FAVOLA DEL LUPO PINO

COME ESPERIENZA DEL CONCETTO

Per il superamento del vecchio monismo

Questo scritto è basato su appunti antroposofici di Nereo Villa del 1985

intitolati "L'errore fondamentale del kantismo"

 

- a cura di Nereo Villa -

ABSTRACT
L'io è la cosa in sé mediante la quale il dualismo e l'antico monismo sono superabili mediante MONISMO DEL PENSARE. Anche se mediante trasformismo concettuale diamo il nome "agnello" al lupo, il lupo resta sempre quello che è. Ed anche se per tutta la sua vita nutriamo il lupo con carne d'agnello resterà un lupo. Ciò che conta non è una nuova convenzione monetaria ma una CONVENZIONE che CONVENGA a tutti. Se una convenzione è forzosa va cambiata. Ma il problema è che il contribuente (a questo sistema politico) non si occupa di questo problema perché è stato abituato a delegare il politico a pensare per lui attraverso il voto. Ed il politico, sempre più incapace di pensare, si occupa delle tasche di chi lo delega a ciò. Dunque finché si voterà non ci saranno cambiamenti. I cambiamenti inizieranno quando il contribuente incomincerà ad accorgersi che la democrazia è un modo di pensare e non un dogma di pensiero. Occorre pertanto accorgersi dell'errore kantiano che conduce a tali dogmi, vale a dire al neogiacobinismo (per esempio pentastellato o savinizzato, ma ogni governo italiano da circa un secolo dimostra di essere tale in un modo o nell'altro) attraverso pregiudizi fideistici. Kant sacrificò (imitato poi da Einstein), sull'altare del dovere e della fede, l'intuire, vale a dire il fondamento del conoscere. Nella prefazione alla 1ª edizione della "Critica della ragion pura", scriveva: "La ragione è destinata ad essere tormentata da problemi inevitabili e insolubili posti dalla sua stessa natura". Nella prefazione alla 2ª: "[...] Dovetti dunque togliere la conoscenza per far posto alla fede". Ma il "togliere la conoscenza per far posto alla fede" non è da filosofi, né da scienziati. È mera ANTILOGICA, ed è la stessa antilogica su cui poggia tutta la scienza odierna. Kant affermava che per l'interiorità umana non vi era alcuna via che conducesse alla realtà, cioè alla "cosa in sé" e che per ciò stesso era necessaria la fede, il dovere, il "dover essere", ecc. Ciò però è una menzogna. La cosa in sé che ognuno può percepire e concepire in se stesso è l'io, dato che attraverso l'io si entra universalmente nella sua materia e nella sua forma in quanto se ne percepisce concretamente lo spirito vivente. Kant sacrifica dunque al "dovere" il contenuto dell'intuire e cioè dell'essere in nome di una realtà meramente creduta e mai realmente sperimentata.

 

C'era una volta un lupo materialista di nome Pino, che credendosi idealista e volendo essere bravo come un agnello, pensò di nutrirsi per un certo periodo della sua vita esclusivamente di agnelli.

 

Credeva infatti che un giorno, essendo oramai costituito totalmente della materia degli agnelli, sarebbe diventato agnello.

 

Eppure quel giorno non veniva mai.

 

E mai divenne un agnello...

 

Fine della favola.

 

Questa favoletta, giustamente intesa, serve a indicare la differenza tra materia e forma: è forse il lupo un lupo per via della materia? No, la sua entità è data dalla forma, e la "forma lupo" la troviamo non solo in quel lupo, ma in tutti i lupi. Ciò che da' l'essenziale alle cose è dunque la forma, non la materia.

 

Basta questa consapevolezza per accorgersi che oggi si parla di cose che non hanno forma e se ne parla come se avessero forma. Il fotone, per esempio, è un concetto senza contenuto, un'invenzione dell'uomo che dimostra solo la sua incapacità di pensare. Lo si può intuire. Si immagini per esempio di dare una forte martellata a un pezzo di vetro. Si producono delle schegge. Credere - come credono i fisici delle particelle - che il vetro prima di essere colpito sia costituito da quelle schegge è un'ingenuità. Perché se anche in quel vetro si scorgessero tramite raggi X configurazioni di sue venature che sembrano schegge non si potrebbe mai dire che quelle sono le schegge di quel vetro, dato che bisognerebbe ancora generarle colpendolo col martello. E comunque bisognerebbe dimostrare (ma finora non è mai stato fatto) che quelle venature siano veramente la forma delle future schegge. Oltretutto se col martello si distrugge un vetro, ciò che resta poi lì per terra sono schegge, che però per il fatto che sono schegge non sono più quel vetro. Invece per il fisico delle particelle, quelle schegge sono i "vetroni" del vetro. E dirà che il vetro è formato da "vetroni". Allora ognuno potrebbe scoprire nuove particelle, come ho cercato di dimostrare varie volte (cfr. "Scoperta nuova particella: il FIUMONE"). La fisica delle particelle è dunque solo un linguaggio quantistico, cioè settario, dato che il "quanto" non risponde nemmeno alla domanda: "Quanto di che cosa?" o "Quale quanto?".  È dunque il linguaggio della fisica dei ragazzini, quello dei "fotoni", dei "gravitoni", dei "bosoni", "pioni" e dei "vetroni" o dei "fiumoni!

 

La forma la ottieni solo in un modo: confrontando l'elemento universale del pensare con ciò che i tuoi sensi afferrano di particolare nel singolo oggetto di percezione.

 

Infatti la speciale (cioè relativa alla specie) "forma lupo" era presente prima del lupo, è presente in quel lupo, e sarà presente dopo quel lupo.

 

Tramite questa triplice articolazione dell'universale che vive nelle cose e che si esprime nella conoscenza umana, Aristotele, cercando di conoscere l'essenza della forma, si muoveva come segue nella sfera delle rappresentazioni, distinguendo:

1°. Universalia ante rem: l'essenziale della forma, prima di vivere nelle cose singole;

2°. Universalia in re: le forme essenziali dentro le cose stesse;

3°. Universalia post rem: le forme essenziali, che dopo il loro sorgere nel processo conoscitivo come esperienze dell'interiorità - grazie alla reciproca relazione fra quest'ultima e le cose - sono astratte dalle cose.

 

Queste ultime (Universalia post rem) sono soggettive.

 

Però se sei pienamente attivo nel pensare ("essere pienamente attivi" si dice in greco "en télei ékkein") succede qualcosa di straordinario: ti accorgi che esse rappresentano forme universali reali, anticamente dette "entelechie", cioè "Universalia in re", entrate a loro volta dentro le cose, in quanto esistenti già prima come "Universalia ante rem".

 

Prima della sua realizzazione nei singoli "oggetti di percezione", l'essenzialità universale presente è però pensabile solo come massima realtà immateriale, cioè sovrasensibile, spirituale.

 

Chi però - come il lupo Pino - riconosce come realtà solo ciò che è accessibile ai sensi considera ovviamente gli "Universalia ante rem" come un'elucubrazione astratta di pensiero.

 

Per un monismo di pensiero non astratto né vuoto di contenuti ma concreto e capace di sperimentare compiutamente un concetto, la cosa più importante è invece proprio l'entusiasmo di supporre (o quanto meno di non escludere a priori di poter supporre) l'"ante rem". Perché parlo di entusiasmo? Perché arriva conoscendo come stanno le cose. E questo è il mio auspicio.

 

L'entusiasmo salterà fuori dal fatto che, da questo punto in avanti, incomincerai ad accorgerti di avvicinarti sempre più al massimo potere che puoi raggiungere in te stesso come essere umano.

 

Il "monismo" della "Filosofia della libertà di Steiner", che ha ispirato questo scritto, è appunto questo: la capacità di risolvere in unità (monismo proviene dal greco mònos, che significa "uno solo") tramite il processo conoscitivo il problema del dualismo, già espresso da Goethe:

 

"Il mio sen due diverse anime serra
E quella vuolsi separar da questa;
La prima coi tenaci organi afferra
Il mondo, e stretta con ardor vi resta.
L'altra fugge le tenebre, e la vedi
Levarsi altera alle paterne sedi
"

Goethe, Faust, I

 

 

 

Al tempo presente questo dualismo è ancora irrisolto, specialmente dalla massa dei cosiddetti  credenti in Steiner per nulla liberati nel loro pensare (e quindi mistici).

 

Lo stesso dicasi dei cattolici, nati cattolici romani e mai divenuti cristiani, e/o degli scienziati materialisti anch'essi credenti nell'esistenza della materia come forma, senza accorgersi del fatto che la forma della materia di cui parlano non esiste se non come idea pregiudiziale: per esempio di fronte a un tavolo essi dicono che esso è materia lignea che il senso del tatto percepisce.

 

Ma dovrebbero correggere questo errore, che di solito fanno per l'abitudine di considerare un po' superficialmente le cose.

 

Col senso del tatto essi dicono di percepire, per es., la ruvidità di un muro, la morbidezza di una pelliccia, la levigatezza di un vetro, ecc., perché credono in tal modo di percepire la natura esterna.

 

In realtà non è così, dato che essi non percepiscono altro che la propria corporeità: certamente quando si tasta qualcosa, si stabilisce un chiarimento fra la nostra azione e l'ambiente esterno. Però in genere ci sfugge che col toccare un oggetto, percepiamo in realtà solo noi stessi, vale a dire la nostra corporeità: percepiamo, tramite l'oggetto, propriamente solo la modificazione che viene provocata in noi nelle estremità delle nostre dita, e null'altro.

 

Per accorgersene basta pensare in modo realisticamente materialistico al fatto che le estremità atomiche delle nostre dita sono protette da una barriera di elettroni circolanti intorno agli atomi, e che tale barriera impedisce di interferire con l'altra barriera elettronica che protegge gli atomi della cosa che stiamo percependo.

 

Il toccare riguarda dunque processi che si svolgono in realtà non all'esterno, ma sotto la nostra pelle, e che solo grazie a questo motivo possiamo percepire qualcosa tangibilmente.

 

Ciò che così percepiamo con l'organo del tatto, lo proiettiamo poi sul mondo esterno tramite la coscienza, e giudichiamo che ciò che stiamo toccando è, per es., un muro ruvido.

 

Col senso del tatto l'uomo percepisce, sì, qualcosa, ma in se stesso: sente qualcosa all'interno di sé.

 

L'esperienza del tatto non è altro, in fondo, che la reazione dell'interiorità umana ad un processo esterno.

 

Il mondo esterno è, sì, toccato, ma nulla del suo essere è percepito, anche se dopo l'esperimento del tastare, il giudizio umano può concludere: "è ruvido".

 

Ritorniamo ora al lupo Pino. L'esperienza, che nel concetto generico di "lupo" non prende solo atto di un'astratta immagine mentale dei diversi singoli lupi, ma vede la realtà immateriale "lupo", esistente nell'al di là ("ante rem") dei singoli esseri, conferisce anche il potere di vedere spiritualmente - cioè oltre il tempo ed oltre lo spazio (detto "spaccio" da Giordano Bruno) - anche la distinzione tra la bestia ("bestia trionfante" di Giordano Bruno nel suo libro, appunto, "Lo spaccio de la bestia trionfante") e l'uomo. La realizzazione della specie "lupo" non avviene infatti nel singolo lupo, ma nel complesso dei singoli lupi. Invece ciò che nell'animale si manifesta attraverso la specie - vale a dire nella somma degli individui di quella specie -, nell'uomo vive individualmente. È l'io. (Aristotele direbbe: la forma dell'animale rimane nel soprasensibile, quella umana si estrinseca nel sensibile)!

 

Tale esperienza consente perciò di parlare di "anima di gruppo" (di specie o di genere) in merito agli animali, mentre in merito agli esseri umani di "anime" individuali, cioè di individualità!

 

Ciò che dunque il concetto ha, come vera e propria sua forma, proviene dal soggetto.

 

Ciò che invece il concetto ha, come contenuto, proviene dall'oggetto.

 

Anticamente infatti si diceva che il concetto è fondato formaliter nel soggetto, ma che è fondato fundamentaliter nell'oggetto.

 

Questi risultati, più il potere di penetrare nella cosa in sé, che Kant negava, sono offerti dalla scienza dello spirito come superamento del monismo antico, onde il termine di "monismo del pensare" inteso come esperienza del concetto, anche attraverso i seguenti altri passaggi.

 

Immagina di avere un sigillo d'ottone, in cui sia inciso il nome "x".

 

Ovviamente, se imprimi il sigillo nella ceralacca e poi lo togli, nulla dell'ottone rimarrà nella ceralacca.

 

Ora, se la ceralacca potesse parlare in base alla conoscenza di Kant direbbe: "Io sono ceralacca. Nulla dell'ottone penetra in me. Dunque non posso fondarmi su alcun collegamento per conoscere la natura di quanto qui mi viene incontro...".

 

Dicendo questo, il kantiano ragionamento della ceralacca si dimenticherebbe però totalmente la cosa più importante, e cioè che la ceralacca ha su di sé il nome "x" come impronta in modo incontrovertibilmente oggettivo, e con un valore evocativo identico al nome "x", anche se in tale impronta nulla è penetrato dell'ottone.

 

Sono pertanto necessarie premesse di pensiero differenti dal vecchio monismo "idealistico", per comprendere come possa realizzarsi una "normalizzazione dei giudizi di valore, capace di modificare il comportamento, non solamente degli individui, ma dei popoli e dei governi" (1). E questo è un esatto anelito scientifico e spirituale (cioè immateriale). Sono necessarie tali premesse proprio perché se non si parte dalla visione critica delle premesse del vecchio monismo, si costruisce sulla sabbia.

 

Insomma, finché si pensa in modo materialistico non con cognizioni di causa ma per fede nella materia o nel materialismo, e si crede che per stabilire relazioni occorra che da un oggetto all'altro scorra materia, non si cessa di dire (anche teoricamente) le solite cose della ceralacca kantiana: "Io sono ceralacca, e quest'altra cosa è ottone in sé. Poiché dell'ottone in sé, nulla può penetrare in me, anche il nome "x" non può essere altro che un segno. La cosa in sé, che sta dentro il sigillo e che si è improntata, così che io la possa leggere, mi resta eternamente sconosciuta"! Questo è dunque il ragionamento dei materialisti, inteso da Rudolf Steiner, o di coloro che io chiamo "cervelli cablati", sia come materialisti assoluti alla Cabanis, sia come spiritualisti assoluti alla Fichte.

 

Ora, la scienza dello spirito a carattere antroposofico, a cosa aspira?

 

Aspira in fondo a completare l'opera di un italiano.

 

Si tratta di un grande precursore, che cablato non era: Giordano Bruno (2), che quattro secoli fa, finì sul rogo della "santa" inquisizione a Roma nel Campo dei fiori.

 

Infatti, il potere di Giordano Bruno, fondato - anche se in modo primitivo - sul medesimo monismo di pensiero che troverà poi massima espressione consapevole nella "Filosofia della libertà" di Steiner, spaventava e spaventa ancora la "chiesa".

 

".. In nessun modo un corpo può agire su un corpo, né la materia sulla materia, né parti della materia e del corpo possono agire su altre parti, ma ogni azione proviene dalla qualità, dalla forma ed in definitiva dall'anima... Chi dunque sarà consapevole di questa indissolubile continuità dell'anima e che essa anima è stretta da una sorta di necessità, avrà un principio non incerto sia per operare che per riflettere con maggiore verità attorno alla natura delle cose... L'anima infatti abbandona il suo corpo alla fine della vita, ma non può certo abbandonare il corpo universale, né essere abbandonata da questo; abbandonandone uno semplice e composto, si trasferisce in un altro composto e semplice..."

Giordano Bruno, "De Magia"

 

Ciò che da' l'essenziale alle cose, la forma, permette anche - attraverso l'esperienza dell'universale - di superare la dipendenza da scienze, confessioni religiose, partiti e mass media che offrono false certezze. "Se questa scienza, che grandi vantaggi porterà all'uomo, non servirà all'uomo per comprendere se stesso - aveva infatti predetto il Bruno -, finirà col rigirarsi contro l'uomo"!

 

Giordano Bruno, che - ripeto - fu bruciato vivo dalla chiesa romana nel 1600, è il precursore dell'etica naturale - che Steiner chiamerà poi "individualismo etico" nella sua filosofia - facendosi vero e proprio "terminator" dell'inganno del dualismo "io-mondo", potere crudele e perverso che ancora oggi domina il popolo, il quale, reso in tal modo ignorante circa la propria sovranità, è schiavizzato

 

Dobbiamo dunque piantarla di ragionare come la ceralacca kantiana!

 

Se si continuasse fino in fondo il paragone del kantiano ragionamento della ceralacca, incapace, in quanto costretto nella sfera delle rappresentazioni, a muoversi distinguendo, tramite la forma, gli universali, ne risulterebbe la seguente congettura di divieto di accesso alla realtà: l'uomo è tutto ceralacca (rappresentazione), la cosa in sé è tutta sigillo (ciò che sta fuori della rappresentazione). E poiché io, come ceralacca (soggetto della rappresentazione) posso arrivare soltanto al confine del sigillo (la cosa in sé), non posso che rimanere in me stesso, in cui non passa nulla della cosa in sé... non entro dunque nella realtà.

 

Sragionando così si entra solo nella demenza. Perché? Perché si scotomizza l'intuizione umana!

 

Nella realtà si può entrare solo intuitivamente.

 

Puoi meditare fin che vuoi col corpo e sul corpo, con qualsiasi meditazione (cattolica, buddista, ebraica, vipassana, ecc.). Però se rifiuti l'esperienza dell'intuizione, ogni meditazione è infruttuosa.

 

"Intus" "ire" è ricollocato infatti nel suo vero significato di movimento vivo (il movimento è sempre e solo un fatto di attività interiore) che invece Kant sacrificò come un sacerdote dell'"ignorabimus", cioè da vero e proprio demente, imitato poi nei vaneggiamenti di Albert Einstein contrari alla facoltà intuitiva (3).

 

".. In nessun modo un corpo può agire su un corpo, né la materia sulla materia, né parti della materia e del corpo possono agire su altre parti, ma ogni azione proviene dalla qualità, dalla forma ed in definitiva dall'anima... "

Giordano Bruno, "De Magia"

 

Per questo motivo l'anima si chiama anima: proprio perché si anima, si muove, risiedendo nel polmone, nella respirazione.

 

Le visioni dell'assoluto sensibile (materialismo assoluto) e dell'assoluto inganno della percezione materiale (spiritualismo assoluto) incominciano pian piano oggi ad essere superate, e dopo cinque secoli di buio (considero oscurantismo non solo il materialismo e lo spiritualismo assoluti ma anche la "scienza" del pensiero postmoderno, come ad es. la fisica teorica, l'einsteinismo, le false dottrine sul clima, sulla sovrappopolazione, sull'emissione monopolistica dei soldi, ecc.), nascerà senz'altro una nuova società.

 

Chi nella sua "forma mentis" è costretto a pensare che nulla della reale cosa in sé possa sorgere nella propria attività interiore (per il fatto che nell'attività interiore non può trasportarsi la materia della cosa in sé) e di conseguenza - per fare quadrare i conti con se stesso - è costretto a dire che la materia, avendo il potere di muovere l'attività interiore, ha "carattere dinamico", è materialista, anche se, ammettendo l'esistenza dell'anima, crede di essere idealista o addirittura antroposofo.

 

Lo stesso dicasi di colui che in nome dello spiritualismo assoluto afferma che la materia è un nulla. Il materialismo di costui consiste nel rappresentarsi continuamente la materia dell'oggetto di percezione come un nulla, non accorgendosi che così facendo - cioè permanendo nella rappresentazione - è impossibile sperimentarne il concetto. La differenza fra rappresentazione e concetto è importante: la prima è un concetto ancora individualizzato, quindi non ancora universalizzato, cioè valido per tutti (per esempio: quella pipa non è "la pipa"); il secondo è concetto solo in quanto è universalizzato, cioè è valido per l'attività interiore di ogni essere umano ("la pipa" è uguale per tutti).

 

Finché alla teoria della conoscenza si applicherà il materialismo non si scoprirà l'essenziale. E la scienza di oggi non solo deve ancora superare il materialismo, divenendo scienza spirituale (immateriale), ma è talmente sprofondata in questo modo di pensare, che non riconosce più come tale il suo modo materialistico di rappresentare.

 

Il seguente altro esempio verificherà il precedente.

 

Per renderti chiaramente conto di come sorga in te il concetto in contrapposizione al suo oggetto di percezione a te esterno, prova pensare un cerchio attraverso un oggetto di percezione. Puoi farlo ad esempio navigando sul mare finché tutt'intorno non vedi che acqua. In quel modo, è tramite l'oggetto di percezione che ti formi l'idea del cerchio. Prova poi ad arrivare al concetto di cerchio in un altro modo, e cioè senza bisogno dei sensi. Ciò è possibile. Costruisci nella sola tua attività interiore la somma di tutti i punti che sono ugualmente distanti da un punto dato. Per formarti questa costruzione che si svolge completamente nell'intimo della tua vita di pensiero, non hai bisogno di fare appello a qualcosa di esteriore.

 

Di questa tua esperienza (del pensare puro) Aristotele ti direbbe: sei arrivato nella "pura attualità".

 

Ora prendi coscienza che questi pensieri puri del cerchio, formati come sopra descritto, coincidono con la precedente esperienza materiale di navigazione, e che, anzi, senza di essi, quell'esperienza non avrebbe nemmeno potuto essere intuitivamente compresa.

 

Questa stessa cosa è altresì dimostrabile anche connettendo fra loro due precisi fatti della storia umana:

1°. Uno scienziato che, tramite pura costruzione di pensiero, elaborò un sistema, poi rivelatosi coincidente con la realtà, fu Kopernico. Egli dimostrò, attraverso puro pensare, che i pianeti non possono che percorrere orbite ellittiche, mentre il Sole si trova in uno dei due fuochi. In seguito, col telescopio, si constatò che la sua osservazione coincideva con l'esperienza di quel suo pensare puro, concepito prima di tale constatazione.

 

2°. Ed, oltretutto, ciò da' ragione ad Aristotele. Infatti Kopernico illustra col suo procedere ciò che Aristotele aveva già fondato teoreticamente, attraverso gli Universalia intuiti ante rem, in re e post rem!

 

Kopernico afferra ciò che appartiene agli "Universalia post rem" e, accordandosi alle cose, trova che questi "Universalia post rem" sono stati posti precedentemente nelle cose, come "Universalia ante rem".

 

Se dunque, secondo una teoria esatta della conoscenza, si considerano gli universali non come semplici rappresentazioni soggettive, ma si riconosce che si trovano oggettivamente nelle cose, significa che vi erano anche prima.

 

Aristotele direbbe: sì, in quanto vi furono posti dalla divinità.

 

Ora, se sei arrivato a leggere fin qui, sapendo cos'è il pensare puro, puoi chiederti: "Ma dov'è la via pratica a questo monismo differente da quello antico?" O meglio: "Dov'è la via per generare, nel pensare puro, non soltanto forma, ma assieme alla forma anche materia? Se infatti io trovassi davvero un quid capace di generare - insieme alla forma - anche l'essenza materiale, potrei poggiare su un punto saldo per adottare questa teoria della conoscenza".
 
Ebbene questo è possibile.
 
È filosoficamente risaputo che per Aristotele, accanto al lato formale della realtà, ogni oggetto di percezione necessita di una controparte materiale (per Aristotele la materia non è solo la materia fisica, bensì la sostanza, quella che proviene etimologicamente da "sub" "stare", e che dunque sottostà come base della realtà anche all'elemento immateriale, cioè concettuale, o spirituale; in sanscrito questo elemento basilare che, assieme al suo relativo concetto, dà la realtà delle cose si dice "prakriti", la quale forma la realtà assieme a "purusha", che significa "essenza"; ovviamente con "prakriti" non si parla della materia concepita dalla fisica moderna: nella lingua sanscrita non esiste neanche una parola che possa pur approssimativamente tradursi con "materia" nel senso in cui la intendono i fisici moderni). Insomma, per Aristotele l'idea di Dio è l'attuarsi puro, "pura attualità", e in Dio, cioè in tale attuarsi che dà forma alle cose, si esprime la dinamica della realtà, cioè la forza di prodursi della realtà. Tale attuarsi, non è dunque qualcosa a cui stia di fronte la materia come altra da sé (dualismo), bensì qualcosa che, nel suo sempreverde darsi è - insieme - piena realtà.

Se si intende giustamente la composizione della realtà, che è data dalla forma e dalla sostanza delle cose, non è difficile accorgersi che questa immagine o questa idea aristotelica di Dio come attuarsi della realtà, abita in ogni essere umano precisamente nel fatto in cui, mediante il pensare si arriva al concetto dell'"io". Ogni uomo può arrivare nella sua interiorità, come ha fatto Fichte (e non ci vuole davvero una grande intelligenza per comprenderlo), a percepire qualcosa che, vivendo nell'attualità del suo darsi, produce assieme a questo darsi, la sua essenza materiale. Questa cosa è, appunto, l'io.
 
Quando infatti afferri il tuo io nel tuo pensare, sei nel centro in cui il pensare genera contemporaneamente la propria essenza materiale.
 
Afferrando l'io nel pensare, scorgiamo dunque che anche l'io è universalmente triarticolato:

1. l'io puro appartiene agli universali ante rem;
2. l'io in cui siamo appartiene agli universali in re;
3. l'io che comprendiamo appartiene agli universali post rem.

Se comprendi davvero questo, sai anche che questi tre "io" vengono a coincidere in te stesso.
 
E questo dovrebbe entusiasmarti proprio in quanto "entusiasmo" significa etimologicamente "avere Dio dentro".
 
L'io vive in sé, in quanto produce il suo concetto puro, e può vivere nel concetto come realtà. Per l'io non è indifferente ciò che il pensare genera, dato che il pensare stesso è Creatore dell'io.

E si può mettere benissimo la C maiuscola a Creatore, anche se qui il concetto dell'elemento creatore coincide con l'elemento materiale essenziale. In tutti gli altri processi conoscitivi, dobbiamo urtare con un limite, ma nell'io, no: l'io lo abbracciamo nel suo essere intimo, in quanto lo afferriamo nel pensare.
 
Si può dunque dare una base teorica alla possibilità di affermare che nel pensare è raggiungibile un punto in cui soggettività e realtà oggettiva coincidono totalmente, e nel quale l'essere umano sperimenta la realtà!
 
Se attraverso l'esperienza del concetto, si percorre questa via del superamento del monismo astratto (detto anche da Steiner monismo anticipato, o spiritualismo assoluto che nega realtà alla percezione materiale), non si può che entrare nella scienza dello spirito antroposofica.

 

Oggi sono poche le persone - soprattutto tra i filosofi (4) e gli "antroposofi" - che sono disposti ad ammettere tale via. Costoro si sono impigliati in una rete di concetti, fatta solo da loro stessi, che io chiamo cablatura mentale. Conoscendo il concetto, ma solo come qualcosa di astratto, non possono afferrare quell'unico punto in cui esso è archetipicamente creativo. Perciò non possono neanche trovare alcunché che consenta al loro io di congiungersi con la cosa in sé.

 

La causa di ciò non va ricercata in dottrine sociali o politiche, o in un sistema dialettico, ma in qualcosa che precede questi ultimi (cattocomunismo, fascismo, sionismo, sinistre o destre non sono cause ma conseguenze). Si tratta del culto metafisico mistico, mirante a "vertigini" meditative, voluttà meditative ed estatiche piuttosto che a conoscenze liberatrici: va ricercata in discipline del sentimento e dell'intelletto, che sviluppano un tipo psichico di forza, a condizione che non sorga l'autore, l'io - l'essere indipendente non soltanto dalla psiche, ma anche dalle facoltà interiori - dunque a condizione che non sorga colui che usa le facoltà: lo Spirito.

 

Per questo motivo Giordano Bruno fu arso vivo dai preti.

 

Per questo stesso motivo nel 1922 fu bruciato - dai gesuiti si dice a Dornach - il primo Goetheanum di Dornach, prima Università scientifico-spirituale costruita da Steiner.

 

I preti bruciano sempre tutto ciò che considerano "eretico".

 

Ma qual'era l'"eresia" di Giordano Bruno e di Rudolf Steiner?

 

Era la convinzione che il popolo oggi considera ovvia: se c'è un Creatore che ha creato un universo così vasto, con miliardi di galassie, ciascuna con miliardi di stelle e probabili sistemi solari, e su questo piccolo e splendido pianeta blu, le tante specie vegetali, animali ed, infine, quella umana, questo Creatore non ha davvero bisogno di alcuni uomini che sulla terra possano dare e/o negare ad altri uomini la comunione con Sé, dato che la comunione è legge di natura. Questa era la principale eresia!

 

In realtà, la possibilità di comprendere non solo ciò che passa dall'oggetto a noi ma anche di penetrare dentro le cose, e di identificarci con la materia, per poterla conoscere, c'è: ed è il monismo reale (cioè non vecchio monismo astratto o utopico, ma concreto, pieno di oggettivo contenuto) a cui ognuno può accedere attraverso l'intuire, così come è metodologicamente auspicato da "La Filosofia della libertà" di Steiner.

 

Non vi sono alternative, dato che sia col vecchio monismo, sia col dualismo, si cade dalla padella nella brace.

 

Entrambe queste due posizioni di pensiero dominano l'uomo nella misura in cui l'uomo si lascia dominare.

 

Steiner ha analizzato questa piaga in tutte le sue sfaccettature e, senza negare la realtà fisiologica della formazione della percezione, ha offerto al mondo l'antidoto ad esse nella sua filosofia della libertà, la quale non è neanche filosofia ma logodinamica dell'intuire.  

Nereo Villa

Castell'Arquato 6 novembre 2005, ultima correzione: 25 luglio 2019

 


 

NOTE

(1) Giacinto Auriti in "Autori Vari, "L'occulta strategia della guerra senza confini", Ed. Centro Studi e Costituzionali, Rimini, 1972; cfr. anche Ottaviano, "Critica dell'idealismo", Cedam, Padova, 1958.

(2) cfr. R. Steiner, "La direzione spirituale dell'uomo e dell'umanità", Ed. Antroposofica, Milano, 1975.

(3) Nel 1920 a Bad Nauheim, Einstein afferma che "è pericoloso in fisica usare la sana ragione umana, dato che la Fisica va compresa e non intuita" (B. Thüring, "Albert Einsteins Umsturzversuch der Physik und seine inneren Möglichkeiten und Ursachen", Hanseatische Verlagsanstalt, Hamburg 1940). E ancora: "[Con l'avvento della Relatività] ciò che l'uomo considera intuitivo o non intuitivo è cambiato! [...] Intendo dire che la Fisica è comprensibile e non intuitiva" ("Physikalische Zeitschrift", Vol. 21: "Allgemeine Diskussion ueber Relativitaetstheorie bei Versammlung deutscher Naturforscher und Aerzte", Bad Nauheim, September 1920).

(4) cfr. R. Steiner, "Filosofia e antroposofia", Ed. Antroposofica.