La base pedagogica della scuola Waldorf
Presentazione di Nereo Villa - Portare nel campo pedagogico ciò che risponde alla mentalità sociale contemporanea non è mai stato fatto in quanto ciò può attuarsi solo da una cultura libera da ministeri statali, e capace del coraggio di regole di… luce.
Rudolf Steiner
“La base pedagogica della scuola Waldorf”
(“I punti essenziali della questione sociale”,
Ed. Antroposofica, Milano 1980, cap. 14° de
“In margine alla triarticolazione dell’organismo sociale”, p. 177)
Traduzione Schwarz-Bavastro a cura di Nereo Villa
Ogni capoverso (§) è qui numerato in base alla 4ª ed. italiana del 1980
1. I propositi che intendiamo attuare con la Scuola Waldorf (dal nome di una fabbrica di sigarette e per desiderio del suo proprietario, nel settembre 1919 aveva iniziato a Stoccarda la prima scuola a pedagogia steineriana) si rifanno a concezioni ben definite sui compiti sociali del momento attuale [1920 - ndc] e del prossimo avvenire. Da queste concezioni deve scaturire lo spirito secondo il quale la Scuola Waldorf dovrà essere condotta. Questa scuola è annessa ad una azienda industriale [il grassetto è mio - ndc]. Il modo in cui l’industria moderna è venuta a situarsi nell’evoluzione della vita umana sociale, caratterizza la pratica del movimento sociale moderno. I genitori che affideranno i loro figli a questa scuola, non possono fare a meno di aspettarsi che siano istruiti, educati e resi idonei alla vita in senso corrispondente a detto movimento. Da ciò la necessità, nel fondare questa scuola, di prendere le mosse da princìpi pedagogici radicati nelle esigenze vitali dell’ora presente. L’educazione deve mirare a fare dei veri uomini e a istruirli per la vita in modo da corrispondere alle esigenze che ogni uomo può far sue, da qualsiasi classe sociale provenga. Ciò che la pratica della vita presente richiede dall’uomo, deve rispecchiarsi negli ordinamenti di questa scuola, e lo spirito che deve dominare nella sua vita va suscitato nei fanciulli dall’educazione e dall’insegnamento.
2. Grave danno sarebbe se, nelle concezioni pedagogiche fondamentali su cui la Scuola Waldorf deve essere eretta, dominasse uno spirito estraneo alla vita [oggi, terzo millennio, questo spirito estraneo vive - purtroppo - proprio nella sedicente scuola a pedagogia steineriana, burocraticamente “parificata”, per mero scopo di lucro, a quella dell’obbligo (obbligo… di Stato!!!). Di fatto, in Italia NON esistono ancora vere scuole a pedagogia steineriana. Esistono scuole a “pedagogia steineriana parificata”, e ciò è evidente anche nel grave danno o nella grande crisi in cui versa la cultura di Stato - ndc]. Tale spirito oggi facilmente si manifesta ovunque si cominci a sentire quanta parte nell’attuale sfacelo della civiltà abbia avuto l’espandersi del materialismo come concezione e come vita durante gli ultimi decenni. Mossi da questo sentimento si vorrebbe introdurre uno spirito idealistico nell’amministrazione della vita pubblica. E chi rivolge la sua attenzione all’educazione e all’istruzione, vorrà più che mai vedere attuato un tale orientamento in questo campo. Non bisogna disconoscere che in queste aspirazioni c’è molta buona volontà, ed è naturale che sia riconosciuta. Questa buona volontà, se sarà resa attiva nel modo giusto, potrà rendere preziosi servigi quando si tratti dì raccogliere energie umane per un’impresa sociale per la quale occorra creare nuove premesse. Tuttavia appunto in questo caso è necessario mostrare come la migliore volontà debba fallire quando voglia realizzare le sue aspirazioni senza pienamente tener conto di premesse basate sulle cognizioni dei fatti.
3. Resta così caratterizzata una delle esigenze di cui va tenuto conto nella fondazione di un istituto quale dev’essere la Scuola Waldorf. Nel suo spirito pedagogico e nel suo metodo, deve dominare l’idealismo; ma un idealismo che abbia il potere di destare nel giovane le forze e le facoltà che gli abbisogneranno nel corso della vita, per avere, riguardo alla collettività, adeguata energia di lavoro, e riguardo a se stesso un valido sostegno per la propria vita interiore.
4. La pedagogia e il metodo scolastico non potranno assolvere tale compito, se non si fonderanno sulla vera conoscenza del ragazzo nel suo divenire. Persone illuminate domandano oggi un’educazione e un’istruzione miranti non ad un sapere unilaterale, ma alla conquista di attitudini, non alla mera coltivazione di doti intellettuali, ma a dare capacità volitive. Non si può aver dubbi sulla giustezza di questo pensiero. Tuttavia è impossibile educare la volontà e il sano sentire che sta alla sua base, se non si sviluppa la comprensione atta a destare forti stimoli d’azione nel sentimento e nella volontà. Un errore oggi frequente in questo campo non consiste nell’impartire ai giovani troppa sapienza, ma piuttosto nell’impartire loro cognizioni carenti di forza dinamica per la vita. Si illude chi crede di poter formare la volontà senza coltivare la comprensione vivificatrice della medesima. È compito dell’odierna pedagogia veder chiaro su questo punto; tale visione chiara può solo risultare da una conoscenza viva dell’uomo completo.
5. Così come per ora è ideata, la Scuola Waldorf sarà una scuola popolare [sottolineo ancora che una scuola popolare a pedagogia steineriana o waldorfiana non si attuò mai in Italia, dato che i costi esosi della sedicente odierna scuola steineriana sono inaccessibili per il popolo - ndc], i cui scopi e programmi sono edificati sulla penetrazione, resa viva in ogni insegnante, della natura completa dell’uomo; per quanto le attuali condizioni lo consentono. Si intende che i ragazzi delle singole classi debbono essere portati al punto di poter corrispondere a quanto richiedono le idee d’oggi. Ma entro questi confini, gli scopi dell’insegnamento e i programmi del medesimo devono esser tali quali risultano dalla suddetta conoscenza dell’uomo e della vita.
6. Il fanciullo è affidato alla scuola elementare nell’età in cui avviene una profonda trasformazione nella costituzione della sua anima. Nel periodo che va dalla nascita fino al sesto o settimo anno, il bambino ha la tendenza ad abbandonarsi totalmente all’ambiente umano che lo circonda, e a conformare le sue forze in via di sviluppo secondo l’istinto di imitazione. Dopo quest’epoca l’anima si schiude a ricevere coscientemente ciò che agisce dall’educatore e dall’insegnante sul fanciullo in base a un’autorità naturale. Il fanciullo accetta tale autorità, perché sente oscuramente come nel suo educatore e maestro viva qualcosa che deve vivere anche in lui. Non si può essere educatori o maestri senza porsi con piena consapevolezza in rapporto col fanciullo, così da tener conto della trasformazione dell’istinto imitativo nella facoltà di assimilazione fondata sul sentimento di una naturale autorità. La concezione di una vita basata sulla sola scienza naturale propria all’umanità moderna, non considera con piena coscienza simili fatti dello sviluppo umano. Solo chi è sensibile alle manifestazioni più sottili dell’essere umano, potrà rivolgervi l’attenzione necessaria. Questa sensibilità deve dominare in tutta l’arte di educare e di istruire; deve formare i programmi e vivificare lo spirito che unisce educatori ed allievi. Ciò che l’educatore fa, non può dipendere che in minima parte da quello che suscitano in lui le norme generiche di una pedagogia astratta; in ogni istante della sua azione egli deve rinnovarsi e quasi rinascere dalla conoscenza viva del ragazzo in via di divenire. È facile obiettare che un’educazione e un insegnamento vitali sono impossibili in classi numerose. Entro certi limiti tale obiezione è certamente giustificata; ma chi la estende oltre certi limiti dimostra solo di parlare dal punto di vista di norme pedagogiche astratte, poiché un’educazione, un insegnamento vivo, poggiante su una reale conoscenza dell’uomo, si compenetra di forza tale da destare l’interesse del singolo alunno, e da rimuovere la necessità di vincolarne l’attenzione mediante un lavoro direttamente “individuale”. Si può impartire l’educazione e l’insegnamento in modo che l’allievo se lo appropri da sé in modo individuale. È però necessario che l’opera dell’insegnante sia sufficientemente compenetrata di vita. Chi sente che cosa sia la vera conoscenza dell’uomo, vede a tal segno nel ragazzo in via di divenire un problema vitale da risolvere, che nel tentarne la soluzione risveglia la partecipazione dei suoi allievi. E questa partecipazione giova molto di più di un’azione esercitata individualmente sull’alunno, la quale potrebbe facilmente pregiudicarne l’attività spontanea. Sempre entro certi limiti, si può sostenere che classi numerose, guidate da maestri pieni della vita suscitata da vera conoscenza dell’uomo, raggiungeranno risultati migliori rispetto a classi ridotte in cui, partendo da una pedagogia teorica, i maestri non siano in grado di sviluppare quella vita.
7. Una conoscenza profonda della natura umana osserva nella costituzione animica del bambino sul finire del nono anno un mutamento che, dal punto di vista dell’educazione, è pari in importanza a quello del sesto o settimo anno, sebbene si manifesti con minore evidenza. Il sentimento dell’io assume allora una forma che determina tra il fanciullo e la natura e in genere tutto l’ambiente, un rapporto tale da permettere che gli si parli ora maggiormente delle relazioni che le cose hanno tra loro, mentre prima di quel momento egli sviluppava interesse quasi esclusivamente per le relazioni che i fatti e le cose hanno con l’uomo. Questi processi dell’evoluzione umana devono essere osservati nel modo più accurato dall’educatore. Se infatti nel mondo delle rappresentazioni e dei sentimenti del fanciullo s’introduce ciò che in un dato periodo della vita armonizza appunto con l’indirizzo delle forze che in lui si svolgono, si rafforza l’essere umano intero, così che tale rafforzamento resta per lui una sorgente di energie per tutta la vita. Se invece in un periodo della vita si lavora contro la direttiva dell’evoluzione, s’indebolisce l’essere mano.
8. Nella conoscenza delle esigenze speciali di ciascun periodo della vita sta la base di un giusto programma d’insegnamento. Ma su questa conoscenza si fonda pure il modo con cui va trattata la materia d’insegnamento nei periodi successivi. Alla fine del nono anno sarà necessario aver portato il fanciullo fino a un certo grado rispetto a tutto ciò che è penetrato nella vita umana attraverso l’evoluzione della civiltà. Perciò a ragione si dedicheranno appunto i primi anni di scuola a insegnare a scrivere e a leggere; ma questo insegnamento dovrà essere disposto in modo da non ledere le forze che devono evolversi in questo periodo. Se si insegnano le cose in modo da occupare unilateralmente l’intelletto infantile e da promuovere solo un’astratta conquista di attitudini, la natura sensitiva e la volontà si atrofizzano. Se invece il fanciullo apprende in modo da partecipare tutt’intero all’attività che svolge, si sviluppa armonicamente in ogni sua parte. Nel disegno ed anche nelle pitture primitive, tutto l’essere del bambino partecipa con interesse a ciò che fa; perciò si dovrebbe far derivare la scrittura dal disegno. Si tenti di ricavare le forme delle lettere da forme in cui possa applicarsi l’infantile senso artistico; si faccia derivare la scrittura, che conduce a ciò che è sensato, intellettuale, da un’occupazione che essendo artistica interessa tutto l’uomo. E soltanto dalla scrittura si tragga poi la lettura che concentra fortemente l’attenzione nel solo campo intellettuale.
9. Se si comprenderà quanto sia necessario trarre ciò che è intellettuale dall’educazione artistica, si sarà più inclini a dare all’arte il posto che le spetta nel primo insegnamento elementare. Si darà in quei primi anni il posto dovuto alla musica e anche all’arte plastica, e si collegherà adeguatamente l’insegnamento artistico con gli esercizi fisici. La ginnastica e i giochi di movimento diventeranno espressioni di sentimenti suscitati dalla musica o dalla recitazione. Il movimento euritmico, vivo di significato, sostituirà quello che si fonda unicamente sull’anatomia e sulla fisiologia del corpo. Si vedrà allora quale potente forza formativa della volontà e del sentimento derivi da una conformazione artistica dell’insegnamento. Ma un’educazione e un’istruzione veramente feconde in questo senso potranno essere impartite solo da maestri i quali, grazie ad un’approfondita conoscenza umana, penetrino il nesso fra il proprio metodo e le forze evolutive che si manifestano in un dato periodo della vita. Non è vero insegnante ed educatore chi ha imparato la pedagogia come la scienza di trattare i fanciulli, ma colui nel quale la conoscenza dell’essere umano ha risvegliato il maestro.
10. Per la formazione interiore è importante che il bambino, prima d’aver compiuto i nove anni, sviluppi un rapporto col mondo esterno attraverso la fantasia; è una tendenza che l’uomo porta in sé. Se l’educatore non è un esaltato, non ci sarà pericolo che renda esaltato il fanciullo anche se gli presenterà il mondo delle piante e degli animali, dell’aria e delle stelle, mediante fiabe, favole ed altre narrazioni consimili, facendogliele vivere dentro l’anima.
11. L’insegnamento oggettivo è certo giustificato entro certi limiti; ma se, mossi da concezione materialistica, lo si estende a tutto si trascura il fatto che nell’entità umana esistono anche forze che non possono essere sviluppate mediante la sola visione oggettiva. Così l’apprendimento solo mnemonico di talune cose è connesso con le forze evolutive che vanno dal 6° o 7° anno fino al 14°. Su questa facoltà della natura umana deve fondarsi l’insegnamento dell’aritmetica. Esso può addirittura essere usato come mezzo per sviluppare le forze della memoria. Trascurando questo fatto si sarà forse indotti, appunto riguardo all’aritmetica, a preferire in modo antipedagogico l’elemento dell’osservazione oggettiva a quello formativo della memoria.
12. Nello stesso errore possiamo cadere se in ogni occasione ci assilla oltre misura l’ansia che il fanciullo debba capire tutto quello che gli comunichiamo. Quest’ansia nasce certo da buona volontà; ma è una buona volontà che non tiene conto di ciò che significa per l’uomo potere più tardi ridestare nella propria anima cose che nella prima età si è appropriato per puro esercizio di memoria, e scoprire che, grazie alla maturità acquistata, riesce ora a comprenderle da sé. Sarà però necessario che la grande vivezza del maestro eviti l’indifferenza che si può temere di generare nell’alunno con l’apprendimento a memoria. Se il maestro compenetra il suo insegnamento con tutto il suo essere, può liberamente insegnare anche cose che il fanciullo comprenderà interamente, con somma sua gioia, soltanto nel riviverle più tardi. Questo rivivere le cose del passato, comprendendole, rafforza il contenuto della vita. Se il maestro è capace d’insegnare in modo da provocare tale rinvigorimento, da’ al fanciullo un tesoro inestimabile per tutta la sua esistenza. Così eviterà anche che il suo “insegnamento oggettivo”, facendo eccessivamente appello alla comprensione del fanciullo, cada nella banalità. Ciò potrà forse favorire l’attività spontanea del fanciullo, ma trascorsa l’infanzia i suoi frutti diventano ingustabili; invece la forza vivificatrice che la viva fiamma del maestro suscita nel fanciullo, rispetto a cose che in certo modo superano ancora la sua “comprensione” presente, permane forza attiva per tutto il corso della vita.
13. Se dopo compiuto il nono anno si comincia a descrivere al fanciullo il mondo animale e vegetale in modo che dalle forme e dalle vicende extra-umane risultino comprensibili la forma umana e le manifestazioni della vita umana, si possono destare nell’allievo le forze che in questo periodo appunto anelano a sorgere dalle profondità dell’essere. Risponde al carattere che in quest’epoca della vita assume il sentimento dell’io, il considerare il regno animale e quello vegetale in modo che tutte le qualità e le funzioni che in essi sono ripartite nelle varie specie, si manifestino in armonica unità nell’essere umano come il sommo degli esseri viventi.
14. Intorno al 12° anno interviene un’altra tappa nell’evoluzione dell’essere umano. Questi è ora maturo per sviluppare in sé le facoltà grazie alle quali può essere condotto in modo proficuo verso la comprensione di ciò che dev’essere afferrato indipendentemente da ogni rapporto con l’uomo; e cioè verso la comprensione del regno minerale, dei fenomeni fisici, meteorologici, ecc.
15. Da simili esercizi, tratti unicamente dal carattere dell’attività umana, senza riguardo ai fini della vita pratica, altri se ne dovranno svolgere come una specie di istruzione al lavoro; ciò pure risulterà dalla conoscenza della natura delle diverse età. Quel che abbiamo accennato qui intorno a singole parti della materia d’insegnamento, si può estendere a tutto ciò che va impartito all’alunno fino al suo 15° anno,
16. Né si deve temere che l’allievo sia licenziato dalla scuola in una disposizione d’anima e di corpo estranea alla vita, se nell’insegnamento si sarà tenuto conto nel modo descritto dei principi educativi e didattici che risultano dall’evoluzione interiore dell’essere umano, poiché da questa evoluzione interiore è configurata la stessa vita umana, e l’uomo entrerà nella vita nel miglior modo se, tramite lo sviluppo delle proprie facoltà, verrà a trovarsi in armonia con quello che, movendo da facoltà umane consimili, gli uomini prima di lui incorporano nell’evoluzione della civiltà. Certamente per accordare tra loro lo viluppo dell’allievo e quello della civiltà esterna, occorrono insegnanti che non rinchiudano il loro interesse nella stretta pratica professionale, ma che sappiano pienamente partecipare alla vita in tutta la sua ampiezza. Tali insegnanti troveranno il modo di destare nei giovani non solo la comprensione per i contenuti spirituali della vita, ma anche la capacità di conformarla praticamente. Con tale indirizzo d’istruzione, il giovinetto di 14 o 15 anni sarà in grado di comprendere le cose essenziali che nei diversi campi dell’agricoltura, dell’industria, dei mezzi di comunicazione, ecc., servono alla vita complessiva dell’umanità. Le cognizioni e le capacità che egli si sarà appropriate lo renderanno adatto a orientarsi nella vita. Se la Scuola Waldorf vuole raggiungere la meta vagheggiata da chi l’ha fondata, dovrà erigersi su una base pedagogica quale è quella che abbiamo qui descritta. Potrà così dare un insegnamento e un’educazione che permetteranno al fisico dell’alunno di svilupparsi sanamente secondo le sue necessità, perché l’anima, di cui il corpo fisico è espressione, sarà stata sviluppata in conformità delle sue forze evolutive.
17. Prima che la Scuola Waldorf si aprisse si è cercato di lavorare con gli insegnanti in modo da poter mirare alla meta qui delineata per mezzo della scuola. Con siffatto indirizzo coloro che hanno partecipato alla fondazione di questa scuola ritengono di portare nel campo pedagogico qualcosa che risponde veramente alla mentalità sociale odierna. Essi sentono la responsabilità che è legata a simili tentativi, ma credono che, davanti alle esigenze sociali del momento, sia un dovere l’intraprenderli quando se ne presenti la possibilità.