Nereo Villa
La creazione dal nulla come incongruenza del pensiero
La fede nel dogma della cosiddetta “creazione dal
nulla” è incongruenza del pensare.
I cattolici sono convinti che “Dio crea ogni singola anima dal nulla,
congiungendola contemporaneamente alle cellule dei genitori unite dall’atto
generativo, così da formare quell’unità che è l’uomo” (K. Rahner - H. Vorgrimler:
“Dizionario di Teologia” - TEA, Milano 1994, p.158).
Con ciò dimostrano di credere nell’immortalità ma non nell’innatalità che, anzi, considerano “eretica”. La loro conoscenza è però incompleta, anche se parlano di immortalità per fede.
Infatti “l’immortalità è solo la metà dell’eternità; è il perdurare dell’istante attuale verso tutta l’eternità. Noi oggi non abbiamo nessuna parola, come invece esisteva in gradi di conoscenza di tempi antichi, che aggiunga all’immortalità l’altra metà dell’eternità: il non esser nati. Infatti l’uomo è tanto immortale quanto non-nato, cioè mediante la nascita egli passa dal mondo spirituale nell’esistenza fisica così come mediante la morte entra di nuovo dal mondo fisico in un’esistenza spirituale. In questo modo si viene a conoscere la vera essenza spirituale dell’uomo che passa attraverso nascita e morte, e solo allora si è in grado di comprendere l’uomo nel suo complesso” (R. Steiner: “Conoscenza antroposofica dell’uomo e medicina”, Milano, 1983, pp.149-150).
Steiner nelle sue conferenze fa spesso questa affermazione: “[…] non si può creare nulla dal nulla, ma ciò che è imperfetto può
essere trasformato in perfetto” (R. Steiner, "Le condizioni necessarie per
l'educazione occulta", in "L'iniziazione", Milano, 1983, p.91).
“Solo quando si riconquisterà l’idea sintetica che è effettivamente
impossibile che dal nulla nasca qualche cosa, ma che una cosa può venir
trasformata in modo da perire mentre un’altra ne sorge, solo allora si sarà
guadagnato qualcosa di fecondo nel campo delle scienze” (Antropologia prima parte dell’opera ("Arte
dell’educazione", Milano 1991, pp. 58-59). “Le entità arimaniche (leggi
“economicistiche” o “mefistofeliche” - nota di Nereo Villa) hanno già ottenuto molto in
quest’ambito. Infatti, nascendo o venendo accolti nell’esistenza fisica, noi
discendiamo da mondi animico-spirituali e ci contorniamo di materia fisica.
Tuttavia, essendo la civiltà attuale stata conformata dalla consuetudinarietà
delle religioni tradizionali, dalle quali la preesistenza è stata sempre più
denunciata come eretica, tale esistenza prenatale nel regno animico-spirituale
potrebbe essere dimenticata. Si vuol far cominciare l’uomo con la nascita e il
concepimento fisici, aggiungendovi poi solo quel che vi è dopo la morte. Se
questa fede nel solo stato del post mortem non fosse mai respinta, se fosse
l’unica ad avvincere l’umanità, le entità arimaniche avrebbero vinto” (R.
Steiner, “La responsabilità dell’uomo per l’evoluzione del mondo”, Milano 2002,
vol. II, pp.174-175).
Coloro che in base ad insegnamenti confessionali sono convinti che Dio crei ogni
singola anima dal nulla fanno cominciare l’uomo con la nascita e col concepimento fisici.
Sono creazionisti, che si rifugiano nel
creazionismo perché incapaci di affiancare alla concezione evoluzionistica
della natura una concezione evoluzionistica dell’attività interiore (della
“anima”), integrando la prima con
la seconda.
Al riduttivismo dell’evoluzionismo materialistico, che pretenderebbe, negando lo
spirito, di spiegare l’evoluzione dell’anima con quella del corpo, costoro non
oppongono dunque una concezione capace di affermare l’io (lo spirito), dando
ragione ragione in due modi differenti, a due
livelli evolutivi: quello del corpo e di quello dell’anima,
bensì pongono (proiettano) lo spirito in Dio (nella trascendenza) affidando poi a
Dio il compito di creare ogni volta dal nulla la singola anima umana.
La creazione è infatti per i teologi in generale e soprattutto per Rahner e per Vorgrimler
“l’inizio di ciò che prima
non era, l’originario inserimento di un ente nella sua evoluzione” (“Dizionario
di teologia”, op.cit., p.246).
Anche se ciò è insostenibile in quanto «impossibile ed assurda è la creazione ex
nihilo, ossia il cominciamento nell’essere di qualche cosa, il “passaggio” dal
non essere all’essere» (E. Severino, “Il mio scontro con la Chiesa”, Rizzoli,
Milano 2001, p.115), i cattolici preferiscono permanere nel dadaismo fideistico
del creazionismo, senza minimamente rendersi conto che «è invero più plausibile
che Dio abbia creato l’uomo, non dal “nulla”, ma da “Sé”, e che quindi l’“essere” - come sostiene Severino - discenda dall’ESSERE, e non dal
NON-ESSERE» (F. Giorgi, “Innatalità e immortalità”, Osservatorio scientifico
spirituale).
Rispetto alla clericale concezione creazionistica, quella di Steiner è, mutatis
mutandis, emanazionistica, per quanto condannata dalla chiesa cattolica
(condannata in quanto assimilata al panteismo, cfr. “Dizionario di teologia”,
op. cit., p.220).
Ma cosa intendono Rahner e Vorgrimler nel loro “Dizionario" quando parlano di
“inserimento di un ente nella sua evoluzione”? Cos’è un “ente”? Un io?
Un’essenza? Un’entità spirituale? O cos’altro? Ed il suo inserimento
nell’evoluzione è limitato al tempo che va dalla nascita alla morte, o va al di
là di questi due limiti naturali?
Rahner e Vorgrimler scrivono: “È necessario partire dal principio che Dio con la
creazione pone la creatura nella possibilità di autoperfezionarsi e gliene da’
le condizioni necessarie, in modo che in linea di massima non si deve ammettere
che Dio crei ciò che può conseguire invece tramite l’evoluzione immanente della
creatura” (ibid., p.246).
Ciò implicherebbe allora una domanda: quelle “condizioni necessarie” delle quali parlate sono una vostra mera astrattizzazione fuori dal tempo oppure assieme alla creatura, che grazie a
quell’ente dovrebbe “autoperfezionarsi”; insomma tali condizioni rientrano concretamente
nello spazio e nel tempo? Non potete qui permanere nell’astratto. E
necessariamente dovrete pensare ad uno spazio e ad un tempo concreti, se non
vorrete ritenere plausibile che un “ente”, indipendente - per vostra definizione
- dal tempo e dallo spazio, e a questi sovraordinato, sia in grado di “autoperfezionarsi” o di
“divenire - per dirla con Nietzsche - ciò che è”, nello
spazio e nel tempo di una sola vita terrena!
Insomma, questo “ente”, cioè l’io, occorrerebbe conoscerlo, sperimentarlo, non
limitarsi solo a nominarlo. Solo così se ne riconoscerebbero concretamente la
natura e la forma, cioè la sua fisionomia spirituale…
“Come la specie, in senso fisico, risulta comprensibile solo se si considera
condizionata dall’ereditarietà, così anche l’entità spirituale può venir
compresa soltanto attraverso una analoga ereditarietà spirituale. Posseggo la
mia figura umana fisica perché discendo da antenati umani. Da dove traggo quello
che si manifesta nella mia biografia? Come uomo fisico, io ripeto la figura dei
miei antenati. Che cosa ripeto come uomo spirituale? […] Come uomo fisico,
discendo da altri uomini fisici, poiché ho la stessa figura dell’intera specie
umana. Le qualità della specie, posso dunque, entro la specie, averle acquisite
per eredità. Come essere spirituale invece, ho la mia propria figura, come ho la
mia propria biografia. Questa figura non posso quindi averla se non da me
stesso. E poiché sono entrato nel mondo non con attitudini animiche vaghe, ma
precise, e il decorso della mia vita, quale si esprime nella mia biografia, è
determinato da quelle attitudini, il mio lavoro su me stesso non può essere
cominciato con la nascita. Come uomo spirituale, devo essere esistito PRIMA
della nascita. Nei miei antenati non sono certamente esistito, poiché, come
uomini spirituali, essi sono diversi da me. La mia biografia non è spiegabile
con la loro. Come essere spirituale devo, anzi, ripeterne un altro la cui
biografia spieghi la mia” (“Teosofia”, op. cit. p. 51).
Nel corso della vita umana la sua tricotomia "corpo, anima e spirito" si articola così: «Il corpo soggiace alla legge dell’ereditarietà; l’anima soggiace al destino che si è creata [da se stessa - nota di Nereo Villa] (e che si chiama, con un’antica espressione, “karma”), e lo spirito sta sotto la legge della “reincarnazione”, delle ripetute vite terrene» (“Teosofia”, op. cit. pp.63-64).
“Molto prima di entrare nell’esistenza fisica, un uomo è già in un legame misterioso con tutti i suoi antenati” (R. Steiner, “Vita da morte a nuova nascita” - Psiche, Torino 1997, p. 145).
È dunque l’io del nascituro a trovare e avvicinare i genitori adatti, e ad aspettare il concepimento, così che questi gli offrano la sostanza necessaria alla sua incarnazione, cioè l’embrione, così come uno scultore ha bisogno di marmo per la sua scultura.
Anche le fasi embriogenetiche si articolano in tre: “L’embriogenesi umana è
vista oggi in tre fasi. La prima fase copre circa le prime tre settimane e
comprende lo sviluppo delle membrane embrionali dell’uovo fecondato, senza che
durante questo periodo emerga alcuna forma umana riconoscibile. La seconda fase,
che dura quaranta giorni, fino alla fine del secondo mese, è quella embrionale
vera e propria, durante la quale l’embrione sviluppa gradualmente la sua forma
umana, con testa, tronco, arti e tutti i suoi organi, sebbene sia solo più lungo
di un pollice (2, 54 cm.). La terza e ultima fase, che copre i rimanenti sette
mesi, fino al parto, la fase fetale, è soprattutto una fase di crescita e di
ulteriore differenziazione” (T. J. Weihs, “Embriogenesi”, Milano 1991, pp.
67-68).
Nella prima fase, l’io del nascituro si appropria della materia vivente e
indifferenziata di cui ha bisogno per incarnarsi. Nella seconda, incomincia ad
elaborare indirettamente l’embrione per trasformarlo in un feto: «L’effusa
spirituale “gestalt” umana che, al momento del concepimento, si unisce col
germe spirituale nell’uovo, nella seconda fase embrionale evolve nella effettiva
forma umana» (ibid. p. 99). Durante questa fase, l’io del nascituro si unisce
pertanto a quella stessa forma di specie umana che in seguito - nella terza e
ultima fase, quella fetale, che continuerà poi fino al cambio dei denti, dunque
fino alla fine dei primi sette anni dopo la nascita - provvederà incessantemente
a sviluppare, differenziare e a individualizzare ma direttamente.
“Col settimo anno è concluso il processo formativo. Quello che si verifica in
seguito è soltanto un ingrandirsi di ciò che, in relazione alla forma, è già
disposto” (R. Steiner “Vita da morte a nuova nascita”, op. cit. p. 119).
«L’io umano (nella sua ordinaria veste di ego) comincia a venire alla luce
(insieme all’anima senziente) nel corso del quarto settennio (vale a dire tra i
21 e i 28 anni), e che quindi il suo portatore, fino a tale età, non è ancora un
“uomo” (ma che è anzi - come direbbe Severino - un “non-uomo”)» (E. Severino,
“Uomini e non-uomini”, 13 dicembre 2004, in “Innatalità e immortalità”, op.
cit.).