Errore basilare dei Testimoni di Geova

L'uomo non è un animale ma una נשמה animata dall'io!

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L'errore basilare dei testimoni di Geova è quello di essere "animati" da un pensare non libero ma poggiante su traduzioni dall'ebraico all’italiano fatte da traduttori americani (di Brooklyn), esattamente come il politico si anima e pensa secondo i dettami dei governatori di banche centrali estere. Se Brooklyn dice che il termine ebraico per "anima" è נפש "nèfesh", il testimone di Geova italiano ripete passivamente che nèfesh è l'anima. Non che ciò non sia vero. Corrisponde però ad un terzo di verità. Nèfesh è infatti solo uno dei tre termini veterotestamentari che caratterizzavano l'attività interiore o anima. E si ha un bel ripetergli che "nèfesh" è solo un terzo di ciò che riempiva di significato l'attività interiore, e che gli altri due termini eranoרוח  "ruach" (per "anima", "vento", e "spirito"), e נשמה "neschamà" (per "alito",  "fiato",  "soffio", "spirito", "anima", "essere vivente"), ed altresì che solo quest'ultimo (neschamà) è l'elemento eterno che riposa solo negli esseri umani, non come nèfesh che appartiene invece anche al mondo animale, mondo le cui specie hanno ognuna un io di gruppo, mentre ogni uomo ha un io tutto per sé (in ciò consistendo la sublime differenza fra le specie animali e la specie dei figli dell'uomo).

 

Il testimone di Geova non ti ascolta: mentre parli sta già pensando a come controbatterti. Cioè: si comporta esattamente come il teologo cattolico (altro "testimone") in merito ai tre concetti neotestamentari greci "egheiro", "anastasi", ed "apokatastasi", che traduce tutti e tre indifferentemente con "risurrezione". Da qui la strana seguente "equazione": così come il testimone di Brooklyn (o di Roma via Bufalotta, sede italiana di Brooklyn) traduce indifferentemente con "anima", i tre concetti "nèfesh", "ruach", e "neschamà", allo stesso modo il testimone di Roma (Vaticano) traduce indifferentemente col termine "risurrezione" i tre differenti concetti "egheiro", "anastasi", ed "apokatastasi".

 

Dunque tanto da Brooklyn-Bufalotta quanto da Roma-Vaticano è così negata la realtà delle ripetute vite terrene, in ebraico גלגל "ghilgàl", che significa "ciclo" (appunto delle ripetute vite terrene dell'io).

 

Dunque dal punto di vista Brooklyn-Bufalotta si attribuisce all'anima l'esclusivo suo animarsi di tipo animale, in base a cui è ovvio che non si possa poi attribuire all'immobile cadavere alcuna ipotesi di "restaurazione" individuale ("apokatastasi" per l'evangelista Luca). Invece dal punto di vista Roma-Vaticano la fede nella risurrezione della carne sostituisce barbaramente la conoscenza di ciò che dalla carne e dalla materia non proviene: l'immateriale io.

 

Le due teologie (in realtà teo-ideologie) sono comunque e sempre concepite e fondate sul castigo eterno, così che tutto prende le mosse dal castigo, o meglio dalla paura del castigo… Da un lato non ci si accorge che se non vi fosse risurrezione (per cui quando si muore finirebbe tutto), neanche il castigo o una paura potrebbero sussistere, finendo tutto, appunto; dall’altro lato se vi fosse solo la mera risurrezione carnea senza io, non vi potrebbe essere la consapevolezza di essa, e quindi non vi sarebbe neanche quella pseudo risurrezione.

 

Se poi si osserva etimologicamente il termine "castigo" si vede che esso proviene dal latino "castus", così come la parola "purgare" proviene da "purus". Rendere puro, casto, ripulire, purgare, nel lavoro concepito come castigo cos'è in definitiva? È il karma negativo dei "lavoratori" o dei "proletari" che si combattono fra loro, fra destre e sinistre, senza minimamente accorgersi che il karma da superare è la vecchia concezione dello schiavo, attraverso la nuova concezione della creatività e dei talenti umani, cioè attraverso una nuova concezione del lavoro: il lavoro creativo in cui il karma si trasforma in "carme", poesia di vita!

 

La creatività caratterizza infatti nell'essere umano la sua superiorità rispetto all'animale, ed il lavoro concepito come creatività, come talento, e come libera espressione dell'io, riguarda la divino-umanità (gli ebrei dicevano al Cristo: "[…] tu, che sei uomo, ti fai Dio". E lui a loro: "Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi?"), dunque l’uomo è qui inteso come essere superiore all'animale. Il lavoro concepito come penalizzazione riguarda invece l'uomo inteso come specie animale, o come animale, o tutt'al più come animale sociale.

 

L'interiorità umana del lavoratore, sudato e punito, è in ebraico nèfesh, e giustamente di essa si dice che è "principio vitale" o vitalità. Ma l'attività interiore del lavoratore concepito non solo come sudato, affannato, e punito, ma anche come creativo, è invece neshamà, e giustamente di essa si dice che è "anima" (nel senso di animazione interiore), cioè umana attività interiore.

 

L'interiorità umana del lavoratore che passa dalla nèfesh alla neshamah è ruach, e giustamente di ruach si dice che è "anima", "vento" e "spirito".

 

Grande è però nelle confessioni religiose la confusione terminologica circa queste tre parole. L'impiego del termine psyché nei Vangeli fa riferimento alla vitalità ed alla totalità dell'essere umano (Gv 13,37). Questi collegamenti vanno dallo stato emotivo dell'uomo (la mia psyché è triste fino alla morte: Mt 26,38) fino al suo affanno egoistico (chi vorrà salvare la propria vita, la perderà: Mc 8,35).

Paolo di Tarso usa psyché nella sua forma oggettiva psychikos in contrapposizione all'uomo spirituale, indicando così l'uomo che nella sua vita naturale, animatrice del suo corpo fisico, ragiona orientandosi attraverso le mere categorie del mondo dei sensi. La parola psychikos è da intendersi perciò nel senso di "animico" (psiche significa anima), cioè di "emotivo", che si anima autonomamente, come avviene anche negli animali. In tal senso l'uomo meramente psichico non può accogliere le cose dello spirito: l'uomo psichico non riceve le cose dello spirito di Dio (1ª Cor. 2,14).

 

"Psyché" è infatti la traduzione greca dell'ebraico nèfesh che traduce anche anima, ma esclusivamente nel senso di un'entità che si muove autonomamente, da sé, personalmente, soggettivamente.

 

La parola "nèfesh" deriva dal verbo nafash che significa in ebraico respirare. Nèfesh indica dunque una persona che respira, che vive, in quanto, respirando, la sua parte toracica, i suoi polmoni, si animano.

 

Essendo attribuibile anche agli animali, in quanto anche gli animali respirano, nèfesh ha un comune significato generico, traducibile come anima e come vivente, perché anima significava vita, e quindi vivente, principio vitale, appunto.

 

Con la parola nèfesh gli antichi non indicavano la vita vegetativa delle piante semplicemente per il fatto che ai loro occhi non risaltava immediatamente evidente la respirazione delle piante, per cui riconoscevano il concetto di vita solo a uomini e ad animali.

 

Non che gli antichi pensassero che le piante fossero senza vita. Semplicemente non vedevano in esse la respirazione visibile, e quindi non davano alle piante il concetto dinamico di vita, perché per essi la vita era rivelabile dalla respirazione. Nèfesh, infatti, significa respirazione, e la respirazione era segnale della vita. Nel linguaggio comune tale segnale passò poi, per traslato, a significare sia il vivente umano, che il vivente animale, e nèfesh è infatti il termine proprio di chi respira, dunque dei viventi, uomini o animali che siano.

 

Paolo usava il termine psychikos in quanto NON POTEVA NON SAPERE dai libri della Legge (o Torà) che l'uomo prima di ricevere l'alito divino, cioè lo spirito individuale (neshamah), era già vivente, simile ma non uguale all'animale. Infatti secondo la Bibbia (ma anche secondo ogni antica gnosi ed ogni antica scrittura vedica) l'uomo proviene direttamente dal divino: Dio soffia su di lui il suo spirito di vita - neshamà -, in modo che ora la sua vita - nèfesh - non assomiglia più a quella animale (Gen. 2,7).

 

L'espressione ebraica "lenèfesh", "A ESSERE VIVENTE", è composta dalla preposizione "le", che significa "a", prefissa alla parola "nèfesh", che significa "essere vivente", sia umano che spirituale. La preposizione "le" ("a"), prefissa alla parola "nèfesh" - "essere vivente" - sta proprio ad indicare il culmine finale dell'evoluzione del corpo pre-umano, destinato AD ESSERE VIVENTE come essere umano fisico e spirituale, non appena Dio soffia in lui lo spirito della vita, cioè, non appena Dio infonde nel suo essere vivente pre-umano lo spirito vivente individuale.

 

Queste caratterizzazioni non vanno prese come definizioni. Ogni contenuto concettuale è sempre perfettibile. Quindi per me valgono solo fino a prova contraria. Vale a dire se qualcuno mi mostra altrettante caratterizzazioni migliori in grado di stare in piedi da sé in merito agli stessi contenuti, non avrei nessuna difficoltà a evolvere e/o a migliorare i risultati di questa mia esperienza concettuale. Credo infatti che la cultura della definizione dei concetti sia un pseudo cultura, in quanto cultura del "pensato", del "dato", del morto: anzi, proprio nel concetto stesso di "de-finizione" c'è il sentore del finire, dunque di qualcosa la cui vita finisce.

 

La realtà è complessa e le parole possono caratterizzarla, ma mai definirla. A volte invece ci fissiamo ideologicamente su concetti e idee, cioè ci collochiamo kantianamente "a priori", cioè pregiudizialmente, o pre-concettualmente, in ciò che crediamo sia la verità assoluta. Con questo tipo di comportamento è molto difficile comprendersi. Se, per esempio, osservo un dipinto e noto che ha colori caldi, ciò non significa che d'inverno io possa usarli per riscaldarmi!

 

Allo stesso modo, anche la parola neshamà a volte può significare respirazione, ma in Genesi 2,7 sarebbe fuori posto con quel significato, in quanto il corpo pre-umano dell'uomo già respirava da parecchio tempo, a meno che si voglia credere che il Creatore abbia trasformato in vivente un pupazzo di creta come in una magia da mago Silvan.

 

Credo invece che il cosmo vivente sia un fatto evolutivo, e che il "motore" di questa cosmica attività faccia evolvere gli esseri umani viventi, i quali sono fatti, sì, di carne come gli animali, ma sono a loro superiori, come è espresso nel resoconto di Genesi 1, 20-26: "Poi Dio disse: Producano le acque vivi animali striscianti, e volanti sopra la terra […] ed ogni animale vivente e moventesi […] Dio disse: Facciamo l'uomo […] domini sopra i pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e su tutti i rettili che strisciano sopra la terra".

 

Vi è dunque una trasformazione dell'"adamo biblico" (pupazzo cretaceo) in "essere senziente" prima, e in "essere razionale" poi, tramite evoluzione continua, e distinta da quella di ogni altra creatura.

 

Se invece si intende l'essere umano come animale o come meccanismo si cade in una specie di talebanismo aristotelico (aristotelismo filtrato da Avicenna e da Averroè) dell'"animale sociale" sopracitato che, in definitiva, nella realtà umana attuale non può che esprimere un UOMO SEMPRE PIÙ ANIMALE E SEMPRE MENO SOCIALE, come è largamente dimostrato da quanto sta avvenendo da secoli su tutto il pianeta.

 

Probabilmente per gli oscuratori di neshamà o per i "lavoratori sporchi e sudati" che non hanno tempo di liberarsi dall'oscurità così ottenuta, nèfesh - che è il mero "principio vitale" - sta invece ad indicare la comune condizione mortale dell'uomo e dell’animale, senza alcuna differenza di superiorità essenziale dell'uomo sull’animale.

 

In base a questi pregiudizi oscurantistici (oggi supportati "scientificamente" dal dogma circa l'"energia oscura", la "materia oscura" ed altre amenità quantiche) sono poi create le leggi e... le finanziarie. Eppure l’uomo dovrà prima o poi risvegliarsi e prendere atto di non essere un mero animale…

 

 

 

Si veda altresì una mia esperienza di una decina d'anni fa col "frutto"

di una Testimone di Geova nel post seguente:

Ignoranza o criminalità nei Testimoni di Geova?