Noi NON siamo il nostro corpo

 

 

 

Affermare che noi siamo il nostro corpo presume pensare che occorra partire dal corpo, quindi presume partire dal pensare per dire che bisogna partire dal corpo.

In altre parole si vuole partire dal percepire corporeo, in base al fatto che mediante il percepire o il sentire, l’uomo si fa rappresentazioni. Tale fatto però porta a non distinguere le rappresentazioni dai concetti, e quindi il soggettivismo del pensare con la sua universalità.

La rappresentazione non è un concetto, o meglio, è un concetto individualizzato. Invece l’esperienza del concetto è identica per tutti. Quindi il pensare mediante è diverso dal pensare mediante rappresentazioni. La mia rappresentazione del tavolo su cui è collocato il mio computer, ed il concetto di “tavolo” non sono la stessa cosa. Così è per il mondo delle idee (l’idea non è altro che un insieme di concetti).

Ciò può essere mostrato facilmente sia nella vita dell’uomo che in quella dell’umanità in generale. Tanto nella vita del singolo quanto nella storia dell’umanità, l’esperienza del concetto è evoluzione mai esaustiva: il bambino prima impara a pronunciare le parole e poi pian piano a comprendere come esse evochino concetti; allo stesso modo la storia del passaggio dal geocentrismo all’eliocentrismo mostra, per esempio, che le rappresentazioni che gli antichi si facevano della relazione della terra col sole dovevano essere sostituite con altre finora sconosciute, perché quelle non erano più in armonia con queste. Accorgendosi che la terra girava attorno al sole, l’uomo doveva ammettere che la terra non era il centro del mondo che precedentemente si era rappresentato. Il copernicanesimo fu dunque una nuova rappresentazione non più in armonia con quella precedente, tolemaica, che quindi doveva cambiare affinché l’uomo si potesse avvicinare di più all’idea del sistema solare. Anche oggi continuiamo a evolverci nella misura in cui mutiamo le nostre rappresentazioni avvicinandoci alla realtà (considerò la realtà proveniente non solo dalla cosa percepibile ma anche dal suo concetto, dato che senza questo essa sarebbe solo un aggregato sconnesso di oggetti di sensazione: colori, suoni, sensazioni di pressione, di calore, gustative, olfattive, e poi sentimenti di piacere e di dispiacere. Questo aggregato è il contenuto dell’osservazione pura, senza pensiero.

Dunque solo ragionando concettualmente l’uomo può intendersi con un altro uomo. Intendersi sensorialmente per via di sentire corporale o di sentimento, emozione, impulsi emotivi o simili è animalesco. Se così fosse basterebbe fiutare un po’ di cocaina per metterci tutti d’accordo. Ma allora saremmo tutti come animali ed avremmo, come loro, un io di gruppo. Le cose però non stanno così. L’uomo non ha solo un io di gruppo. Ha pure un io tutto per sé, capace di superare i condizionamenti della specie. Senza tale superamento, l’uomo resta un “pensabenista” (Orwell) o tutt’al più un paziente di una casa di cura psichiatrica. Ne è un esempio il protagonista di “Uno, nessuno e centomila” del grande Pirandello.

Il sentire è dunque uno strumento del pensare. Il sentire fa da veicolo al pensare: mediante il sentire, cioè mediante il percepire, l’uomo si fa delle rappresentazioni.

L’uomo retrogrado (o passatista), abituato ad andare NON verso il futuro ma verso il passato per volersi rapportare giustamente al mondo, di fronte al problema se sia più giusto partire dal sentire o dal pensare, dice: “Prima che ci sia il pensare, dev’esserci il sentire; quindi bisogna partire dal sentire e non dal pensare; non vi è pensare senza sentire”.

Ciò è però insensato. Perché sarebbe come dire: “Prima che vi fosse il computer c’erano i segnali di fumo, quindi dobbiamo comunicare coi segnali di fumo, non col computer”. Oppure: “Prima che vi fosse l’automobile c’era il cavallo per viaggiare, quindi dobbiamo andare a cavallo, non con l’auto; ed, anzi, poiché prima ancora vengono le gambe, sarebbe addirittura meglio andare a piedi, dato che non può esservi spostamento senza piedi”, e così via.

A costui va detto: “Per riuscire a spiegarmi quale rapporto vi sia fra pensare e sentire, devo incominciare col pensarci su. Quindi devo, per forza di cose, mettere prima il pensare”.

Solo se fossi il creatore del mondo dovrei per creare la creatura umana, inserirvi prima il sentire, perché non si può naturalmente far sorgere il pensare, prima di aver fatto sorgere il sentire. Ma io sono una creatura, non il creatore del mondo. E per la creatura umana si tratta NON di creare il mondo, ma di comprenderlo.

Dunque una creatura umana che non si senta un padre eterno dovrebbe innanzitutto cercare i punti di partenza non per la creazione ma per la COMPRENSIONE del mondo.

Solo il possessore di un ego smisurato che si creda un padre eterno dimenticando di essere creatura può predicare la preoccupazione circa la giustezza di PRINCIPI, e non anche degli oggetti che vuole comprendere. Certamente il creatore del mondo doveva senz’altro sapere come trovare un veicolo per il pensare. Ma la creatura umana che non si sente un megalomane o un padre eterno, dovrebbe innanzitutto cercare un punto sicuro su cui poggiare per comprendere ciò che esiste. E questo punto è il pensare.

A che serve partire dal sentire e sottoporlo all’analisi pensante, se prima non so nulla della possibilità di ottenere una spiegazione delle cose per mezzo di una tale analisi?

Prima di poter comprendere ogni altra cosa bisogna comprendere il pensare. Chi nega questo non si accorge che, come uomo, egli non è il primo anello della catena della creazione, ma l’ultimo. Quindi, in vista di una spiegazione del mondo per mezzo di concetti, non si può partire dagli elementi cronologicamente primi dell’esistenza; ma si deve partire da quello che ci è dato come il più prossimo ed intimo. Non possiamo trasportarci con un salto all’inizio del mondo per cominciare da lì la nostra considerazione, ma dobbiamo partire dal momento attuale e vedere di risalire dal più recente al più antico. Finché la geologia ha parlato di immaginarie rivoluzioni per spiegare lo stato presente della terra, non ha fatto che brancolare nel buio: solo quando ha cominciato a prender per punto di partenza lo studio dei fenomeni che avvengono ancora al giorno d’oggi sulla terra e da quelli è risalita a tirare conclusioni riguardo al passato, è entrata in un terreno solido.

Finché dunque si accetteranno tutti i possibili PRINCIPI - come atomo, moto, materia, volontà, inconscio, energia, bioenergia, ecc. - tutto resta campato in aria. Solo quando considereremo l’assolutamente ultimo come nostro primo, potremo arrivare a qualcosa. E l’assolutamente ultimo a cui è pervenuta l’evoluzione del mondo è il pensare.

A chi dunque afferma che noi siamo il nostro corpo io rispondo che non è vero. Noi siamo la possibilità del superamento del soggettivismo del pensare mediante la sua universalità, dato che il pensare concettuale di cui l’animale NON è dotato (in quanto è dotato del solo pensare rappresentativo) è l’unica vera caratteristica dell’essere umano
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