Multietnicità e multiculturalità
O G G I e I E R I
intendendo per "IERI" anche un giorno di due mila anni fa...
ARRETRATEZZA CULTURALE E CONCEZIONE MULTIRAZZIALE
Come mai
nel Vecchio Testamento si parla solo di "Cana" (cfr. Giosuè 16,8; 17, 9; 19, 28)
mentre nel Nuovo si parla di "Cana di Galilea"? Credo che il rispondere a tale
domanda dia risposta anche alla questione dell'aprirsi al nuovo esodo di
migranti per una pace mondiale reale. Chi dal pulpito ripete la parola "amore"
predicando - attraverso un catechismo che non esclude la legge del taglione
veterotestamentaria - l'apertura agli immigrati, mi ripugna ancora di più di chi
predica l'altra
idiozia discriminante fra CHI SCAPPA PER NON MORIRE DI FAME RISPETTO A
CHI SCAPPA PER NON MORIRE DI GUERRA. Dicendo solo "amore", "amore", si
arriva infatti ad amare solo documenti, e perfino documenti anticristiani, come
per esempio l'articolo 2267 del catechismo cattolico, valido fino a pochi mesi
fa e che non esprimeva di sicuro
amore o perdono.
La concezione del mondo del Cristo è multirazziale. Questo va detto,
testimoniato e insegnato, prima di tutto al clero!
Testimoniarlo è diventato però impossibile, soprattutto per chi segue il vangelo
come un ricettario dietetico o come un compendio di regole igieniche. Chi ha
fatto del Cristo una confessione, un'appartenenza giuridica o politica, o un
monopolio, è costretto a basarsi sulla carta per avere il "materiale" di fede.
Perciò continua a formare divisioni, partiti e "razze", senza accorgersi che di
questa robaccia ce n'è già anche troppa.
Secondo il "Direttorio
generale per la catechesi" della congregazione per il clero il significato
di catechesi si fonda su quattro idee fondamentali: la "parola di Dio", il
"Vangelo", il "Regno di Dio" e la "Tradizione", inserite nel contesto di
"evangelizzazione" proprio alle dinamiche precisate nell'"Esortazione Apostolica
Evangelii Nuntiandi", all'organizzazione e selezione di contenuti "cognitivi,
esperienziali, comportamentali", ed alla precisazione dei destinatari; in tale
contesto - esplicitando che la concezione di catechesi si ispira ai documenti
del magistero pontificio post-conciliare e soprattutto a: "Evangelii Nuntiandi",
"Catechesi Tradendae", e "Redemptoris Missio" - è definita la "pedagogia"
necessaria per il raggiungimento degli obiettivi stessi della catechesi; ne
risulta che secondo tale concetto di catechesi,
i destinatari della catechesi non
possono non condividerne in toto i 2865 articoli del catechismo, e quindi anche
quelli non escludenti "pena di morte" e "guerra giusta"
(oggi corretti formalmente per vergogna di facciata evocativa di una
chiesa guerrafondaia ed assassina)!
Tale "pedagogia" è l'esatto modo in cui ragionava Adolf Hitler. Infatti, trascrivendo
in definitiva la legge mendeliana sulla disibridazione, Hitler non faceva che
enucleare, nel suo "Mein Kampf" i presupposti teorici dell'intera prassi
dell'"igiene della razza" e dell'interdizione dei matrimoni misti.
Ed oggi,
a guardare il risultato generale dell'azione "pedagogico-correttiva" nelle varie
confessioni religiose si può, pertanto, prendere atto che in esse non si arriva
all'interdizione dei matrimoni misti, ma che si arriva certamente
all'interdizione della persona che non concorda col loro catechismo.
Ciò che per il nazismo era "razza di ebrei" da sterminare, è per il
confessionalismo "razza" di eretici da controllare, escludere o calunniare, ma
solo perché oggi non si possono più mettere al rogo gli eretici.
Nella chiesa romana l'interdizione oggi non consiste più nella pena capitale,
bensì nel divieto di celebrare, seppellire o di ricevere i sacramenti. E coloro
che la pensano in modo differente da Roma costituiscono per Roma ancora una
"razza" da escludere.
Ben diversa è la concezione del Cristo, in cui l'esclusione di un essere umano
da se stesso, così come l'interdizione dei matrimoni misti, è un'impossibilità
assoluta, il Cristo essendo l'involucro di ogni io umano.
Ecco perché Cristo incomincia a fare i suoi segni in Palestina, precisamente a
Cana, cioè proprio in un luogo unico e massimamente adatto per i matrimoni
misti.
La premessa che permette l'osservazione dell'atteggiamento multirazziale di Gesù
consiste nella considerazione geografica che esiste una sola Cana. E ciò può
essere facilmente accertato.
Ora, se si vuole davvero considerare i vangeli come documenti essenziali, ci si
accorge che in essi si insiste troppo nel dire una cosa geograficamente
inessenziale in merito al primo dei segni del Cristo. Mi riferisco alle famose
nozze di Cana:
"[...] ci fu una festa nuziale in Cana di Galilea" (Giovanni 2, 1),
"[...] Gesù fece questo primo dei suoi segni miracolosi in Cana di Galilea" (Giovanni 2, 11),
"[...] venne di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino" (Giovanni 4, 46), ecc.
La logica
vuole che non occorra davvero precisare la regione di una località, quando non
esistano altre località con quel nome. Dire Reggio Calabria ha senso in quanto
si distingue quel luogo, per esempio, da Reggio Emilia. Ma dire Cana di Galilea
che senso ha se esiste solo una località col nome "Cana"? Da qui la domanda:
perché mai l'evangelista, quando parla di questo primo segno di Gesù, dice con
insistenza che esso avviene a "Cana di Galilea"?
La risposta a questa domanda - fino a prova contraria - non può che essere la
necessità dell'evangelista di sottolineare quella regione, la Galilea, per far
rilevare che solo in Galilea poteva
verificarsi quel primo segno del Cristo, e che fuori dalla Galilea ciò sarebbe
stato impensabile.
In altre parole, all'evangelista preme sottolineare che il Cristo non avrebbe
potuto trovare in nessun'altra regione gli uomini necessari per quel suo primo
segno.
Quella prima azione di Cristo infatti non avrebbe mai potuto verificarsi
nell'ambito della comunità ebraica, dal momento che essere ebreo fu sempre una
condizione dell'essere strettamente legati alla consanguineità. E lo è ancora
oggi, dato che l'attuale legge sulla nazionalità dello Stato d'Israele riconosce
il diritto di cittadinanza a ogni individuo riconoscibile come ebreo dalla sua
discendenza, e più precisamente dal fatto di essere di madre ebrea.
Invece in Galilea, cioè nella regione dove erano mischiati diversissimi gruppi
di popoli e diversissime stirpi, non era così: in quella regione si trovavano
riuniti i più diversi popoli, convenuti in Galilea dalle parti più svariate del
mondo, proprio perché la parentela del sangue e soprattutto la fede nella
consanguineità che dominava in Giudea o nei circoli più ristretti del popolo
ebreo, lì non era più sentita.
I "galilei" erano insomma un miscuglio di vari popoli, abbastanza malvisto dai
giudei, tant'è vero che "galileo" significò poi "ibrido", ed anche oggi il
termine "beduino" e "palestinese" sono divenuti sinonimi di "arretratezza",
anche se bisognerà riconoscere prima o poi che in realtà è vero proprio il
contrario, e cioè che la popolazione palestinese è attualmente una regione con
un alto grado di coscienza politica e nazionale, dunque tutt'altro che
arretrata. Nel 1929 una commissione d'inchiesta britannica constatò: "L'opinione
che il fellah non s'interessa di politica non trova conferma nella nostra
esperienza in Palestina [...]. Qui nessuno può dubitare che i contadini e i
braccianti sono autenticamente interessati sia alla creazione di un loro Stato
sia allo sviluppo di istituzioni di autogoverno. Non meno di 14 quotidiani
vengono pubblicati in Palestina, e quasi in ogni villaggio vi è qualcuno
incaricato di leggerli a quattro contadini che non sanno leggere [...]. Essi
discutono tutti di politica e questa fa abitualmente parte dei sermoni del
venerdì nella moschea. Questi fellahin [...] sono con tutta probabilità più
politicizzati di molta gente europea"!
Dunque la gente che confluiva in Galilea era formata da individualità evolute,
in quanto capaci di superare i condizionamenti di razza, stirpe, popolo, chiesa,
religione, ecc., cioè i condizionamenti della specie umana, proprio come si
addice all'individualità. L'individualità umana non è un esemplare della specie
umana ma un essere che si libera dai legami della specie.
Alla fine del vangelo di Giovanni, nell'epilogo, è specificato ancora per
l'ultima volta l'"inessenziale" riferimento "Cana di Galilea" (Giovanni 21, 2)
per sottolineare in verità che fra i discepoli di Gesù era giunto in quel luogo
anche Natanaele, proprio per liberarsi anch'egli dalla rigorosa legge del
principio di consanguineità, che ancora oggi considera ebreo solo chi lo è
secondo il sangue.
Attualmente i primitivi che predicano l'anti-immigrazione sono lontani anni luce
dal considerare che l'aspetto multirazziale dell'immigrazione è evolutivo e
cristologico, già a partire dalle nozze di Cana. Nonostante tutta la tecnologia
del mondo, costoro sono rimasti ai primordi dell'evoluzione terrestre. Ai
primordi dell'evoluzione umana sulla terra, i matrimoni avvenivano
esclusivamente entro cerchie ristrettissime di famiglie consanguinee. In seguito
tali cerchie di consanguinei andarono sempre più allargandosi e ci si incominciò
a sposare tra persone di tribù differenti, ma non ancora tra un popolo e
l'altro. Il popolo dell'antico testamento si atteneva ancora al principio della
consanguineità, esattamente come questi arretrati culturali si attengono oggi al
principio della nazionalità. Costoro dovranno prima o poi rispondere alla
domanda che anche tutto il mondo cattolico dovrà farsi (o fare ad Israele) per
non continuare ad offrire traduzioni acefale della Bibbia: "Come mai nel Vecchio
Testamento si parla solo di "Cana" mentre solo nel Nuovo si parla di "Cana di
Galilea"?
A costoro bisognerebbe ricordare che perfino Natanaele, pur di liberarsi dai
legami della razza - e Gesù è il portatore per eccellenza di questo anelito,
affinché il bene non sia più compiuto per forza della legge, ma come intima
forza logica (forza del Logos) - aveva accettato l'antica iniziazione caldea,
consistente nei misteri persiani o di Mitra, strutturata astrologicamente
secondo il numero sette. Si contavano infatti in essa sette gradi di
iniziazione: chi anelava ai gradi superiori dell'esperienza spirituale, passava
prima per il grado espresso col simbolo del "corvo". Poi diveniva un "celato" (o
un "occulto", un "nascosto"). Al terzo grado diveniva "lottatore", nel quarto un
"leone"; nel quinto grado gli si attribuiva il nome della nazione o popolo a cui
apparteneva. Nel sesto grado diveniva un "eroe solare", nel settimo un "padre".
Per i primi quattro gradi, l'uomo era gradualmente introdotto sempre più in
profondità nell'esperienza spirituale; nel quinto grado raggiungeva la facoltà
di una coscienza allargata che lo abilitava a divenire un protettore spirituale
dell'intero popolo al quale apparteneva. Perciò gli si attribuiva il nome del
popolo corrispondente, e quando in quei misteri qualcuno era iniziato al quinto
grado, aveva una determinata partecipazione alla vita spirituale.
Tutto ciò può essere riscontrato da due fatti. Il primo è che il Cristo
riconosce questo anelito evolutivo in Natanaele, che definisce "israelita"
(Giovanni 1,47). Per esempio, l'arretrato culturale che oggi predica
l'anti-immigrazione attenendosi al principio della nazionalità italiana sarebbe
stato allora definito "italiano" però solo se costui fosse stato propenso a
passare evolutivamente dal quinto al sesto grado iniziatico per poi approdare al
settimo. Però se costui avesse una simile propensione evolutiva non sarebbe di
certo favorevole all'anti-immigrazione! Infatti, a differenza degli ebrei che,
inseriti nella comunità, sentivano se stessi come membri di un'anima di gruppo,
per Natanaele, iniziato del quinto grado, non era così: mentre l'uomo comune
sentiva se stesso nell'anima di gruppo, di partito o di popolo di appartenenza,
chi accoglieva l'iniziazione astrologica di Mitra doveva sapere accogliere
quest'anima di gruppo in se stesso, perché per costui non avrebbero dovuto
contare più ora i personalismi, bensì solo lo spirito generale del suo popolo.
Ecco perché l'iniziato di questo grado era denominato col nome del rispettivo
popolo. Il Cristo, naturalmente onnisciente, riconosce Natanaele, anche se
Natanaele, essendo iniziato solo al 5° grado, non è ancora in grado (Giovanni
1,46) di riconoscere il Cristo come spirito cosmico della Terra.
Il secondo fatto consiste nel fico. Il Cristo infatti prosegue: "Prima che
Filippo ti chiamasse, mentre stavi sotto il fico, io ti vidi". Anche questa è
una designazione simbolico-iniziatica, come quando del Budda si dice che stava
seduto sotto l'albero di Bodhi. Il fico è infatti un simbolo dell'iniziazione
egizio-caldaica, e Gesù voleva dire: "So bene che sei iniziato e lo vedo". Solo
a quel punto Natanaele comprende e riconosce: "Maestro, tu sei il Figlio di Dio
e il re d'Israele!" (la parola "re", in questo contesto, significa: "Sei più
grande di me, altrimenti non avresti potuto dirmi del fico"). Queste cose sono
importanti e non vanno dimenticate. L'attuale tendenza è invece quella di
metterle in ombra... Si vorrebbe dimenticarle, paradossalmente, in nome di un
"memoriale": il memoriale eucaristico...
Ecco perché il politico dell'anti-immigrazione, bloccato al nazionalismo, è un
paradosso vivente, esattamente come il sacerdote pro-immigrazione con in tasca
il catechismo dell'occhio per occhio…