poi i processi nel cervello,
per quanto possibile, per quanto ci spingiamo avanti, non arriviamo che a
processi materiali e NON RIUSCIAMO A TROVARE IL PUNTO IN CUI L'ANIMA REAGISCE
ALLE IMPRESSIONI ESTERNE. Quindi con questo tipo di considerazione non si giunge
ad afferrare quel che del mondo esterno sperimentiamo.
QUANDO IL RICERCATORE SPIRITUALE SVILUPPA IN SÉ CIÒ CHE HO CHIAMATO CONOSCENZA
IMMAGINATIVA, L'INTERO PROBLEMA CAMBIA ASPETTO. Egli arriva non solo a vedere
nell'occhio ciò che è riproduzione del mondo esterno minerale fisico, ma arriva
davvero ad afferrare nell'occhio qualcosa che può appunto essere conosciuto da
chi ha sviluppato l'immaginazione. Da un lato dunque compenetriamo il mondo
esterno matematico-fisico col nostro immaginare matematico, e sentiamo che ciò
che abbiamo dapprima elaborato matematicamente nel campo della nostra coscienza
coincide coi fatti esterni. Ma CIÒ CHE AVVIENE NELL'OCCHIO, PER CHI È PADRONE
DELL'IMMAGINAZIONE, NON SOLO COINCIDE COL SUO PENSIERO MATEMATICO, MA ANCHE CON
LE IMMAGINI DELLA SUA RAPPRESENTAZIONE PRODOTTE SECONDO IL MODELLO DELLA
MATEMATICA. IN ALTRE PAROLE, STUDIANDO L'OCCHIO, CHI È GIUNTO ALL'IMMAGINAZIONE
POSSIEDE UN ULTERIORE CONTENUTO, E QUESTO LO METTE IN GRADO DI DIRE: "IO AFFERRO
UNA REALTÀ CON LA MIA IMMAGINAZIONE, COSÌ COME COL PENSIERO MATEMATICO AFFERRO
UNA REALTÀ DELLA NATURA ESTERNA FISICO-MATEMATICA" .
Quindi, intendiamoci bene: NELL'INDAGINE SPIRITUALE SI UTILIZZANO DAPPRIMA QUEI
METODI CHE DI SOLITO, CON L'AIUTO DELLA MATEMATICA, ADOTTIAMO ESTERNAMENTE PER
LO STUDIO NATURALISTICO DELL'OCCHIO. Vediamo PERÒ che quando si è giunti alla
rappresentazione immaginativa, riguardo all'occhio ci troviamo di fronte a una
realtà quale non abbiamo quando ci troviamo di fronte al mondo esterno
fisico-matematico. Per chi è giunto alla rappresentazione immaginativa, in
effetti la materia esteriore è, all'inizio, com'essa si presenta alla normale
coscienza. Teniamolo ben presente: PER QUANTO ABBIATE SVILUPPATO IN VOI LA
RAPPRESENTAZIONE IMMAGINATIVA, SE L'AVETE SVILUPPATA IN MODO GIUSTO E SE SAPETE
QUALE SIA LA GIUSTA IMPOSTAZIONE ANIMICA IN QUESTA RAPPRESENTAZIONE
IMMAGINATIVA, NON AMMETTERETE MAI DI VEDERE NEI PROCESSI FISICI O CHIMICI, O IN
QUANTO SI SVOLGE NEL CAMPO DELLA MECCANICA, QUALCOSA DI PIÙ DI QUANTO NON VEDA
CHI DISPONE DI BUON SENSO E DI SANA RAGIONE. E CHI SOSTIENE DI VEDERE NEL CAMPO
INORGANICO QUALCOSA DI DIVERSO DA CIÒ CHE VEDE UN NON CHIAROVEGGENTE SI TROVA SU
UNA VIA ERRATA, NON SULLA GIUSTA VIA DELLA CONOSCENZA SPIRITUALE. Potrà, sì,
vedere ogni sorta di fantasmi, ma non gli si riveleranno le entità spirituali
nel loro vero aspetto. PER CONTRO, QUANDO INIZIAMO AD OSSERVARE L'OCCHIO UMANO,
ABBIAMO NELL'IMMAGINAZIONE LE STESSE ESPERIENZE CHE SI HANNO DI SOLITO CON LA
MATEMATICA NEI CONFRONTI DELLA NATURA ESTERNA. In altre parole: se esaminiamo
l'occhio vivo dell'uomo, quando esso diventa nostro studio, quando lo assumiamo
nella nostra osservazione, allora - se prima abbiamo sviluppato l'immaginazione,
se cioè possiamo applicare all'occhio non solo la costruzione matematica, ma
anche la costruzione immaginativa - sappiamo di trovarci davanti a una piena
realtà.
Che cosa ne consegue? Ne consegue che nell'occhio posso costruire un processo
secondo il modello delle costruzioni matematiche all'interno del campo empirico
materiale. So che questo processo deve essere costruito nell'occhio così come si
costruisce qualcosa nella camera oscura o simili nel mondo esteriore
minerale-meccanico. So però anche che tutto questo campo nel quale io costruisco
contiene ancora qualcosa d'altro cui posso giungere solo con la conoscenza
immaginativa, se appunto voglio comportarmi come di solito faccio nei riguardi
della natura inorganica per mezzo della matematica. E che cosa significa questo?
C'È NEL NOSTRO OCCHIO QUALCOSA CHE NON SI TROVA NELLA NATURA INORGANICA, E CHE
PUÒ ESSERE RICONOSCIUTO COME REALTÀ SOLO SE SI È IN GRADO DI RIUNIRSI AD ESSO
COSÌ COME CI SI UNISCE MATEMATICAMENTE COI FATTI INORGANICI. E quando si è
compiuto questo atto, si dice di essere giunti al CORPO ETERICO dell'uomo. PER
MEZZO DELL'IMMAGINAZIONE ABBIAMO AFFERRATO LA NATURA ETERICA dell'uomo, così
come di solito con la matematica si afferra la natura inorganica.
Possiamo dunque indicare in modo ben definito come comportarci per trovare
l'eterico in un organo sensorio servendoci dell'immaginazione. NON SI TRATTA DI
ARRIVARE A RAPPRESENTARSI IL CORPO ETERICO UMANO IN MODO CONFUSO E FANTASTICO.
NO, SI ARRIVA ALLA RAPPRESENTAZIONE DI UN CORPO ETERICO UMANO PER IL FATTO CHE
PRIMA SI SVILUPPA L'IMMAGINAZIONE E POI, APPLICANDOLA A UN OGGETTO IDONEO, SI
MOSTRA CHE IL CONTENUTO DELLA RAPPRESENTAZIONE IMMAGINATIVA PUÒ FONDERSI COL SUO
OBIETTIVO, COSÌ COME DI SOLITO IL PENSIERO MATEMATICO SI FONDE CON L'OBIETTIVO
PROPRIO.
E quali sono le conseguenze per quanto riguarda la costruzione umana? NE
CONSEGUE CHE QUALCOSA CHE ESISTE E VIVE IN NOI - IL CORPO ETERICO - È PORTATO IN
UN CERTO SENSO IN PRIMO PIANO, COSÌ DA COMBACIARE CON LA NATURA ESTERIORE
INORGANICA. E quanto possiamo affermare per l'occhio vale anche, seppure in
forma diversa, per gli altri sensi. Riguardo a uno dei nostri sensi possiamo
dunque dire di avere come una specie di cavità nel nostro organismo (se posso
esprimermi così grossolanamente). L' ORGANISMO SAREBBE ALLORA, RISPETTO
ALL'OCCHIO, CIÒ CHE NEL CERVELLO E NEL VOLTO È ATTIGUO ALL'OCCHIO.
NELL'ORGANISMO SI TROVANO COME DELLE INSENATURE DEL MONDO ESTERNO: COME IL MARE
PENETRA CON LE INSENATURE NELLA TERRAFERMA, COSÌ IL MONDO ESTERNO PENETRA CON
SIMILI INSENATURE NEL NOSTRO ORGANISMO E IN QUESTE CONTINUA LA SUA ATTIVITÀ
INORGANICA. QUI POSSIAMO RICOSTRUIRE I PROCESSI INORGANICI. RICOSTRUIAMO
L'INORGANICO AL DI FUORI DELL'OCCHIO, MA ANCHE, E GIUSTAMENTE, AL SUO INTERNO.
NEL NOSTRO OCCHIO SI SCINDE DUNQUE QUALCOSA CHE POSSIAMO COSTRUIRE NELLO STESSO
MODO IN CUI SI COSTRUISCE CON LA MATEMATICA IN CAMPO INORGANICO. QUANTO ORA
AFFERRIAMO CON L'IMMAGINAZIONE COMBACIA IN REALTÀ CON L'OCCHIO FINO AL SUO
LIMITE ESTERNO, ANZI ANCORA OLTRE - in seguito ne parleremo.
Ciò che della vera natura esteriore fluisce dunque nell'occhio come in
UN'INSENATURA, SI UNISCE A una parte dell'organizzazione umana, UNA PARTE CHE
NON CONTIENE SANGUE E CARNE, MA CHE APPARTIENE ALL' ORGANIZZAZIONE UMANA E PUÒ
ESSERE VEDUTA, RICONOSCIUTA DALL'IMMAGINAZIONE. NELL'OCCHIO E NEGLI ALTRI SENSI,
LA NOSTRA ORGANIZZAZIONE ETERICA COMPENETRA QUANTO ENTRA IN NOI ATTRAVERSO
QUESTE INSENATURE DEL MONDO ESTERNO. Avviene proprio un incontro tra un
soprasensibile superiore - mi servo per ora di questo termine, mi spiegherò
meglio in seguito - tra quanto cioè possiamo chiamare organizzazione eterica e
quanto ci giunge da fuori dal mondo esterno. Ci uniamo a questo processo
nell'occhio, dove lo possiamo ricostruire geometricamente. Sperimentiamo
realmente in noi l'inorganico nel campo dei nostri sensi.
E questa è la cosa più significativa a cui ci conduce a tutta prima la
conoscenza immaginativa. Ci porta a risolvere un problema che è la croce della
fisiologia moderna e di quella che si ama chiamare teoria della conoscenza,
questo perché non si sa che, oltre a quanto si esamina fisiologicamente,
NELL'UOMO ESISTE anche UN ORGANISMO ETERICO CHE SI PUÒ RICONOSCERE SOLO PER
MEZZO DELLA CONOSCENZA IMMAGINATIVA, e che questo organismo si fa incontro a
quanto il mondo esterno fa realmente penetrare in noi compenetrandolo
completamente. In questo modo il problema cambia totalmente aspetto. Se l'uomo
fosse in grado di riprendere il proprio corpo eterico con una macchina
fotografica, vedrebbe che ciò che avviene in essa è collegato al proprio essere
in modo simile a come egli vede collegato al proprio essere ciò che avviene
nell'occhio.
Non sono problemi fantasiosi, quelli di cui si occupa con serio intendimento la
scienza dello spirito orientata antroposoficamente, ma sono proprio quei
problemi sui quali ci si può dissanguare (se posso usare l'espressione), se ci
si accontenta solo di quanto può offrirci la scienza moderna in questo campo.
Solo chi ha sperimentato realmente nella propria interiorità quello che si prova
quando ci si pone davanti all'anima il mondo esterno che diventa illusione
nell'atto del conoscere, solo chi ha sofferto per l'insicurezza che si presenta
appena si passa dalla conoscenza puramente fisica a quanto avviene nella
percezione sensoria, solo chi ha sperimentato questo problema della conoscenza
può sapere quali forze possenti lo attirino verso un perfezionamento della
capacità conoscitiva. E di questo perfezionamento parleremo nelle prossime
conferenze.
Vi ho parlato oggi del primo gradino di questa immaginazione, e solo per quel
che riguarda le sue analogie e le sue differenze rispetto al pensiero
matematico. Quanto però sperimentiamo in questo modo si imprime chiaramente in
quelle cose che ci si fanno incontro quali limiti della conoscenza secondo la
scienza attuale. Se ci avviciniamo coscienziosamente all'essere dell'uomo e
all'intero mondo - in quanto essi ci presentano enigmi - se abbiamo riconosciuto
la perplessità della logica usuale, della solita matematica di fronte a ciò che
avviene in noi quando vediamo, udiamo e così via, se vediamo l'incapacità della
nostra conoscenza abituale nei riguardi di quanto è sempre presente nella nostra
coscienza di veglia, allora sorge il profondo desiderio di ampliare e
approfondire tale conoscenza. In fondo nella nostra attuale cultura, nessuno ha
la pretesa di indagare in campi non suoi, e per questo ognuno accetta le
conclusioni che gli offrono gli studiosi specialisti. Lo stesso dovrebbe valere
per qualche tempo - ma in senso ristretto - nei confronti del ricercatore dello
spirito. Dobbiamo però sempre ripetere che il mondo ha diritto di chiedere
all'indagatore spirituale in quale modo egli abbia ottenuto i suoi risultati. E
questi può spiegare fin nei particolari come sia riuscito a giungere ai suoi
risultati. Se ripenso a come - da più di venti anni - io abbia cercato di
spiegarmi in linguaggio puramente antroposofico, devo pure poter dire: se non mi
è ancora riuscito di trovare vasta eco nel mondo con questa scienza dello
spirito orientata antroposoficamente, se ho dovuto sempre parlare a un pubblico
poco in grado di comprendere i particolari, poiché privo di preparazione
scientifica, se è stato difficile raggiungere persone con formazione
scientifica, questo in sostanza è dipeso, come ha dimostrato l'esperienza sino
ad oggi, da queste stesse persone con formazione scientifica. Queste sino ad
oggi non hanno voluto dare molto ascolto a quanto ha da dire il ricercatore
spirituale. Speriamo che il futuro sia diverso, giacché è indispensabile che si
giunga a risollevare la nostra cultura per mezzo di forze più profonde di quelle
che mostrano chiaramente i propri limiti, essendo in fondo le forze che l'hanno
condotta in un abisso. Ne parleremo ancora domani.