Home Page         Pagina Iniziale        L 'angolo di Delphine       Io, Delphine

 

Racconti     Poesie    NewIdee

 

 

LUCI ed OMBRE

 

Ad Owen, la creatura delle tenebre;

A Joy, la regina della luce;

Ad Owen, la bellezza misteriosa della notte;

A Joy, il magico calore del giorno.

Ad Owen, il malinconico sogno;

A Joy, la dolce realtà.

 

 

In un desolato luogo troppo

lontano dal nostro castello, 

25° giorno del Mese di Gennaio

 

Mia adorata Fay,

                  notti e giorni si susseguono come note in una sinfonia infinita. Vortici stellanti e raggi di sole, pallide lune e cieli turchesi, albe e tramonti si fondono l’uno nell’altro ad una velocità disarmante. E più il tempo passa, più mi allontano da te (fisicamente! Mai spiritualmente, amore mio, non temere!).

                Qualche giorno fa ti ho sognata. Eri tutta vestita di rosso, bellissima (neppure i sogni riescono a creare immagini tanto perfette tali da rendere giustizia alla tua beltà!) e sorridente. Camminavi verso di me, languida e flessuosa come un felino, sussurrando il mio nome. Oh, amor mio! In sogno ti ho sollevato fra le mie braccia e, dopo averti delicatamente posata sul letto della nostra camera (fortunato pezzo di legno che ogni notte può vantarsi di esser rimasto a vegliare sul tuo sonno!), ti ho amata con l’intensità e la passione che ben conosci. Fay, luce dei miei occhi stanchi, non sai quanto tutto mi sia parso reale! Quando mi sono svegliato, credevo di trovarti al mio fianco! Ma tu non c’eri, amore mio, ed a me non è rimasto che maledire per l’ennesima volta quel dio che tanto mi odia. E se non fosse perché tu credi in lui, dubiterei persino della sua esistenza…

                Mi manchi, Fay. Non sai quante volte mi sono chiesto come una creatura delle tenebre, solitaria e lontana dal bene, possa provare un sentimento così forte (ed allo stesso tempo dolce) nei confronti di una donna. Come hai fatto ad incantarmi semplicemente con uno sguardo? Ti ho trascinato ai confini della Luce, amore mio, ma tu non mi hai mai giudicato. Mi hai solo e sempre amato.

                Non merito tanto amore, lo sai?

      Sì, lo sai. E forse è proprio per questo che mi ami così profondamente. Ora ti devo lasciare, seppure a malincuore.

      Il nemico si avvicina ogni minuto di più.

       Non piangere, dolce Fay, né per me né per il nostro fato. Ti ho promesso che sarei tornato e lo farò.

                                                                                                                                           

                                                                                                                                            Eternamente tuo

                                                                                                                                                     Owen

                                

          Ondeggiava sulla candela stillante lacrime di cera una luminosa fiammella di porpora e d’oro. Lady Faber, Fay per gli amici, la osservava già da diverso tempo, persa in ricordi che avevano la voce ed il profumo inebriante del marito. Ad ogni suo sospiro, la fiamma tremolava accendendo sinistri riverberi color sangue negli occhi nocciola della donna. Sul tavolo, accanto al candelabro a tre bracci, giaceva un foglio di pergamena, la lettera di Lord Owen F. Faber.

           Fay l’aveva riletta dieci, forse quindici volte. Del marito, lontano ormai da mesi, non le rimanevano che il ricordo degli intriganti occhi dello stesso colore del mare in tempesta e delle ultime parole da lui pronunciate: “tornerò!”. Quelle lettere erano l’unico contatto che ancora aveva con lui. La nostalgia stava consumando il suo cuore come la fiammella la candela. Non sarebbe riuscita in eterno (ed eternità era nel loro castello una parola che veniva evitata con cura!) ad accontentarsi delle parole contenute in quelle poche pergamene che di tanto in tanto il Messaggero le consegnava. Chiuse per un istante gli occhi e l’immagine di Owen le parve ancora più sfocata dell’ultima volta. Ciononostante, la trovò bella oltre ogni immaginazione. Morbidi capelli corvini incorniciavano un volto dai lineamenti fieri e nobili e la loro tinta scura duellava furiosamente col pallore quasi spettrale delle guance e col magnetico grigiazzurro degli occhi. Le labbra (quanto le mancavano quelle labbra!), vellutate ed amaranto, le apparvero tirate in un sorriso. Sospirò. Era molto raro vedere Lord Owen F. Faber sorridere. Fay adorava quando lo faceva. Era come se per un istante il sole penetrasse attraverso quella fitta coltre di nubi plumbee che ingrigivano i suoi occhi.

“Owen!” sussurrò Fay tentando di trattenere le lacrime. La fiammella si chinò dinanzi a tanto dolore e solitudine. Come poteva il destino essere tanto crudele? Aveva segnato la vita di Lord Owen F. Faber ancor prima che lui nascesse e continuava a non dargli tregua. 

“Amore mio!” pensò Fay senza rendersi conto di aver pronunciato quelle parole a voce alta. Quanto le mancavano la sua dolcezza, le sue carezze, il calore del suo corpo, l’intensità dei suoi sguardi e tutti i bei momenti trascorsi insieme! Non le importava se Owen era diverso da tutti gli altri. Lei lo aveva amato dal giorno stesso in cui lo aveva conosciuto e lo avrebbe amato per sempre.

Fuori, oltre le cortine di broccato rosso, un dio contrario a quell’amore blasfemo scagliò con violenza un fulmine contro la terra.  

* * *

                  Come la regina delle Amazzoni, Joy Van Helsing cavalcava disinvolta nella notte foriera di tempesta. Le nubi avevano inghiottito ogni stella e la luna era corsa a nascondersi in un luogo sconosciuto ai mortali. Di tanto in tanto un lampo macchiava di luce gli alberi che costeggiavano il sentiero rendendoli simili a creature spettrali e minacciose. Ogni uomo con un po’ di buon senso avrebbe evitato la strada che conduceva al castello dei Faber, soprattutto in una notte come quella, ma la giovane e bella Joy aveva un valido motivo per recarvisi: Fay.

                Persa in chissà quali fantasie, la fanciulla lasciava che il vento le si insinuasse tra i lunghi riccioli screziati d’oro mentre canticchiava tra sé e sé la malinconica canzone che suo marito le aveva dedicato prima di partire.

                              

Non posso esser felice ora

mentre l’autunno l’estate scolora

e la foglia sull’albero indora.

 

Non posso sorridere adesso

Mentre la neve imbianca il ciliegio depresso

Che invano attende un canto ormai smesso.

 

Non potrò esser gaio neppure domani,

perché la felicità sarà prigioniera dei rami

ed a noi non resteran che ricordi lontani.

 

Non potrò esser lieto neanche in estate

Mentre le mie speranze dal sole verranno bruciate.

E le stelle! Così distanti da non poter esser afferrate!

 

Non posso gioire ora, lo sai e…

vedi? Senza di te non potrò farlo mai!

 

                Le piaceva ripetere quelle parole, le ultime che aveva udito da Gus Van Helsing, parole seguite da un dolcissimo bacio e da un abbraccio colmo d’amore e di tristezza. Separarsi era stato per la giovane coppia un atto terribilmente difficile, anche se entrambi comprendevano di non avere altra scelta. Gus non voleva mettere a repentaglio la vita della moglie: Joy sarebbe stata più al sicuro in paese, lontana dalla battaglia che lo aspettava.

La ragazza, invece, portava in grembo il figlio dell’uomo che amava. Era quello l’unico motivo che l’aveva spinta a non seguire il marito. Così, nel ventiquattresimo giorno del mese di novembre, in una fredda e cupa mattina, Gus Van Helsing, ignaro del bambino che stava crescendo nel ventre della moglie, era partito completamente solo verso quella che sarebbe stata la più dura prova di tutta la sua vita. E Joy, forte dinanzi al marito, era poi scoppiata a piangere non appena lui era stato troppo lontano per scorgere le lacrime sul suo viso…

Una goccia di pioggia cadde sulla punta del naso di Joy distogliendola dai suoi pensieri. La ragazza alzò gli occhi verdi (occhi dello stesso colore di quelli della dea dell’amore!) al cielo ed altre stille fredde come il tocco della morte le si posarono sulla fronte e sulle guance. Poi, il temporale esplose rabbioso e tutto il mondo parve liquefarsi e stillare violentemente su di lei.      

* * *

                  Che piovesse pure! Che il cielo si lacerasse e tutti gli angeli morissero precipitando sulla terra! Per quale motivo erano stati creati se lasciavano gli uomini in balia di loro stessi? Fay strinse i  pugni con rabbia. Dov’era quel dio in cui tanto fermamente aveva sempre creduto? Perché l’aveva abbandonata? Abbassò il capo chiedendosi se fossero invece state le sue scelte ad allontanarla da Lui. Come poteva pretendere l’aiuto Divino quando aveva promesso eterno amore ad una creatura delle tenebre? Una lacrima cadde silenziosa sulla gonna di velluto nero. Se Owen F. Faber era riuscito a ricambiare quel sentimento, non significava forse che il male non aveva completamente annerito il suo animo? Era costretto dalla sua natura a nutrirsi di sangue (Fay rabbrividiva ogni volta che ci pensava), non dalla malvagità o dalla pazzia! Una seconda lacrima stillò sul pavimento freddo. Come provarlo al resto del mondo?

“Non si può semplicemente ignorare la realtà per impedirle di essere tale!” le aveva detto una sera Owen. Ora più che mai comprendeva ed odiava quelle parole. L’uomo che lei amava con tutta se stessa era un mostro agli occhi di tutti gli altri! Come poteva un’unica persona imporre la propria verità su una verità sostenuta dal resto del mondo?  

* * *

“Dolce Joy,

                Quando riceverai la mia lettera, probabilmente la battaglia tra Lord Owen F. Faber e Gus Van Helsing già si sarà consumata. E’ per questo motivo che devo approfittare di quest’ultima opportunità per mostrarti quelle zone del mio cuore rimaste in ombra. Prima di tutto, ti chiedo scusa per essere stato così egoista. Ho lasciato che ti innamorassi di me, che divenissi mia moglie e che la tua anima si fondesse con la mia pur essendo consapevole di quello che sarebbe potuto accadermi da un momento all’altro. Ho messo a repentaglio la tua vita e ti chiedo scusa. Non avrei mai dovuto innamorarmi, un cacciatore di vampiri non può permettersi un tale lusso, ma come potevo resistere ai tuoi dolcissimi sguardi di smeraldo? E’ con la tua immagine negli occhi che riesco ad affrontare le creature delle tenebre; è il pensiero di te che mi dà la forza di continuare quello che i miei antenati hanno cominciato. Voglio che tu sappia che sei stata il più bel dono che la vita mi abbia concesso.

                Se non dovessi tornare, dolce Joy, giurami che non lascerai spegnere la vita che illumina il tuo sguardo! Dillo a voce alta, amore mio, sì che tutto il mondo possa esserne testimone. Gridalo sì che io possa udire la tua promessa dal Paradiso. Sai che farò, Joy? Costruirò una casa tra le nuvole, una casa come quella che abbiamo sempre sognato, e la circonderò di rose. Il giorno che gli angeli ti accompagneranno in Cielo, ti basterà seguire il profumo di quei fiori che tanto ami e mi troverai intento a curarli. Sentendoti arrivare, volgerò il mio sguardo verso di te e, riconoscendoti, ti correrò incontro, ti abbraccerò e ti bacerò. Il calore dell’amore asciugherà le nostre lacrime. Ma nel frattempo, non permettere che la mia morte porti via con sé la tua vita. Non sai quanto mi tormenterei sapendoti triste!  Continua a vivere, Joy!

                C’è una cosa che non ti ho mai detto. E’ giusto che lo faccia ora, anche se avrei fatto meglio a non mentirti sin dall’inizio. Avrei tanto voluto un figlio da te. So di aver affermato il contrario. (Non sai quanto mi fecero male le lacrime che empirono i tuoi occhi verdi!) Temevo per il futuro di quella povera creatura. I Van Helsing sono destinati a combattere i vampiri e non volevo che mio figlio fosse costretto a seguire le mie orme. Ma se Dio ci concederà altro tempo, ti prometto che avremo un figlio, due, o tre, decidi tu, amore mio! Vivremo la nostra vita al massimo. Prega per me, Joy Van Helsing.  Prega che io possa tornare da te. Sono convinto che neppure il Destino possa restare impassibile di fronte ad un amore così puro.

                Devo andare ora, Joy. Lord Owen F. Faber è vicino. Grazie a Dio, anche tu lo sei. Se chiudo gli occhi posso sentire il tuo respiro sommesso (o è la brezza che solletica le fronde degli alberi?).

 

                                                                                                                                                                           Tuo per sempre

                                                                                                                                                                                           Gus

 

                Rilesse per l’ultima volta la lettera, poi arrotolò la pergamena e la porse alla bella gitana dalla pelle scura e dai lunghi capelli corvini che stava di fronte a lui.

“Madame Ada, conto su di voi.” Bisbigliò Gus porgendole un sacchetto di monete d’oro.

 Gli occhi neri come l’inchiostro della donna parvero penetrare quelli celesti dell’uomo, giungere dentro di lui e rivoltare la sua anima per scoprirne ogni segreto.

 “Tua moglie avrà il messaggio, non temere. Gli Zingari mantengono sempre le loro promesse.” Esclamò con voce dolce. Allungò le dita ingioiellate per afferrare la borsa, poi si bloccò. “Sai che ho sempre avuto un debole per te, cacciatore di vampiri?”

Gus sorrise. “Lo so, Madame Ada.”

La donna afferrò il sacchetto rapidamente e con la stessa velocità lo fece sparire.

“Uno di questi giorni userò le mie pozioni per farti innamorare di me!” rise la bella gitana.

Gus la guardò stupito. Non sapeva mai dove si trovasse il confine tra scherzo e verità quando le parole uscivano dalla bocca di Ada, la sua fedele e potente alleata.

Un sorriso furfantesco illuminò il viso bello e saggio della donna.

“Vorrei che la vostra magia potesse aiutarmi contro Lord Faber.” sussurrò Gus.

“Ho già fatto tutto quello che potevo, mio buon amico. Le armi a tua disposizione sono micidiali se sai come maneggiarle. Usa la Fede come scudo e la Luce come arma.”

Ancor prima che Gus potesse esclamare “Dite a Joy che l’amo!”, la donna esordì: “Glielo dirò!” lasciandolo per l’ennesima volta senza parole.

Infine, gli diede un tenero bacio sulla guancia, gli girò le spalle e, avvolta negli usuali abiti sgargianti degli Zingari, si allontanò a passo spedito come un arcobaleno dalle sembianze umane.  

* * *

            All’interno di un pentacolo tracciato col sangue, Lord Owen F. Faber sedeva paziente a gambe incrociate in attesa che le streghe terminassero di salmodiare. Il sacrificio rituale era già stato compiuto: una driade giaceva priva di vita ai piedi della quercia che un tempo l’aveva ospitata. Dylena, affascinante come la morte, interruppe improvvisamente la litania. I lunghi capelli dello stesso colore del sangue brillavano sinistri sotto la luce delle stelle. Facendo attenzione a non calpestare il pentacolo, si avvicinò ad Owen, rovesciò il collo all’indietro e, con voce gracchiante, ordinò: “Nutriti!”

                La creatura delle tenebre, incapace di controllare i propri istinti, affondò i denti nella carne della donna e succhiò avidamente il caldo fluido vitale. Quando si sentì rinvigorito, allontanò con disgusto la strega e si alzò in piedi.

                L’immagine del viso innocente di Fay apparve improvvisamente dinanzi ai suoi occhi. Quanto riusciva a farlo sentire in colpa con un solo sguardo! Il sorriso dolce della sua compagna, il suo sguardo penetrante reso ancora più intenso dal trucco, le  guance dello stesso colore della luna ed i lunghi capelli di seta… Quanto avrebbe voluto essere con lei! Maledetto dio che aveva fatto di lui un essere diverso dagli altri! E maledetto Van Helsing che non gli dava tregua! Avrebbe venduto la pelle a caro prezzo! Sentì la rabbia esplodergli in petto. Il volto di Lady Faber scomparve così come era apparso. Era tempo di parlare con Colui che gli avrebbe concesso il potere necessario per sconfiggere Gus Van Helsing. Una luce minacciosa si accese nei suoi occhi cancellandone ogni traccia di umanità.

“Ora sono pronto!” esclamò con enfasi rivolto alle sei streghe. “Chiamate l’Oscuro Signore!“  

* * *

            Due donne, una luminosa come il mattino, l’altra tenebrosa come la notte, stavano ancora dormendo quando il giorno dipinse di turchese e d’oro il mondo. Il primo sole sbirciò oltre le finestre del castello, le scorse sotto le coperte e trovandole incredibilmente belle, le baciò entrambe. La prima si lamentò nel sonno; la seconda, invece, aprì istintivamente gli occhi e volse lo sguardo verso la ragazza che riposava nel letto accanto al suo. Con tutti quei riccioli sparsi sul cuscino e quell’espressione beata, Joy le parve un angelo. Per un istante, Fay provò una punta di invidia. Joy aspettava un figlio dall’uomo che amava, mentre i Faber non avrebbero mai potuto averne. Troppo alto era il rischio di generare un’altra creatura delle tenebre…

 (Quante volte Fay aveva immaginato una bambina con gli stessi occhi meravigliosi del padre, lunghi capelli corvini ed uno sguardo nobile, intelligente ed allo stesso tempo dolce!)

Persa nei rimpianti, la donna non si accorse che anche Joy si era svegliata e le stava sorridendo.

“Buongiorno, Fay!” esclamò con quel tono affettuoso che usava sempre quando parlava con lei. I suoi occhi di smeraldo brillavano come gemme.

“Buongiorno, Joy!” rispose scordandosi completamente delle immagini che avevano turbato il suo animo. “Hai dormito bene?”

Il ricordo degli incubi che avevano disturbato il suo riposo la riportò improvvisamente alla realtà.

“Fay, credo sia successo quello che speravamo non accadesse!” esordì allarmata. “Credo che Gus abbia trovato tuo marito…”

  Fay, improvvisamente sicura che lo scontro fosse avvenuto, impallidì divenendo più simile ad uno spettro che non ad un essere umano. La voce le rimase impigliata in gola rendendola incapace di parlare. Le lacrime annegarono il suo profondissimo sguardo e tutta la vita racchiusa in quei due occhi castani parve scivolare via con esse. La piccola Joy avvicinò le ginocchia al viso e le cinse con le braccia. Quale dei due uomini era sopravvissuto? Gus Van Helsing, il cacciatore di vampiri, o Lord Owen F. Faber, la creatura delle tenebre? Chi sarebbe tornato dalla propria moglie? Il prezzo sarebbe stato troppo caro in entrambi i casi. Joy non avrebbe sopportato l’idea di perdere Gus, ma allo stesso tempo vedere Fay distrutta l’avrebbe uccisa. Allo stesso modo, Fay sarebbe morta di dolore se Lord Owen F. Faber fosse stato sconfitto, ma assistere impotente alle pene di  Joy, l’avrebbe addolorata in egual misura.

Fay si alzò dal proprio letto ed andò a sedersi accanto a Joy. Quest’ultima la cinse in un abbraccio. Se il destino le avesse scorte in quel momento, probabilmente avrebbe concesso ad entrambi gli uomini di tornare.

“Dovevi proprio sposare una creatura delle tenebre?” sussurrò improvvisamente Joy continuando ad abbracciare l’altra donna.

“E tu, piccola Joy, dovevi proprio innamorarti di uno degli ultimi cacciatori di vampiri?”

 Entrambe sospirarono.

“Comunque vadano le cose…” bisbigliò Fay all’orecchio della fanciulla.

“… siamo sorelle e non permetteremo che il destino ci divida.” Terminò Joy per lei.

E su queste parole, mentre Joy Van Helsing e Fay Faber, un tempo Joy e Fay O’Brien, si

stringevano in un fraterno abbraccio,  il sole esplose in tutto il suo splendore.  

 

ADA

 

Alzò gli occhi al cielo e non le piacque ciò che vide. Nubi d’argento, di piombo e d’ebano si stavano addensando sul suo capo inghiottendo con ingordigia ogni traccia d’oro e di turchese. Si spostavano ad una velocità disarmante, sospinte da un vento rabbioso e carico di cattivi presagi. Ada rabbrividì percependo malvagità e perversione al di sopra di ogni immaginazione.

 “Non sono realmente qui!” pensò sperando di riuscire a calmare il battito furioso del proprio cuore.

In risposta alla sua affermazione, il vento, gelido e crudele, la schiaffeggiò. Ada vacillò di fronte a quella dimostrazione di forza, ma riuscì a non perdere l’equilibrio.  

“Chi sei?” gridò tentando di sovrastare il fischio selvaggio di quella forza della natura.

 Una risata cupa ed intrisa di malvagità fu l’unica risposta che ricevette, poi proiettili d’aria presero a miagolarle intorno minacciosi. Ada pronunciò la parola per attivare l’incantesimo di protezione insito nella pietra del suo anello, ma per la prima volta in tutta la sua vita, la magia non rispose al suo richiamo.

“Non è possibile…” esclamò con un fil di voce. Il primo proiettile d’aria la colpì in pieno stomaco scaraventandola a terra supina. Attraverso gli occhi velati di lacrime, Ada vide per la seconda volta il cielo, ma non lo riconobbe. Nero come le ali di un corvo e completamente privo di stelle, pareva avvicinarsi alla terra sempre più quasi a volerla cingere in un tetro abbraccio. Tentò di rialzarsi anche se senza magia non aveva alcuna speranza di vincere.

“Chi sei?” gridò nuovamente con voce lievemente incrinata dal dolore.

Nessuna risposta, tranne i fischi canzonatori del vento.

“Che tu sia maledetto!” urlò quasi isterica.

“Già lo sono!” tuonò una voce sovrumana e grondante empietà, seguita poi da una risata beffarda.

Una seconda pallottola di vento colpì Ada in pieno volto. La donna si accasciò al suolo, il viso contratto in una maschera di sofferenza e striato di sangue e lacrime, mentre tutt’intorno le tenebre suggevano avidamente gli ultimi colori del mondo.

 

ADA

 

Una mano che profumava di belladonna le accarezzò il viso. Fu proprio quell’odore un tempo sì familiare a riportarla alla realtà. Aprì gli occhi confusa. Aveva sognato? Si portò istintivamente le mani al volto.

“Non agitarti, figlia mia!” esclamò una voce che non aveva più udito da anni. “Va tutto bene! Io sono al tuo fianco!”

“Non dovresti essere qui!” rispose Ada posando involontariamente lo sguardo sulla madre. Trasalì di fronte a quella creatura traslucida.

Lo spettro di Lisanna aveva mantenuto la beltà che in vita aveva caratterizzato la donna. Lunghi capelli castani le scendevano ondulati sulle spalle incorniciando un ovale perlaceo illuminato da un sorriso radioso. Sotto folte ciglia d’ebano brillavano quelli che parevano due lapislazzuli. Ada scosse la testa.

“Non dovresti essere qui.” Ripeté tentando di celare il tremito che increspava la sua voce. Lisanna, accusata di stregoneria, era morta anni prima sul rogo. Le sue urla strazianti echeggiavano ancora nella mente della figlia. “Cosa ha turbato il tuo riposo, madre?” domandò.

La figura spettrale parve incupirsi.

“L’equilibrio si è spezzato, Ada. L’anima di Gus Van Helsing è sospesa tra il tuo mondo ed il mio; Owen F. Faber ha evocato il male e ne è divenuto schiavo. La bilancia del destino pende pericolosamente dalla parte delle tenebre. Il mondo ha bisogno di te, figlia mia.”

Il volto di Lisanna si contrasse in una smorfia di dolore.

“Non posso trattenermi oltre, Ada. Lui mi ostacola” per un istante la guardò ed i suoi occhi celesti parvero colmarsi d’amore… “Segui il sentiero, figlia mia!” esclamò poi indicando un tratturo che Ada non aveva notato in precedenza. “Mi raccomando: fa’ tesoro di ciò che vi troverai. Sono schegge di futuro che ho rubato per te. ”

Ada avrebbe voluto abbracciarla, dirle che le voleva bene, tenerla con sé o seguirla nell’oblio. Non ebbe il tempo di fare nulla. Lo spettro si dissolse in un battito di ciglia. La donna continuò a lungo ad osservare il vuoto lasciato dallo spettro, paragonandolo inconsciamente a quello nel suo cuore.

 

OWEN

 

                Un falco solcò il cielo striato di nubi d’oro e di nastri rosati. Per un istante la magia del tramonto parve mutarlo in fenice. Molto più in basso, sulla terra velata di foschia, all’interno di quello che doveva essere stato un circolo di protezione, giaceva Gus Van Helsing esanime. Nella mano destra stringeva ancora la croce d’oro che aveva usato come scudo contro Lord Faber. Il sole morente accendeva riverberi di sangue sui tre rubini incastonati verticalmente nell’oro. Non erano riusciti a sfilargliela e questo aveva impedito loro di infliggergli il colpo di grazia. Pazienza. Prima o poi avrebbe mollato la presa e, privo della croce, sarebbe stato inerme come un bambino. Avrebbero atteso. Il tempo era loro alleato. Le loro vite non erano brevi quanto quelle degli umani!

                “Pazienta, Lord Faber!” esclamò la Voce. “Tutto muore, tutto si estingue. Non senti il profumo della Morte che si sta avvicinando? Muschio e teschi, petali di rose e terra… L’aria è pregna del suo odore in questo momento! Lei sta arrivando… per lui!”

                Owen strinse i pugni, il viso un tempo affascinante contratto in una maschera di rabbia ed odio. Aveva tentato più volte di avvicinarsi al corpo del nemico, ma il potere della croce d’oro glielo aveva impedito.

                “Voglio essere io ad ucciderlo!” esclamò mentre la luce del giorno si affievoliva sempre più.

                “Per quale motivo?” domandò la Voce senza mostrare alcuna emozione.

                Owen si avvicinò nuovamente a Gus e lo guardò con disprezzo.

                “Mi hai perseguitato a lungo, obbligandomi ad abbandonare la mia vita, il mio castello e soprattutto Fay! Mi hai braccato come un animale, costringendomi a nascondermi ed a nutrirmi solo quando se ne presentava l’occasione. Mi hai negato il diritto di vivere! Ed ora io, voglio negarlo a te!”

                “Calmati, Lord Faber.” Intimò la Voce. “Fino a quando la croce sarà fra le sue mani, non potrai toccarlo, quindi non ti resta che sederti e goderti la sofferenza del tuo nemico.”

                Owen rimase in silenzio. I suoi occhi d’argento traboccavano d’ira e frustrazione. L’immagine di Fay comparve come per incanto nella sua mente. La vide intenta a guardare il fuoco, con le guance arrossate dal calore, sorridente e con gli occhi nocciola resi di porpora e d’ambra dalla luce. “Amore mio!” pensò Lord Faber. “Sarebbe stato meglio se al posto di baciarti avessi bevuto il tuo sangue. Gli angeli in cui tu credi, ora ti cullerebbero fra le braccia e suonerebbero dolci melodie solo per te. Io ero e sono maledetto, Fay, e con quel bacio ho condannato anche te.”

                La Voce intervenne prima che fosse troppo tardi.

                “Devi dimenticarla.”

                Owen trasalì. Come poteva scordare la donna che amava con tutto se stesso? Fay, come un raggio di sole, era penetrata nel suo cuore tetro impedendogli di andare alla deriva. Gli aveva insegnato sentimenti preclusi ai figli delle tenebre, rendendolo sempre più simile ad un essere umano. Come poteva la Voce anche solo credere che lui volesse fare una cosa del genere? Fay era il solo motivo per cui avesse accettato di continuare a vivere nonostante la maledizione che l’accompagnava dalla nascita! Fay era tutto e gettarla nell’oblio sarebbe equivalso a cancellare l’universo.

                “Non ho alcuna intenzione di dimenticare mia moglie! Io l’amo!” rispose Lord Faber.

                La Voce esplose in una risata.

                “Non importa quello che tu vuoi!” rispose beffarda. “E’ il mio volere quello che conta!!!”

                Owen cadde a terra e con le mani premute sulle tempie lanciò un grido di dolore.

“Cosa mi hai fatto?” urlò.

La Voce non rispose.

Come coperto da una pennellata di vernice nera, ogni ricordo che riconducesse a Fay, era svanito.

“No!” echeggiò il suo grido disperato nella notte, poi tutto prese a vorticare e Lord Faber, per la prima volta in tutta la sua vita, perse i sensi.     

                                              

ADA

 

                Ada si guardò intorno. All’inizio non scorse che alberi spasmodicamente abbarbicati l’uno all’altro. La foresta le parve un’unica, gigantesca creatura addormentata. Un brivido le corse lungo la schiena. Stava tremando, ma questo le succedeva ogni volta e non vi prestò attenzione. Scrutò attentamente la zona alla ricerca del sentiero che sua madre le aveva mostrato in precedenza. Non trovarlo avrebbe significato rimanere per sempre prigionieri della propria mente. Si concentrò ulteriormente. Lentamente, ogni odore scomparve ed ogni suono si smorzò fino ad acquietarsi completamente. Socchiuse gli occhi. Aveva bisogno di una maggiore concentrazione. Un lieve formicolio alle estremità fu la risposta che attendeva: era riuscita ad attivare la magia. Ma dov’era il sentiero? Quando finalmente lo scorse, si sentì sollevata. Si inoltrava nel verde come un lungo e tortuoso serpente. Soddisfatta mosse i primi passi sulla terra battuta e ne percepì immediatamente la forte magia. Chiuse gli occhi estasiata e quando li riaperse, vide che intorno a lei tutta la foresta si era sfumata. Ada ed il sentiero erano rimaste le uniche due figure ben distinte in un acquerello verdeggiante. La zingara lo seguì senza indugio, procedendo a passo spedito su quello che in realtà era un ponte magico sospeso fra il presente ed il futuro. Tutt’intorno il paesaggio non mutò. Macchie di verde continuarono ad alternarsi a pennellate di color verdecupo o verdebiondo. Un silenzio sepolcrale camminò al suo fianco per tutta la durata del viaggio. Ben in tre occasioni, però, il muto compagno parve deciso a volerla abbandonare.

 La prima volta fu quando Ada incontrò il Giardiniere. Laddove solo pochi istanti prima spaziava il vuoto, apparve un piccolo uomo intento ad innaffiare un giglio nero come la notte. Interruppe il lavoro non appena si accorse della presenza della donna. Volse lo sguardo verso di lei. Occhi verdi simili a quelli di un felino si accesero come lucciole su un volto piccolo e dai lineamenti spigolosi.

“Ti stavo aspettando!” esclamò passandosi una mano sporca di terra fra i lunghi capelli e scoprendosi accidentalmente un orecchio appuntito. “Devo darti questo!”.

Strappò con violenza il giglio dal terreno e lo lanciò ai piedi della Vistana. Il fiore danzò a lungo nell’aria prima di toccare il suolo ed il suo colore passò dal corvino al rosso cremisi nell’attimo stesso in cui vi si posò. Ada lo raccolse. Dallo stelo stillava sangue.

“Non capisco!” disse la donna accigliata.

Fra le sue mani il giglio smise di sanguinare e nuovamente mutò divenendo candido come la neve. “Non capisco!” ripeté.

L’elfo sorrise.

“Chiedimi chi sono!” replicò.

“Chi sei?” domandò la Vistana continuando a tenere fra le mani il fiore.

“Ero l’Amore che acceca, sono la Disperazione che uccide, sarò la Promessa che non separa.”

Ada scosse la testa.

“Aiutami, se puoi. Cosa significa tutto questo?”

Con tono sibillino reso grottesco dalla pronuncia alla francese dell’erre, l’elfo rispose:

“Il giglio deve essere bianco per far sì che l’equilibrio torni a regnare sovrano. Rammenta questo, però: per tingersi di bianco, il giglio nero deve prima essere rosso. Non c’è altra strada. Lascia che il fiore segua il suo destino.”

L’elfo le sorrise nuovamente, poi scomparve. Il silenzio, così come se ne era andato, tornò a passeggiare al suo fianco. Camminarono a lungo insieme, anche se in realtà potevano essere passati solo pochi istanti. Improvvisamente, così come era successo con l’elfo, un gatto, nero come la notte e dagli inquietanti occhi grigi, apparve dal nulla. Rimase immobile di fronte alla zingara, sfidandola con lo sguardo e soffiandole contro una minaccia. Ada, rimasta sola con quella creatura apparentemente innocua, lo fissò a sua volta. Di nuovo non capiva, ma non si scoraggiò. Presto il mosaico sarebbe stato completo rivelandole l’esatta posizione di quelle tessere ora sì misteriose. Tornò ad osservare il gatto. Era un comune gatto nero, ma aveva qualcosa di inquietante: lo sguardo terribilmente umano. Quegli occhi magnetici non appartenevano alla bestia, di questo era più che sicura, eppure non riusciva a ricordare dove li avesse già scorti. Il felino non le lasciò il tempo di pensare oltre. Con un agile scatto le saltò addosso. Ada, colta di sorpresa, perse l’equilibrio e cadde all’indietro col gatto tenacemente aggrappato agli abiti. Tentò disperatamente di rialzarsi, ma invano. La bestia, ancora appoggiata sul suo petto, cominciò a crescere a dismisura e nell’arco di un battito di ciglia si trasformò in una pantera. Il peso della creatura divenne insostenibile. Ada chiamò a sé la magia, ma per la seconda volta questa non rispose. Sentì il respiro venirle meno. Disperata, si divincolò, colpì più volte il felino sul muso, ma tutto fu inutile. La pantera, seduta tranquillamente sul corpo della zingara, avvicinò il muso al viso della donna. Ada, nell’attimo prima che precede la morte, vide che gli occhi della pantera brillavano di una malvagia luce cremisi. Artigli poderosi, poi, le dilaniarono il volto e tutto svanì.

                                              

JOY  E  FAY

 

                Cavalcavano da giorni. Indolenzite, infreddolite e scoraggiate, procedevano in silenzio, perse in chissà quali cupi pensieri. La pioggia continuava a battere insistente sui loro mantelli ormai fradici. Il vento, più gelido dell’alito della morte, le faceva tremare come foglie. Dall’inizio del viaggio, più volte erano state sul punto di cedere al desiderio di tornare a casa. Arrendersi, però, avrebbe significato rimanere all’oscuro del destino dei propri mariti. Così, nonostante i disagi e le sofferenze, avevano continuato a seguire il sentiero che le avrebbe condotte all’accampamento degli zingari. Entrambe sapevano che Ada la Vistana era la loro unica speranza.

                “Dovremmo cercare un riparo per la notte!” gridò Fay tentando di sovrastare lo scroscio della pioggia e gli ululati del vento.

                Joy scosse la testa. Un ricciolo dorato le si appiccicò al volto.

                “Proseguiamo!” La convinzione nella sua voce duellava furiosamente con la stanchezza che trapelava dai suoi occhi.

                Fay spronò il cavallo per raggiungere la sorella e le si parò dinnanzi.

                “Dobbiamo riposare, Joy! Non dimenticare che aspetti un bambino!” Prese la mano di Joy fra le sue. Joy abbassò lo sguardo tentando di ricacciare le lacrime. Non voleva piangere, ma la tensione accumulata pareva sul punto di esplodere da un momento all’altro. Quanto si sentiva vulnerabile ora che aspettava un figlio! Fay le accarezzò una guancia riportandola alla realtà.

“Non conosco queste zone!” gridò lady Faber. “Sai dove potremmo trovare un riparo?”

Joy posò il proprio sguardo sulla sorella ed a fatica la riconobbe. La stanchezza ed il dolore avevano cancellato dal suo viso ogni traccia di bellezza. E degli occhi non rimanevano che sassi nocciola privi di luce e calore. 

“Seguimi, Fay!” esclamò la sorella minore incapace di indugiare ulteriormente su quel volto dilaniato dalla tristezza.

 

GUS

 

                Gus Van Helsing aprì gli occhi, o almeno questo fu ciò che gli fu fatto credere. Intorno a lui il paesaggio era completamente mutato. Gli alberi erano scomparsi e sul suo capo non v’erano più né cielo né astri. Di sicuro non si trovava nel luogo in cui aveva affrontato Lord Owen F. Faber ed il suo potente alleato. Si rialzò velocemente da terra e questo lo sorprese. Tutte le ferite subite nel combattimento erano scomparse. Del dolore straziante non rimaneva che un evanescente ricordo. Non riusciva a comprendere. Aveva sognato tutto o questo era l’inizio di un sogno? Si guardò intorno. Si trovava all’interno di un lungo e sterile corridoio che pareva estendersi all’infinito sia davanti a lui che alle sue spalle. Le pareti, il soffitto ed il pavimento candidi rilucevano di un’insolita luminescenza madreperlacea. Più si sforzava di capire, meno gli appariva chiara la situazione. Rammentava con lucidità ogni istante della battaglia: lo scontro che avrebbe dovuto segnare la fine del vampiro e che invece si era rivelato una trappola quasi mortale per il cacciatore; lo stupore ed il terrore di fronte all’incubo evocato da Lord Faber ;  le atroci sofferenze a cui l’aveva sottoposto la malvagia creatura; l’ultimo gesto disperato con il quale aveva strappato la croce d’oro dalla catena e l’aveva posta fra sé ed il vampiro; il lampo accecante, le grida frustrate di Owen e poi il buio. Ma cosa era accaduto in seguito? Si passò nervosamente una mano fra i capelli. Perché era ancora vivo? Perché Lord Faber non lo aveva ucciso? E dov’era il demone?

                “Se continuo così” pensò Gus “credo proprio che impazzirò!”

                Si guardò di nuovo intorno. Le vie possibili erano due. Rimase immobile mentre i suoi occhi celesti osservavano il tunnel che proseguiva all’infinito. Pareva una statua dagli occhi di diamante. Sospirò. Cosa avrebbe fatto Joy al suo posto? Oh, Joy! Dolce driade dai lunghi riccioli d’oro e di miele!  Il ricordo della moglie dagli occhi di giada gli empì il cuore di speranza.           

                “Qualunque via sceglierò” disse fra sé e sé, “nulla mi impedirà di tornare a casa.”

                “Vi sbagliate, signore!” esclamò una voce sottile alle sue spalle.

                Gus si girò di scatto, allarmato e stupito al tempo stesso. Si ritrovò ad osservare sbigottito un bambino sui dieci anni. Ebbe l’impressione di conoscerlo. Dove aveva già visto quegli occhi cilestrini e quei boccoli castani screziati d’oro? Non riusciva a rammentarlo.

                “Se deciderete di proseguire, signore, non ritroverete mai più la strada di casa! Dovete tornare indietro! Fidatevi di me! “ Il bambino sorrise e le guance rosate parvero accendersi maggiormente.

                “Chi sei? Sei forse un angelo? Oh Dio! Sono morto! Ora capisco tutto! Sono morto e tu sei l’angelo incaricato di accompagnarmi…” Le ultime parole scemarono in un sospiro. 

                Il bambino sorrise di nuovo.

                “No, signore, state tranquillo, non sono un angelo! Forse lo sono stato un tempo, ma ora non lo sono più.” Rispose senza mai distogliere il proprio sguardo da quello di Gus.  Infilò poi una mano nella tasca della tunica grigia e ne estrasse un oggetto rilucente. Lo porse all’uomo.

                “Questa vi servirà, signore!”

“La mia croce d’oro!” esclamò Gus Van Helsing esterrefatto. “Dove l’hai trovata?”

                Il bambino scosse la testa.

                “Gli adulti fanno sempre troppe domande.” Disse più rivolto a se stesso che non al cacciatore di vampiri. “Dobbiamo affrettarci, signore. Se volete rivedere Joy, fidatevi di me.”  Gus trasalì. Come faceva quel bambino a conoscere il nome di sua moglie?

                “Chi sei?” domandò con una punta di preoccupazione nella voce.

                Il bambino abbassò lo sguardo ed a Gus parve improvvisamente molto triste.

                “Purtroppo non ho un nome, Signore. Forse un giorno ne avrò uno tutto mio.”

                “Cosa ne dici di Andrew?” esordì l’uomo tentando di riaccendere il sorriso su quel visetto accigliato.

                Gli occhi chiari del bimbo tornarono a brillare.

                “Trovo che sia splendido!”

                Il bambino lo prese per mano. “Ed ora, signore, per amor di Dio, affrettiamoci.”

                “Come vuoi, Andrew.”

Il bambino sorrise compiaciuto.

Con la mano stretta in quella più piccola del bambino, Gus si rese improvvisamente conto di non essersi mai sentito così in pace con se stesso.

 

ADA

 

                Nell’attimo stesso in cui la pantera scomparve, il Silenzio tornò. Ada si rialzò incolume e riprese a camminare al suo fianco persa in cupi pensieri. Mai nessuna divinazione le era parsa tanto lunga ed oscura. La zingara era seriamente preoccupata. C’erano in gioco forze capaci di distruggere definitivamente l’equilibrio fra il bene ed il male. Gus Van Helsing stava morendo (e quanto pesava il senso di colpa per non esser riuscita a cambiare il corso di quel destino che già la sfera di cristallo le aveva preannunciato!) e con lui la speranza di eliminare definitivamente le creature delle tenebre. Ada rabbrividì. Un demone si aggirava libero sulla terra; l’ultimo vero cacciatore di vampiri si stava spegnendo (ce n’erano altri,  naturalmente, ma nessuno di loro possedeva le qualità dei Van Helsing). La bilancia pendeva già decisamente dalla parte del male. Scosse la testa. Si sentiva impotente, ma non si sarebbe arresa. Lo doveva a Gus. Sospirò rendendosi conto di quanto la perdita dell’amico l’avrebbe resa infelice. Stava ancora pensando a lui, quando l’elfo dagli occhi verdi e dalla erre moscia gli si parò di fronte. Il Silenzio, indignato, se ne andò per la sua strada.

“Korral. Il mio nome è Korral!” esordì mentre sul suo volto si accendeva un sorrisetto sarcastico. “E tu dovresti essere Ada la Vistana o meglio, Ada la cacciatrice di schegge di futuro!”

Ada annuì incapace di fare altro.

 L’elfo estrasse un mazzo di tarocchi e li dispose a ventaglio.

                “Pesca due carte!” esordì. I suoi occhi luccicarono come quelli di un gatto. Ada non esitò. Scelse una carta fidandosi del proprio istinto. Gli Amanti. Ne prese una seconda. L’Angelo.

                L’elfo sorrise compiaciuto.

                “Chiedimi chi sono!” esclamò fregandosi le mani.

                “Chi sei?” domandò la Vistana.

                “Sono la Morte!”

                Fra le mani della zingara i tarocchi si surriscaldarono. Ada li lasciò andare. Lo stesso fece Korral con la carta della Morte. Ancora in volo, la carta degli Amanti si spezzò a metà. Le due parti caddero distanti l’una dall’altra. L’Angelo si posò sulla metà raffigurante l’uomo. La Morte volteggiò a lungo, troppo  a lungo, come un avvoltoio, sugli Amanti e sull’Angelo, poi si lasciò cadere sulla carta spezzata coperta dall’Angelo. Korral schioccò le dita ed i tarocchi scomparvero.

                “Dimmi di più!” lo incitò Ada quasi isterica.

                L’elfo avvicinò il volto fatato a quello della zingara e la baciò sulle labbra. Profumava di mughetti e di rose, di muschio e di erba appena tagliata. Ada chiuse gli occhi incapace di reagire. Quando li riaperse, Korral e la foresta erano svaniti. La divinazione era terminata. Si trovava nella sua tenda, nell’accampamento dei Vistana. Si allontanò dalla sfera di cristallo. Immediatamente, questa smise di pulsare e la magia riprese a sonnecchiare in attesa di essere evocata per l’ennesima volta. Raggiunse a fatica il proprio letto e vi si lasciò cadere esausta. Sprofondò immediatamente in un sonno questa volta, grazie a Dio, privo di sogni.

 

FAY E JOY

                                

                Esaudendo il desiderio delle due donne fradice ed infreddolite, la pioggia finalmente si placò. Lentamente, sospinte da un vento ghiacciato, le nubi presero a dissiparsi lasciando intravedere fette di firmamento. Era da poco passata la mezzanotte. Joy Van Helsing e Fay Faber sedevano all’interno di una piccola torre in parte diroccata, attorno ad un fuoco acceso a fatica. Avevano consumato un pasto frugale a base di frutta e pane ed ora si apprestavano a riposare. Fay, poco avvezza ad intere giornate di cavalcatura, si massaggiava la schiena. Le dolevano tutti i muscoli e dubitava fortemente che il giorno successivo sarebbe riuscita a salire nuovamente a cavallo. Joy, invece, stesa sulla coperta, osservava le stelle mentre la sua mente era rivolta a Gus.

“Dove sei, amore mio?” pensò “Stasera le stelle brillano, ma i miei occhi non riescono a scorgerne la luce. Ed il mio cuore non sa gioire di tanto splendore poiché tu, la stella più luminosa in assoluto, sei lontano. Oh, dolce Gus, che il tuo candore ti protegga nelle buie notte di quel crudele destino che porta il nome di Owen F. Faber!” Sospirò attirando involontariamente l’attenzione della sorella. “Vento! Tu che corri veloce come nessuno e conosci ogni luogo, soffia nel suo orecchio le mie parole! E cantagli i miei pensieri, caldi e colmi d’amore, sì che possa avvolgervi quel cuore che tanto brama calore e conforto.”

                “Dovresti dormire!” esclamò dolcemente Fay. “Veglierò sul tuo sonno fino a quando le forze me lo concederanno.”

                Joy si mise a sedere a gambe incrociate.

                “Quando finirà tutto questo?” domandò malinconica.

                Fay  scosse la testa.

                “Non lo so, Joy.” Rimase in silenzio per qualche istante, poi riprese con voce rotta dall’emozione: “Il mio cuore si appiattisce sempre più sotto il peso del dolore e del rimorso. Ogni mattina mi alzo e prego Dio che Owen sia ancora vivo. Ti rendi conto? Quello è lo stesso Dio che lo ha condannato!  Come posso sperare che decida di lasciarlo in vita?”

                Joy scosse la testa.

                “Gus diceva che perdere la speranza equivale a perdere la guerra ancor prima di essere scesi in campo!” rispose Joy sospirando.

                Fay volse gli occhi al cielo e fra le due sorelle cadde il silenzio. Joy si stese accanto al fuoco.

                “Un insolito destino ci lega, sorellina! Oltre ad un vincolo di sangue, pare che tra noi esista un legame basato sulle lacrime… Fay… Pensi che potremo mai essere felici?”

                La sorella maggiore si avvicinò al giaciglio di Joy, si piegò a fatica sulle ginocchia e le accarezzò una guancia.

“La felicità ti sta crescendo in grembo, piccolina!” rispose dolcemente. Joy sorrise poi, come un gatto, socchiuse gli occhi alla carezza e piano piano scivolò nel sonno.

                Fay sedette a sua volta accanto al fuoco ed alzò lo sguardo alla ricerca di una costellazione familiare. Suo marito le aveva insegnato a riconoscerle la prima volta che erano usciti insieme.  Il loro amore era sbocciato in un istante. Un vero e proprio colpo di fulmine. Fay sospirò ripensando a quella notte trascorsa unendo con linee immaginarie i puntini luminosi. Quanti languidi ed infuocati baci sotto le stelle timide! Quante promesse d’amore!  Dolce era perdersi in quei profondissimi e magnetici occhi grigi! Sospirò. Owen le aveva rivelato la sua vera natura la seconda volta che erano usciti insieme.

                “Non dobbiamo vederci mai più, Fay.” Le aveva detto evitando il suo sguardo. “Ci sono cose sul mio conto di cui sei all’oscuro e venendole a sapere finiresti coll’odiarmi. Morirei leggendo il disprezzo nei tuoi occhi!”

                “Non m’importa nulla del tuo passato!” aveva risposto la fanciulla obbligandolo a guardarla. “Io ti amo!”

                “Oh, piccola! Se si trattasse solo del passato sarei un uomo felice!” le aveva accarezzato il viso. “C’è una maledizione con la quale convivo dal giorno in cui sono nato e che mai mi abbandonerà. Il mio futuro è segnato ed amarmi ti trascinerebbe inesorabilmente oltre i confini della luce. Fay, io sono… io sono un vampiro.”

                Non era stato facile credere a quelle parole fino al momento in cui Owen era scoppiato a piangere. Fra le lacrime le aveva raccontato una vita di solitudine, di rimorsi e di tenebre. Accettare il fatto che l’uomo di cui era innamorata si nutrisse esclusivamente di sangue umano, poi, si era rivelato più complicato del previsto. Ciononostante, la forza dell’amore era riuscita a tenere unite due creature all’apparenza dissimili come il giorno e la notte.

                “Non ti lascerò mai, amore mio!” aveva detto la ragazza asciugando con il calore dei baci le lacrime dell’uomo. E così era stato.

                Fay gettò un po’ di legna nel fuoco. Joy dormiva. Con i riccioli dorati sparsi sulla coperta ed un’espressione serena dipinta sul viso, era bella oltre ogni immaginazione. Fay si accucciò al suo fianco.

                “Sorellina!” bisbigliò timorosa di svegliarla. “Comunque vadano le cose, ti prometto che non ti lascerò mai sola. Sarò sempre il tuo angelo custode!”

                Joy Van Helsing si lamentò nel sonno. Fay le diede un bacio sulla fronte, poi si alzò. Si sentiva terribilmente stanca. Prese la propria coperta e la distese accanto a quella della sorella. Fuori il vento si era placato lasciando il mondo in balia di un silenzio quasi tangibile. Fay si coricò. Sul suo capo, oltre il soffitto diroccato della piccola torre, la costellazione di Cassiopea palpitava intensamente, testimone dell’affetto che legava le due sorelle e, soprattutto, della promessa che la maggiore aveva fatto all’altra.

 

DYLENA

 

                Trovarla era stato più semplice del previsto. La sua mente era debole ora che il cuore languiva e per Dylena era stato un gioco da ragazzi leggerne i pensieri. Arrivata a pochi metri dalla torre diroccata, la strega mutò forma assumendo le sembianze del figlio ed entrò. Trovò due figure coricate accanto alle ceneri di un fuoco morente e completamente immerse nell’oscurità venata d’argento. Non ebbe difficoltà a riconoscere la sua preda. Lanciò un incantesimo per impedire all’altra donna di svegliarsi e si avvicinò a Fay. La guardò con disprezzo. Quanto avrebbe voluto ucciderla con le proprie mani! Con la sua innocenza era riuscita ad illuminare il cuore di suo figlio e lo aveva reso mansueto come un agnellino! Maledetta sgualdrina! Owen era stato concepito affinché portasse il male e le tenebre sulla terra, non certo perché si rinchiudesse in un tenebroso castello sospeso fra il bisogno di nutrirsi di sangue e l’amore per una donna!La strega sputò su quello che rimaneva del pavimento. Fay si lamentò nel sonno. Dylena si avvicinò maggiormente alla donna.

                “Fay!” chiamò con voce del tutto identica a quella di Lord Owen. “Svegliati, amore mio!”

                Fay aprì gli occhi e vide ciò che la strega voleva che lei vedesse: suo marito.

                “Sto ancora sognando.” Pensò rattristandosi. “Lui non può essere qui…”

                Chiuse gli occhi . Quella voce calda e vellutata, però, continuò ad incitarla ad alzarsi, così aperse gli occhi per la seconda volta e dovette ricredersi. Lord Owen F. Faber era in piedi accanto a lei. Quanto tempo era passato dall’ultima volta in cui l’aveva visto! In un attimo fu fra le sue braccia. Quanto le erano mancati il calore ed il profumo del suo corpo!E quegli occhi simili a due gemme grigie capaci di illuminarsi ad ogni sorriso! Lacrime di gioia scesero copiose lungo le sue guance pallide. Della disperazione e del dolore non rimasero che ricordi remoti. Stille di pianto lavarono via ogni traccia di malinconia dal suo cuore provato.

“Stringimi!” sussurrò Fay.

Dylena si trattenne a stento dal lanciare una maledizione contro la moglie di suo figlio. Non le sarebbe dispiaciuto vederla avvizzire e morire in pochi secondi.

                “Lascia che ti guardi, amore mio!” sussurrò Fay accarezzandogli i corti capelli corvini.

                La strega immaginò quanto sarebbe stato piacevole evocare un migliaio di ragni e scagliarli contro l’odiosa Fay Faber.

“Baciami, Owen!” disse la donna socchiudendo gli occhi.

Owen si ritrasse.

                “Gus Van Helsing sarà qui a momenti.” Mentì Dylena. “Dobbiamo andarcene prima che lui arrivi.”  

                Il desiderio di baciare il marito non l’abbandonò, ma la priorità di fuggire prese il sopravvento.

                Fay volse lo sguardo verso Joy.

                “Tuo marito sta arrivando, sorellina.” pensò sollevata. “Prego Dio affinché vi conceda di poter vivere in pace per l’eternità, lontani da tutta questa oscurità.”

                Sentì una fitta al cuore al pensiero di non poter rivedere mai più la sorella. Owen doveva fuggire lontano se voleva sperare di  riuscire a salvarsi e lei, sua moglie, lo avrebbe seguito in capo al mondo. Ciononostante, vivere senza Joy sarebbe equivalso a tentare di sopravvivere senza il sole.

“Racconterai di me al bambino?” pensò Fay immaginando quanto avrebbe amato suo nipote. “Gli dirai quanto ti volevo bene e quanto lo avrei amato se il destino non mi avesse costretta ad andarmene?” .

“Mi mancherai” sussurrò poi.

Non avrebbe mai scordato quei riccioli dorati sui quali pareva aver indugiato troppo il sole, né quel sorriso radioso come un’alba. E come dimenticare quegli occhi di smeraldo carichi d’affetto e di promesse? Joy sarebbe rimasta per sempre nel suo cuore.                  

                “Avanti, Fay!” esclamò la strega trattenendo a stento l’ira. “Andiamocene!”

                Joy prese la mano del marito.

                La strega si consolò al pensiero che presto, molto presto, Fay Faber avrebbe sofferto le pene dell’inferno.

                “Sono pronta, amore mio.” Rispose. “Andiamo.”

                Diede un’ultima, dolcissima, fugace occhiata alla sorellina addormentata, le mandò un bacio e fuggì nella notte assieme a quello che credeva fosse suo marito, completamente ignara dell’orrore verso il quale stava correndo.

 

ADA

 

                La Vistana raggiunse la fatiscente torre qualche ora dopo l’alba ed alzò gli occhi al cielo. Quello che vide non le piacque. Il vento aveva raggruppato un gregge di nubi davanti al sole, impedendo al calore di diffondersi sulla terra, e continuava a soffiare ordini a quelle ancora lontane. Ada tremò e non solo a causa del freddo. Presto il cielo sarebbe stato interamente coperto, proprio come nella divinazione. Si sforzò di concentrarsi sul presente. Aveva trovato Joy Van Helsing ed ora doveva impedirle di ostacolare l’avverarsi della profezia. Maledicendo il vento, allontanò una ciocca corvina dal viso.

“Il giglio nero deve tornare candido per far sì che la bilancia sia in equilibrio. Il nero deve smorzarsi sino a divenire rosso, poi il rosso scemerà nel bianco. Questo è l’unico modo per impedire al male di prendere il sopravvento o alla luce di prendere il sopravvento sulle tenebre. L’equilibrio è ciò che conta.” Le parole di Korral echeggiarono nitide nella sua mente. “Lascia che il fiore segua il proprio destino… ”         

Nell’attimo stesso in cui la zingara aveva compreso a chi si riferissero quelle parole, si era resa conto di quanto la moglie di Gus avrebbe potuto fermare il corso degli eventi. Senza esitazioni aveva consultato la sfera di cristallo per rintracciarla. Fortunatamente, aveva scoperto che Joy era più vicina di quanto potesse sperare. La donna si era fermata all’interno di una piccola torre abbandonata a sole poche decine di chilometri dall’accampamento dei Vistana. Ada l’avrebbe raggiunta immediatamente e non l’avrebbe più lasciata sola. Non poteva permetterle di interferire. Scese da cavallo. Il vento le gonfiò le già ampie gonne multicolori rendendola simile ad una coppa rovesciata. Gli occhi della donna si mutarono in due fessure. La sensazione di urgenza le toglieva il respiro. Più il vento soffiava furioso, più Ada percepiva l’avvicinarsi del nemico. Doveva sbrigarsi. Corse all’interno della torre diroccata e lì trovò Joy addormentata. Si guardò intorno. Consultando la sfera alla ricerca della compagna di Gus, aveva scoperto che la moglie di Owen era con lei.  Dov’era ora Fay Faber? Il destino doveva già aver provveduto ad allontanare le due sorelle. L’ingrato compito della zingara, ora, era quello di non permetter loro di incontrarsi. Si avvicinò alla donna addormentata su un fianco e la scosse dolcemente.

“Joy! Joy Van Helsing!” esclamò tentando inutilmente di risvegliarla. Ebbe l’impressione che qualcosa non andasse. La scosse nuovamente, ma il tentativo risultò vano. A questo punto la girò e solo in quell’istante scorse il cerchio di sabbia che era stato tracciato attorno al suo capo.

“Un incantesimo del sonno!” sibilò con rabbia. Chi poteva aver lanciato una magia del genere? Ed a che scopo? Fay Faber non avrebbe mai potuto farlo. Di conseguenza, qualcun altro dotato di poteri magici doveva esser entrato nella torre. Owen F. Faber? Il Demone? E che fine aveva fatto lady Faber? La zingara non sapeva dare una risposta a queste domande. Sperava solo che il colpevole fosse riuscito a mettere in moto gli ingranaggi per far avverare la profezia di Korral. Prese in considerazione l’idea di lasciare Joy sotto l’influsso dell’incantesimo. Di sicuro, in quelle condizioni non avrebbe causato problemi. Le toccò la fronte e, socchiudendo gli occhi, interrogò la magia al fine di scoprire se l’incantesimo del sonno fosse in qualche modo dannoso per la donna. In caso positivo, l’avrebbe dissolto. In caso negativo, invece, avrebbe lasciato dormire la bella Joy impedendole così di soffrire ed al tempo stesso di condannare il mondo. La magia non tardò a rispondere al suo appello. Non solo le fece sapere che Joy Van Helsing non correva rischi, ma le rivelò anche la gravidanza della donna. Ada trasalì a quella preziosa informazione e finalmente tutto le fu chiaro. Il giglio, il gatto nero, gli Amanti, l’Angelo e la Morte. Le immagini di Korral si riunirono dando vita ad un’agghiacciante pagina di futuro. Doveva sbrigarsi. Dissolse il più rapidamente possibile l’incantesimo che teneva prigioniera Joy e per una frazione di secondo, provò il desiderio di consolare quella donna alla quale il destino avrebbe straziato il cuore lasciando ferite che mai più si sarebbero rimarginate.

Continua...

 

Tutti i diritti riservati. I testi sono coperti dal diritto di autore.