Per la cessazione del

"FACCIAMO FINTA CHE"

in fisica teorica

 

 

 

Se osservo un fenomeno, poniamo un albero, e me lo rappresento blu, l'oggetto di quello che emerge come rappresentazione dell'albero blu dov'è? Non c'è. È solo nel mio fingere che sia blu. Dunque è solo nel mio fantasticare che sia diverso da quello che è.

 

Questo modo di procedere, questa ideologia, detta "filosofia del come se", è di Hans Vaihinger (1852-1933) e riguarda una forma di pragmatismo tedesco circa le idee che l'uomo può farsi sui fenomeni (fenomeni che "emergono" ma bisognerebbe chiedersi: da dove?).

Chi si abitua a pensare così, non ha a che fare con rappresentazioni individuali o soggettive in grado di coincidere poi con concetti universali o oggettivi, cioè validi per tutti come conoscenza conseguita da un io capace di porsi all'interno di realtà immateriali ma concrete. Chi si abitua a pensare così, ha a che fare con rappresentazioni individuali o soggettive che sono FINZIONI che lo guidino, se necessario, ad orientarsi nel mondo.

Il dubbio metodico nell'esperimento scientifico è qualcosa di simile a questo modo di procedere. E guai se non ci fosse.

 

"Facciamo finta che" queste due o tre mele pesino un chilo. Per verificarlo, le peso. Dopo averle pesate, so quanto effettivamente pesano. Per cui non permango più nel "facciamo finta che": sapendo il loro peso non ne ho più bisogno. Se invece permango nel "come se" (o nel "facciamo finta che") anche quando non ne ho più bisogno, non sono più un pragmatico ma un falsificatore del linguaggio, dei concetti, cioè un trasformista, o un sognatore che, per esempio, fantastica che tre mele reali possano pesare anche una tonnellata. Certamente! Tutto è relativo!

L'"atomo", per esempio, è impercepibile. Intendiamoci: io prendo l'"atomo" ma questo vale per qualsiasi altra parola o cosa che "emerga" dai fenomeni, dato che si tratta sempre di rappresentazioni e che le rappresentazioni, così come i concetti e le idee, sono sempre simboli di ciò che evocano. Insomma, di fronte a ciò che è impercepibile, chi adotta l'ideologia del "facciamo finta che", si forma il pensiero dell'"atomo", ma non potendolo formare in modo che questo dia nozione di un fatto reale (come quell'albero), ma solo "come se" fosse reale (reale come quell'albero), crede che i fenomeni esteriori naturali sorgano tutti dall'interazione di atomi. E già qui, se si guarda bene, ci si può accorge di entrare nella fantascienza, dato che nel mio quotidiano non ho mai a che fare con atomi che poi chiamo persone ma con persone (che poi saranno anche atomi, però la prima cosa che conta è che quando io ti vedo ti saluto; mica dico: "Quello è un atomo...").

Se dunque ci si rappresenta che esistano atomi nel caos dei fenomeni naturali percepibili, si crede di fare ordine. In verità si fa ordine ma solo tra ipotesi non verificate (cioè tra pensieri o tra "come se" mai verificati). Così è per ogni idea dominante (debito pubblico, cultura universitaria, fiscalità reddituale, ecc.


Se si assolutizza il procedere secondo il "facciamo finta che", le idee che così si ricavano non sono mai assunte per riprodurre o presentare il reale, in quanto si crede che la realtà sia data solo attraverso oggetti di percezione (cioè attraverso oggetti percepibili). E nemmeno tali idee meramente escogitate riproducono la realtà. (1)

Tutta la realtà sembra allora sistemata "come se" ciò che è rappresentato in quelle escogitazioni fosse a base del reale. Cosa succede allora? Avviene che al punto centrale del ragionamento è consapevolmente posta l'IMPOTENZA del pensare. Dunque non la forza del pensare ma la sua debolezza. Da qui nasce il pensiero debole, con cui si può dire tutto e il contrario di tutto. E da qui proviene ogni trasformismo semantico, per cui oggi non vi è più alcun senso neanche nella stessa semantica.

Ecco perché avviene che la potenza dei fatti esterni prema talmente sull'io del portatore assoluto del "come se" che lui non osa penetrare col "mero pensiero" nelle regioni da cui la realtà interiore sgorga come dalla sua causa prima. Guai! Il pensiero diventa così il "mero pensiero", cioè di poca importanza, in quanto nell'ideologia del "come se" il pensare e l'io sono considerati sovrastrutture della materia e quindi non scientifici.

Poiché però per inoltrarsi fino a quelle regioni occorre avere l'io come strumento intuitivo interiore (perché solo così può esservi la speranza di indagare, di cercare, di sondare sia l'entità umana che le cose del mondo), per chi adotta l'ideologia o la filosofia del "facciamo finta che" è fuori discussione, a priori, la possibilità di approccio ai superiori enigmi del mondo. Tanto, la verità non esiste - dice il sostenitore del "facciamo fina che" - quindi ognuno può dire quello che vuole nella misura in cui lo dica "scientificamente" e/o "pragmaticamente".

Ma questa forma di pragmatismo è perciò inadatta al conoscere, dato che non si può procedere in alcun luogo nella conoscenza considerando inessenziali gli strumenti (il pensare intuitivo e l'io) che la permettono (ciò sarebbe come credere al nostro cervello più che a noi stessi; però quando indichiamo diciamo: "Io", non diciamo: "Il mio cervello").

Insomma, prima o poi il filosofo del "come se" o del "facciamo finta che" - e questo vale per qualsiasi scienziato della fisica teorica, dato che la fisica teorica è tutta impostata sull'assolutizzazione della FINZIONE secondo la quale l'esperimento mentale (Gedankenexperiment) "è un esperimento in punto di principio eseguibile anche se non realmente eseguibile" (A. Einstein in "Physikalische Zeitschrift", Vol. 21: "Allgemeine Diskussion ueber Relativitaetstheorie bei Versammlung deutscher Naturforscher und Aerzte", Bad Nauheim, September 1920) - è posto di fronte a due possibilità:

- o si abbandona all'illusione che con l'espressione "il cervello pensa" si è detto realmente qualcosa di serio, mentre l'io resta per lui solo la manifestazione di superficie della materialità;

- oppure riconosce all'io realtà essenziale ed in sé autonoma, ma allora mediante la conoscenza scientifica egli si trova escluso dal campo della scienza naturale materialisticamente concepita, cioè la sua, così che quanto dice non ha valore.

Insomma io accetto che qualcuno mi dica qualcosa "da ciò che emerge..." da un fenomeno, solo se egli è coerente e conseguente nel dire da che cosa "ciò emerge". Se però il metodo di base è solo il "facciamo finta che", in cui le rappresentazioni dei fenomeni anziché elevarsi a concetti e idee sono astratte dal percepibile e si trasformano nel fantasticare che quell'albero sia blu, ciò che emerge non è altro che una delle possibili FINZIONI, assunta illegittimamente come interpretazione del fenomeno, dato che l'albero non è blu, cioè il concetto di albero non comporta alcun colore blu.

Lo stesso vale per i traduttori. Le traduzioni sono sempre tradimenti del testo originale in quanto la lingua tradotta è strutturalmente diversa dal testo originale. E ciò vale ancora di più per la lingua ebraica, il cui alfabeto è, per esempio, numerico, cioè ogni lettera è anche un numero, quindi diversamente strutturato rispetto ad ogni altra lingua. Qualsiasi altro alfabeto ha infatti sempre le lettere da un lato e i numeri dall'altro; nell'alfabeto ebraico invece le lettere stesse sono numeri.

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(1) Le idee, cioè la concettualizzazione del percepibile, più gli oggetti di percezione, sono il Reale.