LO SCIENZIATO CREDENTE
Lo
scienziato credente pensa lo spazio. Immagina lo spazio ma non lo tocca. Lo
spazio non si vede. Non si può afferrare. Non si può afferrare perché non è
materiale. Non è sensibile. È sovrasensibile. Dunque chi crede di averlo come
ente sensibile è un credente, anzi un credulone, proprio perché crede di
misurarlo quando egli si rapporta a una distanza o a un volume. Il credulone non
sa che la misura di una distanza o di un volume non è lo spazio ma una misura,
una relazione.
Ovviamente è una relazione necessaria allo scienziato pensante. Ma ovviamente
una misurazione non è lo spazio.
Allora cosa è? È una CONVENZIONE. L’anno luce del credulone è una convenzione
come il litro, il chilo, la dozzina, ecc., ed ogni altra unità di misura.
Ogni misurazione dello spazio è astratta da una realtà, che è ben lontana
dall’essere una sostanza fisica in grado di riempire una determinata forma. La
realtà dello spazio è immateriale, ideale. Ogni misurazione di questo ente
immateriale, che è lo spazio, è pertanto anch’essa immateriale e ideale.
Ogni misurazione, come ogni astrazione, è un ente ideale, quindi è
immateriale. Per esempio: il volume di un cubo è una relazione interna. Ma la
relazione interna non è una misurazione; e la realtà di tale relazione interna
non è il suo vuoto riempito da una determinata materia, bensì il suo rispondere
ad una percezione ideale, che lo scienziato credente non sa di avere come
oggetto di percezione ideale.
Egli non sa che la relazione tra la larghezza, la lunghezza e la profondità di
qualcosa - sia pure essa granitica o aeriforme - è SEMPRE un atto interiore, che
lo scienziato credente confonde con la percezione dell’oggetto. La forma di tale
oggetto è solo la forma che si può pensare. Per esempio: una croce può essere di
legno o di ferro, o di marmo, ecc., ma la sua realtà non consiste nel legno o
nel ferro o nel marmo che riempie la sua forma; consiste in ciò che sorge come
forma là, dove NON C’È PIÙ MATERIA. La forma delle cose sorge come immagine
incorporea, fatta cioè di incorporeo pensare. Se lo scienziato credente non se
ne accorge crede attraverso la sua scienza di andare coi suoi piedi perfino
sulla Luna, per poi accorgersi che sulla Luna c’è l’impronta dello scafandro,
non di un piede. Tale scafandro è anche quello dello scienziato credente, il cui
cervello è come cablato, e in quanto tale fa di tutto tranne che riflettere.
Ecco perché egli rifiuta, con la forma immateriale delle cose, anche il pensare
in quanto incorporeo. Di questo pensare lo scienziato odierno (credente) non
arriva a cogliere l’incorporeità, consistente nel NON CONOSCIUTO PENSARE VIVENTE
NEL PERCEPIRE. Ecco perché la forma delle cose NON sorge dalla loro materia ma
dal non percepirla più.
In verità lo scienziato credente non penetra MAI nello spazio, al quale, non
sapendolo, anela. Perché lo spazio che percepisce come trama sovrasensibile, è
il tempo. Ma non è il tempo misurabile.
Il tempo misurabile è tempo perso.
Il tempo perso è per esempio quello dei filosofi quando dicono che il tempo non
essendo è, e che essendo non è, o quello degli scienziati credenti, che credono
di misurarlo con anni luce della convenzione, considerandolo fideisticamente nel
suo puntuale divenire in riferimento a un dato momento che non c’è mai, o che
c’è ma solo come pensare non libero in quanto incatenato alla misurabilità.
La luce del sole è la luce cosmica prima dello spazio e del tempo, che si
estingue divenendo sensibile sulla terra, manifestandosi in processi spaziali e
temporali. Da qui il suo farsi calore rivestendo di colore le cose. “Prima che
Abramo fosse io sono” dice la logica solare (Gv 8,58).
La materia pesa, non si sorregge da sé. La materia è sempre sorretta. Ma da cosa
è sorretta? Può essere sorretta solo da ciò che non ha bisogno di essere a sua
volta sorretto. Dunque la materia può essere sorretta solo da qualcosa che non
ha peso. Si percepisca la terra su cui poggiamo i piedi. Da cosa è sorretto il
nostro pianeta Terra? C’è senza dubbio qualcosa che lo sorregge e che non è
pesabile.
Una cosa è vera non per il fatto che abbia un peso, dato che il suo pesare più
che il segno del suo essere, è il segno del suo non essere. Il peso è il segno
della morte. A ben vedere, tutto ciò che è misurabile pesa. Non esistono
vibrazioni energetiche fisicamente misurabili, che non siano riferibili a
qualcosa di corporeo, e quindi di pesante.
Occorre avere chiaro, ripeto, che se quanto sorregge un peso ha bisogno di
essere sorretto, significa che pesa anch’esso, e che quindi è costretto a sua
volta ad appoggiarsi ad altro, finché non si appoggi davvero a ciò che lo
sorregge; ma ciò che lo sorregge può farlo nella misura in cui non soggiaccia a
peso. Dunque, per poggiare davvero su qualcosa che la sorregga, cioè su un
elemento che non abbia bisogno di essere sorretto, la materia può poggiare solo
su ciò che non ha peso. In definitiva la materia può sorreggersi solo da quanto
non è materia.
Ecco perché spiegare il peso con la gravitazione è primitivo. È l’ingenuo dar
conto dei fenomeni mediante leggi che ne sono la trascrizione astratta. Anche la
facile obiezione che tutta la materia terrestre è tenuta dall’equilibrio
centripeto di un corpo a forma di sfera mosso da universali forze di attrazione
e di repulsione, conferma - a chi non giunga a intendere il senso dell’irrealtà
di una materia fondata su se stessa - la sua dipendenza da forze non materiali,
dominatrici di quella gravità secondo cui ogni corpo fisico pesa.
Lo scienziato credente che ritiene folli o eretiche o, appunto, miscredenti
queste osservazioni lo fa in quanto non riesce a comprenderle in sé, dato che
non si è mai soffermato a pensare all’unità di misura. Se lo avesse fatto almeno
una volta nella sua vita avrebbe rilevato la differenza fra l’unità di misura e
l’unità aritmetica. Per lui l’unità di misura “1” e l’unità aritmetica “1” sono
la stessa cosa.
Ma le cose non stanno così, perché NON TUTTO È CONVENZIONE.
SOLO PER LO STATALISMO - ma sarebbe meglio dire per ogni mafia, vale a dire per
ogni diritto di Stato (che è il contrario dello Stato di diritto) - TUTTO È
CONVENZIONE.
Là, dove TUTTO È CONVENZIONE, viviamo però
in una convenzione che anziché
convenire a tutti, cioè alla COSA
PUBBLICA (res publica) conviene solo a
pochi, ovvero a COSA NOSTRA, per la quale la moneta è indiscutibilmente
fattispecie giuridica senza alcuna dimostrazione dei “fatti” di tale “specie”...
Va creduta così, come l’anno luce, a un tanto al chilo… E la confusione qui
impera. Per esempio, nel momento presente (luglio 2016) tutti vorrebbero, spinti
dalla “BREXIT”, uscire dall’euro. In verità non avremmo mai dovuto entrarvi,
dato che entrandovi abbiamo assistito solo al dimezzamento del potere di
acquisto della moneta precedente e di quella successiva, che ora vorremmo
cambiare senza alcuna idea della causa di quel dimezzamento, che sempre si
ripropone allo scienziato credente o all’economista “ITEXIT”...
Lo scienziato credente è convinto che la matematica sia un’invenzione dell’uomo,
cioè convenzionale e quindi relativa. Anche qui un’enorme confusione impera.
Per fare chiarezza occorre la positività scientifica che altrimenti manca.
La positività scientifica dovrebbe essere
quella che sa distinguere fra due diversi ordini di cose: quello delle “unità di
misura” e quello delle “unità aritmetiche”. L’ordine delle “unità di misura” è
convenzionale; l’ordine delle “unità aritmetiche” NON è convenzionale: l’unità
di misura è infatti pattuita a priori, come per esempio la lunghezza del metro,
la capienza di un litro o il peso di un chilo, ecc., mentre l’unità aritmetica
NON è pattuita a priori dall’uomo e non ne ha bisogno.
L’ordine delle unità di misura dipende dall’ordine aritmetico. L’ordine
aritmetico NON dipende dall’ordine delle unità di misura. A ben vedere, l’ordine
aritmetico è propriamente una inosservata tautologia in quanto il concetto di
“aritmetica” porta già in sé quello di “ordine”, etimologicamente proveniente da
“arithmòs”, “numero” e propriamente “collegamento, disposizione, ordine” (O.
Pianigiani, “Vocabolario Etimologico”, Ed. Melita). Il battito del cuore non
abbisogna di alcuna convenzione, eppure lo possiamo sentire come ritmo in tutto
il tempo del nostro esistere, ed ritmo di ogni battito è scandito NON da
un’unità di misura pattuita a priori dall’uomo, ma da un’unità aritmetica
regolarmente percepibile a posteriori.
Pertanto, distinguendo tra “unità di misura” e “unità aritmetica” si può dire
per esempio che il metro “NON È CHE UNA CERTA LUNGHEZZA SCELTA PER DELLE RAGIONI
ESTRANEE ALL’ARITMETICA, E ALLA QUALE SI FA CORRISPONDERE IL NUMERO “1” AL FINE
DI POTER MISURARE TRAMITE ESSA TUTTE LE ALTRE LUNGHEZZE” (R. Guénon, “La
metafisica del numero. Principi del calcolo infinitesimale”, Ed. Arktos).
Invece il numero “1” (o unità aritmetica “1”) NON è l’unità di misura “1” e NON
va confusa con questa. Il metro, il litro, il chilo, i sistemi di calcolo
binario, decimale, duodecimale, sessagesimale, ecc., sono sistemi convenzionali
che si servono del principio NON convenzionale dell’unità aritmetica. Se anche
l’unità aritmetica fosse una convenzione inventata dall’uomo non esisterebbe
nemmeno il concetto di battito cardiaco, in quanto ognuno sarebbe in grado di
cambiarne in ogni istante la frequenza, generando NON ritmo, ma irregolari
sincopi cardiache foriere di morte.
Invece le realtà dell’ordine matematico possono solo essere SCOPERTE, non
inventate.
Certo è difficile far comprendere questa differenza a «MATEMATICI CHE SI
IMMAGINANO VOLENTIERI CHE TUTTA LA LORO SCIENZA NON È E NON DEVE ESSERE NIENTE
ALTRO CHE UNA “COSTRUZIONE DELLO SPIRITO UMANO”, COSA CHE, SE BISOGNASSE CREDERE
A LORO, LA RIDURREBBE CERTO A NON ESSERE IN VERITÀ CHE BEN POCA COSA!» (Guénon,
op. cit.).
La scienza della materia è in fondo la scienza dell’idea della materia. Ma il
credente nella materia non se ne accorge. Perciò lo scienziato credente è un
mistico, un creatore di dottrine.
Scrive Scaligero: “È sufficiente, nella dottrina di Marx, sostituire la parola
“materia” con “idea” e tutto va a posto: non occorre molto acume per accorgersi
che la materia, autonoma, vi è ravvisata come idea, mentre si attribuisce
all’idea soltanto l’autonomia della prassi, ossia l’autonomia movente dalla
materia: però vista come idea” (Massimo Scaligero, “Metafisica del
materialismo”, in “Il pensiero come antimateria”, Roma, 1978).
L’idea di realtà non è una teorizzazione della realtà, né una mera astrazione
concettuale di realtà, nella misura della sua controparte concretamente
percepibile non appena riusciamo a sperimentarne il mondo, datoci sia da
contenuti concreti di oggetti percepibili che dai relativi concetti e idee che
li esprimono.
Le teorie invece, in quanto formulate in base a mera logica formale, sono
assurdità. Sembrano non assurde. Sembrano tutte giuste. Poi, mettendole in
pratica, risultano però tutte sbagliate. Specialmente quelle monetarie e di
economia politica.
Questi errori sono causati da ciò che si è portati a credere studiando nelle
scuole dell’obbligo e nelle università che tutto il pensare umano sia astratto.
Ma è una bugia, un pregiudizio credere che il pensare sia astratto. Come
esistono concetti e pensieri astratti, così esistono concetti e PENSIERI
CONCRETI.
A questo punto occorre accorgersi dell’esistenza della concretezza immateriale,
che il pensare ci offre. E ciò vale soprattutto per IDEE CONCRETE come quelle
realmente scientifiche: eppur si muove… Una mela cade a terra… La Terra si
muove… Il Sole si muove… Quel lampadario si muove… Sono idee concrete: «[…] solo
grazie a un contenuto ben determinato e CONCRETO posso sapere perché la
chiocciola si trovi sopra un gradino di organizzazione più basso del leone» (R.
Steiner, “Scienza della libertà” in “La filosofia della libertà”, cap. 5°).
Il ragionamento di chi analizza indifferentemente tutto ed il contrario di
tutto, è visto da Steiner come qualcosa di spaventoso e addirittura di
“puzzolente”: «Ci sono poche cose, che mi siano state dette nel corso del tempo,
che io abbia capito meglio di questa paura e di questo timore. Avendone la
predisposizione, si può infatti ben comprendere lo spavento che deve provare
l’artista quando vede casi in cui la propria opera, o un’opera che egli ama, è
analizzata! Un’opera d’arte in balia dell’intelletto! Quali pensieri orrendi per
quel tanto di artista che c’è nella nostra anima! È come se ci circondasse un
che di simile al puzzo di cadavere, se avendo dinanzi il “Faust” di Goethe ne
leggessimo in calce le note analitiche di un erudito, pur anche se appartenesse
alla schiera degli esegeti filosofi, piuttosto che a quella degli esegeti
filologi!» (R. Steiner, “E l’edificio divenne uomo. Verso un nuovo stile
architettonico”, 1ª conf., Berlino 12/12/1911, Ed. Antroposofica, Milano 1999”).
Oggi siamo arrivati al punto in cui lo scienziato credulone in nome della teoria
della relatività di Einstein dubita perfino del risultato incontrovertibile
della sottrazione “due meno uno”. Se gli ribatti che, mangiando una mela di due
che ne avevi, non puoi che restare con una sola mela, ti dice che “due” ed “uno”
sono numeri e dunque convenzioni e che, pertanto, il risultato della sottrazione
dipende dalla convenzione adottata. Egli, non distinguendo fra ritmo e misura
(vedi il video FIREMIND - L'Animale-Tipo
e l'Uomo) crede davvero
che tutto sia relativo, anche l’aritmetica, che ha in sé il ritmo come il cuore
ha in sé il battito, se è vivo… Oppure avviene (ho sentito anche questa da una
professoressa di chimica) che - in base al dato della scienza che nega
l’esistenza dei colori - (non solo per quella professoressa ma) per la maggior
parte degli scienziati creduloni: “una rosa non può essere rossa”! Ed è davvero
così: costoro, vivendo in un mondo grigio, non vivono nella realtà. Non vedono.
Sono ciechi volontari. Perché non sanno sperimentare interiormente alcun
concetto né alcuna idea.
Ecco perché ogni vero scienziato dovrebbe innanzitutto PRATICARE l’esperimento
del concetto, che è cosa ben diversa dal CREDERE o meno nel contenuto del
concetto, che esula dallo spirito del tempo moderno. Oggi siamo nell’era dell’Acquario,
o dell’“io so”, non più in quella dei “Pesci” o dell’“io credo”... O siamo in
grado di sperimentare i concetti oppure no. O vediamo oppure non vediamo. Ma il
non vedere o il non sperimentare i concetti non dovrebbe essere volontario.
Perché la cecità volontaria è un peccato che non può essere perdonato (Mt 12,32).