Percezione

 

 

 

La percezione, intesa come inganno, è l'ingannevole rappresentazione del credente che, smarritosi nelle fantastiche immagini della metafisica, è convinto che i concetti siano mere astrazioni, astratte appunto dai fenomeni, cioè da ciò che è immediatamente dato dai sensi.

 

Secondo Goethe e secondo Rudolf Steiner le cose però non stanno così.

 

"L’immediatamente dato è l’esperienza. Ma nel conoscere noi creiamo dell’immediatamente dato un’immagine che contiene assai più di quanto possano fornire i sensi che pure sono il tramite di ogni esperienza" ("La teoria goethiana della conoscenza" in R. Steiner, "Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe. Per una fondazione della scienza dello spirito", Milano 2008, cap. IX, p. 120; cap. VIII nell'edizione elettronica, p. 63) [Invierò gratuitamente l'edizione elettronica di detto libro a chiunque me ne farà richiesta - ndc].

 

I sensi sono dunque anch'essi il tramite di ogni esperienza.

 

Per Goethe e per Steiner un vero conoscere deve convenire "che la forma immediata del mondo sensibile dato non è ancora la sua forma essenziale, perché questa si rivela a noi solo nel processo conoscitivo. Il conoscere deve fornirci quello che l’esperienza dei sensi non ci da', ma che pure è reale" (ibid.).

 

L'esperienza dei sensi è dunque anch'essa reale.

 

Dunque non è per nulla un inganno.

 

L'inganno è casomai credere all'esperienza dei sensi che lascia le cose così come si presentano ad essi: per quanto possa essere sviluppata, l'esperienza dei sensi che "lascia le cose quali le presentano gli occhi e gli orecchi" (ibid.), "non è un vero conoscere" (ibid.). Quindi non si dovrebbe "voler varcare il limite dello sperimentabile per smarrirsi in un’immagine fantastica, come fu caro ai metafisici dei tempi antichi e moderni; bisogna progredire dalla forma dello sperimentabile, quale ci si presenta nel dato sensibile, a una forma che appaghi la nostra ragione" (ibid.).

 

L'esperienza dell'immediatamente dato, in quanto parte della realtà (l'altra parte è la sua concettualizzazione) cos'è allora? Non è altro che l'"aggregato sconnesso di oggetti di sensazione" che nel suo libro "La filosofia della libertà", pubblicato nel 1894, Steiner chiamerà percezioni ("Il mondo come percezione" in R. Steiner, "La filosofia della libertà", Milano, 2007, pp. 46-47, cap. 4°, §10-14).

 

Infatti anni prima, al tempo dei suoi studi su Goethe, Steiner già scriveva: "A tutta prima il mondo ci appare come una molteplicità nello spazio e nel tempo. Spazialmente e temporalmente percepiamo singoli oggetti separati: qui un colore, lì una forma; ora questo suono poi quel rumore, ecc. Prendiamo ora un esempio dal mondo inorganico, sceverando accuratamente ciò che percepiamo coi sensi da quel che ci fornisce il processo conoscitivo. Vediamo una pietra, lanciata contro una lastra di vetro, perforarla e poi, dopo un certo tempo, cadere a terra. Chiediamo: che cosa ci è dato qui come esperienza immediata? Una serie di successive percezioni visive che scaturiscono dai luoghi successivamente attraversati dalla pietra, una serie di percezioni di suono nel frantumarsi della lastra, nello spezzarsi e volar via delle schegge di vetro, ecc. Se non ci si vuole ingannare, bisogna dire: all’esperienza immediata null’altro è dato all’infuori di questo incoerente aggregato di atti percettivi" ("Introduzioni...", op. cit.).

 

Dunque di questi atti percettivi immediati, in quanto aggregato sconnesso di senzazioni, noi sappiamo, sì, che sono qualcosa di reale ma non sappiamo ancora che cosa sono.

 

Dunque non possiamo nemmeno sapere che sono un inganno, perché il concettualizzarli come "inganno" presumerebbe già la mediazione del pensare e ciò non sarebbe più esperienza immediata ma mediata.

 

Ecco perché la percezione, intesa come inganno, è già un concetto e, in quanto tale, non è più una percezione. Lo stesso può essere detto della percezione del nostro pensare: la percezione che io ho del mio pensare, intesa come inganno, è casomai la percezione del pensato. Ma il mio pensato non è il pensare, dato che il mio pensare è qualcosa che sento come vivente, mentre il pensato è qualcosa che sento come non più vivente.

 

Insomma ci si può ingannare sia nel credere che la percezione sia una cosa così come essa si presenta ai sensi, sia nel credere che essa sia un inganno, mediante deduzione intellettuale dipendente dai sensi. In questo secondo caso, il dato dipenderebbe allora dal mondo dei sensi, ma il concetto di qualcosa non si forma così. Il concetto di una cosa è costruito dall'idea di questa in modo libero dai sensi: "I miei concetti non sono astratti dal mondo dei sensi, bensì costruiti liberamente dall’idea, e solo col loro aiuto io comincio a orientarmi nel mondo dei sensi" ("Introduzioni...", op. cit., cap. XVI, p. 220; cap. XV, p. 119 nell'edizione elettronica). 

 

L'arte del pensare è arte solo se il pensare è libero dai sensi.

 

Se nel pensare io non sono libero dai sensi, io sono costretto da essi. E se sono costretto dai sensi cosa succede? Succede che scambio le mie rappresentazioni, che sono concetti ancora individualizzati e quindi non ancora universali, cioè validi per tutti, per concetti universali. Ma non sono tali. Sono solo mie personali convinzioni assolutizzate: pensiero riflesso, pensiero dialettico che vorrebbe avere il crisma della scientificità, e che io magari impongo a destra e a manca, come una sorta di monismo anticipato, per esempio della percezione intesa come inganno o magari ignorando il rapporto fra l'elemento minerale o meccanico in quanto inorganici e l'elemento vitale in quanto organico: "Nella conoscenza di questo rapporto tra la scienza dell’inorganico e quella dell’organico sta l’importanza della ricerca goethiana. Si sbaglia perciò quando - come oggi spesso accade - la si spiega come un’anticipazione di quel monismo, che vuol fondare una concezione unitaria della natura abbracciante l’organico e l’inorganico, derivando il primo, dalle stesse leggi - categorie e leggi naturali fisico-meccaniche - da cui è condizionato il secondo" ("L'essenza e il significato degli scritti goethiani sulla formazione organica" in R. Steiner "Introduzioni...", op. cit., cap. IV, p. 74; cap. III, p. 38 nell'edizione elettronica).

 

Per avere un'idea di ciò che questa aberrazione comporti si legga la Seconda lezione del "Rendiconto" di Fichte, là dove Fichte "si serve dell'analogia dell'orologio meccanico per dare un'immagine della coscienza come intero rigorosamente organico descrivibile come un "sistema compiuto e chiuso in sé" (Rendiconto, 212)" (Johann Gottlieb Fichte, "Rendiconto chiaro come il sole al grande pubblico sull'essenza propria della filosofia più recente. Un tentativo di costringere i lettori a capire", Milano 2001, Introduzione, p. XVII).

 

In nome della libertà, Fichte voleva dunque costringere il lettore a capire un organismo sociale i cui soci si comportassero come rotelline di un orologio inteso come organismo. Ma il fatto che oggetti quali un orologio o un'automobile o un macchinario si muovano non ne fa degli organismi. Anche la trappola si muove intrappolando il topo con uno scatto automatico quando il topo rode il formaggio. Ma non è un organismo.

 

Ecco dunque perché la legittimazione del comunismo giuridico proibizionista di Fichte in nome della libertà dei soci dell'organismo sociale è una trappola: perché il suo pensiero astratto e meramente deduttivo prescinde dalla vita in quanto non è libero di accettarsi come pensare tanto concreto quanto incarnato.

 

Fichte è dunque il filosofo degli esaltati, cioè di coloro che continuamente sperimentano le loro "vertigini di pensiero" come se fossero alate teste d'angelo!

 

 

 

Quando invece il nostro pensare è libero, ci accorgiamo che la percezione non è un inganno e che la trasformazione dei soci dell'organismo sociale è un atto libero... NON un atto dell'organismo sociale sui soci.

 

Solo così la trasformazione può essere vera...

 

Non i sensi ingannano, diceva Goethe, ma è il nostro giudizio su di essi a formare l’illusione...