CONVIVERE

ovvero

PER UN PERDONO RESPONSABILE

LA RICONCILIAZIONE

È SEMPRE POSSIBILE MA…

 

 

 

In merito ai concetti di perdono e di responsabilità nella relazione tra vittima e colpevole, propongo in questo tempo di terrori, la lettura di questa pagina dell’ex magistrato Gherardo Colombo. Si tratta di una relazione di un avvocato, Han Lex, riportata e commentata dall’autore. Lex, “avvocato di lunga esperienza”, fu membro della Commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione, istituita per tentare di riconciliare il paese dopo la fine dell’apartheid, dal marzo 1998 fino a maggio 2001, quando la Commissione si sciolse. Nel maggio 2005 aveva raccontato la sua esperienza in un convegno dell’Università dell’Insubria, a Como.

 

Anche se la situazione odierna circa i gravi problemi fra l’Oriente e l’Occidente (che li ha causati), è diversa, credo che essa abbia la stessa radice: le due parti, Occidente ed Oriente, non hanno mai compreso o non hanno mai voluto comprendere i punti essenziali della questione sociale, rilevati da Rudolf Steiner all’indomani della fine del primo conflitto mondiale, ed esposti nel suo libro “I punti essenziali della questione sociale” (http://www.file-pdf.it/2015/07/19/rudolf-steiner-i-punti-essenziali-della-questione-sociale/) al fine di scongiurare altri eventi bellici mondiali, simili a quella prima catastrofe.

 

Quanto segue riguarda - mi pare - non la concezione mafiosa di un diritto di Stato ma, viceversa, ciò che dovrebbe competere alla giustizia secondo uno Stato, concepito come Stato di diritto. Oggi questa funzione (Stato di diritto) appare in tutto l’Occidente del tutto compromessa, cioè bloccata nella sua funzione di cuore dell’organismo sociale. Questo blocco è causato da una perdita della coscienza dell’unità che, per sua natura può solo conseguire e non forzosamente precedere, la triarticolazione dell’organismo sociale nei sui rami culturali, nelle sue radici economiche, e nel suo essere giuridicamente sempreverde, cioè non anacronistica ma in costante armonia con lo spirito del tempo.

 

Ecco le parole di Lex, citate da Colombo:

 

“Gli obiettivi della commissione possono essere riassunti come segue: 1. Procedere a una dettagliata ricognizione di natura, estensione e cause delle violazioni dei diritti umani che si verificarono in Sudafrica nel periodo 1960-1994, e documentare il contesto nel quale queste violazioni si sono verificate; 2 Individuare persone, istituzioni, organizzazioni, partiti politici, ecc., responsabili di tali violazioni: 3. Fornire alle vittime un palco pubblico per far sentire le loro ragioni e permettere loro di riguadagnare la dignità; 4. Suggerire al governo come prevenire future commissioni di un gran numero di violazioni dei diritti umani; 5. Suggerire al governo le misure da adottare per riparare e riabilitare le vittime delle violazioni dei diritti umani; 6. Facilitare la concessione di amnistia ai singoli autori delle violazioni. Così, il più importante lavoro è stato quello di tenere pubbliche udienze in ogni regione, per permettere alle vittime di raccontare le loro storie, investigare sulle denunce di numerose violazioni, ricevere dai colpevoli richieste per l’applicazione di amnistia e tenere pubbliche udienze per l’amnistia [...]. La giustizia riparativa è un nuova idea nel campo della vittimologia e della criminologia. Consapevole che il crimine causa danni a persone e comunità, essa sostiene che la giustizia debba riparare quei danni e che alle parti debba essere permesso di partecipare al processo. I programmi di giustizia riparativa, perciò, consentono alla vittima, all’accusato e ai membri della comunità interessati di essere direttamente coinvolti nella risposta al crimine. Essi diventano centrali nel processo criminale, Stato e professionisti legali diventano facilitatori di un sistema che tende alla responsabilizzazione dell’accusato, riparazione alla vittima, piena partecipazione da parte della vittima, dell’accusato e della comunità […]. Nel campo dei difficili e sensibili temi come le violazioni dei diritti umani, spesso commesse in segreto e anni prima, può essere controproducente sottoporre le vittime ad ulteriori traumi da parte dei legali nel processo, mentre la commissione può offrire una sede più appropriata per questo genere di questioni [...] sebbene molte delle conseguenze basate sul sistema giudiziario siano presenti in vari livelli nei processi della commissione, le sanzioni sono di natura diversa rispetto alla punizione per se stessa: i colpevoli vengono posti sotto la pubblica attenzione e le loro azioni passate diventano oggetto della consapevolezza pubblica; in molti casi le persone che conoscono i colpevoli, ma che non si sono mai rese conto della loro partecipazione ai fatti, possono venire informate delle loro attività passate [...] raccontare la verità ha avuto un profondo effetto sulla nazione in generale. Pochissime persone non sono state coinvolte in un modo o in un altro nei vari processi della commissione. Questi hanno assunto un profilo pubblico e per la gran parte di due anni e mezzo hanno ricevuto un’estesa copertura radiotelevisiva e della stampa [...] molte persone sono state profondamente toccate dai lavori della commissione [...]. È la ricognizione della “verità” delle loro esperienze che offre alle vittime una effettiva base per la restaurazione della loro dignità. Negare a una persona la realtà della sua esperienza è un abuso rilevante che va al nucleo, all’essenza di quella persona. Poter lenire quell’abuso offre alla persona una strada per riguadagnare la sua dignità [...]. La riconciliazione non è un evento. È un processo. È un lungo e difficoltoso viaggio che può talvolta finire in modo abbastanza rapido per alcuni o durare secoli per altri. Spesso significa cose diverse per popoli diversi [...] la commissione ha rappresentato solo uno dei “pilastri di trasformazione” richiesti per aiutarci a muovere la società sudafricana dal passato profondamente diviso con le sue manifeste disuguaglianze a un futuro fondato sulla cultura dei diritti umani e del rispetto reciproco. Ciò richiede una trasformazione a qualsiasi livello, politico, sociale strutturale, economico ed ambientale. La riconciliazione senza questa trasformazione è una nozione senza significato finché le vittime e la maggioranza dei sudafricani continuano a vivere in condizioni non molto migliori di quelle del passato. Il processo di riconciliazione deve continuare ad andare di pari passo con questi altri aspetti d trasformazione [...]. Se questo discorso può svilupparsi passo dopo passo con le necessarie trasformazioni richieste per costruire un ponte tra un passato diviso, repressivo, conflittuale e un futuro migliore, la riconciliazione e il rispetto dei diritti umani seguiranno sicuramente” (in “Pena, Riparazione e Riconciliazione”, a cura di G. Mannozzi e F. Ruggeri, IUP, Varese 2007, si può leggere l’originale inglese).

 

Colombo continua: «Lex rileva che “benché la riconciliazione fosse una parte dei punti della commissione, molti dei critici della commissione si sono lamentati che questa ha fallito non raggiungendola. Io non credo che spettasse alla sola commissione di produrre la riconciliazione [...] il nostro ruolo è stato quello di facilitare a fianco di altri l’inizio del processo. È compito e responsabilità della società nel suo complesso farsi carico del processo e continuarlo”. Se quindi il percorso per giungere alla definitiva riconciliazione non è ancora concluso, va però rilevato che il lavoro della Commissione ha evitato una guerra civile che pareva altrimenti inevitabile, mostrando così la praticabilità di una via alternativa all’applicazione della pena retributiva».

 

Dice bene Han Lex quando afferma che “È compito e responsabilità della società nel suo complesso farsi carico del processo e continuarlo”. Però né Lex, né Colombo sembrano accorgersi che tale “farsi carico” è impossibile. Perché questo compito di riconciliazione delegato da Lex all’organismo sociale, astrattamente da lui chiamato “Società”, può attuarsi solo nella misura in cui esso non sia bloccato nel suo agire da un diritto di Stato che anziché occuparsi di giustizia, estenda forzosamente le sue competenze alle economie ed alle culture degli individui, manipolandole e per forza di cose, distruggendole, come avvenne nella seconda guerra mondiale, e come oggi sta ancora avvenendo.