La sete di pensiero della nostra epoca
Presentazione di Nereo Villa - Ancora oggi si usa dire a chi non ha ancora rimosso completamente il suo giudizio critico: “Ma tu sei un idealista!” come se l’idea fosse una malattia del genere umano, da curare con la “pratica”. E poi si è costretti a prendere atto che la massima pratica degli umani è il divenire subumani, donando le proprie idee a droghe, alcool, ed istituzioni affini, dai grandi stadi per le grandi gare sportive alle grandi corse nello spazio in cui i nuovi schiavi possano passare dall’essere gladiatori all’essere liberi… dal pensare, in cerca di altri mondi senza capire il proprio o la forza che in esso fa essere un filo d’erba… Ma nonostante la robotizzazione degli umani divenuti androidi, la sete di idee creative non si estinguerà mai…
Rudolf Steiner
“La sete di pensiero della nostra epoca”
(“I punti essenziali della questione sociale”,
Ed. Antroposofica, Milano 1980, cap. 20° de
“In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale”, p. 203)
Traduzione Schwarz-Bavastro a cura di Nereo Villa
Ogni capoverso (§) è qui numerato in base alla 4ª ed. italiana del 1980
1. “Pensieri con buone intenzioni non procurano pane”. Questo è il nocciolo della sapienza che spesso ci giunge oggi agli orecchi quando si parla di idee che stanno alla base della triarticolazione dell’organismo sociale. Di fronte alla gravità del tempo [allusione di Steiner alle rovine portate dalla prima guerra mondiale - ndc], si vorrebbe porre questo verbo di saggezza accanto a un altro che pure capita spesso di sentir enunciare oggi: “Quando una volta la gente tornerà a lavorare la questione sociale assumerà un altro aspetto”.
2. Chi non si sente risuonare in testa queste due frasi, non si accorge di ciò che è diventata voce quotidiana in molti ambienti. Anche se non sono direttamente pronunciate, esse trapelano tuttavia attraverso molti dei discorsi che si fanno pubblicamente.
3. Le obiezioni provenienti da simili fonti di saggezza sono così incomparabilmente evidenti che è difficile vincerle mediante le idee che il nostro tempo impone. Basta che uno dica: “Confuta queste mie obiezioni”, e il miglior pensatore dovrà confessare la propria impotenza. Ed è naturale: sono inconfutabili perché sono giuste.
4. Ma quel che importa nella vita è forse solo dire [il grassetto è mio - ndc] qualcosa di giusto in una data situazione? Tutto non dipende piuttosto dal riuscire a trovare idee atte a mettere in moto fatti stessi? Uno dei fenomeni più dannosi della nostra vita pubblica attuale è proprio quello di non voler unire al pensare il senso della realtà.
5. Questo difetto di senso della realtà è già tutto quanto crea con tanta violenza ostacoli contro chi vuol rimediare agli inconvenienti sociali del momento tramite idee feconde. E da molto tempo ci siamo abituati a pensare secondo questo difetto. Ed ora urge cambiare rotta, proprio in questo punto vitale.
6. Prima di tutto bisogna riconoscere come siamo scivolati in questo modo di pensare, ponendoci sott’occhio gli andamenti del pensiero che sono i preferiti nell’epoca moderna.
7. Uno di questi è in materia sociale quello attinto dalle abitudini di vita di popoli primitivi. Si cerca d’indagare come in “tempi primordiali” sia esistito un certo comunismo, o qualcosa di simile, deducendone talune conclusioni per quello che si dovrebbe fare oggi. Questo corso di pensiero è diventato molto usuale ora, negli scritti che trattano della questione sociale. Da lì è venuto estendendosi, e vive oggi in gran parte di ciò che pensano della “questione sociale” appunto le “masse”.
8. In verità questo andamento di pensiero si sarebbe potuto ottenere ancora più facilmente. Si sarebbe potuto paragonare la vita sociale degli uomini con le abitudini di animali selvaggi; si sarebbe constatato che i provvedimenti dettati dagli istinti li conducono ad appagare i loro bisogni, e al tempo stesso coincidono con l’appropriazione di ciò che la natura porta incontro ai loro bisogni.
Ma l’essenziale è che l’uomo sostituisca l’ordinamento istintivo mediante il pensiero cosciente e indirizzato alla meta. Deve costruire in base alla natura, come ogni altro essere che per vivere ha bisogno di mangiare. Nel problema del pane è nascosto un problema della base naturale. Ma questo esiste per ogni essere che abbia bisogno di nutrimento. Fin qui non si può ancora parlare di “pensiero sociale”. Questo comincia soltanto con le faccende per cui l’uomo assoggetta la base naturale per mezzo del suo pensiero. Col suo pensiero egli signoreggia le forze della natura, col pensiero si mette in un rapporto di lavoro con altri uomini, e immette nella vita sociale il “pane” , strappato alla natura col lavoro. Per la vita sociale il problema del pane è un problema di pensiero. Si tratta dunque soltanto di rispondere alla domanda: “Quali sono i pensieri fecondi che, tradotti in realtà, generano dal lavoro umano l’appagamento dei bisogni umani?”.
9. Si può dare ragione a tutti coloro che, dopo aver udito le spiegazioni recedenti, dicano: “Ma questa è davvero sapienza primitiva! Che bisogno c’è di pronunciare cose tanto ovvie?”. Oh, si farebbe ben volentieri a meno di pronunciarle, se le persone che le ritengono superflue non fossero le stesse che, a danno del sano pensare sociale, le annullano con la loro saggezza dicendo che i “pensieri non procurano pane”.
10. E così è dell’altra saggezza, per cui si vorrebbe sfuggire alla serietà della questione sociale, dichiarando che, prima di tutto, bisogna che la gente ricominci a lavorare. L’uomo lavora se in lui nasce il pensiero che lo stimola al lavoro. Se ha da lavorare nel complesso della vita sociale, egli sente la sua vita come qualcosa di degno d’un essere umano solo se in questa vita regnino pensieri che gli facciano apparire la sua collaborazione nella luce della dignità umana. Certo è che ambienti anche socialistici vorrebbero sostituire questo stimolo al lavoro con la costrizione al lavoro. Questo è appunto il loro modo di sottrarsi alla conoscenza della necessità di idee sociali feconde.
11. Il mondo è arrivato al punto in cui si trova per causa di coloro che, fuggendo le idee, ne rendono impossibile l’efficacia. Una salvezza è possibile soltanto se coloro che riescono ancora a sviluppare una sufficiente consapevolezza di questo stato di cose, formino tra loro un’unione potente. Non devono scoraggiarsi in questo momento così grave. Saranno ancora scherniti con gli epiteti di idealisti, utopisti, sognatori, ecc. Ma faranno il loro dovere se costruiranno, mentre gli schernitori distruggono, perché noi vedremo cadere ciò che con tanto orgoglio hanno conseguito coloro che, fuggendo le idee, hanno costruito o ancora costruiscono sulle sabbie mobili di un’ingannevole “realtà”. Il loro pensiero si esaurisce nell’illusione della loro “praticità” , mentre si creano un appagamento interiore a buon mercato con la derisione di ciò che è vera pratica della vita. Per tutti coloro che non temono di mutare la rotta dei loro pensieri, è sommamente importante il riconoscere chiaramente ciò che in tal senso si offre all’intelletto senza pregiudizi. La vita del nostro tempo ha sete di idee creative; per quanto la spensierata agitazione dei nemici del pensiero cerchi di eluderla, la sete non si estingue.