La strada dei miracoli è una cagata pazzesca

 

 
LOGICA CURIALE di Nereovilla

 

 

Non esiste alcuna strada dei miracoli. Se esistesse, lo spirito che li compie non sarebbe lo spirito. Affinché vi sia lo spirito, occorre ogni giorno allo spirito ciò che lo giustifichi come tale, cioè se stesso. Quando questo venga meno, lo spirito può sussistere solo in quanto qualcosa che non è lo spirito ne prende il posto, tuttavia continuando a operare come fosse lo spirito. Anzi, allora appunto opera con la sicurezza propria a tutto ciò che si fonda sulla propria esteriore parvenza. Il discorso da fare per convincersene è molto semplice: se per manifestarsi lo spirito ha bisogno della materia significa che è uno spirito condizionato dalla materia. Ma uno spirito condizionato dalla materia è uno spirito spurio, dato che lo spirito non può che essere immateriale. Ecco perché la via o la strada dei miracoli secondo la quale lo spirito avrebbe bisogno di statue di gesso per piangere lacrime di sangue o di altre simili amenità, per esempio quella di organismi umani quasi putrescenti che lo spirito farebbe ritornare a vivere completamente sani, tutto ciò è sempre opera di uno spirito subordinato alla materia, che per manifestarsi ha bisogno di sedie a rotelle, stampelle, statue che piangono, e così via.

 

Tutto ciò è dunque opera di sostanze materiali, dato che la sostanza dello spirito è pura forma continuamente mutante (come il vento, se si vuole proprio fare un esempio materiale).  

 

Distinguendo fra materia e sostanza, dovrebbe apparire chiaro anche all’essere umano più credulone che non esistono “strade dei miracoli” da percorrere.

 

Sostanza significa letteralmente ciò che è “sotto-stante”. In tal mondo il contenuto concettuale di sostanza è inteso in senso concreto come tutto quanto sta sotto la forma, vale a dire: ciò che in modo sostanziale costituisce la forma stessa. La forma non può esistere senza un supporto e questo è appunto la sostanza.

 

Dai tempi antichi, forma e sostanza furono concetti non sempre intesi nel medesimo senso.

 

Non c’è alcun dubbio che entrambe, forma e sostanza, nascano nel processo vivente individuale della pianta, dell’animale e dell’uomo. Come la forma è individuale, così lo è anche la sostanza.

 

Non si deve cadere in errore pensando che in fondo tutto consiste di idrogeno, ossigeno ecc., e cioè di elementi chimici uguali. Ogni sostanzialità è invece esclusivamente tipica di un dato essere vivente, ad esempio la sostanzialità del mughetto presente solo nel mughetto, o la sostanzialità della gallina presente solo nella gallina.

 

Nell’uomo ciascun individuo ha la propria sostanza ben distinta da quella degli altri. E questa è la grande difficoltà nei trapianti di organi, dato che ciascun individuo umano ha la PROPRIA proteina.

 

Nel mondo organico, forma e sostanza sorgono sempre insieme, non sono separabili.

 

Nel mondo inorganico si possono invece separare: una moneta può essere coniata in argento, in oro o in cioccolato.

 

La constatazione che la forma e la sostanza negli esseri viventi sono inscindibili ha condotto nella chimica moderna alla divisione in chimica organica e chimica inorganica.

 

Si era dell’opinione che certe sostanze potessero essere generate solo da un essere vivente nel contesto di processi viventi. Nel 1827 Friedrich Wähler sintetizzò però per la prima volta una sostanza organica. Fu un evento che ebbe molte conseguenze. Oggi la chimica ha imparato a produrre sinteticamente la maggior pane delle sostanze presenti negli esseri viventi, ed anche a produrre sostanze nuove, estranee sia alla natura organica, sia a quella inorganica.

 

Osservando le forze formatrici e le attività vitali ci si può accorgere della differenza fra le forze generiche delle foglie, e quelle per esempio dei fluidi nella foglia di una rosa o di un giglio, o di un’ortica, o in una trota, o nell’uomo.

 

Alle forze formatrici generiche si devono pertanto aggiungere le forze formatrici delle varie specie. Solo allora sorge una conformazione esistente in natura. In questa conformazione esistono solo piante specifiche e animali specifici. Nel genere umano ogni uomo ha le qualità di una specie: ciascuno è una specie a sé.

 

D’altra parte, nemmeno nel mondo inorganico ci sono sostanze generiche ma sempre sostanze determinate, e questa è dunque la differenza tra sostanza e materia. Nell’inorganico la sostanza è sempre qualcosa che ha qualità e proprietà che sono specifiche e inconfondibili. Rame, arsenico, azoto, sono ciascuno delle specie a sé, come il mughetto o il ciclamino nell’ambito del vegetale. Le sostanze dell’inorganico sono i cosiddetti elementi chimici.

 

Cos’è la materia? È la designazione della sostanza senza alcuna qualità. La materia è sostanzialità in sé. Però anche la materia deve avere una qualità, altrimenti non potrebbe essere una componente del mondo sensibile. La qualità della materia è la spazialità. Materia è tutto ciò che colma lo spazio. Questa proprietà non ha maggiore significato del colore bianco nel mughetto o del peso di una gallina.

 

In nessun caso la materia è qualcosa di immutabile e di esistente in sé. Si può dire che la materia, come riempimento dello spazio è una proprietà di tutte le sostanze, ma solo una proprietà: nessun fondamento. Non c’è materia in sé come qualcosa in sé esistente.

 

La teoria della scienza moderna, secondo cui la materia sarebbe il fondamento del mondo sensibile si basa sulla pura concezione materialistica, conseguente a un difetto di pensiero e di un’osservazione che non sa cogliere tutti i fenomeni.

 

Allo stesso modo non c’è materia spirituale, né spirito materiale. Anche questi concetti sono spuri in quanto si basano su pura concezione materialistica. Ecco dunque perché si diceva che tutto quanto nasce dalla carne è carne, mentre tutto quanto nasce dallo spirito è spirito (Gv 3.6).

 

Il miracolo, secondo il quale lo spirito chiederebbe alla carne o alla materia di apparire, è una menzogna che contraddice questa antica conoscenza che differenzia lo spirituale dal materiale.

 

L’unico miracolo credibile è la vita stessa, come mondo delle forme sempre mutanti dell’io umano. L’unica via è, appunto, quella dell’io (Gv 14,6).

 

La transustanziazione di quanto si mangia e si beve non è altro che il risultato del processo spirituale dell’io quando la metamorfosi delle sostanze le assimila a noi, cioè alla nostra propria forma individuale.

 

L’uomo primitivo pretende, accanto alla testimonianza concettuale fornitagli dal pensare, anche quella dei sensi perché la sente più reale: “In questo bisogno dell’uomo primitivo sta la ragione del sorgere delle più elementari forme di una fede rivelata. Il Dio datoci per via del pensare, rimane per la coscienza ingenua soltanto un Dio pensato; questa coscienza primitiva richiede che la rivelazione le venga data con mezzi accessibili alla percezione dei sensi. Il Dio deve apparire corporeo; si da’ poco valore alla testimonianza del pensare, ma si chiede che la divinità si dimostri per mezzo della trasmutazione - constatabile dai sensi - dell’acqua in vino” (Rudolf Steiner, “La filosofia della libertà”, cap. 7°).

 

Ma la trasformazione dell’acqua in vino è possibile ad ogni io capace di spirito. L’uomo spiritoso in quanto beone è “fatto” dallo spirito del vino, non dallo spirito di se stesso. L’uomo minimamente evoluto comprende questo “miracolo”. L’uomo primitivo non può comprenderlo, perché è ancora legato alla percezione materiale, cioè alla credenza secondo la quale gli oggetti dell’esperienza esteriore sono l’unica realtà. Ha bisogno dell’ostia nella pancia per sentirsi spirituale. Ecco perché ha così bisogno di credere che una statua di gesso pianga lacrime di sangue, non accorgendosi che questa è la misura della propria materialistica alienazione essenziale.

 

Si parla della sindone, o delle lacrimazione di statue o di guarigioni di organi, ecc., per non parlare dell’io, della sua via, della sua verità e della sua vita, perché in fondo si crede nella mistica e nei misteri… della materia…

 

Nel terzo millennio, il problema dell’uomo è di superare ciò che si decreta come umano pur essendo subumano in quanto alienantesi nel veicolo fisico: la presenza delle forze più elevate dell’io oggi si manifesta in una forma inferiore, che si rischia di consacrare come normale.

 

Insomma, l’io non nasce dal corpo ma dall’io, cioè da se stesso, così come la farfalla dalla “crisalide”. “Crisalide” e Cristo” sono foneticamente imparentati: il “Cristo” era un termine tecnico che esprimeva questa nascita dall’io da se stesso pur trascendendo se stesso ad un piano più alto, simile a quello che in musica esprime la stessa nota ma ad un gradino più alto, detto “ottava”. Ecco perché anticamente il giorno di risurrezione era detto “l’ottavo giorno”.  Ed ecco anche perché la dimensione dell’io è la trascendenza: la trascendenza è la dimensione dello spirito.

 

Quando la trascendenza è sentita corporalmente, cioè coi sensi ordinari, è un non senso. Infatti il suo essere sentita corporalmente è una contraddizione ontologica. In quanto contraddizione ontologica è simile a quella falsa liberazione data dal coito materiale o da un godimento, la cui corporeità, nella sua saggezza di base, tende rapidamente a liberarsi, malgrado la brama che crede poter consistere in tale contraddizione. In realtà non ci si libera ma ci si lega sempre più alla percezione sensibile, a scapito di quella dell’io, sovrasensibile, cioè spirituale.

 

Se l’uomo non si rinnova rimane nell’antico, diventando anacronistico e perciò antisociale.

 

In verità, il trapasso dall’uomo antico al nuovo, pur obbedendo a una direzione metafisica, si è compiuto secondo impulsi mentali esprimenti una rivolta antimetafisica. In questa rivolta, l’autocoscienza si è necessariamente posta contro se stessa, o meglio, contro la propria base extra-cosciente, dato che la coscienza dell’io non può che essere consapevolezza di sé in quanto spirito, cioè immaterialità, e quindi della propria basilare trascendenza.

 

Grazie a residui morti dell'antica psiche, capaci di rivestire forma razionale, secondo un’appropriazione illecita della razionalità, l’uomo moderno si è creato nuove divinità, senza saperlo: divinità dialettiche, miti fisici, dogmi della materia, fino alla rappresentazione di un universo meccanico e di una società meccanicamente riducibile a sistema: ciò per l’incapacità di attingere alla radice, secondo libertà, il contenuto dell’esperienza sensibile, e di intenderne la strumentalità rispetto allo spirito.

 

Il cadavere psichico dell’antica forza magica, afferrando l’uomo dal profondo mediante nuove dipendenze, risorge in forme intellettuali fingenti progresso, etica, cultura. Tale cadavere trova il modo di esprimersi ancora: da una parte attraverso i miti della socialità astratta, tendenti a moderne risurrezioni dell’antica “anima di gruppo” di tipo collettivistico primitivo (da qui il senso del video “La trasformazione dell'io nel noi è un crimine”: https://youtu.be/gsRIpQIkZuk) e, dall’altra, rivestendo forme destituite delle antiche discipline magico-metafisiche correlate alla loro attuale interpretazione dialettica (vedi per esempio la solita manovra massmediatica di Rete 4 intitolata  “La strada dei miracoli”, il cui unico scopo è il super addormentamento delle coscienze, per ingraziarsi il vaticano, esperto in tale pratica sub-umana).

 

L’uomo può pertanto liberarsi e si libererà sempre più se imparerà a distinguere essenzialmente e ad individuare in sé i componenti del suo essere umano, vale a dire il pensare, il sentire, ed il volere. In tal senso, anticamente, era avvertito il potere del logos o della parola (Ebrei 4,12). Il punto iniziale di tale liberarsi è nel pensare. L’uomo comincia a essere libero nel pensare, ma non fa uso di quella libertà, perché per lui è più facile seguire il pensato altrui, o il pensiero mosso da impulsi preconsci piuttosto che movente se stesso. Su questa realtà procedono tutti gli orrori che deve karmikamente sopportare: il dominio dell’uomo sull'uomo, il suo diventare schiavo, il diritto di Stato (la mafia), il monetaggio iniquo, l’iniqua imposizione fiscale, la coercizione, la tortura, le guerre, ecc., con le correlate aberranti giustificazioni teologiche delle confessioni religiose (vedi, ad es., l’anticristiano articolo 2267 del catechismo cattolico).