Home Page Pagina Iniziale L 'angolo di Delphine Io, Delphine
LUCI ed OMBRE
parte seconda
Legata
alla quercia, pareva la parodia di una driade. Lunghe ciocche di capelli castani
le ricadevano disordinate sugli occhi spenti e sulle guance pallide; della
bellezza non rimanevano che sporadiche tracce. Il suo sguardo, dietro il quale
la fiamma della vita pareva essersi ridotta a poche braci, era sì carico
d’odio da riuscire a pietrificare un angelo.
Dylena rise e si fregò le mani soddisfatta. Le prime luci dell’alba
accesero riverberi di sangue tra i suoi capelli rossi. Presto il demone sarebbe
giunto ed avrebbe finalmente inferto il colpo di grazia all’odiata Fay Faber.
Con quanta trepidazione attendeva quel momento!Aveva desiderato la morte della
donna nell’attimo stesso in cui era venuta a conoscenza della sua relazione
col figlio. Owen, timoroso che la madre potesse far del male alla compagna,
l’aveva sempre protetta con tutti gli incantesimi di cui era a conoscenza. Era
anche per questo motivo che Dylena si era vista costretta ad evocare il padre di
Owen, il demone. Aveva convinto il figlio che fosse una buona difesa contro Gus
Van Helsing, ma tra i suoi piani, oltre alla distruzione naturalmente del
cacciatore di vampiri, era prevista anche la morte di Fay.
Volse
lo sguardo verso la rivale prigioniera delle corde magiche. I loro occhi, due
nocciola e due cremisi, si incrociarono per un istante, poi Fay tornò a fissare
il vuoto catturata da chissà quale incubo.
Una
mano le accarezzò il volto. La donna alzò gli occhi e, attraverso una coltre
di lacrime, scorse suo marito.
“Owen!”
implorò con voce rotta dall’emozione. “Aiutami!”
Il
parassita all’interno di lord Faber si soffermò ad osservare Fay con curiosità.
Eccola lì la donna che aveva fatto innamorare suo figlio (una creatura delle
tenebre!) e che lo aveva condotto verso la luce. Quanto pareva insignificante ai
suoi occhi centenari! Eppure, quella creatura era riuscita a far breccia nel
cuore nero ed avvizzito di un vampiro! Aveva infranto ogni regola. Peccato, pensò
il demone. Amare una creatura delle tenebre doveva aver reso la sua anima più
nera di quanto ella immaginasse. Un vero peccato. Quella di Fay Faber doveva
esser sicuramente stata candida come un giglio. Le anime pure avevano un sapore
dolce ed inebriante, ma erano così rare!
“Owen!”
chiamò nuovamente Fay. “Portami via, ti prego!”
Sul
volto pallido dell’uomo si accese un sorriso maligno.
“Non
puoi andartene, mia signora. Anche i vampiri hanno il diritto di nutrirsi.”
Esclamò con voce madida di crudeltà.
Fay
impallidì ulteriormente. Suo marito pareva non averla riconosciuta.
“Owen,
amore mio, sono Fay. Sono tua moglie! Cosa sta succedendo?”
Il
demone sentì l’eccitazione crescere dentro di lui di fronte a cotanta
disperazione. Chiamò Dylena. La
strega si avvicinò rapidamente, ebbra di soddisfazione. La sabbia nella
clessidra di Fay Faber stava per terminare. Ad un gesto del suo signore, Dylena
si sfilò la tunica nera bordata d’argento e, completamente nuda, prese a
strusciarsi languida contro di lui.
Fay
chiuse gli occhi. Doveva esser di nuovo sotto l’influsso di un orribile
incantesimo. Quello non poteva essere l’uomo che lei aveva amato. Altre
lacrime si lasciarono morire sulle sue guance.
“Guardami!”
esclamò furioso il demone.
Fay
aperse gli occhi incapace di resistere ai suoi comandi. Il cuore esplose in una
miriade di schegge dinanzi allo spettacolo che le si presentò. Suo marito stava
brutalmente prendendo la strega. Le altre cinque megere battevano le mani e
cantilenavano parole arcane. Ricordi romantici e passionali, ricordi dolci e
felici si dissolsero uno dopo l’altro come tante bolle di sapone. Distolse lo
sguardo. Il dolore era tale da toglierle il respiro. Gridò. La sua voce carica
di disperazione sovrastò i gemiti feroci delle due creature avvinghiate ed il
salmodiare delle streghe. Suo marito si staccò improvvisamente dalla strega e
si avvicinò. Le cinque megere si affrettarono ad allontanare il corpo svenuto
di Dylena dal demone.
“Cosa
ne pensi?” sussurrò il demone sfiorandole un orecchio con labbra roventi.
Un
brivido la scosse.
“Perché?
Perché mi fai questo?” rispose fra le lacrime. “Io ti ho sempre amato…”
Il
suono della risata di Owen le parve orribile.
“Owen,
ti scongiuro!” Singhiozzò. “Portami a casa!”
Il
demone si stava divertendo. Non l’avrebbe uccisa subito.
Le
accarezzò i capelli ed il viso bagnato di lacrime, poi la sua mano scese lungo
il collo sino ad infilarsi nella scollatura. Fay gridò. Non aveva mai provato
una sensazione simile. Un terrore antico quanto il mondo si risvegliò dentro di
lei. Tentò di divincolarsi, ma le corde erano troppo strette. Non voleva che
lui la toccasse, ma non poteva fare nulla per impedirlo.
“Owen!”
implorò nuovamente. “Ti prego, no!”
Il
demone ignorò le suppliche.
Fay
gridò con tutta la voce che aveva in gola.
Owen
la colpì in pieno volto.
“Smettila!”
ruggì.
Stordita,
la donna smise di urlare.
“Mi
ami, Fay?” esclamò il demone sarcastico. “L’immagine che ti eri fatta di
me non corrisponde alla realtà, vero? Mi hai costretto a camminare nella luce.
E’ giusto che ora tu venga a conoscere le tenebre da cui provengo!”
Le
strappò con forza sovrumana gli abiti di dosso e la violentò con tutta la
crudeltà di cui solo una creatura dell’inferno può essere capace. Dylena
riprese i sensi e, aiutata dalle altre streghe, si alzò in piedi. Voleva
godersi appieno la scena. Sorrise soddisfatta. Tutto era andato secondo i piani.
Stancatosi di giocare con lei, il demone l’avrebbe uccisa e se ne sarebbe
tornato al suo girone. Non vedeva l’ora. Owen, finalmente libero
dall’influsso benefico di quella sgualdrina, sarebbe tornato ad essere
malvagio ed avrebbe seguito il destino per cui era stato concepito. Il paladino
delle tenebre. Suonava bene.
Gus si fermò al suo fianco. Avevano camminato a lungo, anche se l’uomo
non avrebbe saputo dire con certezza se per ore o per giorni. Il tempo non
scorreva all’interno del tunnel, così gli aveva detto Andrew. In effetti,
doveva essere vero visto che avevano viaggiato senza mai sentire il bisogno di
mangiare o riposare.
“Cosa c’è oltre quella porta?” domandò il cacciatore di vampiri.
Il bambino lo fissò amorevolmente negli occhi.
“Potrete vederlo tra poco con i vostri occhi, signore.” Rispose.
“Seguitemi, per favore. Il tempo a nostra disposizione sta per scadere.”
Gus non indugiò oltre. Superò il ragazzino, raggiunse la porta di
bronzo e si bloccò di colpo rendendosi conto che era priva di serrature o
maniglie. Rivolse uno sguardo interrogativo al bambino.
“E’ molto raro che qualcuno esca da questa porta, signore. Di solito
è possibile aprirla solo per entrare nel tunnel, non per uscirne!” Rispose
Andrew. “Ma non preoccupatevi, lasciate fare a me. Questo fa parte del compito
assegnatomi.”
Il bambino si frappose tra Gus e la porta. Socchiuse per un istante gli
occhi, forse alla ricerca di concentrazione o di un aiuto divino, poi li
riaperse ed appoggiò il palmo sul freddo bronzo. La porta si aprì lasciando
finalmente filtrare la luce del giorno.
Andrew oltrepassò la soglia ed esortò il cacciatore di vampiri a fare
lo stesso. Gus obbedì. Appena usciti, la porta ed il tunnel scomparvero come se
non fossero mai esistiti.
Guardandosi intorno, Gus Van Helsing vide che si trovavano nella radura
in cui aveva quasi perso la vita contro lord Faber ed il demone. Alberi anneriti
o tronchi spezzati raccontavano ancora la furiosa battaglia tra le forze del
bene e quelle del male. Gus si chiese come fosse riuscito a sopravvivere.
Rabbrividì al solo pensiero del terrore che il demone aveva suscitato in lui.
Tirandolo per la camicia, Andrew lo chiamò ripetutamente strappandolo
così dai propri pensieri:
“Signore! Signore! Signore, per favore! C’è una cosa che dovreste
vedere.”
Il bambino pareva particolarmente eccitato. Gus lo seguì.
Andrew
lo prese per mano e lo condusse nei pressi di un cespuglio accanto al quale un
corpo privo di vita giaceva bocconi. Pareva un inutile fardello abbandonato in
un angolo. Gus strinse i pugni. Non tollerava la mancanza di rispetto nei
confronti dei defunti, perlomeno quando non si rialzavano e non vagavano alla
ricerca di sangue. Si chinò sulle ginocchia e dolcemente lo girò. Le gambe gli
cedettero per lo spavento e cadde seduto sul freddo terreno.
“Non
è possibile!” esclamò strabuzzando gli occhi.
Il
cadavere era quello di Gus Van Helsing, non c’erano dubbi. Andrew si avvicinò
all’uomo e gli porse la manina per aiutarlo a rialzarsi. Gus la ignorò e si
portò le mani alla testa.
“Non
capisco!” ripetè più volte. I nervi cominciavano a cedere. “Il mio corpo
giace morto ed io continuo a vivere! Come è possibile?”
Andrew
sedette al suo fianco.
“Sono
stato inviato a cercarvi non appena siete morto, signore.” Rispose. “Il
demone e lord Faber non erano riusciti ad impossessarsi della vostra anima a
causa della croce, così Lui ha pensato che ci fosse ancora una speranza. <
Riportalo indietro! > mi ha detto e così ho fatto. Se nel tunnel aveste
proseguito invece di ripercorre i vostri passi, sareste giunto nel luogo dove
tutte le anime pure meritano di arrivare.”
Gus
soppesò le parole del bambino. Rimase a lungo in silenzio prima di rivolgere ad
Andrew tutte le domande che vorticavano nella sua mente.
“Mi
è stata negata la pace eterna perché ho ancora un conto in sospeso, vero?”
Il
bambino annuì.
“L’equilibrio
è stato spezzato. Il demone deve tornare all’inferno. E voi, signore, siete
l’unico in grado di poter riportare le cose alla normalità. Lui ha fede in
voi così come voi ne avete sempre avuta in Lui. Voi non l’avete mai
abbandonato e Lui non abbandonerà voi.”
Gus estrasse la croce dalla tasca della camicia e la baciò. Una luce
accecante lo avvolse e quando i suoi occhi riuscirono nuovamente a vedere,
scorsero il cielo gonfio di nubi. Si rialzò faticosamente sotto lo sguardo
protettivo del bambino.
“Sono vivo!” esclamò soddisfatto. Raccolse le proprie armi sparse
sull’erba, mentre Andrew attendeva di esser riportato nel luogo da cui era
stato strappato.
Urla disperate lacerarono improvvisamente la tranquillità della foresta.
Con la croce al collo, Gus prese a correre in direzione di quelle grida ed il
bambino lo seguì. Entrambi sapevano con certezza che era giunto il momento di
affrontare il demone e lord Faber. Si inoltrarono nella foresta lasciandosi
guidare dalle grida strazianti di quella che pareva una donna. Giunti in
prossimità della radura in cui si trovavano il demone, le streghe e Fay, Gus si
fermò e con un gesto fece capire al bambino di non parlare. Andrew obbedì. Il
cacciatore di vampiri si arrampicò su un albero e guardò. Cinque streghe
stavano cantilenando ed una sesta osservava immobile la scena che si stava
consumando sotto le fronde della vecchia quercia. Una donna legata al tronco
dell’albero stava subendo ogni tipo di violenza da parte del vampiro. Gus Van
Helsing sentì la rabbia esplodergli in petto. Scese velocemente dall’albero,
si avvicinò al bambino ed esclamò: “Non entrare in quella radura per nessun
motivo. Mi hai capito? Non seguirmi, rimani qui!” Andrew annuì. Il cacciatore
di vampiri corse via. Doveva impedire alla creatura delle tenebre di uccidere
quella donna. Entrò nella radura gridando “Lord Faber!” nell’attimo
stesso in cui la malvagia creatura stava per addentare Fay sul collo. Le streghe
indietreggiarono, consce del potere del cacciatore di vampiri. Dylena bestemmiò
e maledisse l’intera stirpe dei Van Helsing. Il demone era stato interrotto
proprio nel momento in cui stava per uccidere l’odiata Fay! Si strappò la
croce dal collo e la mostrò alla creatura. I tre rubini presero a brillare e
l’intera croce parve mutarsi in una sfera di luce cremisi e d’oro. Il demone
emise un grido di frustrazione. Come era possibile che quel miserabile uomo
fosse ancora vivo? Si allontanò da lui. La croce danneggiava il corpo di Owen
ed allo stesso tempo gli impediva di usare appieno tutti i poteri di cui
disponeva. Sempre tenendo la croce ben in vista, Gus si avvicinò alla donna
legata e sentì il cuore balzargli in gola quando la riconobbe. Fay Faber, la
sorella di sua moglie. Era ancora viva, ma il suo viso ed il suo corpo erano
devastati dai lividi e dai graffi.
Sfiorò
le corde e la magia si dissolse. Fay si accasciò. Gus la sostenne con un
braccio e le parlò:
“Fay,
guardami! E’ tutto finito. Ora ti riporterò a casa.”
Fay
non alzò lo sguardo. I suoi occhi sbarrati osservavano un punto sul terreno.
“Ti
ucciderò, maledetto!” gridò l’uomo rivolgendosi al demone che si teneva a
debita distanza dalla croce. Sapeva che non avrebbe potuto combatterlo ora.
Doveva prima portare in salvo la donna. L’avrebbe condotta all’accampamento
dei Vistana dove Madame Ada l’avrebbe protetta e curata. Si avviò oltre la
quercia sostenendo la donna che camminava a malapena. In quelle condizioni
avrebbero impiegato ore per giungere a destinazione, ma fino a quando avesse
tenuto la croce in mano, il demone non si sarebbe potuto avvicinare. A pochi
passi dalla quercia, con il demone che ruggiva di rabbia alle loro spalle,
Dylena attaccò Gus in un ultimo, disperato tentativo di fermarlo. Dissolse
l’incantesimo di invisibilità che la proteggeva e, approfittando
dell’elemento sorpresa, gli strappò la croce dalle mani. Gus pose
delicatamente Fay sul terreno e corse verso la strega. Doveva assolutamente
riavere la croce. Dylena prese ad urlare di dolore. La luce l’avvolse e quando
si spense, di lei non rimaneva che un mucchietto di cenere. Il suo sacrificio,
come lei già aveva pianificato, non fu però inutile. Privato della croce, Gus
era inerme ed il demone ne approfittò per tentare di ucciderlo. Abbandonò il
corpo di Owen e si trasformò nuovamente nell’incubo che già una volta aveva
distrutto il cacciatore di vampiri. Lord Faber, finalmente libero dalla presenza
del demone e di nuovo in possesso di tutte le proprie facoltà, scorse per una
frazione di secondo Gus Van Helsing, il demone e Fay distesa sull’erba. Non
ebbe però il tempo di fare nulla. Perse i sensi e si accasciò al suolo.
Il
demone avanzò ed in un attimo fu di fronte a Gus. Era la creatura più orribile
che il cacciatore di vampiri avesse mai visto. Alto più di due metri, si ergeva
su poderose zampe culminanti in zoccoli fessi. La sua pelle dello stesso colore
del magma pareva avere la stessa consistenza del cuoio, mentre la lunga coda
rossa terminava in un ciuffetto di peli ispidi. Aveva un torace enorme,
anch’esso ricoperto di una folta peluria cremisi. Le zampe anteriori erano
munite di poderosi artigli. Il muso era orripilante. Occhi di fuoco brillavano
malvagi su quel grugno degno del peggiore incubo che un uomo potesse concepire;
zanne spropositate attendevano impazienti di lacerare le carni del cacciatore di
vampiri. Gus indietreggiò, allontanandosi ulteriormente dalla croce che giaceva
accanto a quello che restava di Dylena. La creatura ruggì di piacere ed avanzò.
Con un balzo repentino, l’uomo tentò di raggiungere la croce. Il demone fu più
veloce e lo colpì in pieno volto con una poderosa zampata. Gus cadde stordito a
terra sputando sangue. Il demone gli si avventò contro. L’uomo tentò di
rialzarsi, ma tutto il mondo aveva preso a girare vorticosamente intorno a lui.
Era la fine. Si rialzò a fatica, barcollando ed incespicando nei propri piedi.
Il demone approfittò di quel momento di debolezza e lo colpì una seconda volta
al viso scaraventandolo a terra. La vista gli si annebbiò e la testa gli si
riempì di ronzii. Era la fine.
“Fermo
lì!” esclamò Andrew frapponendosi tra il demone e Gus. “Non ti permetterò
di uccidere quest’uomo!”.
Davide
contro Golia, Andrew contro la Bestia. Il demone ruggì di rabbia. Il bambino
stringeva la croce d’oro nella mano destra. Volse per un attimo lo sguardo
verso Gus. Non lo avrebbe rivisto mai più. Gli occhi gli si empirono di
lacrime. Non interferire avrebbe significato lasciar morire il cacciatore di
vampiri; sconfiggere il demone, invece, lo avrebbe strappato alla vita che gli
era stata promessa. Andrew aveva scelto di salvare Gus Van Helsing, l’Angelo
avrebbe dato la propria vita per proteggere uno degli Amanti, così come Korral
aveva profetizzato. La Bestia ed il bambino presero a correre, l’uno verso
l’altro. L’impatto fu tremendo. L’intera radura fu investita da una luce
abbagliante e le grida strazianti di Andrew si fusero con quelle furiose del
demone. Le cinque streghe fuggirono. Fay e lord Faber rimasero a terra,
apparentemente privi di vita. Gus si rialzò, seppure a fatica ed attese che la
luce si smorzasse. Quando questo accadde, vide che il sacrificio del piccolo
Andrew non era stato vano. Il demone era stato rispedito all’inferno. Anche il
bambino, però, era sparito. Gus raccolse l’unica testimonianza rimasta di
quello scontro, ovvero la croce d’oro. Con le lacrime che gli offuscavano la
vista, se la legò al collo.
“Non
ti dimenticherò mai, mio piccolo Andrew.” Esclamò a voce alta. “Resterai
per sempre nel mio cuore!”
Se
avesse saputo che quel bambino era in realtà lo spirito di quello che stava
crescendo nel ventre di sua moglie, sarebbe sicuramente impazzito. Grazie a Dio,
era all’oscuro di tutto.
Chinò
il capo profondamente addolorato. Avrebbe voluto lasciarsi cadere sul terreno e
piangere sino a non avere più lacrime, ma Fay Faber aveva ancora bisogno di
lui. C’era sempre qualcuno che aveva bisogno di Gus Van Helsing. Aiutò la
donna ad alzarsi e, sorreggendola con le ultime forze rimaste, la condusse in
direzione dell’accampamento dei Vistana.
Quando
Lord Owen F. Faber riprese i sensi, la radura era completamente deserta. Il
demone, il bambino, le streghe, Gus Van Helsing e Fay erano scomparsi. Si sforzò
di comprendere cosa potesse essere successo, ma tutto era avvolto da una totale
oscurità. L’ultima cosa che ricordava era la voce del demone che gli imponeva
di dimenticare Fay.
Fay.
Dov’era ora la sua amata compagna? Strinse i pugni in preda alla frustrazione.
Doveva assolutamente ritrovarla. Se qualcuno le aveva fatto del male, avrebbe
pagato con la vita.
“Fay,
amore mio!” pensò “Ti ritroverò, dovessi venire a cercarti tra le fiamme
dell’inferno o fra gli angeli del paradiso. Ti ritroverò ad ogni costo e ti
porterò a casa. Te lo prometto!”.
Nell’attimo
stesso in cui Andrew morì nello scontro con il demone, Joy Van Helsing perse il
bambino. La donna stava cavalcando assieme a Madame Ada in direzione della
vecchia quercia dove la zingara sapeva con certezza avrebbero trovato Fay Faber.
Improvvisamente, Joy aveva fermato il cavallo ed era scesa. I pantaloni da
viaggio erano zuppi di sangue e la donna si teneva le mani premute sul ventre.
Era pallida come uno spettro.
“Ada!”
aveva urlato isterica. “Sta succedendo qualcosa al bambino! Aiutami!”
La
Vistana era smontata rapidamente dal cavallo ed aveva fatto tutto il possibile
per fermare l’emorragia. Grazie alle conoscenze ed alla magia, era riuscita a
salvare la madre, ma non c’era stato nulla da fare per il feto. Il figlio di
Gus Van Helsing era morto per la seconda volta.
Gus
entrò nella tenda in cui riposava sua moglie. Una candela posta sul tavolo
illuminava debolmente la stanza e colorava d’arancio il volto pallido della
donna addormentata. L’uomo si avvicinò in silenzio per non svegliarla. Quando
fu a pochi passi dal letto, si soffermò ad osservare quel viso che
troppo a lungo aveva visto solamente in sogno. Ada gli aveva raccontato
la verità riguardo al bambino. Gli aveva detto che Joy era già incinta quando
lui era partito alla ricerca di lord Faber e che la donna aveva perso il figlio
durante il tentativo di ritrovare sua sorella. Aveva evitato con cura, però, di
rivelargli il vero motivo per cui il bambino era morto. La sua anima si era
dissolta nello scontro con il demone. E nessun essere umano può sopravvivere
senza.
Quanto
doveva aver sofferto Joy! Gus le accarezzò delicatamente una guancia. Si
sentiva terribilmente in colpa. Non avrebbe mai dovuto lasciarla sola. Se il
bambino era morto, se lady Faber era in quelle pietose condizioni e se il cuore
di sua moglie piangeva stille di sangue, la colpa era interamente sua.
Disperato, si portò le mani al volto.
“Gus!”
mormorò improvvisamente Joy aprendo gli occhi e scorgendo il marito “Amore
mio!”.
Tentò
di rialzarsi, ma era ancora troppo debole. Cadde sui cuscini. Il cacciatore di
vampiri assunse un’aria tranquilla. Non voleva che lei lo vedesse in quello
stato. Aveva già sofferto abbastanza.
“Sono
qui, piccola!” esclamò dolcemente. “Sono tornato e questa volta non ti
lascerò sola!”
La
baciò sulla fronte e sulle labbra. La donna tentò una seconda volta di
alzarsi.
“Non
affaticarti, Joy. “ sussurrò amorevolmente stringendole una mano. “Presto
starai meglio e, finalmente, potremo tornare a casa.”
“Stenditi
accanto a me, ti prego!” implorò la donna.
Gus si
distese al suo fianco e la tenne stretta a sé chiedendosi come avesse fatto a
sopravvivere così a lungo senza di
lei.
“Mi
sei mancata!” mormorò l’uomo cullandola dolcemente. “Mi sei mancata da
morire!”
“Anche
tu.” Rispose Joy sentendosi finalmente al sicuro.
“Ti
amo da impazzire!” La voce di Gus era poco più di un bisbiglio
“Ti
amo anch’io!”
Trascorsero
diversi minuti in quella posizione, avvolti da un silenzio palpabile.
“Nostro
figlio è morto!” esclamò improvvisamente Joy scoppiando a piangere e
liberandosi così del peso che l’opprimeva.
Gus
non parlò e si limitò a baciarle i capelli profumati, il volto ed il collo.
Continuò ad accarezzarla ed a cullarla fino a quando i singhiozzi si placarono
ed il sonno la portò via con sé. Solo allora, sicuro di non essere visto da
nessuno, Gus Van Helsing, il più grande cacciatore di vampiri, inondò il mondo
di lacrime.
*
* *
Fay
appose il proprio sigillo, il pipistrello nero dei Faber, sulla pergamena poi
rilesse quello che aveva scritto.
Mia
dolcissima Joy,
Sorella
ed amica carissima, non sapevo quanto potesse essere profondo il dolore.
E’
come esser prigionieri nel cuore di una lacrima. Oltre i confini di
quest’insolita cella, il mondo continua a respirare, ma tu non percepisci che
un sibilo (di agonia? Di rabbia?) lieve ed inquietante. E tremi… Oh, Joy, se
solo tu sapessi! Non posso gridare il mio dolore perché Lui potrebbe
sentirmi… Non posso rimanere in silenzio… ci ho provato, sai? Tutto
bisbiglia il suo nome… Owen,
Owen, Owen… Di
lacrime non voglio versarne. Ho paura di rafforzare la mia già impenetrabile
prigione. Ed allora mi siedo sul nulla… ed attendo… e mi tormento. Non c’è
luce che possa penetrare questa barriera; non c’è suono che distorto dal
dolore non sembri un inno funebre. Mi ero insinuata con l’inganno (sì, perché
l’amore non è che un inganno!) oltre le finestre semichiuse del Suo cuore
addormentato ed avevo soffiato calore sulla Sua anima. Credevo di esser riuscita
a sciogliere il ghiaccio nei suoi occhi … ero felice ed ho gridato al mondo la
mia gioia, ma non avrei dovuto. Lui si è svegliato ed ha chiuso la finestra. Ed
ora, sorellina, Fay Faber, come l’anima di una bolla di sapone, è prigioniera
della pazzia.
Cosa
è successo? Owen era il cielo ed io la terra avida di azzurro. Riempiva di
turchese ogni mio pensiero increspando emozioni ed agitando sogni (non volevo
pensare alla sua vera natura!). Mi colmava d’immensità con un solo sguardo.
(non volevo pensare alla sua vera natura!). Mi ha ucciso. Fay Faber è morta,
Fay Faber è morta, Fay è morta.
Tu
non sai, piccolina, (e mai dovrai saperlo!) cosa sia l’inferno. Non credo che
vorrò ritornarci…Spero solo che tu e Dio mi perdoniate perché io non
riesco a farlo. Ho amato un mostro. Ho amato una creatura delle tenebre. Ho
amato un vampiro. Ma sono stata a sufficienza punita per questo.
Non
ho più voglia di vivere, mio piccolo sole!
Non
più voglia di vivere, sorellina adorata!
Non
ho più il diritto di vivere, Joy!
Ho
paura, tanta paura.
Provo
vergogna, dolore, rabbia, frustrazione, odio, vergogna, dolore, rabbia,
frustrazione, odio, vergogna…Potrei proseguire all’infinito, stellina. La
mia mente non sa più pensare ad altro.
Del
cuore non restano che chiazze rosse sparse sulle pareti dell’anima.
Dell’anima
non resta che un involucro sporco di sangue.
Di
Fay Faber non resta che una tristissima parodia.
Non
posso che volare via da tutta questa sofferenza.
Sarò
sempre al tuo fianco.
Ada la
vide uscire dalla tenda con indosso la camicia da notte bianca ed i lunghi
capelli castani sciolti. La vide allontanarsi. Sapeva dove era diretta, ma non
la fermò. La donna si sarebbe buttata nel fiume, proprio come aveva visto nella
sfera di cristallo. Fay Faber doveva morire, questo le aveva detto Korral. Le
forze del bene e del male dovevano tornare in equilibrio. Il demone era stato
sconfitto; Gus e Joy erano di nuovo insieme; Lord Owen F. Faber era tornato se
stesso ed il suo amore per Fay sbilanciava nuovamente l’equilibrio. Il bene
avrebbe preso il sopravvento sul male se quella donna non fosse morta. Ada non
poteva permetterlo. Lady Faber doveva morire, era ovvio. Il vampiro avrebbe
cercato vendetta e per l’ennesima volta le forze sarebbero tornate in
equilibrio. La guardò sparire nella notte, poi rientrò nella tenda e,
completamente esausta ed in pace con se stessa, si coricò. Il suo compito,
almeno per quella notte, era terminato.
Joy la guardò un’ultima volta. Il sole stava tramontando ed i suoi
raggi cremisi accendevano lievi riverberi sulle guance pallide e fra i capelli
castani della donna distesa nella bara. L’incantesimo di Ada le aveva
restituito la bellezza che il dolore e la morte le avevano strappato. Pareva
addormentata.
“Svegliati, Fay!” pensò Joy. Sfiorò la sua mano. Era gelida come
dovevano esserlo state le acque del fiume che le avevano tolto la vita. Barcollò.
Suo marito la sostenne. Doveva trattarsi di un incubo. Sua sorella non poteva
essere realmente morta. Le aveva promesso che non l’avrebbe mai abbandonata!
“Dovevi restare al mio fianco, Fay!” strillò Joy accanendosi contro
qualcuno che non poteva più
sentirla. “Me lo avevi promesso! Maledizione, Fay, me lo avevi promesso!”
Scoppiò a piangere. Perché sua sorella si era arresa? Perché non le
aveva concesso l’opportunità di scacciare le tenebre che l’avevano
inghiottita?
“Perché?” gridò fra le lacrime. “Perché l’hai fatto?”
I singhiozzi la scuotevano come il vento autunnale le foglie. Gus la
prese fra le braccia. Seppure in silenzio, anche il cacciatore di vampiri stava
piangendo. Era tutta sua la colpa di quello che era successo. Sua e di Lord Owen
F. Faber. Non avrebbero mai dovuto coinvolgere quelle due creature innocenti
nelle loro vite macchiate di sangue. Fay giaceva nella bara e con lei una parte
di Joy. Suo figlio era morto. Che cosa gli restava ora se non il rimorso?
Ada si
avvicinò e depose un giglio creato magicamente, un giglio bianco, fra le mani
della donna distesa. I colori sgargianti dell’abito della Vistana duellavano
furiosamente con le tinte cupe degli abiti dei coniugi Van Helsing.
E lo stesso valeva per i sentimenti. Joy e Gus erano disperati, Ada era
tranquilla. Non appena lord Faber avesse scoperto quello che era successo a sua
moglie, la lotta sarebbe ricominciata. L’equilibrio sarebbe stato ristabilito.
*
* *
Arrabbiato
oltre ogni immaginazione, domandò velenoso:
“Cosa
le avete fatto?”
Joy
gli rivolse un’occhiata carica di odio.
“Sei
stato tu ad ucciderla, mostro!” rispose la donna. “Tu ed il tuo demone! Mia
sorella era un fiore che voi avete strappato ed immerso in un incubo! Fay ha
preferito morire nel fiume piuttosto che affrontare la vergogna e la
disperazione.”
Lord
Faber rivolse uno sguardo interrogativo a Van Helsing. Gus annuì.
“Io
ero lì. Ho visto in che condizioni le vostre violenze l’avevano ridotta.”
“Io
non ricordo nulla, maledizione!” ruggì il vampiro. “Tu dovevi proteggerla,
cacciatore di vampiri! Tu dovevi impedire al demone di farle del male!”
“Io
ero morto.”
Il
vampiro, aiutato da un incantesimo lanciato in segreto da Ada, ricordò. Rammentò
l’attimo in cui Gus Van Helsing aveva esalato l’ultimo respiro, pochi
istanti dopo che il demone aveva preso possesso della sua mente e del suo corpo.
Ricordò la trionfante Dylena, sua madre, che con l’inganno era riuscita a
condurre Fay da lui. Rammentò con orrore ogni particolare successivo.
“No!”
gridò con rabbia.
Contro
ogni regola, Gus si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla. I loro occhi
si persero per un istante gli uni in quelli dell’altro. Entrambi
divennero consapevoli del fatto che sarebbe stato possibile evitare tutto quel
dolore.
“Allontanati
da lei, assassino! Tornatene nelle tenebre!” strillò Joy.
Owen abbassò il capo. Dai suoi occhi d’argento stillarono lacrime
salate.
“Anche le tenebre sono intrise di dolore. Quella che giace nella bara
non è solo tua sorella, Joy Van Helsing. E’ anche la donna che io amavo. Le
mie lacrime sono reali quanto le tue. Il mio cuore è spezzato quanto il tuo.”
Owen, accecato dal dolore, giurò che un giorno avrebbe ucciso Van
Helsing per non essere riuscito a proteggerla.
Si chinò poi sulla bara e baciò Fay sulle labbra. In quell’attimo,
sotto lo sguardo attonito dei presenti, il vampiro scomparve senza lasciar
tracce e di Fay non rimase che un giglio bianco all’interno di una bara vuota.
*
* *
“Non ho dimenticato la mia promessa, sorellina!” echeggiò la voce
dolce di Fay nella sua mente. “Ho giurato che non ti avrei abbandonato. E così
sarà.”
Il
cervo rallentò la propria corsa sino a fermarsi accanto ad una grande quercia.
Un raggio di sole filtrò attraverso la folta chioma dell’albero e si lasciò
fendere dalle corna ramificate della bestia, prima di accendere riflessi ramati
sul suo manto bruno-rossiccio. Gus si avvicinò ansante. Gocce di sudore
imperlavano il volto arrossato dell’uomo e scivolavano senza tante cerimonie
lungo il suo naso. Ringraziò Dio per avergli concesso quella sosta. Il dolore
ai muscoli era tale che non sarebbe di certo riuscito a muovere un altro passo.
Si asciugò la fronte con la manica di quella che doveva esser stata una bella
camicia bianca. Non ricordava con precisione il momento in cui avesse deciso di
seguire il cervo, tanto meno il motivo che lo avesse spinto a farlo. L’unica
certezza che lo aveva alimentato per tutto il tempo era la necessità di non
perderlo di vista.Lo aveva inseguito attraverso sentieri e foreste sconosciute;
in più occasioni era stato costretto a rallentare per riprender fiato – non
era più giovane come un tempo! – e, misteriosamente, ogni volta la bestia
aveva frenato la propria andatura dando l’impressione di non voler uscire dal
campo visivo dell’uomo; in un paio di occasioni, infine, era caduto sul freddo
humus procurandosi un piccolo taglio sul labbro inferiore la prima volta ed
inghiottendo un indigesto boccone di terriccio la seconda. Mai però, sino a
quel momento, il cervo si era trattenuto in un luogo. Dovevano essere arrivati!
Gus si lasciò cadere esausto sull’erba ancora madida di rugiada, ringraziando
Dio ad alta voce. Il cielo sopra di lui pareva un’immensa lastra turchese.
Pigri animali di cotone, frutto probabilmente degli esperimenti di un mago
pazzo, ciondolavano contro quello sfondo limpido. Socchiuse gli occhi gustando
con avidità ogni istante di quella meritata pausa. Il respiro tornò regolare,
mentre il sole asciugava le ultime gocce di sudore sulla sua pelle. Gus storse
il naso. Tutte quelle ore (minuti o giorni?) trascorse ad inseguire il cervo
avevano reso il suo corpo appiccicoso e maleodorante.
“Alzati,
Gus Van Helsing!” esordì improvvisamente una voce asessuata.
Gus
trasalì e, faticosamente, si tirò su ignorando le proteste dei muscoli
doloranti. Ebbe l’impressione che l’aria stessa gravasse su di lui decisa a
schiacciarlo ad ogni costo. Si guardò intorno. Il cervo, immobile come una
statua di gesso, lo osservava con liquidi occhi nocciola.
“Chi
ha parlato?” domandò Gus girando su stesso. Nessuna risposta. Nessuno
all’infuori del cervo e della quercia. L’uomo tornò a scrutare la creatura.
Il suo sguardo freddo e celeste incontrò quello bruno e vellutato della bestia.
I due rimasero a lungo in quella posizione, sondando l’uno l’animo
dell’altro. Gus trasalì prima percependo la potente magia di cui era intrisa
la creatura, poi rendendosi conto che non si trattava di un essere fatato.
Quella che aveva di fronte era in realtà un’enorme quantità di magia
manipolata da un altro essere – una strega? Un demone? Un non-morto? Un mago?
- al fine di apparire un cervo ai
suoi occhi. Qualcuno – ma chi? – lo aveva condotto in quel luogo con
uno scopo ben preciso – quale? – Avrebbe dovuto distogliere immediatamente
lo sguardo per impedire al cervo di penetrare ulteriormente nel suo
animo, ma non lo fece.
“Quando
osservi le fiamme, non puoi certo impedir loro di guardarti! E se ti bruciano
gli occhi, sarà anche colpa tua!” Questo soleva dirgli sua madre. Ma sua
madre non poteva capire: non era una Van Helsing.
Volteggiavano
a decine i pipistrelli intorno al castello di Lord Faber. Percepivano la sua
agonia, la sua frustrazione e, soprattutto, la sua fame. Erano giorni che il
figlio di Dylena la strega, morta ormai da più di un anno, e dell’incubo da
lei evocato, ricacciato nell’inferno dal coraggioso figlio del suo acerrimo
nemico, non si nutriva. Disteso su quello che un tempo era stato il talamo
nuziale, Lord Owen F. Faber si contorceva in preda ad una febbre altissima. Il
volto ed il corpo completamente nudo del vampiro erano devastati da pustole,
croste e cicatrici. Vaiolo. La malattia, contratta probabilmente da una delle
sue vittime, aveva strappato ad Owen ogni traccia di fascino e bellezza. Aveva
spento le stelle d’argento che brillavano nei suoi occhi e mutato il suo
sguardo magnetico in una maschera di pura follia. Aveva accentuato il
pallore delle gote evidenziandone maggiormente il contrasto con il
corvino dei capelli arruffati. Aveva l’aspetto di un uomo baciato dalla morte.
E così era. La morte aveva realmente appoggiato le glaciali labbra sulle sue e,
immediatamente, il lato umano di Lord Faber aveva ceduto alle sue promesse di
pace eterna. Il sangue demonico che ribolliva nelle sue vene, invece, aveva
continuato ad opporsi e, ironia della sorte, lo aveva strappato ad un’eternità
di quiete.
“Owen!” sussurrò improvvisamente una voce dolce al suo capezzale.
Il vampiro ignorò quel suono. La testa pareva volergli scoppiare. Erano
giorni che, a causa delle febbre, non faceva che udire voci. E la voce di Fay
era quella che maggiormente lo torturava. Chiuse gli occhi e si passò la lingua
sulle labbra. Aveva sete e fame, tanta fame. Avrebbe dato qualsiasi cosa per una
goccia di sangue.
“Owen!” insisté la voce femminile.
“Vattene!” bofonchiò il vampiro agonizzante. “Lasciami in pace!”
Quando una mano, fresca come una pioggia primaverile, sfiorò la sua
guancia, Owen spalancò gli occhi. Avrebbe riconosciuto quel tocco fra mille.
Nessuna delle donne che in passato avevano placato le sue voglie e talvolta il
desiderio di sangue, aveva saputo accarezzarlo in quel modo. Solo lei, la
ragazza che aveva abbandonato la luce per insegnargli ad amare, ne era capace.
“Owen” ripeté la voce questa volta lievemente incrinata dalla
trepidazione.
Il vampiro si tirò su e, attraverso gli occhi febbricitanti, la vide.
Ricadde pesantemente sul cuscino.
“Non sforzarti, amore mio!” esclamò la donna aiutando il marito a
sollevare il capo ed avvicinando il collo alle sue labbra screpolate.
“Bevi e non temere. La tua Fay è qui.”
Indebolito ed annebbiato dalla malattia, Owen non poté impedire che
l’istinto prevalesse sulla ragione. Affondò i canini nella carne della moglie
ed avidamente si nutrì del suo sangue.
Joy
camminava sospesa nel vuoto. Due spessi muri di nebbia le impedivano di scorgere
le estremità del tronco sul quale stava disperatamente tentando di rimanere in
equilibrio. Conosceva con assoluta certezza cosa si nascondesse alle sue spalle
sotto strati di foschia ed era per questo che procedeva caparbia verso
l’ignoto. Dietro di lei non esistevano che il dolore per la perdita del
bambino, il ricordo traslucido di un amore puro e l’immagine fin troppo nitida
del volto cereo della sorella. Avrebbe accettato qualunque cosa il destino
avesse posto sul suo cammino pur di liberarsi di quella sensazione opprimente
che le attanagliava il cuore da un anno a questa parte.
Sotto
di lei un serpente cilestrino si crogiolava al sole cocente. Di certo non lo si
poteva definire fiume scorgendolo da quell’altezza!Joy camminava lentamente,
un passo dopo l’altro, insicura sulle gambe come un cavallo appena nato.
Spostava nervosamente lo sguardo da un piede all’altro, evitando però di
posarlo sul fiume sottostante. Doveva aver pianto. Tremava vistosamente e la
disperazione trapelava dai suoi occhi arrossati. Un passo falso avrebbe
significato la fine della sua giovane vita, proprio come la scelta di non
attraversare il baratro. Sarebbe morta schiacciata dal dolore e dai sensi di
colpa. La giovane donna allontanò un ricciolo dorato dal volto, poi sfidò il
tronco con lo sguardo. Un sinistro scricchiolio la mise in allarme.
“Devo affrettarmi!” pensò.
Il tronco gemette una seconda volta.
Di fronte a lei, avvolto in un manto di nebbia costellato di perle
argentee, un elfo dagli occhi simili a quelli un gatto iniziò a fischiettare un
motivo che ancora doveva essere composto. Joy udì quella melodia e nello stesso
attimo comprese che ne sarebbe divenuta schiava. Poi il tronco si spezzò e la
giovane donna iniziò inesorabilmente a precipitare. Sotto di lei, la morte,
travestita da serpente cilestrino, spalancò le fauci e rimase in paziente
attesa.
“No,
no!” strillò il bardo alzando le braccia al cielo. Iris interruppe il canto
per l’ennesima volta.
“Per il coro degli angeli, hai stonato di nuovo, ragazza!” esclamò
adirato.
“Non ho stonato!” ribatté Iris sulla difensiva.
“Hai stonato, è inutile che lo neghi!”.
Iris
strinse i pugni. Sentì le lacrime salirle agli occhi. Erano ore che provavano
quella canzone e non c’era stata una sola volta in cui Luc si fosse dichiarato
contento della sua voce, del suo modo di cantare o della sua interpretazione.
Erano ore che il bardo inveiva contro di lei e non sapeva per quanto ancora
avrebbe resistito. Era stanca, avvilita, accaldata ed affamata, ma il suo
maestro pareva volerla far provare all’infinito.
Ciocche di capelli neri come le ali di un corvo le ricadevano
disordinatamente sulle spalle.
“Riprendiamo dal punto in cui il canto della ragazza giunge
all’unicorno cavalcando il vento!” esclamò l’uomo portandosi il flauto
alla bocca e dando vita alla più dolce sequenza di note mai udite.
“Di nuovo?” protestò Iris trattenendosi a stento dal rientrare
stizzita nel carro. Uno sguardo torvo del maestro la convinse ad arrendersi. Se
solo avesse avuto il coraggio di abbandonarlo! Chissà quante cose avrebbe
potuto fare! Sospirò involontariamente. Il maestro, seppur egocentrico,
mitomane ed esigente ogni oltre immaginazione, era l’uomo che l’aveva
allevata e, se non altro, meritava di esser trattato con riconoscenza. Avrebbe
voluto almeno esser capace di odiare le sue opere, ma le composizioni di Luc
Chant du Cygne riuscivano ad ispirare solamente sentimenti positivi.
Il suo maestro era un genio e, purtroppo, ne era fin troppo consapevole.
Iris si rassegnò e si schiarì la voce. Non la si spuntava con Luc Chant
du Cygne.
“Bene, maestro!” disse fra sé e sé. “Ora ti stupirò!”
Prese a cantare con voce cristallina, voce capace di far commuovere gli
angeli, ma non riuscì neppure a terminare la prima strofa. Luc, imprecando come
un dannato, scagliò il flauto traverso nella sua direzione e la colpì di
striscio al braccio.
“Pensi che un unicorno potrebbe mai scomodarsi per una ragazza che
raglia?” esclamò il bardo furibondo. Sotto l’abbronzatura, le gote della
ragazza presero fuoco.
“Tu pretendi l’impossibile, maestro!” rispose contenendo a fatica
parole dure e stringendo con rabbia i pugni.
Il bardo scosse deluso il capo.
“E va bene, basta per oggi. Puoi andare a preparare la cena, sperando
che almeno quella ti riesca bene.”
Iris non se lo fece ripetere due volte. Si allontanò a passo spedito
verso il carro in un frusciare di vesti e, quando lo raggiunse, due minuscoli
rivoli di lacrime le solcavano il viso.
Il bardo raccolse il flauto.
“Pretendo il massimo solo da chi sono certo che possa darmelo!” pensò
osservando la ragazza che armeggiava nervosamente con cipolle, pomodori e
carote. “E tu puoi farlo, piccola! Nelle tue vene scorre il sangue del più
grande artista del secolo, anche se tu non lo sai!”
Avvicinò lo strumento alle labbra.
“Sta piangendo.” Comprese. “E’ un bene. E’ solo attraverso le
lacrime che i contorni di ciò che ci circonda divengono sfocati. Ed è solo così
che un vero artista riesce a catturare la magia ed a tramutarla in poesia.”
Soffiò aria nel flauto e tutt’intorno il mondo si riempì delle
gioiose e vivaci note di “Pioggia di fiordalisi”.
Il bardo provò un’emozione indefinibile.
Aveva composto quella melodia quindici anni prima.
L’aveva dedicata a Lora, una zingara di cui aveva creduto di essersi
innamorato. Lunghi capelli di seta nera, occhi la cui tonalità era sospesa tra
il celeste ed il viola, morbidi seni e piccole labbra simili a due languide
pennellate scarlatte.
Iris si girò verso di lui.
“La cena è pronta, maestro!” esclamò con voce atona, probabilmente
ancora indecisa se perdonarlo oppure no.
Luc distolse lo sguardo incapace di guardarla. Per la prima volta,
smarrito in antichi ricordi, aveva involontariamente scorto una realtà che il
suo subconscio si era sforzato di non mostrargli per anni: Iris era del tutto
identica a Lora, sua madre.
Continua... Luci ed ombre parte prima
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