Etimologia della parola EBREO

 

La parola ebreo, עברי, si dice in ebraico "ivrì" (anche "ibrì": le lettere "b" e "v" sono nell'alfabeto ebraico espresse entrambe dalla lettera "bet") ed è formata dalle lettere (da destra a sinistra) "ain" ע, "bet" ב, "resh" ר, e "iod" י. Il significato di questa parola è dichiarato incerto dal mondo cattolico: «ibri, in greco hebràios, è un antico vocabolo di significato incerto» (L. Coenen - E. Beyreuther - H. Bietenhard, "Dizionario dei concetti biblici del nuovo testamento, Ed. EDB).

 

Il termine fu usato in senso sfavorevole o dispregiativo. E ciò risulta anche dalla comparazione fonetica con la parola italiana "ibrido" e con altri idiomi (per es., dal greco "ybris", dall'inglese "hibrid", dal francese "hibride", dal tedesco "hibrid", ecc.).

 

Anche in base a questa consonanza fonetica, la parola "ebreo" sembra comportare il significato essenziale di "migrante non conforme ad una provenienza etnica definita": l'etimologia della parola "ebreo" appare allora in tutto il suo significato di "nomade", "colui che passa". E ciò ben si accorda col concetto di movimento concentrato nel termine, ישראל, "Israel", parola formata da cinque lettere, iod, shin, resh, alef e lamed (vedi sotto), che secondo le corrispondenze ideografiche indicate da Fabre d'Olivet (F. d'Olivet, "La lingua ebraica restituita", Ed. Quaderni dell'Officina, Paris, 1815), esprimono l'idea di una facoltà, la cui espansione risulta dal muoversi di un soggetto nel tempo.

 

iod

י

potenza primordiale

shin

ש

durata relativa

resh

ר

movimento

alef

א

potenza

lamed

ל

diffusione

 

Al centro della parola, il moto è dato dalla lettera "erre" o resh.

 

Ciò vale ovviamente anche per la resh di "ivrì", עברי, che vi caratterizza l'idea di passare oltre, portarsi oltre, essere errante, essere in moto.

 

Da questo punto di vista, il sionismo appare inserito in una dicotomia che non può passare inosservata: da una parte vi è l'accesso alla modernità nella domanda sionista "Perché non dovremmo avere anche noi un nostro Stato?"; dall'altra vi è la fedeltà alla tradizione ebraica nella risposta: "Se pretendiamo "avere" Israele come Stato, togliamo ''essere" all'Israele come realtà spirituale universale".

 

Si tratta di una contraddizione per alcuni aspetti simile a quella fra "romano" e "cattolico": se sei romano non sei cattolico, e viceversa, dato che in greco la parola "cattolico" significa universale.

 

Lo "Stato" sionista, cioè lo "Stato d'Israele", limita dunque se stesso, cioè il proprio potere nella misura in cui limita l'essenza stessa del significato di "ebreo": il "passante", che anziché passare diasporicamente attraverso i popoli del mondo si ferma in modo statico o statalistico è per lo spirito ebraico meno ortodosso del sale che non ha più sapore, e che non può più simboleggiare alcun sale di sapienza, dato che lo spirito risorge e non si lascia ingannare.

 

Pertanto, il massimo ideale di Sion, di Roma, o di qualsiasi altra confessione religiosa, non potrà che essere in futuro il raggiungimento della pace mondiale sotto un unico governo, che sopprima le frontiere tra i paesi affinché esista un sol popolo: quello terrestre. Questo è, fra l'altro, anche la visione politica del palestinese Gesù di Nazaret (Nazaret è in Palestina) in merito ai figli dell'uomo: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo" (Bibbia C.E.I.: Luca 9,58).