EMPIRIA

 

L'empiria è un'esigenza del pensare

che nulla c'entra con precetti, halakòt,

teologie, midrashìm, dogmi ed arabismi vari.

 

Empiria è esperienza della prova - in greco "péira" - dei fatti (osservabili dal "perito") alla luce del sole. L'osservazione empirica è necessaria all'uomo ma l'empirismo limitato al mondo sensibile ne è la mancanza che, colpendo tutta la scienza e la cultura, fa del materialismo il più organico dogmatismo che abbia mai dominato la coscienza umana.

Non bisognerebbe mai accettare come normale questa mancanza (in base alla quale per la conoscenza del mondo fisico si ritiene necessario l'esperimento ma non anche i nessi di pensiero che ne sono il nucleo) perché l'empirismo bloccato al sensibile, come se il sensibile costituisse il solo contenuto della conoscenza del mondo, è pseudocultura o cultura a metà, scienza a metà, dato che quel contenuto è pur sempre e soltanto un contenuto di pensiero senza cui il fenomeno fisico sarebbe un guscio vuoto.

Il non aver adottato l'empirismo con consequenzialità logico-scientifica, cioè il non averlo realmente portato nel cuore dell'esperienza, ha consentito il prodursi di un errore equivalente a prona superstizione, disconoscente il compito del pensare riguardo ai fenomeni fisici.

Da Kant in poi "si è candidamente creduto che i pensieri non sono altro che il riflesso del reale nell'interiorità umana" (M. Scaligero, "Il pensiero come antimateria", Ed. Perseo, Roma 1978). Questa credenza fu ed è - fino a prova contraria - infondata. Oggi sono in pochi a capirlo.

In ogni caso, solo chi ha il coraggio di applicare il principio dell'esperienza anche al pensare scopre la funzione, l'origine e il contenuto obiettivo del pensiero indagante. E questo in realtà "costituisce il contenuto non fisico delle leggi fisiche" (ibid.).

Il contenuto non fisico è concettuale, ideale (l'idea è un insieme di concetti).

In genere si crede invece che sarebbe ingenuo parlare di contenuto ideale e ci si oppone a questo "idealismo" contrapponendovi il mondo misurabile dei materiali che lo compongono. Ma il darsi di un fenomeno fisico in quantità misurabili rientra anch'esso in quel contenuto ideale, senza il quale le misurazioni e le quantità importerebbero ben poco, dato che di per sé avrebbero ben poco da dire.

Infatti il contenuto appartiene, sì, al fenomeno, ma senza l'autonomo pensare dell'uomo non sorgerebbe.

Credere kantianamente che il pensare sia un riflesso del reale significa derealizzare ogni autonomia o responsabilità del pensare, e in fin dei conti la scienza stessa.

"La realtà del pensare consiste nell'attingere in sé un contenuto interiore del mondo, che non viene dalle percezioni sensibili, anche se queste stanno lì ad esigerlo e a darsi come supporto di esso" (ibid.). Si provi ad osservare empiricamente una pagina di un libro: le vocali e le consonanti di quella pagina sono indispensabili per conoscere il pensiero scritto in essa. Non sono però i caratteri a determinarlo, dato che il pensiero, mediante quelli, è attinto dal lettore al proprio pensare, che fa rivivere in sé il pensiero dell'autore.

Anche se stimolate da note sensibili, le leggi dei fenomeni fisici scaturiscono sempre dal pensare dell'indagatore, dal suo intuire predialettico, senza il quale il fenomeno fisico rimarrebbe lettera morta. Ma l'indagatore lo dimentica. E lo dimentica perché l'intuire è sempre lì. Sembra che non ci sia, come il sangue, l'acqua e la terra di cui siamo formati. Sembra che non ci sia perciò lo scordiamo e lo attribuiamo al mondo esterno come legge.

Il potere obiettivo, valido oltre gli stessi concetti di "soggetto" o "oggetto" che forma, è invece sperimentabile. Ed è l'empiria più importante, quella del processo intuitivo, vivente organo di verità di cui ci si serve, senza saperlo (o scordandolo), per avere certezze valide scientificamente e logicamente nel campo del conoscere. Dimenticando questa empiria, si regredisce infantilmente dalla posizione positivista a quella medianista per cui lo scienziato si procura verità logiche e matematiche da un credo non dissimile da quello di una confessione religiosa.

Rivolgendosi in tal modo al sapere del proprio gruppo, non si avverte che qualsiasi ente fuori dal pensare, è pensato dal pensiero stesso come fuori di sé. Ci si dimentica di noi, del nostro pensare, da cui si vorrebbe addirittura uscire pur di avere sicurezza oggettiva. Ma dal pensare non si esce, perché non si esce dall'io che si è, e che si dimentica. Anche se nell'io risiede l'universale e l'infinito, che si vorrebbero attingere fuori.

Cercando il medium fuori di sé, non ci si accorge di possederlo già nel processo quotidiano, del conoscere. Non si avverte che il pensare, non occorre tanto pensarlo, quanto percepirlo, sperimentarlo come immagine intuitiva.

L'empiria del processo pensante, di cui mancano la scienza e la cultura del tempo odierno, darebbe modo di compiere una simile esperienza e di uscire dal secolare equivoco del realismo primitivo. Il darsi delle forme, del colore, del suono, dell'odore, ecc., andrebbe pertanto riconosciuto sempre come un atto interiore estrinsecantesi nel percepire.

È un'ingenuità della scienza, per esempio, ritenere che la luce si muova, in quanto sembra propagarsi mediante movimento. Movimento si può dire soltanto il reagire del mezzo materiale, mediante il quale la luce si manifesta: soltanto tale mezzo è passibile di movimento, in quanto reagisce, non movendo se stesso, ma venendo mosso. Allora si crede che sia la luce a muoversi. La luce è invece un'entità sovrasensibile che entra nel sensibile, dove è percepibile. Qui la scienza manca di indagine positiva. Manca di empiria.

Il fotone? Non esiste. È un concetto senza contenuto, un'invenzione dell'uomo che dimostra solo la sua incapacità di pensare. Lo si può intuire. Si immagini per esempio di dare una forte martellata a un pezzo di vetro. Si producono delle schegge. Credere - come credono i fisici delle particelle - che il vetro prima di essere colpito sia costituito da quelle schegge è un'ingenuità. Perché se anche in quel vetro si scorgessero tramite raggi X configurazioni di sue venature che sembrano schegge non si potrebbe mai dire che quelle sono le schegge di quel vetro, dato che bisognerebbe ancora generarle colpendolo col martello. E comunque bisognerebbe dimostrare (ma finora non è mai stato fatto) che quelle venature siano veramente la forma delle future schegge. Oltretutto se col martello si distrugge un vetro, ciò che resta poi lì per terra sono schegge, che però se sono schegge non sono più quel vetro. Invece per il fisico delle particelle, quelle schegge sono i "vetroni" del vetro. E dirà che il vetro è formato da "vetroni".

La fisica delle particelle è dunque solo un linguaggio settario. I concetti e le idee di questo linguaggio non hanno alcuna connessione con la realtà, dato che i suoi contenuti sarebbero da credere come enti impercepibili con carattere di percepibilità, dunque congetturati, supposti, o postulati, o favoleggiati, sognati, ma mai verificati, mai sperimentati empiricamente. Perfino l'idea di fisica teorica è spuria. Perché ciò che è fisico è fisico e ciò che è teorico è teorico, e ciò che è teorico è immateriale mentre ciò che è fisico è materiale. Infatti la fisica teorica è totalmente improduttiva.

Di fatto se si osservano le forme del moto che si attribuisce alla luce non percepiamo che cosa sia trasmesso da quel moto, bensì solo attraverso quale veicolo qualcosa come luce è trasmesso; ma questo qualcosa è del tutto immateriale, anche se si manifesta mediante materia. Il veicolo o il mezzo mediante cui si manifesta l'immateriale ente della luce è la materia eterica, che è la materia più sottile, cioè l'atmosfera. Di per sé il mezzo (lo si chiami come si vuole: etere, materia, materia eterea, spazio di fondo, atmosfera, radiazione di fondo, ecc.; cfr. http://digilander.libero.it/VNereo/spaziotempo-inesistente-ed-etere-come-radiazione-di-fondo.htm), se è privo di luce è portatore di oscurità. Invece, reagendo alla luce - che è onnipresente, in quanto immateriale -, si modifica, è mosso e si determina. Come tale, è colto sotto forma di movimento dal soggetto che l'accoglie da una determinata fonte. Ma è un'illusione credere che il mezzo sia la luce: sembra che luce si muova e si propaghi ma così non è. La luce è un ente extrasensibile (o sovrasensibile) ed onnipresente, che solo l'elemento interiore del percepire può cogliere: elemento che però normalmente non è consapevole al percipiente.

L'oscurità è il simbolo della materia. Nella misura in cui l'oscurità o la materia è percepita, incomincia a spiritualizzarsi diventando luce interiore, perché il percipiente ha in se stesso la relazione con la fonte della luce. Si immagini un'astronave risplendente e viaggiante nell'oscurità dello spazio: non si può dire che la luce si muova con l'astronave, ma che la luce è presente in ogni punto dello spazio e che perciò è riflessa dall'astronave in movimento.

In verità, la luce non ha bisogno di muoversi, perché è.

La sua essenza è la forma della sua presenza nel mondo. E poiché non esiste forma che non sia idea, la luce è tanto esterna quanto interna all'uomo, essendo pensare vivente, vita dell'animarsi interiore dell'intuire umano.

 

A questo punto non può mancare un rock demenziale sul tema...