Dal vangelo di Quiquoquà (uomo liberato)

ai quaqquaraqquà (Mafia di Stato)

 

 

Quiquoquà non è un quaqquaraquà. Ho creato il personaggio “Quiquoquà” sulla base della simbologia disneyana e per presentare affermazioni positive di Giorgio Cerquetti (dal primo brano del CD “The Heart Opens - Grollo & Capitanata”).

Quiquoquà è colui che, accorgendosi di avere in sé la tri-unità costituita dal pensare, dal sentire e dal volere (Qui Quo e Qua), si libera dallo “Statu quo”.

Lo “Statu quo” è interventismo imperante oggi mediante antilogica keynesiana (politica economica) che mina e distrugge di fatto tutto quanto l’organismo sociale.

Oggi, come nel periodo della crisi del 1929, le aziende languiscono, le banche falliscono, e la disoccupazione impera.

Nonostante ciò Paperon de’ Paperoni, espressione di coloro che allora ritiravano i propri averi dalle banche, benché accusato da Rockerduck della scomparsa di denaro dalla sfera economica, restò l’eroe positivo, mentre Rockerduck quello negativo. Perché il senso di ingiustizia provato dagli americani quando furono costretti all’obbligo di portare oro, argento e valuta nei forzieri della banca federale, mise in evidenza il potere antilogico dell’interventismo di Stato “per far ripartire l’economia”, descritto perfino dagli allievi di Keynes (cfr. ad es. J. Kenneth Galbraith, “Soldi”, Ed. Rizzoli, Milano, 1997). Per fare il verso all’ilarità di tali proposte, un umorista tedesco le aveva perfino paragonate all’idea di verniciare di bianco la Foresta Nera (cfr. Sergio Ricossa, “Maledetti economisti. Le idiozie di una scienza inesistente”, Rizzoli Editore, Mlano, 1996)!

Ebbene, i misfatti generati da quell’antilogica continuano. Soprattutto oggi: l’idea del “deficit spending” (letteralmente “spesa del debito”) è infatti keynesiana.

Simili sciocchezze furono e sono continuamente “sostanziate” dal linguaggio che George Orwell chiamerà poi, nel suo profetico romanzo intitolato “1984”, scritto nel 1948, “Ocolingo” per ricordare, appunto, quello delle oche e dei pappagalli. Era ed è ancora il linguaggio governativo dei manipolatori di capitali, meramente laringeo (alla Renzi e/o alla Monti, Draghi, ecc.) e completamente sconnesso dalla logica di realtà presente nel pensare umano. È il linguaggio mafioso dei quaqquaraquà di cui il mio personaggo (“Quiquoquà”) si libera, emancipandosi dalle dinamiche di gruppo della specie umana catechizzatrice, priva di io, e ripetitrice di anacronistici modelli di pensiero materialistico, statalista, interventista e “religionista”.

Le competenze dell’io sono invece quelle di affermare sé come io individuale, operazione impossibile all’io di gruppo “ocolingo”, keynesianamente costretto a proclamare che la pace è guerra, la libertà schiavitù, e l’ignoranza la forza. Ecco perché nella crisi in cui viviamo - narrata da Orwell anche in “La fattoria degli animali” - i maiali comandano e gli struzzi scrivono o predicano stronzate.

Coloro che parlano in ocolingo sono in fondo persuasi della malvagità della natura umana, e quindi del bisogno assoluto della coercizione dell’uomo sull’uomo mediante leggi e regole. Essendo antilogici, dimenticano di porsi la domanda su questo loro impegno repressivo: se la natura umana è malvagia, come può l'uomo pensare di legiferare in modo non malvagio?

Non riflettono.

E si accontentano di regolare i propri affari senza preoccuparsi degli altri, così che da questo loro pessimismo sulla natura umana si genera egoismo e durezza, anche se su questo pianeta vi sono esempi, e non pochi, di persone luminose e non malvagie
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