Home Page Pagina Iniziale L 'angolo di Delphine Io, Delphine
LUCI ed OMBRE
Ad
Owen, la creatura delle tenebre;
A
Joy, la regina della luce;
Ad
Owen, la bellezza misteriosa della notte;
A
Joy, il magico calore del giorno.
Ad
Owen, il malinconico sogno;
A
Joy, la dolce realtà.
In un
desolato luogo troppo
lontano
dal nostro castello,
25°
giorno del Mese di Gennaio
“Mia
adorata Fay,
notti e giorni si susseguono come note in una sinfonia infinita.
Vortici stellanti e raggi di sole, pallide lune e cieli turchesi, albe e
tramonti si fondono l’uno nell’altro ad una velocità disarmante. E più il
tempo passa, più mi allontano da te (fisicamente! Mai spiritualmente, amore
mio, non temere!).
Qualche giorno fa ti ho sognata. Eri tutta vestita di rosso, bellissima (neppure i sogni riescono a creare immagini tanto perfette tali da rendere giustizia alla tua beltà!) e sorridente. Camminavi verso di me, languida e flessuosa come un felino, sussurrando il mio nome. Oh, amor mio! In sogno ti ho sollevato fra le mie braccia e, dopo averti delicatamente posata sul letto della nostra camera (fortunato pezzo di legno che ogni notte può vantarsi di esser rimasto a vegliare sul tuo sonno!), ti ho amata con l’intensità e la passione che ben conosci. Fay, luce dei miei occhi stanchi, non sai quanto tutto mi sia parso reale! Quando mi sono svegliato, credevo di trovarti al mio fianco! Ma tu non c’eri, amore mio, ed a me non è rimasto che maledire per l’ennesima volta quel dio che tanto mi odia. E se non fosse perché tu credi in lui, dubiterei persino della sua esistenza…
Mi manchi, Fay. Non sai quante volte mi sono chiesto come una creatura
delle tenebre, solitaria e lontana dal bene, possa provare un sentimento così
forte (ed allo stesso tempo dolce) nei confronti di una donna. Come hai fatto ad
incantarmi semplicemente con uno sguardo? Ti ho trascinato ai confini della
Luce, amore mio, ma tu non mi hai mai giudicato. Mi hai solo e sempre amato.
Non merito tanto amore, lo sai?
Sì, lo sai. E forse è proprio per questo che mi ami così
profondamente. Ora ti devo lasciare, seppure a malincuore.
Il nemico si avvicina ogni minuto di più.
Non piangere, dolce Fay, né per me né per il nostro fato. Ti ho
promesso che sarei tornato e lo farò.
Eternamente tuo
Ondeggiava sulla candela stillante lacrime di cera una luminosa fiammella
di porpora e d’oro. Lady Faber, Fay per gli amici, la osservava già da
diverso tempo, persa in ricordi che avevano la voce ed il profumo inebriante del
marito. Ad ogni suo sospiro, la fiamma tremolava accendendo sinistri riverberi
color sangue negli occhi nocciola della donna. Sul tavolo, accanto al candelabro
a tre bracci, giaceva un foglio di pergamena, la lettera di Lord Owen F. Faber.
Fay l’aveva riletta dieci, forse
quindici volte. Del marito, lontano ormai da mesi, non le rimanevano che il
ricordo degli intriganti occhi dello stesso colore del mare in tempesta e delle
ultime parole da lui pronunciate: “tornerò!”. Quelle lettere erano
l’unico contatto che ancora aveva con lui. La nostalgia stava consumando il
suo cuore come la fiammella la candela. Non sarebbe riuscita in eterno (ed
eternità era nel loro castello una parola che veniva evitata con cura!) ad
accontentarsi delle parole contenute in quelle poche pergamene che di tanto in
tanto il Messaggero le consegnava. Chiuse per un istante gli occhi e
l’immagine di Owen le parve ancora più sfocata dell’ultima volta.
Ciononostante, la trovò bella oltre ogni immaginazione. Morbidi capelli corvini
incorniciavano un volto dai lineamenti fieri e nobili e la loro tinta scura
duellava furiosamente col pallore quasi spettrale delle guance e col magnetico
grigiazzurro degli occhi. Le labbra (quanto le mancavano quelle labbra!),
vellutate ed amaranto, le apparvero tirate in un sorriso. Sospirò. Era molto
raro vedere Lord Owen F. Faber sorridere. Fay adorava quando lo faceva. Era come
se per un istante il sole penetrasse attraverso quella fitta coltre di nubi
plumbee che ingrigivano i suoi occhi.
“Owen!”
sussurrò Fay tentando di trattenere le lacrime. La fiammella si chinò dinanzi
a tanto dolore e solitudine. Come poteva il destino essere tanto crudele? Aveva
segnato la vita di Lord Owen F. Faber ancor prima che lui nascesse e continuava
a non dargli tregua.
“Amore
mio!” pensò Fay senza rendersi conto di aver pronunciato quelle parole a voce
alta. Quanto le mancavano la sua dolcezza, le sue carezze, il calore del suo
corpo, l’intensità dei suoi sguardi e tutti i bei momenti trascorsi insieme!
Non le importava se Owen era diverso da tutti gli altri. Lei lo aveva amato dal
giorno stesso in cui lo aveva conosciuto e lo avrebbe amato per sempre.
Fuori,
oltre le cortine di broccato rosso, un dio contrario a quell’amore blasfemo
scagliò con violenza un fulmine contro la terra.
*
* *
Persa in chissà quali fantasie, la fanciulla lasciava che il vento le si
insinuasse tra i lunghi riccioli screziati d’oro mentre canticchiava tra sé e
sé la malinconica canzone che suo marito le aveva dedicato prima di partire.
Non
posso esser felice ora
mentre
l’autunno l’estate scolora
e la
foglia sull’albero indora.
Non
posso sorridere adesso
Mentre
la neve imbianca il ciliegio depresso
Che
invano attende un canto ormai smesso.
Non
potrò esser gaio neppure domani,
perché
la felicità sarà prigioniera dei rami
ed a
noi non resteran che ricordi lontani.
Non
potrò esser lieto neanche in estate
Mentre
le mie speranze dal sole verranno bruciate.
E
le stelle! Così distanti da non poter esser afferrate!
Non
posso gioire ora, lo sai e…
vedi?
Senza di te non potrò farlo mai!
Le piaceva ripetere quelle parole, le ultime che aveva udito da Gus Van
Helsing, parole seguite da un dolcissimo bacio e da un abbraccio colmo d’amore
e di tristezza. Separarsi era stato per la giovane coppia un atto terribilmente
difficile, anche se entrambi comprendevano di non avere altra scelta. Gus non
voleva mettere a repentaglio la vita della moglie: Joy sarebbe stata più al
sicuro in paese, lontana dalla battaglia che lo aspettava.
La
ragazza, invece, portava in grembo il figlio dell’uomo che amava. Era quello
l’unico motivo che l’aveva spinta a non seguire il marito. Così, nel
ventiquattresimo giorno del mese di novembre, in una fredda e cupa mattina, Gus
Van Helsing, ignaro del bambino che stava crescendo nel ventre della moglie, era
partito completamente solo verso quella che sarebbe stata la più dura prova di
tutta la sua vita. E Joy, forte dinanzi al marito, era poi scoppiata a piangere
non appena lui era stato troppo lontano per scorgere le lacrime sul suo viso…
Una
goccia di pioggia cadde sulla punta del naso di Joy distogliendola dai suoi
pensieri. La ragazza alzò gli occhi verdi (occhi dello stesso colore di quelli
della dea dell’amore!) al cielo ed altre stille fredde come il tocco della
morte le si posarono sulla fronte e sulle guance. Poi, il temporale esplose
rabbioso e tutto il mondo parve liquefarsi e stillare violentemente su di lei.
*
* *
“Non
si può semplicemente ignorare la realtà per impedirle di essere tale!” le
aveva detto una sera Owen. Ora più che mai comprendeva ed odiava quelle parole.
L’uomo che lei amava con tutta se stessa era un mostro agli occhi di tutti gli
altri! Come poteva un’unica persona imporre la propria verità su una verità
sostenuta dal resto del mondo?
*
* *
“Dolce
Joy,
Quando riceverai la mia lettera, probabilmente la battaglia tra Lord Owen
F. Faber e Gus Van Helsing già si sarà consumata. E’ per questo motivo che
devo approfittare di quest’ultima opportunità per mostrarti quelle zone del
mio cuore rimaste in ombra. Prima di tutto, ti chiedo scusa per essere stato così
egoista. Ho lasciato che ti innamorassi di me, che divenissi mia moglie e che la
tua anima si fondesse con la mia pur essendo consapevole di quello che sarebbe
potuto accadermi da un momento all’altro. Ho messo a repentaglio la tua vita e
ti chiedo scusa. Non avrei mai dovuto innamorarmi, un cacciatore di vampiri non
può permettersi un tale lusso, ma come potevo resistere ai tuoi dolcissimi
sguardi di smeraldo? E’ con la tua immagine negli occhi che riesco ad
affrontare le creature delle tenebre; è il pensiero di te che mi dà la forza
di continuare quello che i miei antenati hanno cominciato. Voglio che tu sappia
che sei stata il più bel dono che la vita mi abbia concesso.
Se non dovessi tornare, dolce Joy, giurami che non lascerai spegnere la
vita che illumina il tuo sguardo! Dillo a voce alta, amore mio, sì che tutto il
mondo possa esserne testimone. Gridalo sì che io possa udire la tua promessa
dal Paradiso. Sai che farò, Joy? Costruirò una casa tra le nuvole, una casa
come quella che abbiamo sempre sognato, e la circonderò di rose. Il giorno che
gli angeli ti accompagneranno in Cielo, ti basterà seguire il profumo di quei
fiori che tanto ami e mi troverai intento a curarli. Sentendoti arrivare, volgerò
il mio sguardo verso di te e, riconoscendoti, ti correrò incontro, ti abbraccerò
e ti bacerò. Il calore dell’amore asciugherà le nostre lacrime. Ma nel
frattempo, non permettere che la mia morte porti via con sé la tua vita. Non
sai quanto mi tormenterei sapendoti triste!
Continua a vivere, Joy!
C’è una cosa che non ti ho mai detto. E’ giusto che lo faccia ora, anche se avrei fatto meglio a non mentirti sin dall’inizio. Avrei tanto voluto un figlio da te. So di aver affermato il contrario. (Non sai quanto mi fecero male le lacrime che empirono i tuoi occhi verdi!) Temevo per il futuro di quella povera creatura. I Van Helsing sono destinati a combattere i vampiri e non volevo che mio figlio fosse costretto a seguire le mie orme. Ma se Dio ci concederà altro tempo, ti prometto che avremo un figlio, due, o tre, decidi tu, amore mio! Vivremo la nostra vita al massimo. Prega per me, Joy Van Helsing. Prega che io possa tornare da te. Sono convinto che neppure il Destino possa restare impassibile di fronte ad un amore così puro.
Devo andare ora, Joy. Lord Owen F. Faber è vicino. Grazie a Dio, anche
tu lo sei. Se chiudo gli occhi posso sentire il tuo respiro sommesso (o è la
brezza che solletica le fronde degli alberi?).
Tuo per sempre
Gus
Rilesse per l’ultima volta la lettera, poi arrotolò la pergamena e la
porse alla bella gitana dalla pelle scura e dai lunghi capelli corvini che stava
di fronte a lui.
“Madame
Ada, conto su di voi.” Bisbigliò Gus porgendole un sacchetto di monete
d’oro.
Gli
occhi neri come l’inchiostro della donna parvero penetrare quelli celesti
dell’uomo, giungere dentro di lui e rivoltare la sua anima per scoprirne ogni
segreto.
“Tua
moglie avrà il messaggio, non temere. Gli Zingari mantengono sempre le loro
promesse.” Esclamò con voce dolce. Allungò le dita ingioiellate per
afferrare la borsa, poi si bloccò. “Sai che ho sempre avuto un debole per te,
cacciatore di vampiri?”
Gus
sorrise. “Lo so, Madame Ada.”
La
donna afferrò il sacchetto rapidamente e con la stessa velocità lo fece
sparire.
“Uno
di questi giorni userò le mie pozioni per farti innamorare di me!” rise la
bella gitana.
Gus la
guardò stupito. Non sapeva mai dove si trovasse il confine tra scherzo e verità
quando le parole uscivano dalla bocca di Ada, la sua fedele e potente alleata.
Un
sorriso furfantesco illuminò il viso bello e saggio della donna.
“Vorrei
che la vostra magia potesse aiutarmi contro Lord Faber.” sussurrò Gus.
“Ho
già fatto tutto quello che potevo, mio buon amico. Le armi a tua disposizione
sono micidiali se sai come maneggiarle. Usa la Fede come scudo e la Luce come
arma.”
Ancor
prima che Gus potesse esclamare “Dite a Joy che l’amo!”, la donna esordì:
“Glielo dirò!” lasciandolo per l’ennesima volta senza parole.
Infine,
gli diede un tenero bacio sulla guancia, gli girò le spalle e, avvolta negli
usuali abiti sgargianti degli Zingari, si allontanò a passo spedito come un
arcobaleno dalle sembianze umane.
*
* *
La creatura delle tenebre, incapace di controllare i propri istinti,
affondò i denti nella carne della donna e succhiò avidamente il caldo fluido
vitale. Quando si sentì rinvigorito, allontanò con disgusto la strega e si alzò
in piedi.
L’immagine del viso innocente di Fay apparve improvvisamente dinanzi ai
suoi occhi. Quanto riusciva a farlo sentire in colpa con un solo sguardo! Il
sorriso dolce della sua compagna, il suo sguardo penetrante reso ancora più
intenso dal trucco, le guance dello
stesso colore della luna ed i lunghi capelli di seta… Quanto avrebbe voluto
essere con lei! Maledetto dio che aveva fatto di lui un essere diverso dagli
altri! E maledetto Van Helsing che non gli dava tregua! Avrebbe venduto la pelle
a caro prezzo! Sentì la rabbia esplodergli in petto. Il volto di Lady Faber
scomparve così come era apparso. Era tempo di parlare con Colui che gli avrebbe
concesso il potere necessario per sconfiggere Gus Van Helsing. Una luce
minacciosa si accese nei suoi occhi cancellandone ogni traccia di umanità.
“Ora
sono pronto!” esclamò con enfasi rivolto alle sei streghe. “Chiamate
l’Oscuro Signore!“
*
* *
(Quante
volte Fay aveva immaginato una bambina con gli stessi occhi meravigliosi del
padre, lunghi capelli corvini ed uno sguardo nobile, intelligente ed allo stesso
tempo dolce!)
Persa
nei rimpianti, la donna non si accorse che anche Joy si era svegliata e le stava
sorridendo.
“Buongiorno,
Fay!” esclamò con quel tono affettuoso che usava sempre quando parlava con
lei. I suoi occhi di smeraldo brillavano come gemme.
“Buongiorno,
Joy!” rispose scordandosi completamente delle immagini che avevano turbato il
suo animo. “Hai dormito bene?”
Il
ricordo degli incubi che avevano disturbato il suo riposo la riportò
improvvisamente alla realtà.
“Fay,
credo sia successo quello che speravamo non accadesse!” esordì allarmata.
“Credo che Gus abbia trovato tuo marito…”
Fay, improvvisamente sicura che lo scontro fosse avvenuto, impallidì
divenendo più simile ad uno spettro che non ad un essere umano. La voce le
rimase impigliata in gola rendendola incapace di parlare. Le lacrime annegarono
il suo profondissimo sguardo e tutta la vita racchiusa in quei due occhi castani
parve scivolare via con esse. La piccola Joy avvicinò le ginocchia al viso e le
cinse con le braccia. Quale dei due uomini era sopravvissuto? Gus Van Helsing,
il cacciatore di vampiri, o Lord Owen F. Faber, la creatura delle tenebre? Chi
sarebbe tornato dalla propria moglie? Il prezzo sarebbe stato troppo caro in
entrambi i casi. Joy non avrebbe sopportato l’idea di perdere Gus, ma allo
stesso tempo vedere Fay distrutta l’avrebbe uccisa. Allo stesso modo, Fay
sarebbe morta di dolore se Lord Owen F. Faber fosse stato sconfitto, ma
assistere impotente alle pene di Joy,
l’avrebbe addolorata in egual misura.
Fay si
alzò dal proprio letto ed andò a sedersi accanto a Joy. Quest’ultima la
cinse in un abbraccio. Se il destino le avesse scorte in quel momento,
probabilmente avrebbe concesso ad entrambi gli uomini di tornare.
“Dovevi
proprio sposare una creatura delle tenebre?” sussurrò improvvisamente Joy
continuando ad abbracciare l’altra donna.
“E
tu, piccola Joy, dovevi proprio innamorarti di uno degli ultimi cacciatori di
vampiri?”
Entrambe
sospirarono.
“Comunque
vadano le cose…” bisbigliò Fay all’orecchio della fanciulla.
“…
siamo sorelle e non permetteremo che il destino ci divida.” Terminò Joy per
lei.
E su
queste parole, mentre Joy Van Helsing e Fay Faber, un tempo Joy e Fay O’Brien,
si
stringevano
in un fraterno abbraccio, il sole
esplose in tutto il suo splendore.
Alzò
gli occhi al cielo e non le piacque ciò che vide. Nubi d’argento, di piombo e
d’ebano si stavano addensando sul suo capo inghiottendo con ingordigia ogni
traccia d’oro e di turchese. Si spostavano ad una velocità disarmante,
sospinte da un vento rabbioso e carico di cattivi presagi. Ada rabbrividì
percependo malvagità e perversione al di sopra di ogni immaginazione.
“Non
sono realmente qui!” pensò sperando di riuscire a calmare il battito furioso
del proprio cuore.
In
risposta alla sua affermazione, il vento, gelido e crudele, la schiaffeggiò.
Ada vacillò di fronte a quella dimostrazione di forza, ma riuscì a non perdere
l’equilibrio.
“Chi
sei?” gridò tentando di sovrastare il fischio selvaggio di quella forza della
natura.
Una
risata cupa ed intrisa di malvagità fu l’unica risposta che ricevette, poi
proiettili d’aria presero a miagolarle intorno minacciosi. Ada pronunciò la
parola per attivare l’incantesimo di protezione insito nella pietra del suo
anello, ma per la prima volta in tutta la sua vita, la magia non rispose al suo
richiamo.
“Non
è possibile…” esclamò con un fil di voce. Il primo proiettile d’aria la
colpì in pieno stomaco scaraventandola a terra supina. Attraverso gli occhi
velati di lacrime, Ada vide per la seconda volta il cielo, ma non lo riconobbe.
Nero come le ali di un corvo e completamente privo di stelle, pareva avvicinarsi
alla terra sempre più quasi a volerla cingere in un tetro abbraccio. Tentò di
rialzarsi anche se senza magia non aveva alcuna speranza di vincere.
“Chi
sei?” gridò nuovamente con voce lievemente incrinata dal dolore.
Nessuna
risposta, tranne i fischi canzonatori del vento.
“Che
tu sia maledetto!” urlò quasi isterica.
“Già
lo sono!” tuonò una voce sovrumana e grondante empietà, seguita poi da una
risata beffarda.
Una
seconda pallottola di vento colpì Ada in pieno volto. La donna si accasciò al
suolo, il viso contratto in una maschera di sofferenza e striato di sangue e
lacrime, mentre tutt’intorno le tenebre suggevano avidamente gli ultimi colori
del mondo.
Una
mano che profumava di belladonna le accarezzò il viso. Fu proprio quell’odore
un tempo sì familiare a riportarla alla realtà. Aprì gli occhi confusa. Aveva
sognato? Si portò istintivamente le mani al volto.
“Non
agitarti, figlia mia!” esclamò una voce che non aveva più udito da anni.
“Va tutto bene! Io sono al tuo fianco!”
“Non
dovresti essere qui!” rispose Ada posando involontariamente lo sguardo sulla
madre. Trasalì di fronte a quella creatura traslucida.
Lo
spettro di Lisanna aveva mantenuto la beltà che in vita aveva caratterizzato la
donna. Lunghi capelli castani le scendevano ondulati sulle spalle incorniciando
un ovale perlaceo illuminato da un sorriso radioso. Sotto folte ciglia d’ebano
brillavano quelli che parevano due lapislazzuli. Ada scosse la testa.
“Non
dovresti essere qui.” Ripeté tentando di celare il tremito che increspava la
sua voce. Lisanna, accusata di stregoneria, era morta anni prima sul rogo. Le
sue urla strazianti echeggiavano ancora nella mente della figlia. “Cosa ha
turbato il tuo riposo, madre?” domandò.
La
figura spettrale parve incupirsi.
“L’equilibrio
si è spezzato, Ada. L’anima di Gus Van Helsing è sospesa tra il tuo mondo ed
il mio; Owen F. Faber ha evocato il male e ne è divenuto schiavo. La bilancia
del destino pende pericolosamente dalla parte delle tenebre. Il mondo ha bisogno
di te, figlia mia.”
Il
volto di Lisanna si contrasse in una smorfia di dolore.
“Non
posso trattenermi oltre, Ada. Lui mi ostacola” per un istante la guardò ed i
suoi occhi celesti parvero colmarsi d’amore… “Segui il sentiero, figlia
mia!” esclamò poi indicando un tratturo che Ada non aveva notato in
precedenza. “Mi raccomando: fa’ tesoro di ciò che vi troverai. Sono schegge
di futuro che ho rubato per te. ”
Ada
avrebbe voluto abbracciarla, dirle che le voleva bene, tenerla con sé o
seguirla nell’oblio. Non ebbe il tempo di fare nulla. Lo spettro si dissolse
in un battito di ciglia. La donna continuò a lungo ad osservare il vuoto
lasciato dallo spettro, paragonandolo inconsciamente a quello nel suo cuore.
Un falco solcò il cielo striato di nubi d’oro e di nastri rosati. Per
un istante la magia del tramonto parve mutarlo in fenice. Molto più in basso,
sulla terra velata di foschia, all’interno di quello che doveva essere stato
un circolo di protezione, giaceva Gus Van Helsing esanime. Nella mano destra
stringeva ancora la croce d’oro che aveva usato come scudo contro Lord Faber.
Il sole morente accendeva riverberi di sangue sui tre rubini incastonati
verticalmente nell’oro. Non erano riusciti a sfilargliela e questo aveva
impedito loro di infliggergli il colpo di grazia. Pazienza. Prima o poi avrebbe
mollato la presa e, privo della croce, sarebbe stato inerme come un bambino.
Avrebbero atteso. Il tempo era loro alleato. Le loro vite non erano brevi quanto
quelle degli umani!
“Pazienta, Lord Faber!” esclamò la Voce. “Tutto muore, tutto si
estingue. Non senti il profumo della Morte che si sta avvicinando? Muschio e
teschi, petali di rose e terra… L’aria è pregna del suo odore in questo
momento! Lei sta arrivando… per lui!”
Owen strinse i pugni, il viso un tempo affascinante contratto in una
maschera di rabbia ed odio. Aveva tentato più volte di avvicinarsi al corpo del
nemico, ma il potere della croce d’oro glielo aveva impedito.
“Voglio essere io ad ucciderlo!” esclamò mentre la luce del giorno
si affievoliva sempre più.
“Per quale motivo?” domandò la Voce senza mostrare alcuna emozione.
Owen si avvicinò nuovamente a Gus e lo guardò con disprezzo.
“Mi hai perseguitato a lungo, obbligandomi ad abbandonare la mia vita,
il mio castello e soprattutto Fay! Mi hai braccato come un animale,
costringendomi a nascondermi ed a nutrirmi solo quando se ne presentava
l’occasione. Mi hai negato il diritto di vivere! Ed ora io, voglio negarlo a
te!”
“Calmati, Lord Faber.” Intimò la Voce. “Fino a quando la croce sarà
fra le sue mani, non potrai toccarlo, quindi non ti resta che sederti e goderti
la sofferenza del tuo nemico.”
Owen rimase in silenzio. I suoi occhi d’argento traboccavano d’ira e
frustrazione. L’immagine di Fay comparve come per incanto nella sua mente. La
vide intenta a guardare il fuoco, con le guance arrossate dal calore, sorridente
e con gli occhi nocciola resi di porpora e d’ambra dalla luce. “Amore
mio!” pensò Lord Faber. “Sarebbe stato meglio se al posto di baciarti
avessi bevuto il tuo sangue. Gli angeli in cui tu credi, ora ti cullerebbero fra
le braccia e suonerebbero dolci melodie solo per te. Io ero e sono maledetto,
Fay, e con quel bacio ho condannato anche te.”
La Voce intervenne prima che fosse troppo tardi.
“Devi dimenticarla.”
Owen trasalì. Come poteva scordare la donna che amava con tutto se
stesso? Fay, come un raggio di sole, era penetrata nel suo cuore tetro
impedendogli di andare alla deriva. Gli aveva insegnato sentimenti preclusi ai
figli delle tenebre, rendendolo sempre più simile ad un essere umano. Come
poteva la Voce anche solo credere che lui volesse fare una cosa del genere? Fay
era il solo motivo per cui avesse accettato di continuare a vivere nonostante la
maledizione che l’accompagnava dalla nascita! Fay era tutto e gettarla
nell’oblio sarebbe equivalso a cancellare l’universo.
“Non ho alcuna intenzione di dimenticare mia moglie! Io l’amo!”
rispose Lord Faber.
La Voce esplose in una risata.
“Non importa quello che tu vuoi!” rispose beffarda. “E’ il mio
volere quello che conta!!!”
Owen cadde a terra e con le mani premute sulle tempie lanciò un grido di
dolore.
“Cosa
mi hai fatto?” urlò.
La
Voce non rispose.
Come
coperto da una pennellata di vernice nera, ogni ricordo che riconducesse a Fay,
era svanito.
“No!”
echeggiò il suo grido disperato nella notte, poi tutto prese a vorticare e Lord
Faber, per la prima volta in tutta la sua vita, perse i sensi.
Ada si guardò intorno. All’inizio non scorse che alberi
spasmodicamente abbarbicati l’uno all’altro. La foresta le parve un’unica,
gigantesca creatura addormentata. Un brivido le corse lungo la schiena. Stava
tremando, ma questo le succedeva ogni volta e non vi prestò attenzione. Scrutò
attentamente la zona alla ricerca del sentiero che sua madre le aveva mostrato
in precedenza. Non trovarlo avrebbe significato rimanere per sempre prigionieri
della propria mente. Si concentrò ulteriormente. Lentamente, ogni odore
scomparve ed ogni suono si smorzò fino ad acquietarsi completamente. Socchiuse
gli occhi. Aveva bisogno di una maggiore concentrazione. Un lieve formicolio
alle estremità fu la risposta che attendeva: era riuscita ad attivare la magia.
Ma dov’era il sentiero? Quando finalmente lo scorse, si sentì sollevata. Si
inoltrava nel verde come un lungo e tortuoso serpente. Soddisfatta mosse i primi
passi sulla terra battuta e ne percepì immediatamente la forte magia. Chiuse
gli occhi estasiata e quando li riaperse, vide che intorno a lei tutta la
foresta si era sfumata. Ada ed il sentiero erano rimaste le uniche due figure
ben distinte in un acquerello verdeggiante. La zingara lo seguì senza indugio,
procedendo a passo spedito su quello che in realtà era un ponte magico sospeso
fra il presente ed il futuro. Tutt’intorno il paesaggio non mutò. Macchie di
verde continuarono ad alternarsi a pennellate di color verdecupo o verdebiondo.
Un silenzio sepolcrale camminò al suo fianco per tutta la durata del viaggio.
Ben in tre occasioni, però, il muto compagno parve deciso a volerla
abbandonare.
La
prima volta fu quando Ada incontrò il Giardiniere. Laddove solo pochi istanti
prima spaziava il vuoto, apparve un piccolo uomo intento ad innaffiare un giglio
nero come la notte. Interruppe il lavoro non appena si accorse della presenza
della donna. Volse lo sguardo verso di lei. Occhi verdi simili a quelli di un
felino si accesero come lucciole su un volto piccolo e dai lineamenti spigolosi.
“Ti
stavo aspettando!” esclamò passandosi una mano sporca di terra fra i lunghi
capelli e scoprendosi accidentalmente un orecchio appuntito. “Devo darti
questo!”.
Strappò
con violenza il giglio dal terreno e lo lanciò ai piedi della Vistana. Il fiore
danzò a lungo nell’aria prima di toccare il suolo ed il suo colore passò dal
corvino al rosso cremisi nell’attimo stesso in cui vi si posò. Ada lo
raccolse. Dallo stelo stillava sangue.
“Non
capisco!” disse la donna accigliata.
Fra le
sue mani il giglio smise di sanguinare e nuovamente mutò divenendo candido come
la neve. “Non capisco!” ripeté.
L’elfo
sorrise.
“Chiedimi
chi sono!” replicò.
“Chi
sei?” domandò la Vistana continuando a tenere fra le mani il fiore.
“Ero
l’Amore che acceca, sono la Disperazione che uccide, sarò la Promessa che non
separa.”
Ada
scosse la testa.
“Aiutami,
se puoi. Cosa significa tutto questo?”
Con
tono sibillino reso grottesco dalla pronuncia alla francese dell’erre,
l’elfo rispose:
“Il
giglio deve essere bianco per far sì che l’equilibrio torni a regnare
sovrano. Rammenta questo, però: per tingersi di bianco, il giglio nero deve
prima essere rosso. Non c’è altra strada. Lascia che il fiore segua il suo
destino.”
L’elfo
le sorrise nuovamente, poi scomparve. Il silenzio, così come se ne era andato,
tornò a passeggiare al suo fianco. Camminarono a lungo insieme, anche se in
realtà potevano essere passati solo pochi istanti. Improvvisamente, così come
era successo con l’elfo, un gatto, nero come la notte e dagli inquietanti
occhi grigi, apparve dal nulla. Rimase immobile di fronte alla zingara,
sfidandola con lo sguardo e soffiandole contro una minaccia. Ada, rimasta sola
con quella creatura apparentemente innocua, lo fissò a sua volta. Di nuovo non
capiva, ma non si scoraggiò. Presto il mosaico sarebbe stato completo
rivelandole l’esatta posizione di quelle tessere ora sì misteriose. Tornò ad
osservare il gatto. Era un comune gatto nero, ma aveva qualcosa di inquietante:
lo sguardo terribilmente umano. Quegli occhi magnetici non appartenevano alla
bestia, di questo era più che sicura, eppure non riusciva a ricordare dove li
avesse già scorti. Il felino non le lasciò il tempo di pensare oltre. Con un
agile scatto le saltò addosso. Ada, colta di sorpresa, perse l’equilibrio e
cadde all’indietro col gatto tenacemente aggrappato agli abiti. Tentò
disperatamente di rialzarsi, ma invano. La bestia, ancora appoggiata sul suo
petto, cominciò a crescere a dismisura e nell’arco di un battito di ciglia si
trasformò in una pantera. Il peso della creatura divenne insostenibile. Ada
chiamò a sé la magia, ma per la seconda volta questa non rispose. Sentì il
respiro venirle meno. Disperata, si divincolò, colpì più volte il felino sul
muso, ma tutto fu inutile. La pantera, seduta tranquillamente sul corpo della
zingara, avvicinò il muso al viso della donna. Ada, nell’attimo prima che
precede la morte, vide che gli occhi della pantera brillavano di una malvagia
luce cremisi. Artigli poderosi, poi, le dilaniarono il volto e tutto svanì.
Cavalcavano da giorni. Indolenzite, infreddolite e scoraggiate,
procedevano in silenzio, perse in chissà quali cupi pensieri. La pioggia
continuava a battere insistente sui loro mantelli ormai fradici. Il vento, più
gelido dell’alito della morte, le faceva tremare come foglie. Dall’inizio
del viaggio, più volte erano state sul punto di cedere al desiderio di tornare
a casa. Arrendersi, però, avrebbe significato rimanere all’oscuro del destino
dei propri mariti. Così, nonostante i disagi e le sofferenze, avevano
continuato a seguire il sentiero che le avrebbe condotte all’accampamento
degli zingari. Entrambe sapevano che Ada la Vistana era la loro unica speranza.
“Dovremmo cercare un riparo per la notte!” gridò Fay tentando di
sovrastare lo scroscio della pioggia e gli ululati del vento.
Joy scosse la testa. Un ricciolo dorato le si appiccicò al volto.
“Proseguiamo!” La convinzione nella sua voce duellava furiosamente
con la stanchezza che trapelava dai suoi occhi.
Fay spronò il cavallo per raggiungere la sorella e le si parò dinnanzi.
“Dobbiamo riposare, Joy! Non dimenticare che aspetti un bambino!”
Prese la mano di Joy fra le sue. Joy abbassò lo sguardo tentando di ricacciare
le lacrime. Non voleva piangere, ma la tensione accumulata pareva sul punto di
esplodere da un momento all’altro. Quanto si sentiva vulnerabile ora che
aspettava un figlio! Fay le accarezzò una guancia riportandola alla realtà.
“Non
conosco queste zone!” gridò lady Faber. “Sai dove potremmo trovare un
riparo?”
Joy
posò il proprio sguardo sulla sorella ed a fatica la riconobbe. La stanchezza
ed il dolore avevano cancellato dal suo viso ogni traccia di bellezza. E degli
occhi non rimanevano che sassi nocciola privi di luce e calore.
Gus Van Helsing aprì gli occhi, o almeno questo fu ciò che gli fu fatto
credere. Intorno a lui il paesaggio era completamente mutato. Gli alberi erano
scomparsi e sul suo capo non v’erano più né cielo né astri. Di sicuro non
si trovava nel luogo in cui aveva affrontato Lord Owen F. Faber ed il suo
potente alleato. Si rialzò velocemente da terra e questo lo sorprese. Tutte le
ferite subite nel combattimento erano scomparse. Del dolore straziante non
rimaneva che un evanescente ricordo. Non riusciva a comprendere. Aveva sognato
tutto o questo era l’inizio di un sogno? Si guardò intorno. Si trovava
all’interno di un lungo e sterile corridoio che pareva estendersi
all’infinito sia davanti a lui che alle sue spalle. Le pareti, il soffitto ed
il pavimento candidi rilucevano di un’insolita luminescenza madreperlacea. Più
si sforzava di capire, meno gli appariva chiara la situazione. Rammentava con
lucidità ogni istante della battaglia: lo scontro che avrebbe dovuto segnare la
fine del vampiro e che invece si era rivelato una trappola quasi mortale per il
cacciatore; lo stupore ed il terrore di fronte all’incubo evocato da Lord
Faber ; le atroci sofferenze a cui
l’aveva sottoposto la malvagia creatura; l’ultimo gesto disperato con il
quale aveva strappato la croce d’oro dalla catena e l’aveva posta fra sé ed
il vampiro; il lampo accecante, le grida frustrate di Owen e poi il buio. Ma
cosa era accaduto in seguito? Si passò nervosamente una mano fra i capelli.
Perché era ancora vivo? Perché Lord Faber non lo aveva ucciso? E dov’era il
demone?
“Se continuo così” pensò Gus “credo proprio che impazzirò!”
Si guardò di nuovo intorno. Le vie possibili erano due. Rimase immobile
mentre i suoi occhi celesti osservavano il tunnel che proseguiva all’infinito.
Pareva una statua dagli occhi di diamante. Sospirò. Cosa avrebbe fatto Joy al
suo posto? Oh, Joy! Dolce driade dai lunghi riccioli d’oro e di miele!
Il ricordo della moglie dagli occhi di giada gli empì il cuore di
speranza.
“Qualunque via sceglierò” disse fra sé e sé, “nulla mi impedirà
di tornare a casa.”
“Vi sbagliate, signore!” esclamò una voce sottile alle sue spalle.
Gus si girò di scatto, allarmato e stupito al tempo stesso. Si ritrovò
ad osservare sbigottito un bambino sui dieci anni. Ebbe l’impressione di
conoscerlo. Dove aveva già visto quegli occhi cilestrini e quei boccoli castani
screziati d’oro? Non riusciva a rammentarlo.
“Se deciderete di proseguire, signore, non ritroverete mai più la
strada di casa! Dovete tornare indietro! Fidatevi di me! “ Il bambino sorrise
e le guance rosate parvero accendersi maggiormente.
“Chi sei? Sei forse un angelo? Oh Dio! Sono morto! Ora capisco tutto!
Sono morto e tu sei l’angelo incaricato di accompagnarmi…” Le ultime
parole scemarono in un sospiro.
Il bambino sorrise di nuovo.
“No, signore, state tranquillo, non sono un angelo! Forse lo sono stato
un tempo, ma ora non lo sono più.” Rispose senza mai distogliere il proprio
sguardo da quello di Gus. Infilò
poi una mano nella tasca della tunica grigia e ne estrasse un oggetto rilucente.
Lo porse all’uomo.
“Questa vi servirà, signore!”
“La
mia croce d’oro!” esclamò Gus Van Helsing esterrefatto. “Dove l’hai
trovata?”
Il bambino scosse la testa.
“Gli adulti fanno sempre troppe domande.” Disse più rivolto a se
stesso che non al cacciatore di vampiri. “Dobbiamo affrettarci, signore. Se
volete rivedere Joy, fidatevi di me.” Gus
trasalì. Come faceva quel bambino a conoscere il nome di sua moglie?
“Chi sei?” domandò con una punta di preoccupazione nella voce.
Il bambino abbassò lo sguardo ed a Gus parve improvvisamente molto
triste.
“Purtroppo non ho un nome, Signore. Forse un giorno ne avrò uno tutto
mio.”
“Cosa ne dici di Andrew?” esordì l’uomo tentando di riaccendere il
sorriso su quel visetto accigliato.
Gli occhi chiari del bimbo tornarono a brillare.
“Trovo che sia splendido!”
Il bambino lo prese per mano. “Ed ora, signore, per amor di Dio,
affrettiamoci.”
“Come vuoi, Andrew.”
Il
bambino sorrise compiaciuto.
Con la
mano stretta in quella più piccola del bambino, Gus si rese improvvisamente
conto di non essersi mai sentito così in pace con se stesso.
Nell’attimo stesso in cui la pantera scomparve, il Silenzio tornò. Ada
si rialzò incolume e riprese a camminare al suo fianco persa in cupi pensieri.
Mai nessuna divinazione le era parsa tanto lunga ed oscura. La zingara era
seriamente preoccupata. C’erano in gioco forze capaci di distruggere
definitivamente l’equilibrio fra il bene ed il male. Gus Van Helsing stava
morendo (e quanto pesava il senso di colpa per non esser riuscita a cambiare il
corso di quel destino che già la sfera di cristallo le aveva preannunciato!) e
con lui la speranza di eliminare definitivamente le creature delle tenebre. Ada
rabbrividì. Un demone si aggirava libero sulla terra; l’ultimo vero
cacciatore di vampiri si stava spegnendo (ce n’erano altri,
naturalmente, ma nessuno di loro possedeva le qualità dei Van Helsing).
La bilancia pendeva già decisamente dalla parte del male. Scosse la testa. Si
sentiva impotente, ma non si sarebbe arresa. Lo doveva a Gus. Sospirò
rendendosi conto di quanto la perdita dell’amico l’avrebbe resa infelice.
Stava ancora pensando a lui, quando l’elfo dagli occhi verdi e dalla erre
moscia gli si parò di fronte. Il Silenzio, indignato, se ne andò per la sua
strada.
“Korral.
Il mio nome è Korral!” esordì mentre sul suo volto si accendeva un
sorrisetto sarcastico. “E tu dovresti essere Ada la Vistana o meglio, Ada la
cacciatrice di schegge di futuro!”
Ada
annuì incapace di fare altro.
L’elfo
estrasse un mazzo di tarocchi e li dispose a ventaglio.
“Pesca due carte!” esordì. I suoi occhi luccicarono come quelli di
un gatto. Ada non esitò. Scelse una carta fidandosi del proprio istinto. Gli
Amanti. Ne prese una seconda. L’Angelo.
L’elfo sorrise compiaciuto.
“Chiedimi chi sono!” esclamò fregandosi le mani.
“Chi sei?” domandò la Vistana.
“Sono la Morte!”
Fra le mani della zingara i tarocchi si surriscaldarono. Ada li lasciò
andare. Lo stesso fece Korral con la carta della Morte. Ancora in volo, la carta
degli Amanti si spezzò a metà. Le due parti caddero distanti l’una
dall’altra. L’Angelo si posò sulla metà raffigurante l’uomo. La Morte
volteggiò a lungo, troppo a lungo,
come un avvoltoio, sugli Amanti e sull’Angelo, poi si lasciò cadere sulla
carta spezzata coperta dall’Angelo. Korral schioccò le dita ed i tarocchi
scomparvero.
“Dimmi di più!” lo incitò Ada quasi isterica.
L’elfo avvicinò il volto fatato a quello della zingara e la baciò
sulle labbra. Profumava di mughetti e di rose, di muschio e di erba appena
tagliata. Ada chiuse gli occhi incapace di reagire. Quando li riaperse, Korral e
la foresta erano svaniti. La divinazione era terminata. Si trovava nella sua
tenda, nell’accampamento dei Vistana. Si allontanò dalla sfera di cristallo.
Immediatamente, questa smise di pulsare e la magia riprese a sonnecchiare in
attesa di essere evocata per l’ennesima volta. Raggiunse a fatica il proprio
letto e vi si lasciò cadere esausta. Sprofondò immediatamente in un sonno
questa volta, grazie a Dio, privo di sogni.
Esaudendo il desiderio delle due donne fradice ed infreddolite, la
pioggia finalmente si placò. Lentamente, sospinte da un vento ghiacciato, le
nubi presero a dissiparsi lasciando intravedere fette di firmamento. Era da poco
passata la mezzanotte. Joy Van Helsing e Fay Faber sedevano all’interno di una
piccola torre in parte diroccata, attorno ad un fuoco acceso a fatica. Avevano
consumato un pasto frugale a base di frutta e pane ed ora si apprestavano a
riposare. Fay, poco avvezza ad intere giornate di cavalcatura, si massaggiava la
schiena. Le dolevano tutti i muscoli e dubitava fortemente che il giorno
successivo sarebbe riuscita a salire nuovamente a cavallo. Joy, invece, stesa
sulla coperta, osservava le stelle mentre la sua mente era rivolta a Gus.
“Dove
sei, amore mio?” pensò “Stasera le stelle brillano, ma i miei occhi non
riescono a scorgerne la luce. Ed il mio cuore non sa gioire di tanto splendore
poiché tu, la stella più luminosa in assoluto, sei lontano. Oh, dolce Gus, che
il tuo candore ti protegga nelle buie notte di quel crudele destino che porta il
nome di Owen F. Faber!” Sospirò attirando involontariamente l’attenzione
della sorella. “Vento! Tu che corri veloce come nessuno e conosci ogni luogo,
soffia nel suo orecchio le mie parole! E cantagli i miei pensieri, caldi e colmi
d’amore, sì che possa avvolgervi quel cuore che tanto brama calore e
conforto.”
“Dovresti dormire!” esclamò dolcemente Fay. “Veglierò sul tuo
sonno fino a quando le forze me lo concederanno.”
Joy si mise a sedere a gambe incrociate.
“Quando finirà tutto questo?” domandò malinconica.
Fay scosse la testa.
“Non lo so, Joy.” Rimase in silenzio per qualche istante, poi riprese
con voce rotta dall’emozione: “Il mio cuore si appiattisce sempre più sotto
il peso del dolore e del rimorso. Ogni mattina mi alzo e prego Dio che Owen sia
ancora vivo. Ti rendi conto? Quello è lo stesso Dio che lo ha condannato!
Come posso sperare che decida di lasciarlo in vita?”
Joy scosse la testa.
“Gus diceva che perdere la speranza equivale a perdere la guerra ancor
prima di essere scesi in campo!” rispose Joy sospirando.
Fay volse gli occhi al cielo e fra le due sorelle cadde il silenzio. Joy
si stese accanto al fuoco.
“Un insolito destino ci lega, sorellina! Oltre ad un vincolo di sangue,
pare che tra noi esista un legame basato sulle lacrime… Fay… Pensi che
potremo mai essere felici?”
La sorella maggiore si avvicinò al giaciglio di Joy, si piegò a fatica
sulle ginocchia e le accarezzò una guancia.
“La
felicità ti sta crescendo in grembo, piccolina!” rispose dolcemente. Joy
sorrise poi, come un gatto, socchiuse gli occhi alla carezza e piano piano
scivolò nel sonno.
Fay sedette a sua volta accanto al fuoco ed alzò lo sguardo alla ricerca
di una costellazione familiare. Suo marito le aveva insegnato a riconoscerle la
prima volta che erano usciti insieme. Il
loro amore era sbocciato in un istante. Un vero e proprio colpo di fulmine. Fay
sospirò ripensando a quella notte trascorsa unendo con linee immaginarie i
puntini luminosi. Quanti languidi ed infuocati baci sotto le stelle timide!
Quante promesse d’amore! Dolce
era perdersi in quei profondissimi e magnetici occhi grigi! Sospirò. Owen le
aveva rivelato la sua vera natura la seconda volta che erano usciti insieme.
“Non dobbiamo vederci mai più, Fay.” Le aveva detto evitando il suo
sguardo. “Ci sono cose sul mio conto di cui sei all’oscuro e venendole a
sapere finiresti coll’odiarmi. Morirei leggendo il disprezzo nei tuoi
occhi!”
“Non m’importa nulla del tuo passato!” aveva risposto la fanciulla
obbligandolo a guardarla. “Io ti amo!”
“Oh, piccola! Se si trattasse solo del passato sarei un uomo felice!”
le aveva accarezzato il viso. “C’è una maledizione con la quale convivo dal
giorno in cui sono nato e che mai mi abbandonerà. Il mio futuro è segnato ed
amarmi ti trascinerebbe inesorabilmente oltre i confini della luce. Fay, io
sono… io sono un vampiro.”
Non era stato facile credere a quelle parole fino al momento in cui Owen
era scoppiato a piangere. Fra le lacrime le aveva raccontato una vita di
solitudine, di rimorsi e di tenebre. Accettare il fatto che l’uomo di cui era
innamorata si nutrisse esclusivamente di sangue umano, poi, si era rivelato più
complicato del previsto. Ciononostante, la forza dell’amore era riuscita a
tenere unite due creature all’apparenza dissimili come il giorno e la notte.
“Non ti lascerò mai, amore mio!” aveva detto la ragazza asciugando
con il calore dei baci le lacrime dell’uomo. E così era stato.
Fay gettò un po’ di legna nel fuoco. Joy dormiva. Con i riccioli
dorati sparsi sulla coperta ed un’espressione serena dipinta sul viso, era
bella oltre ogni immaginazione. Fay si accucciò al suo fianco.
“Sorellina!” bisbigliò timorosa di svegliarla. “Comunque vadano le
cose, ti prometto che non ti lascerò mai sola. Sarò sempre il tuo angelo
custode!”
Joy Van Helsing si lamentò nel sonno. Fay le diede un bacio sulla
fronte, poi si alzò. Si sentiva terribilmente stanca. Prese la propria coperta
e la distese accanto a quella della sorella. Fuori il vento si era placato
lasciando il mondo in balia di un silenzio quasi tangibile. Fay si coricò. Sul
suo capo, oltre il soffitto diroccato della piccola torre, la costellazione di
Cassiopea palpitava intensamente, testimone dell’affetto che legava le due
sorelle e, soprattutto, della promessa che la maggiore aveva fatto all’altra.
Trovarla era stato più semplice del previsto. La sua mente era debole
ora che il cuore languiva e per Dylena era stato un gioco da ragazzi leggerne i
pensieri. Arrivata a pochi metri dalla torre diroccata, la strega mutò forma
assumendo le sembianze del figlio ed entrò. Trovò due figure coricate accanto
alle ceneri di un fuoco morente e completamente immerse nell’oscurità venata
d’argento. Non ebbe difficoltà a riconoscere la sua preda. Lanciò un
incantesimo per impedire all’altra donna di svegliarsi e si avvicinò a Fay.
La guardò con disprezzo. Quanto avrebbe voluto ucciderla con le proprie mani!
Con la sua innocenza era riuscita ad illuminare il cuore di suo figlio e lo
aveva reso mansueto come un agnellino! Maledetta sgualdrina! Owen era stato
concepito affinché portasse il male e le tenebre sulla terra, non certo perché
si rinchiudesse in un tenebroso castello sospeso fra il bisogno di nutrirsi di
sangue e l’amore per una donna!La strega sputò su quello che rimaneva del
pavimento. Fay si lamentò nel sonno. Dylena si avvicinò maggiormente alla
donna.
“Fay!” chiamò con voce del tutto identica a quella di Lord Owen.
“Svegliati, amore mio!”
Fay aprì gli occhi e vide ciò che la strega voleva che lei vedesse: suo
marito.
“Sto ancora sognando.” Pensò rattristandosi. “Lui non può essere
qui…”
Chiuse gli occhi . Quella voce calda e vellutata, però, continuò ad
incitarla ad alzarsi, così aperse gli occhi per la seconda volta e dovette
ricredersi. Lord Owen F. Faber era in piedi accanto a lei. Quanto tempo era
passato dall’ultima volta in cui l’aveva visto! In un attimo fu fra le sue
braccia. Quanto le erano mancati il calore ed il profumo del suo corpo!E quegli
occhi simili a due gemme grigie capaci di illuminarsi ad ogni sorriso! Lacrime
di gioia scesero copiose lungo le sue guance pallide. Della disperazione e del
dolore non rimasero che ricordi remoti. Stille di pianto lavarono via ogni
traccia di malinconia dal suo cuore provato.
“Stringimi!”
sussurrò Fay.
Dylena
si trattenne a stento dal lanciare una maledizione contro la moglie di suo
figlio. Non le sarebbe dispiaciuto vederla avvizzire e morire in pochi secondi.
“Lascia che ti guardi, amore mio!” sussurrò Fay accarezzandogli i
corti capelli corvini.
La strega immaginò quanto sarebbe stato piacevole evocare un migliaio di
ragni e scagliarli contro l’odiosa Fay Faber.
“Baciami,
Owen!” disse la donna socchiudendo gli occhi.
Owen
si ritrasse.
“Gus Van Helsing sarà qui a momenti.” Mentì Dylena. “Dobbiamo
andarcene prima che lui arrivi.”
Il desiderio di baciare il marito non l’abbandonò, ma la priorità di
fuggire prese il sopravvento.
Fay volse lo sguardo verso Joy.
“Tuo marito sta arrivando, sorellina.” pensò sollevata. “Prego Dio
affinché vi conceda di poter vivere in pace per l’eternità, lontani da tutta
questa oscurità.”
Sentì una fitta al cuore al pensiero di non poter rivedere mai più la
sorella. Owen doveva fuggire lontano se voleva sperare di
riuscire a salvarsi e lei, sua moglie, lo avrebbe seguito in capo al
mondo. Ciononostante, vivere senza Joy sarebbe equivalso a tentare di
sopravvivere senza il sole.
“Racconterai
di me al bambino?” pensò Fay immaginando quanto avrebbe amato suo nipote.
“Gli dirai quanto ti volevo bene e quanto lo avrei amato se il destino non mi
avesse costretta ad andarmene?” .
“Mi
mancherai” sussurrò poi.
Non
avrebbe mai scordato quei riccioli dorati sui quali pareva aver indugiato troppo
il sole, né quel sorriso radioso come un’alba. E come dimenticare quegli
occhi di smeraldo carichi d’affetto e di promesse? Joy sarebbe rimasta per
sempre nel suo cuore.
“Avanti, Fay!” esclamò la strega trattenendo a stento l’ira.
“Andiamocene!”
Joy prese la mano del marito.
La strega si consolò al pensiero che presto, molto presto, Fay Faber
avrebbe sofferto le pene dell’inferno.
“Sono pronta, amore mio.” Rispose. “Andiamo.”
Diede un’ultima, dolcissima, fugace occhiata alla sorellina
addormentata, le mandò un bacio e fuggì nella notte assieme a quello che
credeva fosse suo marito, completamente ignara dell’orrore verso il quale
stava correndo.
La Vistana raggiunse la fatiscente torre qualche ora dopo l’alba ed alzò
gli occhi al cielo. Quello che vide non le piacque. Il vento aveva raggruppato
un gregge di nubi davanti al sole, impedendo al calore di diffondersi sulla
terra, e continuava a soffiare ordini a quelle ancora lontane. Ada tremò e non
solo a causa del freddo. Presto il cielo sarebbe stato interamente coperto,
proprio come nella divinazione. Si sforzò di concentrarsi sul presente. Aveva
trovato Joy Van Helsing ed ora doveva impedirle di ostacolare l’avverarsi
della profezia. Maledicendo il vento, allontanò una ciocca corvina dal viso.
“Il
giglio nero deve tornare candido per far sì che la bilancia sia in equilibrio.
Il nero deve smorzarsi sino a divenire rosso, poi il rosso scemerà nel bianco.
Questo è l’unico modo per impedire al male di prendere il sopravvento o alla
luce di prendere il sopravvento sulle tenebre. L’equilibrio è ciò che
conta.” Le parole di Korral echeggiarono nitide nella sua mente. “Lascia che
il fiore segua il proprio destino… ”
Nell’attimo
stesso in cui la zingara aveva compreso a chi si riferissero quelle parole, si
era resa conto di quanto la moglie di Gus avrebbe potuto fermare il corso degli
eventi. Senza esitazioni aveva consultato la sfera di cristallo per
rintracciarla. Fortunatamente, aveva scoperto che Joy era più vicina di quanto
potesse sperare. La donna si era fermata all’interno di una piccola torre
abbandonata a sole poche decine di chilometri dall’accampamento dei Vistana.
Ada l’avrebbe raggiunta immediatamente e non l’avrebbe più lasciata sola.
Non poteva permetterle di interferire. Scese da cavallo. Il vento le gonfiò le
già ampie gonne multicolori rendendola simile ad una coppa rovesciata. Gli
occhi della donna si mutarono in due fessure. La sensazione di urgenza le
toglieva il respiro. Più il vento soffiava furioso, più Ada percepiva
l’avvicinarsi del nemico. Doveva sbrigarsi. Corse all’interno della torre
diroccata e lì trovò Joy addormentata. Si guardò intorno. Consultando la
sfera alla ricerca della compagna di Gus, aveva scoperto che la moglie di Owen
era con lei. Dov’era ora Fay
Faber? Il destino doveva già aver provveduto ad allontanare le due sorelle.
L’ingrato compito della zingara, ora, era quello di non permetter loro di
incontrarsi. Si avvicinò alla donna addormentata su un fianco e la scosse
dolcemente.
“Joy!
Joy Van Helsing!” esclamò tentando inutilmente di risvegliarla. Ebbe
l’impressione che qualcosa non andasse. La scosse nuovamente, ma il tentativo
risultò vano. A questo punto la girò e solo in quell’istante scorse il
cerchio di sabbia che era stato tracciato attorno al suo capo.
“Un
incantesimo del sonno!” sibilò con rabbia. Chi poteva aver lanciato una magia
del genere? Ed a che scopo? Fay Faber non avrebbe mai potuto farlo. Di
conseguenza, qualcun altro dotato di poteri magici doveva esser entrato nella
torre. Owen
F. Faber? Il Demone?
E che fine aveva fatto lady Faber? La zingara non sapeva dare una risposta a
queste domande. Sperava solo che il colpevole fosse riuscito a mettere in moto
gli ingranaggi per far avverare la profezia di Korral. Prese in considerazione
l’idea di lasciare Joy sotto l’influsso dell’incantesimo. Di sicuro, in
quelle condizioni non avrebbe causato problemi. Le toccò la fronte e,
socchiudendo gli occhi, interrogò la magia al fine di scoprire se
l’incantesimo del sonno fosse in qualche modo dannoso per la donna. In caso
positivo, l’avrebbe dissolto. In caso negativo, invece, avrebbe lasciato
dormire la bella Joy impedendole così di soffrire ed al tempo stesso di
condannare il mondo. La magia non tardò a rispondere al suo appello. Non solo
le fece sapere che Joy Van Helsing non correva rischi, ma le rivelò anche la
gravidanza della donna. Ada trasalì a quella preziosa informazione e finalmente
tutto le fu chiaro. Il giglio, il gatto nero, gli Amanti, l’Angelo e la Morte.
Le immagini di Korral si riunirono dando vita ad un’agghiacciante pagina di
futuro. Doveva sbrigarsi. Dissolse il più rapidamente possibile l’incantesimo
che teneva prigioniera Joy e per una frazione di secondo, provò il desiderio di
consolare quella donna alla quale il destino avrebbe straziato il cuore
lasciando ferite che mai più si sarebbero rimarginate.
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