LA SCIENZA ACCADEMICA DELLA TRADIZIONE
TRADIMENTO DEI CHIERICI
Così come i neo-chierici traditori, o i sedicenti antroposofi, sono diventati oggi i principali negatori del "minimo vitale" auspicato scientificamente da Rudolf Steiner, allo stesso modo la tradizione della scienza accademica non è altro che il perdurare del "tradimento dei chierici" denunciato dal Benda nel 1927. Questo tradimento è paragonabile - nel metabolismo dell'essere umano - alla mancanza di cibo e ad una vera e propria morte per fame, dovuta a degenerazione dei suoi tessuti vitali. La degenerazione della cultura, crescente ed abitudinario imbastardimento dei costumi di tutte le istituzioni universitarie a partire dall'interno, è il vero tumore sociale - attualmente in fase putrefattiva - di tutto l'organismo, oggi in avanzata decomposizione dovuta a metastasi mai curata.
A partire dall'inizio degli anni '80 del
secolo passato ad oggi, vige infatti, nell'ambiente degli insegnanti-ricercatori
universitari, il logismo della "servitù volontaria", o del "volontariato",
supino al dio quattrino, in cui l'antica prerogativa del pensiero critico
universitario non esiste più. "Università" è diventata solo una parola
sull'intestazione delle lettere postali. Il termine giusto oggi dovrebbe essere
"self-service" di brandelli di conoscenza. Oggi i nuovi chierici che diventano
fisici, astrofisici, economisti, avvocati, magistrati, ecc., lo diventano
abbastanza facilmente, vale a dire studiando il mero "diritto-quiz"
universitario. Cioè si studiano le "leggi" del diritto, le "leggi" della
scienza, le "leggi" dell'economia, come se fossero scoperte mentre sono solo
invenzioni, dogmi, convenzioni assolute. È ovvio che poi i laureati non intuiscano alcunché di quanto hanno studiato
a memoria e introdotto come scienza accademica, cioè fideismo, nei loro cervelli.
Lo stesso concetto di civiltà (questo non è che un esempio) è antiquato e va superato. "Civiltà" proviene da "civis",
ed il civis (il "civis romanus") nasce con la nascita di Roma stessa, cioè con
l'anticristiano fratricidio di Remo ad opera di Romolo e dall'anticristiano
sequestro delle donne sabine (ratto delle sabine), che sono appunto le basi
anticristiane della fondazione di Roma. Quindi occorre un nuovo tipo di diritto
e di civiltà o diritto di epicheia, civiltà dell'epichéia (epichéia è
disobbedire alle leggi ritenute ingiuste) in cui, per esempio, non sia più lo
Stato a "distribuire" reddito ma la sfera economica liberata. E ciò andrebbe
realizzato secondo il significato vero del termine "economia"
(1).
Le leggi però sono giuste solo quando sono scoperte dell'uomo non quando sono
imposte dall'uomo dall'alto come dogmi, come se quell'alto non fosse
riconoscibile dall'umano.
Oggi il dogma è finito. La parola "dogma" proviene dal termine ebraico "dag",
che significa "pesce". Ecco perché ogni vero scienziato dovrebbe innanzitutto
PRATICARE l’esperimento di ogni concetto che usa - già a partire dal concetto
dell'"io" che usa per illustrare le sue esperienze scientifiche - , che è cosa
ben diversa dal CREDERE o meno nel contenuto di un concetto, dato che questo
credere esula dallo spirito del tempo moderno. Oggi siamo nell'era
dell'Acquario, o dell'"io so", non più in quella dei "Pesci" o dell'"io
credo"... Dunque, delle due l'una: o si è in grado di sperimentare i concetti
oppure no. O vediamo oppure non vediamo. Ma il non vedere o il non sperimentare
i concetti non dovrebbe essere volontario, dato che per esempio la cecità
volontaria in merito al concetto dell'"io" è un errore talmente grande che non
può essere perdonato (Mt 12,32).
A me pare che astrofisici come Halton Arp,
fisici come Roberto Monti e come coloro che li hanno sostenuti e che li
sostengono, come i matematici
Umberto Bartocci, Alberto Bolognesi, Marco Mamone Capria, Giuseppe di Saverio,
ecc., pur essendo malvisti dalla scienza accademica, siano nel giusto. Credo che
di loro se ne dovrà parlare per tutto il terzo millennio, e oltre, come di
precursori della libertà nella ricerca scientifica.
«La teoria, che spiega le osservazioni raccolte in questo libro - scrive Halton
Arp nei capitoli conclusivi del suo "Seeing Red. L'Universo non si espande" - ,
non potrà certo sottrarsi alla discussione permanente e al continuo viluppo. La
tentazione di collegare i fatti per raggiungere una conoscenza più profonda
delle cose è una spinta irresistibile per l'uomo, il cui spirito è mosso dalla
curiosità. Ma non dovrebbe mai essere dimenticato che siamo ben lontani da ogni
sorta di conoscenza definitiva. Quel che si porrebbe fare, ma che non è stato
fatto, è di utilizzare le osservazioni per smascherare un modello vecchio di
settantacinque anni, che attualmente rappresenta un dogma incontestabile (Nota
di Nereo Villa: si potrebbe dire che tale incontestabile dogma da smascherare è
rimasto tale da quasi un secolo, dato che l'edizione italiana del libro è del
2009). La missione di chi fa ricerca è di esplorare e di conoscere, non di
perpetuare miti e superstizioni.
Oggi i quotidiani, i giornali le riviste scientifiche e perfino le discussioni
sui finanziamenti alla scienza danno per scontato che noi conosciamo già tutti i
fatti di base: che viviamo in un universo in espansione, dove tutto è stato
creato in un istante a partire dal nulla, in cui i corpi materiali e le
strutture cosmiche cominciarono a condensarsi da un mezzo caldissimo circa 15
miliardi di anni fa. Le osservazioni non sono impiegare per mettere alla prova
questo modello, ma vengono fatti incredibili sforzi per adattare i nuovi
risultati, così da limare e perfezionare (marginalmente) le inviolabili
assunzioni del Big Bang. È imbarazzante e ormai anche un po' noioso leggere
costantemente sensazionali annunci di oggetti sempre più spostati verso il rosso
e quindi sempre più luminosi e sempre più distanti, buchi neri sempre più neri e
percentuali sempre più elevati di materia invisibile e di energia non rilevabile
(che ormai hanno superato il 90% del contenuto totale dell'universo e che
rendono pressoché superflue le osservazioni). Per coloro che hanno esaminato
l'intera evidenza sui redshift e hanno dedotto che non rappresentano affatto
delle velocità, diventa comunque importante capire come un'assunzione smentita
dai fatti possa avere avuto un tale successo.
Una marea di elaborazioni
Alcuni teorici diranno: "Che male c'è nel costruire un modello per vedere se
funziona". Ma i parametri liberi in questo campo sono infiniti e non ho mai
sentito fare una considerazione del tipo: "Non funziona e basta. Dobbiamo
tornare indietro e riconsiderare le assunzioni fondamentali".
Il problema pratico può essere compreso dando uno guardo a qualsiasi rivista
professionale. C'è una vera e propria proliferazione di articoli, che trattano
aspetti secondari dei modelli, in cui la scienza può anche essere corretta ma in
cui le assunzioni sono spesso sbagliate. Succede invece che in questo oceano di
carta tampata diventa quasi impossibile accorgersi quando compare una prova che
mina alle fondamenta questa pila di volumi sempre più alta.
Inoltre anche se questa prova cruciale fosse notata per un attimo da qualche
astronomo professionista, egli non avrebbe praticamente scelta tra seguire
questa evidenza discordante, compromettendo la propria reputazione, oppure
continuare ad elaborare la teoria corrente consolidando promozioni e sicurezza.
Penso che lo stato attuale delle riviste internazionali testimoni il fatto che
il punto di non ritorno sia già stato superato.
La tradizione accademica
Come è possibile che uno scienziato possa guardare una prova schiacciante, come
un quasar vicino ma con un alto redshift, e dire: "Bene questo è sconcertante ma
devo continuare con la mia ricerca sui quasar lontani"? Mi viene da dire che
questo modo di procedere (e si tratta di un "allenamento" piuttosto che di vero
"apprendimento") inizia alle scuole elementari e accelera man mano che gli studi
proseguono. Avevo circa 12 anni quando scoprii che in fondo ad un libro era
riportata una risposta sbagliata. Rimasi scioccato dalla reazione
dell'insegnante e del resto della scolaresca che non potevano credere che la
risposta nel libro fosse sbagliata. Nella scienza, fin dall'inizio degli studi,
l'autorità tende a sopprimere la capacità di critica e di giudizio indipendente.
Quando si va avanti nel campo della ricerca, la maggior parte degli studenti che
studiano per ottenere un dottorato di ricerca ricevono una borsa di studio
facendo da assistenti ad un professore. Poi un relatore suggerisce e approva la
tesi di ricerca. Alla fine si dà un esame, che si supera dando le risposte
corrette. Come se non bastassero tutti questi ostacoli ad impedire ad un giovane
di pensare in maniera indipendente e originale, alla fine arriva per lui la
prova più difficile: trovare un posto di lavoro nel settore dove ha perso la
maggior parte della propria vita e in un mercato in cui le opportunità di avere
un posto fisso diventano sempre di meno.
Inoltre, lungo questo percorso si impara presto che i professori più influenti
riservano i posti più ambiti a quegli studenti, che loro considerano essere i
migliori. Ma ciò che di solito i professori considerano "migliore" è proprio la
ricerca che essi stessi hanno intrapreso e dove sono conosciuti per i loro
contributi» (Halton Arp, "Seeing Red.
L'universo non si espande", Ed. Jaka Book, Milano 2009, pp. 321-324).
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(1) "Economia" non proviene etimologicamente - come si crede - dalla parola greca "nòmos" che significa "norma", "legge", bensì da "nomòs", che significa "pascolo". "Nòmos" riguarda il diritto, ma il diritto è il "nomòs" inserito oggi nella parola "eco-nomìa", che significa, ripeto, "pascolo"; e nemmeno riguarda l'economia reale, la cui logica è quella degli scambi che si fanno al mercato. L'errore etimologico di Rousseau, che riferendo l'economia ai termini "oikos" e "nòmos", la spiegò come governo della casa "saggio e legittimo" - Rousseau, "Grande Encyclopédie", 5° vol. - va quindi riparato. Il cambio d'accento da "nomòs" a "nòmos" fu ed è tradimento dei chierici universitari che furono, sono, e sempre saranno culo e camicia coi legislatori del malaffare, con tutti i politici compiacenti, e con tutta la cultura massmediatica. Ciò è letale per la cultura, per l'economia e per il diritto stesso, nella misura in cui si genera in questi tre settori "produzione" di leggi come se fossero "merce" da porre nel "mercato".