2017 - Pasqua per la risurrezione della scienza

 

 

 

Io attribuisco le dinamiche dell’attuale antilogica einsteiniana non solo a tutta la fisica e in generale alle scienze, ma per conseguenza, a tutta la cultura dell’obbligo, all’economia, ed alla politica del pianeta. Pertanto, proprio per la crisi che queste dinamiche generano, l’antilogica è destinata a trasformarsi in logica di realtà, cioè non meramente astratta ma connessa ai fatti reali. È destinata a questa trasformazione nella misura in cui si voglia superare la crisi del pianeta.

 

 

 

Esempi di logica di realtà:

- «Anche se la mia vita di oggi è collegata alla giornata di ieri, io posso dire che oggi NON È ieri e che domani NON SARÀ oggi»;

- altro esempio: «anche se il mio presente è il risultato del mio passato, posso dire che il passato NON È il presente e che il presente NON È il futuro», e così via.

 

Esempi di antilogica o di logica astratta:

- «Il passato non è l’esser ormai nulla e il futuro non è l’esser ancor nulla, così che il passato e il futuro esistono COME il presente» (E. Severino, "La legna e la cenere", Rizzoli, Milano 2000);

- altro esempio: «Tutto esiste UGUALMENTE passato, presente, futuro, e cioè tutte le cose, tutti gli eventi passati, presenti e futuri esistono insieme [...]. Il mondo oggettivo semplicemente “è”, non accade» (Luigi Fantappiè in Gregorianum. Commentarii de re theologica et philosophica editi a professoribus Pontificiae Universitatis Gregorianae - Rivista del PUG - Pontificia Università Gregoriana, Vol. XXXIII, 1952, Anno XXXIII).

- altro esempio: «L’Universo “è” e non “diviene”» (H. Weil in E. Severino, “La legna e la cenere”, op. cit.).

 

In questi termini di indifferenziazione fra presente, passato e futuro si esprimono tutti coloro che negano realtà al tempo, come Karl Popper (1902-1994), Hilary Putnam (1926 - 2016), e così via. L’antilogica (io la chiamo ANTILOGICA) trasformazione dei basilari concetti della fisica tentata da Einstein (1879-1955) non può che stimolare l’uomo sano verso un indirizzo del pensare del tutto diverso che, da astratto qual è, dovrà evolversi in concreto (pensare concreto).

 

Prima di Einstein, la fisica aveva sempre seguito i fenomeni che aveva di fronte pensandoli come disposti nello spazio (spazio tridimensionale e vuoto) e in corso entro un tempo unidimensionale. Lo spazio ed il tempo erano assunti come esterni alle cose ed ai processi, in quanto sussistenti in se stessi come dati (grandezze date). Dal lato delle cose, si misuravano le DISTANZE nello spazio. Dal lato dei processi si misurava la loro DURATA nel tempo. Secondo questa concezione, la distanza apparteneva allo spazio e non alle cose, mentre la durata apparteneva al tempo e non ai processi.

 

A tutto questo si contrappone l’antilogica della teoria einsteiniana che considera la distanza tra due oggetti come qualcosa di appartenente agli oggetti. Secondo questa teoria, le cose, a lato delle loro diverse altre proprietà, avrebbero anche la proprietà di trovarsi ad una determinata distanza fra loro. Fuori da queste reciproche relazioni, lo spazio non esisterebbe neanche, cioè non vi sarebbe alcun luogo sussistente come spazio, il quale quindi non sarebbe un ente ma sarebbe un niente. Dunque lo spazio fu pensato da Einstein non come una cosa fra le cose, ma come un niente fra gli enti. Ed è proprio in questo punto del ragionamento che il ragionamento diventa SRAGIONAMENTO, in quanto mancante di connessione coi fatti della vita reale. Il fatto incomincia a diventare misfatto a partire dalla mancata rispondenza con la realtà. Nella realtà un tavolo non è meno tavolo se non dista da qualcosa. Allo stesso modo un ente non è meno ente, cioè un niente, se non dista da altri enti. Io infatti posso parlartene, PROSPETTANDOTI tanto l’ente “tavolo”, quanto ogni altro ente che posso riferire al tavolo, la “distanza” dal “muro”, il “muro”, l’“altezza”, il “peso”, lo “spazio”, ecc.

 

La PROSPEZIONE di un concetto non va però confusa col concetto. Prospettare un concetto significa presentarlo, indicarlo, mostrarlo, delinearlo, proporlo, sperimentarlo. Dunque il contenuto del concetto di “prospettare” non c’entra nulla col contenuto del concetto dell’oggetto prospettabile. Dunque il concetto e la sua prospezione dialettica sono due entità essenzialmente diverse. La follia incomincia con l’assunzione di una cosa per l’altra senza discernimento della loro differenza. Allora nella follia l’ente diventa un niente e viceversa. Non si distingue più fra rappresentazione e concetto, così come non si distingue fra prospezione dialettica di un’idea e l’idea.

 

Osservando la differenza tra il prima e il dopo l’avvenimento dell’antilogica che oggi domina le coscienze anche fuori dal campo scientifico (cioè non solo nella cultura ma anche nell’economia e nel diritto) si possono notare alcune cose interessanti.

 

I “metri” della geometria misuravano la terra. In tale contesto, per progettare la costruzione di un edificio, si partiva per esempio dallo spazio delle fondamenta. Ammettere uno spazio, rendeva infatti possibile una geometria pensata per lo spazio stesso. In tal modo questa geometria-per-lo-spazio poteva essere poi applicata al mondo delle cose. La geometria si attuava nella mera sfera del pensare, e le cose dovevano ubbidire a tali attuazioni geometriche. Così tutti i processi del mondo seguivano di fatto leggi astrattamente dedotte dall’uomo PRIMA dell’osservazione delle cose e INDIPENDENTEMENTE da queste.

 

Con la teoria della relatività, questa geometria è deposta dal suo trono. In base a tale teoria sussistono solo le cose, e queste stanno una verso l’altra in rapporti reciproci che si presentano come geometria. La geometria diventa perciò una parte della fisica. Quando però si stabilisce che gli enti non hanno un posto qualsiasi nello spazio, ma solo distanze in relazione ad altri enti, non è più lecito dire che le leggi della geometria si possono rilevare PRIMA di osservare le cose.

 

Per vedere l’incongruenza di questo modo di pensare basterebbe dare un’osservazione molto semplice: basterebbe osservare come fu costruito il grande edificio dell’Unione Europea (o UE) partendo non dalle fondamenta ma dal tetto economico (l’euro), cioè dalla pecunia, che invece avrebbe dovuto costituire il risultato finale dell’unione dei popoli europei, e che perciò oggi è in crisi continua, a meno che si cambiano le abitudini di pensiero.

 

Un eguale criterio antilogico fu assunto per il tempo. I sedicenti scienziati incominciarono a rappresentarsi i processi dei fenomeni collocati NON PIÙ nei loro determinati momenti, bensì a date distanze di tempo da altri processi. Assumendo questo modo di rappresentarsi i processi, le distanze temporali fra le cose corrono l’una in rapporto all’altra, e quelle spaziali in analoga reciprocità. Il tempo diventa così una quarta dimensione, a lato delle precedenti tre dimensioni dello spazio. In tal modo lo svolgersi di un evento può essere oggettivamente determinato solo in quanto si verifica ad una certa distanza di tempo e di spazio da altri processi, ed il movimento di un oggetto diventa un fatto pensabile solo in relazione ad altri oggetti.

 

Ma cosa succede? Oggi (anno 17° del terzo millennio) si crede fideisticamente che solo questa concezione possa fornire spiegazioni ineccepibili per certi processi fisici, i quali invece, accettando uno spazio e un tempo esistenti in sé (com’erano prima), indurrebbero ad un pensare incoerente. Si consideri inoltre che la maggior parte dei sedicenti scienziati è oggi convinta che ciò che ha valore vero (reale valore) nella scienza sia solo quanto possa essere matematicamente rappresentato. In pratica la formula “2-1=1” vale oggi non più come rappresentazione del fatto naturale che se di due mele se ne mangia una si rimane con una sola mela, ma come rappresentazione del fatto che “2” ed “1” sono dipendenti dalla - cioè RELATIVI alla - convenzione dell’unità di misura usata. Anche la matematica diventa così un’opinione RELATIVA al sistema di riferimento usato (per esempio, decimale, duodecimale, sessagesimale, ecc.). Nella premessa del mio libro “Il sacro simbolo dell’arcobaleno” ho già mostrato la distinzione fra unità di misura e unità aritmetica. Questa distinzione la potete trovare dappertutto, non c’è bisogno di comprare il libro. È importante! Perché, senza la necessaria distinzione fra unità di misura e unità aritmetica, l’uomo non potrà liberarsi della trappola in cui si è imprigionato.

 

Scrive Rudolf Steiner: “La teoria della relatività implica […] nientemeno che l’invalidazione e l’annullamento di ogni autentica scienza riguardante la natura. Il carattere scientifico della matematica, infatti, si ravvisava proprio nel fatto che la matematica poteva determinare le leggi dello spazio e del tempo INDIPENDENTEMENTE dall’osservazione della natura. Ora, al contrario, sono gli oggetti ed i processi naturali stessi che devono determinare i rapporti di spazio e di tempo. Essi devono produrre il fattore matematico. L’unico elemento certo è abbandonato alla loro incertezza. Nel quadro di questa concezione, dal rapporto tra l’uomo e la natura è esclusa ogni idea di un elemento reale che si dia in se stesso la propria determinazione nell’esistenza. Tutto è solo in relazione ad altro. Se continuerà a considerare se stesso nel quadro degli oggetti e processi della natura, l’uomo - continua Steiner - non potrà sottrarsi alle conseguenze di questa teoria della relatività. Ma se, come gli è necessario per sperimentare il suo proprio essere, non vorrà perdersi in una mera relatività come in un’impotenza psichica, allora potrà cercare d’ora in poi l’“in-sé-reale” non nell’ambito naturale, ma elevandosi al di sopra della natura nel regno dello Spirito”. Queste cose le diceva proprio massimo di grandissimo successo di Einstein. E continua: “Per quanto riguarda il mondo fisico, alla teoria della relatività non si sfuggirà; ma proprio per questa ragione si verrà spinti verso la conoscenza spirituale. La teoria della relatività”, continua, “ha una sua importanza perché dimostra la necessità di una conoscenza dello spirito cercata in una via spirituale, indipendentemente dall’osservazione della natura. Il fatto che essa obbliga a pensare così, determina il suo valore nello sviluppo della concezione del mondo”. Questo lo trovate nel 2° vol. di “Gli enigmi della filosofia” (R. Steiner, “Gli enigmi della filosofia”, vol. 2°, p. 193-4, Ed. Tilopa, Roma 1997).

 

Certamente il sedicente scienziato odierno appena sente la parola “spirito” sente una specie di fastidio che gli fa… sente una specie di eritema che gli prude nel cervello… Si gratta in testa. Questo è proprio lo scienziato tipico che crede di essere uno scimmione... Quindi devo spendere ancora due parole su questo concetto (sul concetto di spirito). E voglio dire subito: stai tranquillo scimmione! Lo spirito qui inteso non è altro che l’immateriale capacità, presente in ogni uomo, di auto-presentarsi sempre di nuovo di fronte al mondo, dicendo “io”! Per esempio io ti dico: “Scimmia!”. E allora tu ti incazzi e rispondi: “Guarda che io non sono una scimmia, sono un uomo!”. Lo spirito umano, l’io umano, è quindi anche l’autodifesa da ogni errata rappresentazione di sé o di qualsiasi altro oggetto di percezione, sensibile o sovrasensibile.

 

Un esempio di oggetto di percezione sensibile è la terra. Quando l’immagine che gli antichi si facevano della relazione della terra col sole (e con gli altri corpi celesti) incominciò a non andare più d’accordo con certe altre immagini percettive prima sconosciute, Copernico dovette sostituirla con un’altra, e dal geocentrismo si passò all’eliocentrismo. Questo è un esempio di oggetto di percezione SENSIBILE. Un esempio di oggetto di percezione SOVRASENSIBILE è il pensare. Il pensare chi lo vede? Quando mi accorgo che i concetti, le immaginazioni, le correlazioni fra loro, le idee, ecc., mi vengono, ALLORA so anche di non essere io il loro creatore, ma di essere come una specie di radar che le coglie, perciò diciamo più volentieri: “Mi è venuta un’idea” piuttosto che: “Ho creato un’idea”. Così è anche l’ispirazione: quando uno vuol fare una musica e non ha l’ispirazione non riesce. Puoi metterci tutta la forza di volontà che vuoi ma non ti viene, la canzone non la scrivi.

 

L’uomo primitivo (il sedicente scienziato di oggi ad esempio) si ritiene invece il creatore dei suoi concetti: crede quindi che ogni persona abbia concetti di sua proprietà. Ma è un pregiudizio, un gravissimo pregiudizio. Per il fatto di essere pensato da molti il concetto unitario di qualcosa non diventa una pluralità. Perché già IL PENSARE dei molti È UN’UNITÀ. Nel pensare ci è dato l’elemento che riunisce la nostra particolare individualità col cosmo, formando un tutto. Dunque se percepiamo o abbiamo sensazioni e sentimenti siamo singoli, quindi soggettivi: il mio sentire è il mio soggettivismo. Se invece pensiamo, siamo l’essere unitario o universale che tutto pervade.

 

Ma ritorniamo all’autodifesa. Il nostro io è un avvocato. L’avvocato vince la sua causa se si avvicina a quell’essere unitario che è il pensare umano (che è UNIVERSALE), se si avvicina all’universalità del pensare. Perché se procede attraverso il sentire, non è più un procedere attraverso l’universalità, ma attraverso il soggettivismo (che oggi viene detto “soggettivismo del pensare” ma è il soggettivismo del sentire). Dunque se arzigogola e gira intorno ai concetti senza mai sperimentarli davvero come sono, o mistificandoli, perde la sua causa, l’avvocato. Un esempio di “avvocato” perdente è la mistica, la teologia, la confessione religiosa o scientifica (perché è uguale: la confessione scientifica è come una confessione religiosa). Infatti i mistici, i teologi e i confessionali non seppero mai accogliere l’idea di SPIRITO DI VERITÀ, che chiamarono “paraclito” senza mai tradurne il significato. Ma “paraclito” significa AVVOCATO: il greco “parakletos” è l’equivalente esatto dell’italiano “avvocato”, o del latino “ad-vocatus”, “vocatus”, cioè chiamato a difendermi.

 

E qui bisognerebbe proprio rendersi conto (come fa, ad es.,  René Girard nel suo libro “Il capro espiatorio”, Ed. Adelphi, Milano 1987) che tutte le teologie (perfino quella del coraggiosissimo Girolamo, che urlava a più non posso per la sua fede, per la sua teologia) non videro la pertinenza di questo termine - “avvocato” cosa vuol dire? - e optarono sempre per la pura e semplice traslitterazione “paracletus”, che poi in italiano diventa “paraclito” o paracleto”. Il loro esempio fu scrupolosamente seguito nella maggior parte delle lingue moderne, per cui abbiamo “paraclito”!

 

Da allora in poi, questo misterioso vocabolo, con la sua opacità, non smise mai di mistificare se stesso, non a causa dell’inintelligibilità di un testo in verità perfettamente intelligibile ma a causa dell’inintelligenza degli interpreti, quella stessa che Cristo rimprovera ai suoi e che si perpetua, e spesso si aggrava, nei popoli evangelizzati, “gesuanizzati”, cattolicizzati, di coloro che nascono cattolici senza mai diventare cristiani; di coloro che parlano di diritto senza mai rendersi conto che, nascendo col civis romanus, cioè con la nascita di Roma, col fratricidio di Romolo che ammazza Remo e, col sequestro delle donne sabine (ratto delle sabine), il diritto è ANTICRISTIANO fin dalla nascita; e di coloro che parlano di econòmia scambiandola per economìa, cioè manomettendone gli accenti (vedi Etimologia di economia”).

 

Sul paraclito, comunque, esistono innumerevoli studi, ma nessuno da’ una soluzione soddisfacente, perché tutti definiscono il problema in termini strettamente teologici, cioè falsi. Teologici vuol dire falsi, perché la logica di Dio… Dio nessuno lo conosce, quindi non puoi farne una logica. La teologia non esiste! Come la pseudoscienza dogmatica di oggi.

 

Ecco perché dunque il significato del paraclito resta inaccessibile, e generalmente si finisce per concludere che, se è veramente avvocato di qualcuno, il paraclito deve farsi avvocato dei discepoli presso il Padre, risolvendo la questione con l Gv 2,1. Poi c’è il testo della tradizione giovannea che sempre fa del Cristo stesso un paraclito (Gv 14,16-17).

 

Cristo è l’io umano. Ovviamente non è l’egoismo ma è l’io superiore, che si innalza. Dopo l’evento del Golgota, lo SPIRITO DI VERITÀ accenderà in ogni essere umano la luce che fu già presente nel mondo, e che gli uomini, anzi, gli scimmioni intelligenti, cercarono, cercano, e cercheranno il più a lungo possibile di non vedere.

 

Oggi, se lo si vuol vedere, ogni uomo che usa la parola “io” ha come involucro protettivo del suo io proprio quell’avvocato, il paraclito, proveniente dall’alto. La stessa parola “alto”, AL, inizia con la radice di El, Elohim, Allah, nomi divini…

 

Dunque per non sbarazzarsi di lui, per non sbarazzarsi del paraclito, spedendolo devotamente nel trascendentale, il vero scienziato del futuro dovrà certamente rendersi conto che tale SPIRITO DI VERITÀ non potrà che essere lo SPIRITO SCIENTIFICO (ovviamente per una scienza NON da credere, come l’attuale, ma da sperimentare in sé).

 

L’uomo del futuro sarà avvocato di se stesso nelle scienze, nell’economia e nel diritto, quindi nella cultura, nell’economia e nel diritto.

 

Il paraclito è avvocato universale, preposto alla difesa di tutte le vittime innocenti, così come è il distruttore di ogni rappresentazione errata affinché questa diventi concetto o idea PER l’universalità del pensare, CON l’universalità del pensare e NELL’universalità del pensare.

 

Lo spirito di verità, colui che dissipa le nebbie di ogni mitologia, di ogni religionismo e di ogni pseudoscienza, è lo spirito scientifico che feconderà ogni scienza naturale.

 

Nereo Villa

Castell’Arquato febbraio 2017