I 130-132: lo Stato nasconde col diritto la politica di potenza
Osservando grandi complessi economici ci si
forma un'idea di come concetti di dominio e di forza, talvolta sotto la
maschera del diritto [il
grassetto è mio - ndc],
si esplichino di regola nel modo più energico quando si tratta di aprirsi
l'accesso alle fonti delle materie prime. Lo si può studiare su vasta scala
nella guerra contro i Boeri, dove si trattava in sostanza d'aprirsi la via
ai metalli preziosi. Quella è stata una vera guerra per la conquista di
materie prime, sebbene tale suo aspetto sia stato sempre alquanto
mascherato. Poi, un esempio di come la vita economica, con sistemi politici,
s'insinui nel campo politico, nella volontà di potenza, si ha nella
guerra intrapresa dal Belgio per ottenere l'avorio e la gomma del Congo.
Anche qui si può vedere come nell'economia ci si conquisti l'accesso alle
fonti delle materie prime. Così pure lo si osserva nel modo in cui gli Stati
Uniti si sono impadroniti dei possedimenti spagnoli dell'india occidentale,
per appropriarsi delle fonti dello zucchero. Dovunque possiamo vedere
come la ricerca delle materie prime spinga l'economia pura alla politica,
all'esercizio della forza. Questo è uno dei lati, uno dei due
respingenti.
Diverso è il caso per quanto riguarda la
ricerca dei mercati. Si può dimostrare con facilità, anche storicamente, che
la ricerca dei mercati non porta allo stesso modo verso la vita politica.
Qui lo sviluppo della potenza non avviene nella stessa maniera, per impulso
della natura umana. Grosso modo, si può trovarne un esempio nel secolo
diciannovesimo quando l'Inghilterra conquistò il mercato cinese dell'oppio,
nella cosiddetta guerra dell'oppio. Anche qui tuttavia la guerra non fu
tanto facile, e ci mise lo zampino anche la politica di pace. Quando infatti
l'affare prese odor di bruciato, si trovarono ben 141 medici i quali
dichiararono perizialmente che l'uso dell'oppio non ha conseguenze più
dannose del tabacco e del te! Qui dunque fece il suo gioco la politica di
pace. La politica è comunque sempre difficile a tenersi lontana!
Se osserviamo l'altro "respingente", la ricerca
dei mercati, dobbiamo dirci: qui ha una parte essenziale l'accortezza umana
fra i poli della scaltrezza e del saggio governo economico. Tutte e tre
queste qualità hanno molta parte nell'organizzare i mercati, specialmente
quali li organizzarono le grandi sfere economiche che divennero esse
medesime Stati, dopo che la politica si fu congiunta con l'economia; gli
stessi Stati spiegarono in questo campo gran copia sia di saggezza
direttiva, sia di scaltrezza, prudenza, furberia e così via. Se quindi
vogliamo formarci dei concetti, relativamente ai singoli campi economici
minori, sui collegamenti fra le singole imprese industriali e i loro
rapporti con le sorgenti delle materie prime e coi mercati, non potremo
veramente arrivare a formarceli in modo evidente se non considerando le cose
molto in grande.
Se si vuol comprendere la funzione del capitale commerciale, sarà bene studiare l'Inghilterra, e specialmente l'epoca in cui questo paese realizzò il suo grande progresso economico mediante il commercio, attraverso il quale il capitale commerciale fu sempre aumentato, sicché il paese entrò con tranquillità e gradatamente nell'industrialismo moderno. Allora, quando l'industrialismo trasformava ogni cosa, l'Inghilterra già possedeva il proprio capitale commerciale; così per epoche più antiche si può studiare in Inghilterra il capitale commerciale. Per epoche più recenti, specialmente Marx volle studiare in Inghilterra la funzione economica dell'industrialismo: ma se risaliamo ad epoche più remote, che appunto precedettero la creazione del moderno industrialismo, cioè agli ultimi decenni del secolo diciottesimo, constatiamo la funzione del capitale commerciale in modo del tutto particolare nelle vicende economiche inglesi. Qui bisogna proprio dire che in ultima analisi, in modo più o meno manifesto o larvato, tanto nell'economia sociale in grande, allorché si fonda specialmente sul commercio, quanto in seno al commercio stesso, l'essenziale è sempre la concorrenza. Questa, avendo accolto in sé ogni sorta di concetti d'onorabilità, potrà fors'anche essere molto corretta; ma resta sempre concorrenza. Infatti, ciò su cui si fonda la produttività nel commercio, ciò per cui proprio il capitale commerciale può essere trattato nel processo economico così da diventare attivo, per esempio, come capitale industriale, poggia in ultima analisi sul fatto che il capitale commerciale porta all'accumulo e che l'accumulo non è concepibile senza la concorrenza. Si potrà dunque studiare in modo molto favorevole la funzione del capitale commerciale tenendo presente la funzione della concorrenza nella vita economica.
Con questi fatti sono però collegate al tempo stesso anche le metamorfosi
storiche. Si può proprio dire che, considerando come una totalità l'economia
mondiale che andava sorgendo a poco a poco (ed era a carattere spiccatamente
mondiale prima della guerra) [1ª
guerra mondiale - ndc]
fino al primo trentennio del secolo diciannovesimo i processi economici del
commercio e dell'industria avevano la parte dominante nella vita economica.
Il periodo fiorente, direi quasi il periodo classico del capitale di
prestito, subentrò veramente soltanto nel secolo diciannovesimo, e più
precisamente verso la metà del secolo. Con ciò è da registrare
nell'evoluzione storica il sorgere delle istituzioni che provvedono in
sostanza al finanziamento: le banche. L'epoca classica del capitale di
prestito, e con essa lo sviluppo dell'ente bancario, cade quindi nei due
ultimi terzi del secolo diciannovesimo e nei primi decenni del ventesimo. Di
pari passo con lo sviluppo dell'istituzione bancaria, procede con sempre
maggiore intensità quello del finanziamento, del prestito che s'inserisce
ormai nel processo economico come fattore primario. Ma in pari tempo si
manifesta un risultato del tutto peculiare, e cioè che, attraverso il
finanziamento in grande stile e l'espansione degli enti bancari, il dominio
[signoria, compreso il cosiddetto "signoraggio
bancario" o monetaggio iniquo delle banche emittenti -
ndc] sulla circolazione monetaria si sottrae all'uomo, ed il processo di
circolazione del denaro diviene a poco a poco tale da svolgersi (non trovo
altra espressione) impersonalmente
[oggi viviamo appunto nell'epoca di tale
monetaggio iniquo; iniquo in quanto "consapevolmente impersonale", quindi
nell'epoca della massima e disumana selvatichezza della creazione dei soldi
dal nulla, che attende essere addomesticata dall'umano, cioè dall'essenza
che fa dell'uomo un uomo e che l'uomo deve saper ritrovare in sé -
ndc]
[...].