Di lavoro non ce n’è più bisogno

 

Presentazione di Nereo Villa: nel seguente scritto di Franco Berardi, detto “Bifo”, sono sintetizzati contenuti da me espressi in altre forme a partire dagli anni ’80 circa la meccanizzazione del lavoro. Non so cosa intenda lautore a proposito del reddito di cittadinanza nel suo interessante articolo. Quindi premetto che il minimo vitale, detto anche Reddito di Base, o Reddito di Cittadinanza, è per Steiner una “precisa legge [...] che sta alla base della vera vita dell’organismo sociale” (R. Steiner, “La questione sociale: un problema di consapevolezza”, 2ª conferenza) nonché un argomento che egli paragona alla legge fisica di Boyle-Mariotte, e sul quale si può riflettere correttamente “solo a partire dalla triarticolazione considerata come elemento fondamentale” (ibid.).

 

 

 

Dunque non si tratta di un reddito da disoccupazione, bensì del suo contrario, vale a dire di un reddito da occupazione. Intenderlo come reddito da disoccupazione, cioè come un reddito per chi non lavora, equivale a portare avanti qualcosa di molto oscuro e confuso col concetto di elemosina di Stato. Con simili idee confuse non si va da nessuna parte. Tanto meno si può parlare di futuro, o di riforme con tale “reddito da disoccupazione” senza ricadere nel solito statalismo, cioè nell’altrettanto tenebroso diritto di Stato, o mafia, occultamente sostitutivo dello Stato di diritto. Per l’approfondimento dell’idea di “minimo vitale” cfr. Il-Minimo-Vitale-in-Rudolf-Steiner.pdf

 

Franco Berardi

Di lavoro non ce n’è più bisogno

Che per la pagnotta bisogna lavorare,

è solo una superstizione!

Renzi ancora non l’ha capito

 

Alla fine degli anni ’70, dopo dieci anni di scioperi selvaggi, la FlAT convocò gli ingegneri perché introducessero modifiche tecniche utili a ridurre il lavoro necessario e per licenziare gli estremisti che avevano bloccato le catene di montaggio. Fatto sta che la produttività aumentò di cinque volte nel periodo tra il 1970 e il 2000. Detto altrimenti, un operaio nel 2000 poteva produrre cinque volte tanto un operaio nel 1970. Morale della favola: le lotte operaie servono fra l’altro a far venire gli ingegneri per aumentare la produttività e a ridurre il lavoro necessario.

 

Vi pare una cosa buona o cattiva? A me pare una cosa buonissima se gli operai hanno la forza (e a quel tempo ce l’avevano, perbacco) di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario. Una cosa pessima se i sindacati si oppongono e difendono il posto di lavoro senza capire che la tecnologia cambia tutto e di lavoro non ce n’è più bisogno.

 

Quella volta purtroppo i sindacati credettero che la tecnologia fosse un nemico. Occuparono la fabbrica per difendere il lavoro e il risultato fu che gli operai persero tutto.

 

Si poteva fare altrimenti? Certo, si poteva. Una minoranza disse: Lavorare meno per lavorare tutti. E qualcuno più furbo disse addirittura: Lavorare tutti per lavorare meno. Furono attaccati come estremisti e alcuni li arrestarono per associazione sovversiva.

 

Nel 1983 nel Paese più brutto del mondo c’era un governo infernale guidato da una signora a cui piace la la frusta. Aveva detto che la società non esiste (“There is no such thing as society”, Margaret Thatcher); per dire che ognuno è solo e deve combattere contro tutti gli altri col risultato che uno su mille può scorrazzare in Rolls-Royce, uno su cento può vivere decentemente e tutti gli altri fanno una vita di merda. Ma torniamo a noi, mica sono pagato per sparlare dell’Inghilterra. Un giorno la signora decise che di miniere non ce n’era bisogno e neanche di minatori. Cosa fareste se la vita vi fosse andata così male da ritrovarvi a fare il minatore in un Paese di merda dove fuori piove sempre e c’è la Thatcher e sottoterra è anche peggio?

 

Non so voi, ma nel caso facessi il minatore e qualcuno mi dicesse che non c’è più bisogno di miniere ringrazierei il cielo e chiederei un salario di cittadinanza. Non così Arthur Scargill, capo del sindacato Union Miners. Un sindacato glorioso che organizzò una lotta eroica contro i licenziamenti, come direbbe Ken Loach, C’è poco da fare gli spiritosi, perché fu una tragedia per migliaia di lavoratori e per le loro famiglie. Naturalmente i minatori persero il lavoro e il salario. Ed era solo l’inizio. La disoccupazione è oggi in crescita in tutta Europa. Metà della popolazione giovanile non ha un salario o ha un salario miserabile e precario, mentre i riformatori europei hanno imposto un rinvio dell’età pensionabile da 60 a 62 a 64 a 65 a 67. E poi?

 

C’è qualcuno che sa spiegarmi, con logica aristotelica, il mistero secondo cui per curare la disoccupazione occorre perseguitare i vecchi che lavorano costringendoli a boccheggiare sulla battigia di una pensione che non arriva mai?

 

Nessuno sano di mente mi risponde, perché la risposta non si trova in Aristotele, ma solo nella logica finanziaria, che con la logica non c’entra niente, ma c’entra molto con la crudeltà finanziaria.

 

Se la logica finanziaria contraddice la logica aristotelica, cosa farebbe una persona dotata di senso comune? Riformerebbe la logica finanziaria per piegarla alla logica, no? Invece Giavazzi dice che la logica vada a farsi fottere: noi siamo moderni (mica greci).

 

Animal Kingdom è il nome di un’azienda di Saint-Denis che vende ranocchie e cibi per cani. Candelia vende mobili per ufficio. Sembrano aziende normali ma non lo sono, perché l’intero business è finto: finti i clienti che telefonano, finti i prodotti, finta perfino la banca cui le fake companies chiedono falsi crediti.

 

Come racconta un articolo del New York Times del 29 maggio scorso, da cui si deduce che il capitalismo è affetto da demenza senile, in Francia ci sono un centinaio di aziende finte, e pare che in Europa se ne contino migliaia.

 

Milioni di persone non hanno un salario e milioni perderanno il lavoro nei prossimi anni per una semplice ragione: di lavoro non ce n’è più bisogno. Informatica, intelligenza artificiale, robotica consentono l’impiego di una quantità sempre più piccola di lavoro umano. Questo fatto è noto, ma nessuno può dirlo: è un tabù, dato che l’intero edificio sociale si fonda sulla premessa che chi non lavora non mangia. Una superstizione, un’abitudine culturale dalla quale occorrerebbe liberarsi.

 

Eppure economisti e governanti, invece di trovare un’alternativa, insistono nel promettere crescita e occupazione. E siccome la ripresa è finta, qualcuno ha avuto questa idea demente di creare aziende in cui si finge di lavorare per non perdere l’abitudine e la fiducia nel futuro, poiché i disoccupati di lungo corso (il 52,6 dei disoccupati dell’eurozona sono senza lavoro da più di un anno) rischiano di perdere la fede, oltre al salario.

 

Ma torniamo al punto. Dice Renzi che il reddito di cittadinanza è una cosa per furbi, perché in questo Paese chi lavora duro ce la può fare. Forse qualcuno sì, non lo nego, ma qui stiamo parlando di ventotto milioni di disoccupati europei. E a me risulta che la disoccupazione è destinata ad aumentare. E ti dico perché. Perché di tutto quel lavoro non ce n’è più bisogno. Lo dice qualcuno che è più moderno di Renzi e Giavazzi: Larry Page, cofondatore e CEO di Google, giovanotto intellettualmente assai dotato. In un’intervista pubblicata da Computer World nell’ottobre del 2014 questo tizio, a capo della più grande azienda di sempre, dice che Google investe massicciamente sulla robotica. E sai che fa la robotica? Rende il lavoro inutile. Lany Page aggiunge che secondo lui solo dei pazzi possono pensare di continuare a lavorare 40 ore alla settimana. Come dire: Renzi, lavorare duro, ok, ma per fare che?

 

Il Foreign Office nel suo report dell’anno scorso diceva che il 45% dei lavori con cui oggi la gente si guadagna da vivere potrebbe scomparire domattina perché non ce n’è più bisogno. Caro Renzi qui si tratta di cose serie, lascia fare ai grandi e torna a giocare ai videogame: occorre immediatamente un reddito di cittadinanza che liberi la gente dall’ossessione idiota del lavoro.

 

La situazione infatti è tanto grave e imprevista, che occorre un’invenzione scientifica che non è alla portata degli economisti.

 

Ti sei mai chiesto cos’è una scienza?

 

In breve: è una forma di conoscenza libera da ogni dogma, capace di estrapolare leggi generali dall’osservazione di fenomeni empirici, capace di prevedere quello che accadrà sulla base dell’esperienza del passato, e infine capace di comprendere fenomeni così radicalmente innovativi da mutare gli stessi paradigmi su cui la stessa scienza si fonda. Direi allora che l’economia non ha niente a che fare con la scienza. Gli economisti sono ossessionati da nozioni dogmatiche come crescita, competizione e prodotto nazionale lordo. Dicono che la realtà è in crisi ogni qualvolta non corrisponde ai loro dogmi e sono incapaci di prevedere quel che accadrà domani, come hanno dimostrato le crisi degli ultimi cento anni. Gli economisti per giunta sono incapaci di ricavare leggi dall’osservazione della realtà in quanto preferiscono che la realtà sia in armonia con i loro dogmi. Lungi dall’essere una scienza, l’economia è una tecnica il cui scopo è piegare la realtà multiforme agli interessi di chi paga lo stipendio degli economisti.

 

Dunque sta’ ad ascoltarmi: non c’è più bisogno di Giavazzi, di tutti quei tristi personaggi che vogliono convincerti che l’occupazione presto riprenderà e la crescita anche. Lavoriamo meno per un reddito di cittadinanza, curiamoci la salute, andiamo al cinema, insegnami matematica, e facciamo quel milione di cose utili che non sono lavoro e non hanno bisogno di scambiarsi con salario. Perché sai che ti dico? Di lavoro non ce n’è più bisogno (Bifo, “Di lavoro non ce n’è più bisogno” in Linus, anno LI, n. 7 - 602 - luglio 2015).