Casella di testo:

Poeti della Luce

Poeti e scrittori per passione

Omaggio a Silvano  Baracco - alias Walko - .: Poesie e racconti

Racconti:

L'INTERROGATORIO

 

 

 

L'indiziato in stato di arresto, dopo due giorni di isolamento, fu portato in manette di fronte al Procuratore della Repubblica, che lo attendeva con aria severa seduto dall'altra parte della scrivania. Gli furono tolte le manette e subito dopo, mentre l'indiziato si sfregava i polsi, i due agenti che lo avevano accompagnato guadagnarono l'uscita e li lasciarono soli, l'uno di fronte all'altro: da una parte l'indiziato, dall'altra parte il magistrato, due uomini simili per estrazione sociale, educazione, cultura e persino per gusti e abitudini, che un destino crudele ora metteva a confronto.

- Si sieda.

- Parlerò solo in presenza del mio avvocato!

- Ma mi faccia il piacere!

- E' un mio diritto. Conosco le leggi, ero iscritto anch'io a Giurisprudenza.

- Ma non si è laureato.

- Questo non vuol dire...

- Vuol dire invece! Le leggi cambiano, caro mio! Ed avvalendomi dei poteri che mi conferisce la legge, io ora procedo all'interrogatorio. Agente, cominci a verbalizzare da questo momento.

- Ah, ma allora non siamo soli...

- Cosa le aveva fatto pensare che saremmo stati soli?

- Nell'introduzione del racconto, l'autore...

- Lasci stare queste baggianate! Gli autori di racconti gialli, per non parlare di quelli giallo-comici, sono per antonomasia pasticcioni e imprecisi. A volte lo fanno apposta per imbrogliare le carte, per depistare il lettore. Altre volte sono proprio sbadati di natura.

- E il nostro com'è?

- Mah, non si sa, forse un po' così e un po' cosà. Ma non divaghiamo! Agente, verbalizzi.

- L'ha già detto prima.

- E lo ridico, va bene? Anzi sa cosa faccio? Lo riridico! Agente, metta a verbale. Tho!

- Contento lei...

- Lei evidentemente non si rende conto. Ma lo sa che qui si rischia l'ergastolo?

- Io sono innocente. Ho fiducia nella giustizia!

- Non è che le due cose vadano sempre insieme...

- Bhè, un magistrato non dovrebbe dire certe cose.

- Ha ragione. Agente, cancelli la mia ultima frase. Non questa che ho appena detto. Quella prima. No, non quella prima di questa, anzi della penultima...oh insomma: agente, cancelli tutto e ricominciamo d'accapo!

- Ma dov'è questo agente?

- Dietro di lei, nell'angolo alla mia destra, alla sua sinistra.

- Ah, sì. Lo vedo. Ma non parla mai? Nemmeno una parola?

- No, non è previsto dal canovaccio.

- Ah, okey.

- Cominciamo: lei ha ucciso l'ing. Barzizza con due colpi di pugnale all'addome, poi ha fatto scomparire il cadavere. Confessa?

- Ma nemmeno per sogno! Intanto non l'ho ucciso. Figuriamici! Ero amico di Barzizza fin da bambino, era il compagno di banco di mio fratello per tutte le scuole elementari e medie, al Liceo eravamo nello stesso collegio.

- Questo non significa niente, anzi! Proprio la lunga conoscenza della vittima presuppone l'insorgere di un movente che...

- Ma quale movente! Non l'ho ammazzato io! Posso sapere quali indizi ci sarebbero a mio carico?

- No, non lo può sapere.

- Ma è pazzesco! Lei sta compiendo una serie inaudita di soprusi...

- E va bene. La sua ex moglie da alcuni anni conviveva con la vittima. Su, confessi. Delitto per gelosia! Il delitto d'onore non è più contemplato dal codice penale, ma qualche attenuante la si può comunque spuntare!

- Ma lasci perdere! Me ne impippo delle attenuanti! Io sono innocente!

- Può far leva sulla delusione, sulla disperazione! Magari potrebbe ottenere la semi-infermità di mente. Vuole che nomini un perito?

- Ma matto sarà lei! Voglio parlare con il mio avvocato!

- No, no e no! Uffa! Perché non vuole confessare?

- Perchè sono innocenteee! Ha capito? In-no-cen-te!

- Sì, dicono tutti così.

- E poi io e la mia ex moglie abbiamo divorziato consensualmente, in perfetto accordo. Anch'io mi sono rifatto una vita...

- Ho capito. Lei è un osso duro. Ma non si illuda. Lei non ne uscirà da questa storia.

- Ma si può sapere perché mi ha preso di mira? Perché mi odia? Eppure si dice in giro che lei sia una brava persona, umana, comprensiva...

- Chi lo dice?

- La gente.

- Quale gente?

- La gente! La gente!

- Mi sembra Tina Pica in "Pane, amore e fantasia". Va bene, lasciamo perdere. In effetti io sono buono e comprensivo, sono anche molto umano e voglio bene al prossimo.

- Ma allora? Perché mi tratta così? Perché a me non vuole bene?

- Perché voglio bene al prossimo.

- Non mi sembra una risposta molto logica, né coerente.

- Come no? Al prossimo che entrerà in questa stanza per essere interrogato sento già di voler bene come a un fratello. Peccato. Lei è arrivato in anticipo. Se fosse arrivato dopo quello che ora è il prossimo, sarebbe stato proprio lei il prossimo. Così invece è il precedente.

- Che sfiga!

- Avanti. Lasci da parte le ultime resistenze. Ormai la sto inchiodando!

- Ma se non ha uno straccio di prova a mio carico, non un elemento!

- Lo dice lei! Vuol forse negare di essere stato sorpreso l'altro ieri aggirarsi nei pressi dell'abitazione del Barzizza?

- Non mi aggiravo! Stavo suonando il campanello di casa sua quando mi hanno arrestato.

- Vede? L'assassino torna sempre sul luogo del delitto!

- Ma non dica fesserie! La mia ex, ora compagna del Barzizza, anzi vedova...

- A verbale! Come fa a sapere che ora è vedova?

- Scusi, eh! Ma se sono sospettato della morte del Barzizza vorrà pur dire che il Barzizza è morto! Quindi la mia ex è vedova del Barzizza.

- Si sta confondendo, cade in contraddizione!

- Ma che... va bene, lasciamo perdere. Andiamo avanti! La mia ex mi aveva telefonato preoccupata perché il Barzizza non rientrava a casa da due giorni e due notti, senza aver lasciato un messaggio. Il cellulare era spento...

- E lei come lo sa? L'aveva spento lei dopo averlo ucciso, è chiaro!

- No, le riferisco quel che mi ha detto la mia ex! Ho come l'impressione che lei voglia trovare un colpevole a tutti i costi e io le calzi su misura.

- Si assume interamente la responsabilità penale di questa affermazione, la avviso. E' tutto a verbale.

- La assumo. Allora mi ero recato presso l'abitazione del Barzizza su sollecitazione della mia ex...

- Interessante. Potrebbe configurarsi un concorso di reato. Avevate macchinato insieme il delitto? La sua ex voleva liberarsi del nuovo compagno e a chi se non all'ex marito rimastole amico poteva rivolgersi per...

- Lei sta farneticando. Comunque lo ripeto: non ha prove.

- E lei non ha un alibi! Dove si trovava la notte fra il 18 e il 19 Luglio alle ore 23 e 52?

- Ero in chat.

- Dove???

- In chat. Collegato via internet. A quell'ora ero in pvt con una persona che potrebbe testimoniarlo.

- Ah... e mi vuol declinare le generalità di questa persona?

- Falenanellanottedelporto56.

- Prego?

- Falenanellanottedelporto56. Tutto attaccato. E' il suo nick. E' una maestra elementare. Si tratta di una donna sposata, in crisi con il marito, sull'orlo della separazione. E' molto intelligente e sensibile.

- Sì, ma come si chiama? Avrà pure un nome e cognome questa maestra intelligente e separabile sull'orlo della sensibilizzazione?

- No, non faccia confusione...

- Cioè a dire che questa donna non ha un nome proprio?

- Sì, certo, ma... non lo conosco. Non so nemmeno da dove chatta, non gliel'ho chiesto per non stare lì a fare le solite domande: come ti chiami, da dove chatti, quanti anni hai...

- Che palle!

- Eh, appunto!

- E questo secondo lei sarebbe un testimone?

- No, eh?

- Vede? Quindi lei non ha un alibi.

- Come me almeno altri due milioni di persone nella zona! Allora? Siamo tutti indagati? Nemmeno lei magari ha un alibi per quella notte!

- Mmmh...mi ci faccia pensare. Cos'era il 18? Giovedì?

- Sì, era Giovedì scorso.

- Dunque... la canasta no, è al Mercoledì. Avrò visto un film in tv, adesso danno un sacco di repliche...no, non mi ricordo...

- Lo vede? Nemmeno lei ha un alibi.

- Effettivamente...

- E poi, mi scusi, non è per fare il curioso: ma com'è che sa a che ora è stato ammazzato il Barzizza?

- Eh? Come lo so? Oh bella! Ma dal risultato dell'esame necroscopico, no? E' ovvio.

- Eh sì, è ovvio. Specialmente se si tratta dell'esame necroscopico effettuato su di un cadavere occultato chissà dove e a tutt'oggi non ancora trovato.

- Uhm...

- E poi mi scusi, non vorrei procurarle ulteriore imbarazzo, ma per quanto se ne sa il Barzizza risulta scomparso, non assassinato. Come fa lei a sapere che invece è stato ucciso con due coltellate all'addome la notte fra il 18 e il 19 Luglio alle ore 23 e 52?

- Come faccio a saperlo? Forse una soffiata?

- Ma quale soffiata! Glielo dico io come fa a sapere tutte queste cose: perché l'ing. Teobaldo Barzizza lo ha ucciso lei!

- Io? E perché mai avrei dovuto...

- Perché lei lo odiava a morte! Sì, lei covava verso di lui da anni un odio che con il passare del tempo si era trasformato in una vera e propria ossessione! Fin dagli anni della scuola elementare lei odiava quel bambino brufoloso e sputacchioso, coi capelli rossi tutti arruffati! Lo odiava quando si toglieva le scarpe sotto il banco ed inondava il suo sensibilissimo olfatto con la sua insopportabile puzza di piedi! Lo odiava quando sputava in terra il chewing-gum e regolarmente lei lo pestava e le restava appiccicato sulla suola! Lo odiava quando alle medie lui copiava il suo compito in classe di matematica e poi lui prendeva otto più e lei sette meno meno. Lo odiava quando diventati grandi lei si è fatto un anno di militare come carabiniere in Barbagia e invece lui grazie alle solite raccomandazioni era stato riformato, nonostante la battesse regolarmente in tutte le gare sportive! Devo proseguire?

- No! No! La smetta! E' vero, confesso! L'ho ucciso io e non me ne pento! Me ne sono liberato finalmente! Gli ho dato due coltellate, poi l'ho chiuso in un sacco e l'ho buttato in un pozzo nero, fuori città. Sì! Sono stato io! Ah ah ah ah ah! L'ho ucciso io! Ah ah ah ah ah! L'ho ammazzato quel verme!

- Su, si calmi.

- Scusi, è stato un attimo di agitazione. Immagino potrà capire...

- Capisco, capisco.

- E adesso?

- E adesso la dichiaro in arresto con l'accusa di omicidio premeditato, occultamento di cadavere e abuso d'ufficio finalizzato a sviare le indagini. Ha diritto di telefonare al suo avvocato.

- Ah, grazie... ma... un momento! Sono io qui il magistrato!

- Ah già, è vero. Però c'è la sua confessione a verbale. Ci penserà l'agente a riferire ai suoi colleghi fuori. Saranno loro a trarla in arresto. Vero agente? Ah già, non parla. Non è previsto dal canovaccio.

- Eh sì. Non vedo vie d'uscita.

- Mi spiace, davvero.

- Però scusi: lei come fa a sapere tutte queste cose di me, della mia vita?

- Eh eh, per forza che le so: siamo fratelli!

- Eh già, è vero. Ma se siamo fratelli si può sapere perché ci diamo del lei?

- Ah, questo lo deve chiedere a quello squinternato che ha scritto il racconto.

- Troppo tardi, ormai. Il racconto è finito.

 

 

 

 

 

 

 

MISSIONE

(versione originale integrale)

 

 

Domani si va. Si va in missione. Scherzi della naja. Volevo entrare in aeroautica io. Sembrava fatta: a Verona il colloquio e lì mi sono fregato da solo: tutto bene, benissimo, troppo. Bravo, bravissimo: corpi speciali, tiratore scelto. Ma vaffanculo, io volevo volare. Conroy dice che è uguale.

- Domani si vola, non fare quella faccia.

- Che faccia? E’ la mia faccia. Sai cosa vuol dire staccarsi da terra e raggiungere le nuvole?

- Se ci sono nuvole basse, a stare sopra un tetto è un po’ come volare.

 

Conroy è un ottimista e un sognatore, forse un illusionista. L’avrei visto bene anche lui a volare, ma lui ha scelto di scalare i tetti, di appostarsi dietro a un comignolo, di sporgersi da una finestra e di farsi trasparente. E’ anche lui un poeta. Io, lui, Rocker e Roller, la banda dei Lenn, tutti poeti siamo, ognuno a modo suo. Ma domani si va. Si va in missione, lontano, sapremo domani. Si parte stanotte, furgone blindato. Si va a fare irruzione in un covo di terroristi, chissà dove, su al nord. Sarà un’operazione pulita, veloce, un blitz. Dovò appostarmi su un tetto, o sulla tettoia di un box o chissà dove: fermo, attento, invisibile, con lo sguardo puntato alla porta sfondata. Poi domenica si va al Pincio, andremo a farci una mangiata fuori ordinanza.

Rocker vorrebbe avvisare la ragazza, glielo si legge nello sguardo. Guai a lui. Conroy ha detto alla sua che domani c’è un’esercitazione, alla sua Roller ha detto semplicemente che non ha ottenuto la licenza, se ne riparla domenica. Rocker invece non le ha detto niente, se ne è dimenticato. Io non ho problemi, la mia donna è lontana, domani sarà molto più vicina, ma tanto non lo saprà.

Roller annaffia le piantine. Si stenterebbe a crederlo, ma ha l’hobby del giardinaggio e forse un giorno lo farà di mestiere. Conroy invece è l’intellettuale del gruppo, riprenderà l’Università, farà il ricercatore o il docente, o magari il politico. Rocker forse resterà qui per sempre, o andrà a Nettuno a fare l’istruttore, magari fra qualche anno. Io qualcosa farò, magari il musicista: anche suonare è un po’ come volare.

I Lenn. Cosa vuol dire “Lenn”? In realtà non significa nulla, ma per noi quattro vuol dire tante cose. Tutto nasce da un’uscita di Roller, si guardava la luna e il discorso finì sul fatto che lassù qualcuno ci aveva anche passeggiato, e lì Roller se ne uscì con quello “sbarcando da un Lenn”. E noi altri tre a ridere: era il Lem, non il Lenn! Però Lenn è più bello, proprio scritto così, con due enne. E così diventò il tormentone: “vaffanlenn, dammi un lenn, me magnerei un lenn, ma che lenn stai a di’, mi piace un lenn, boia d’un lenn, porco lenn, te faccio un lenn così”. Quando poi si è formata una squadra di quattro elementi, noi quattro, per un’esercitazione, dovevamo dargli un nome e non poteva essere che quello. E tutti a dire: “ahò, ma se po’ sape’ che d’è ‘sto Lenne?”. Poi è nato il saluto del gruppo, “lenn ah…oh!”, ed infine i nostri nomi in codice, niente di serio, un codice tutto nostro: Rocker Lenn, Roller Lenn, Conroy Lenn e Johnson Lenn.. A pensarci adesso, com’eravamo bambini, e come volevamo esserlo, soprattutto! Che poi in fondo lo siamo anche adesso, nonostante tutto.

Domani si va. Si va in missione. Ma domani oramai è quasi adesso. E quell’altro domani si torna: c’è da finire la gara a milleun punti, la maratona dello scopone scientifico, siamo in vantaggio io e Conroy, ma mancano trecento Lenn per arrivare al traguardo; poi c’è la Roma che vola, fra qualche domenica arriverà la Juve, e c’è la Gio’ del Testaccio, la cugina di Conroy, che ha un sorriso e due occhi da favola, la porterò ai Castelli qualche giorno, magari a Velletri dove stavano certi miei avi. Ci sono tante cose da fare e da dire, da giocare, da vincere e da perdere, da inaugurare, da ricominciare, da dimenticare, da ridere, da piangere, da vivere.

Tutto è pronto, si va. Non c’è tensione, ci siamo ormai abituati a non averne, forse ci siamo anche un po’ rassegnati ad essere sempre tranquilli, freddi, distaccati. “Lenn ah…oh!” Le braccia orizzontali, le mani sovrapposte in cerchio, quasi come fosse un romanzo di Dumas.

Stiamo bene, siam pronti? Prima di partire l’Ufficiale, paterno, ci fa l’ultimo test.

- Ehi, Johnson, come speri che vada?

- Che si arrendano, giusto?

- Certo, giusto. Ma se poi uno scappa, trascinandosi dietro un ostaggio?

- Gli sparo.

- E se lo manchi?

- Non lo manco.

 

Risposta esatta. Bravo, bravissimo. Anche questa volta.

Si va. Si va in missione.

Porca troia!

Io volevo volare.

 

 

 

 

ISA

 

 

Le cinque amiche inseparabili, le chiamavano così, tanti anni fa. Adesso hanno fra i trentasei e i quarant’anni ed è un caso assai raro che si ritrovino insieme, tutte quante, come questo pomeriggio. Che poi è stato un caso: due sono arrivate insieme, altre due a poca distanza di tempo una dall’altra, e per ultima lei, Isabella, che è uscita dall’ufficio alle diciotto. Si sono trovate per coincidenza dentro al supermercato e poi sono andate in un bar, hanno occupato un tavolino e parlano e raccontano, e si raccontano e ridono, ridono, ridono.

Isabella ha trentotto anni, ma è sempre stata un po’ la leader delle cinque amiche inseparabili. Anche adesso, che da anni si sono quasi perse di vista, ha subito preso il centro della scena, lei così sempre serena, così allegra, così sempre un po’ più intelligente e un po’ più colta degli altri, lei così sempre curata nell’aspetto: i capelli ordinati, trucco preciso e leggero, le unghie sempre smaltate, il suo vestire sportivo ed elegante, il suo sguardo sempre arguto e un po’ furbetto, dietro le lenti da miope, rotonde, con montatura leggera, lei con la sua ironia e quelle sue battute folgoranti, lei sempre di poche parole, a volte basta un certo sguardo dei suoi e anche l'uomo più spavaldo del mondo si ritira in silenzio, portando altrove, lontano il suo imbarazzo. “Fortunata te!”, è questa l’espressione ricorrente delle sue quattro amiche. Sì, perché delle cinque lei è l’unica sola, l’unica libera, senza legami, senza catene, senza nessuno a casa ad aspettarla. Le guarda, sbuffa e dice “eh, povere amiche!”, e ride, ride, ride.

Una si lamenta del marito geloso, l’altra sta per sposarsi e già si chiede se non starà per fare un grosso sbaglio, un’altra ha già due figli e i problemi, e i casini, l’ultima si è sposata da pochi mesi e non fa che ripetere “che noia!”. Le storie che raccontano dipingono scene di vita varia e indaffarata: la casa da comprare con il mutuo, tanti progetti da mettere in atto, lui che guarda la partita e urla, lui che se c’è da spostare un pezzo di mobilio ha mal di schiena e non si regge in piedi, ma dopo cinque minuti scende le scale di corsa, lui che l’accompagna anche a fare la spesa perché non si sa mai chi può incontrare, lui che sta in casa tutto il pomeriggio, lui che esce di sera con gli amici, lui che questo e che quello, lui lui, lui. “Fortunata te, Isa, l’hai scampata!”, e lei ride, ride, ride forte.

Lei no, non si è sprecata, non si è lasciata scegliere, non si è mai regalata. Gli uomini con lei hanno sempre provato soggezione, non sono mai riusciti a prevalere. Però anche lei ha avuto le sue storie, ha amato quelle storie, anche Isabella ha amato: lui che parlava poco e non rideva mai, non si sentiva all’altezza e lo diceva, era una vera lagna e l’ha mollato; lui che era sposato e lei non si sentiva al posto giusto, ma lui le ripeteva “non la amo, non la sopporto più”, però non la lasciava, non riusciva a decidersi mai, c’era il bambino, c’era la casa da costruire, c’erano tante cose, e infine ha scelto di restare con la moglie, hanno poi avuto un altro figlio, hanno finito la casa, hanno ritrovato un loro equilibrio, per quanto sempre precario, provvisorio, insomma è poi finita anche con lui; e lui che era troppo intelligente e troppo instabile, anche lui, come lei, così votato alla libertà, con le sue scappatelle che chiamava spazi di fuga, senza importanza, così com’era senza importanza quella loro storia, finita lentamente senza nemmeno rendersene conto, e dopo lui si è sposato, adesso gira spingendo lentamente un passeggino sul viale, chi l’avrebbe mai detto? Le amiche ridono e parlano, raccontano e ricordano: “l’hai scampata bella, Isa, tu sì che sei fortunata!”, e lei ride, ride, ride.

Si è fatto proprio tardi. Le cinque amiche si lasciano, ridendo: “dobbiamo ritrovarci, rivederci!”, e poi ognuna di loro torna a casa, torna alle proprie cose di ogni giorno. Isabella rientra e pensa “cosa mangio per cena?”. Ma poi perché cenare? E’ obbligatorio? Non deve rendere conto a nessuno, ha già mangiato un tramezzino e un po’ di patatine al bar, per adesso può anche bastare, poi magari più tardi, se ritorna un poco di appetito, si potrà sempre spiluccare qualcosa. Che fare? In televisione non c’è niente di bello, uscire…dove andare? Godersi in pace questa libertà? Leggere un libro o qualche cosa, ma no, meglio riposare la vista, lasciamo perdere anche la chat per questa sera: troppo casino, troppi cretini, troppe risse. Sarebbe il caso di fare qualche lavoro di casa, cambiare le tendine, fare le pulizie, ma no…chi se ne frega, non c’è mica nessuno che poi si lamenta, per lei va bene così, la casa serve per viverci, ci penserà domani, come ha detto già ieri, e l’altro ieri, e da un po’. L’unica cosa da fare è riposare, è stata una giornata pesante in ufficio, forse domani sarà pure peggio. Meglio indossare il pigiama e andare a letto, un bel concerto di Bach in sottofondo, per farsi accompagnare verso il sonno. Isa si infila sotto le lenzuola, si gira su un fianco, stringe fortissimo il suo vecchio koala di peluche… e piange, piange, piange.

 

 

 

 

 

 

LA LEGGE

 

 

Le nuvole scendono basse all’orizzonte, disegnando sottili fili rosa di vento nel cielo che si veste dei colori del tramonto. Il vecchio Johnny Blues esce sulla veranda di legno con in mano una lattina di birra e si accomoda sulla sedia a dondolo, si accende la pipa, tossisce secco un paio di volte, poi comincia a dondolare tra un sorso di birra fresca e qualche filo di fumo azzurrino, godendosi sorridendo lo spettacolo del tramonto, nel deserto spalancato ai suoi occhi. Tutto intorno, fino all’orizzonte circolare, è solo arida e nuda terra rossa, e cielo.

Il viso del vecchio si trasforma in una ragnatela di piccole rughe incrociate, mentre socchiude le labbra e mostra l’ininterrotta fila dei denti, per un sorriso più intenso; ha messo a fuoco la vista stringendo i suoi occhi umidi e arrossati: appena un puntino era comparso all’orizzonte e già si va allungando, assumendo parvenza di miraggio, come se si trattasse di sostanza tra il liquido e il gassoso, quasi immateriale. Lentamente si disegna una sagoma che da una prima sembianza di cactus si costruisce ingrandendosi pezzo dopo pezzo in forma di centauro, e finalmente ancora in lontananza quella figura si divide in due per la definitiva visione quasi nitida d’uomo in groppa ad un cavallo: nero il cavallo, neri il cappello ed il mantello dell’uomo.

Johnny si alza lentamente dalla sedia a dondolo, appoggia una mano alla balaustra e con l’altra mano si leva il cappello e lo agita in aria, sputa via la raucedine e squarcia il silenzio del tramonto con una voce prolungata: “Hey, Slim!”. L’uomo a cavallo alza una mano guantata di nero nella sera che precipita e risponde alla voce con identica voce: “Hey, Johnny!”.

L’uomo procede lentamente, e finalmente si avvicina alla casa, lega il cavallo alla balaustra e sale in veranda, camminando piano. Il vecchio Slim sotto il mantello che ha tolto e infagottato sulla sella del cavallo ha una camicia nera e pantaloni neri, al suo ritorno sparirà nella notte: visibile sarà solo la sua stella argentata, appuntata all’ampia tasca pettorale sinistra della sua camicia. Il vecchio Slim è lo sceriffo della Contea forse da più di mille anni, da sempre, da quando esiste la Contea di Liveson.

Si stringono la mano, una pacca sulla spalla e poi entrano in casa. Johnny mette sul fuoco la pentola di zuppa di legumi, raddoppiando la dose, e intanto prende due bottiglie di birra fresca e due boccali che appoggia sulla tavola, apparecchiata da Slim che si muove sicuro, trova ogni cosa nel cassetto giusto, accende la vecchia lampada a petrolio e la sospende al gancio, sopra al tavolo.

- Questo deserto avanza ogni volta un po’ più in là, Johnny. Di questo passo arriverà sino al canyon in capo a due o tre anni, mangiandosi Overcity.

- Come si è già divorato prima Herecity, che sorgeva qui intorno. Oltre alla mia è rimasta solo la casa del vecchio Barry, più in là dell’orizzonte, e in mezzo è solo deserto dove prima sorgeva la città. Ricordi la città? Le case, le strade, la chiesa, il via vai di persone e di carrozze…

- Il saloon dove ti esibivi ogni sera…

- Fino al giorno in cui sei arrivato tu, a sequestrarmi la chitarra.

- La Legge.

- Già. La Legge.

 

Johnny immerge il mestolo nella pentola e poi riempie le ciotole, quindi si siede e cominciano a consumare quella cena semplice e gustosa, intingendo nella zuppa grandi fette di pane scuro.

- E comunque ti ho lasciato il flauto…

- Con quello non puoi suonare in un saloon, ma solo al tramonto, sulla veranda mentre guardi il cielo. L’ho fatto, mentre il deserto cominciava a circondarmi. Una sera arrivarono decine di coyotes, che si accucciarono ad ascoltare in silenzio, con gli occhi che luccicavano come stelle basse, tutt’intorno nella notte. Da quella sera tornarono molte volte, alzando il muso affilato e lanciando brevi guaiti, finché non uscivo e cominciavo a stendere le note lunghe e lente del mio flauto. Poi, una notte, uscii sulla veranda col fucile e sparai molti colpi in aria. Non li ho più visti da allora e non ho più suonato il flauto, per non farli tornare.

- E non sono poi mai più tornati?

- Ne passa qualcuno ogni tanto, ma se ne va quasi subito, come fosse per lasciare un saluto e farmi sapere che loro esistono ancora, sono invecchiati anche loro oramai, ma sono sempre vivi.

- Sono rimasti solo loro: sono i veri padroni del deserto che ti circonda.

 

Il vecchio John versa ancora un po’ di zuppa e un po’ di birra, rompe pezzi di pane e li lascia a macerare nel piatto, mentre il suo amico Slim continua a intingere la sua razione di pane a larghe fette e a mangiare di gran gusto.

- La gente che era qui intorno l’hai portata via tutta tu, un po’ alla volta.

- La Legge.

- Lo so, lo so. Tu esegui soltanto, è il tuo dovere, non te ne faccio una colpa e poi sei mio amico, forse l’unico in zona che mi è rimasto, che ogni tanto si ricorda di me e viene a farmi un po’ di compagnia.

- Non hai pensato di andare a vivere altrove, magari ad Overcity, finché esiste? Potremmo vederci più spesso.

- Oh no, perché? La solitudine non mi pesa, lo sai. Qui c’è tutto il mio mondo: il mio cane, che ha imparato ad arrivare in città e mi porta qui il giornale e il tabacco; e ci sono la radio, la pipa, il flauto, la veranda, la sedia a dondolo, il deserto, il cielo, i coyotes e le stelle, le nuvole, l’orizzonte. Ho la radio trasmittente, di là. Parlo con tanta gente lontana, sai? Ci sono tante città nel mondo, tante contee, e in ogni contea uno sceriffo e la Legge… e i deserti.

- La Legge è uguale per tutti, in ogni angolo del mondo.

- Però che strana Legge. Non si sa chi l’ha scritta, non si può rinnovare, non la si può cambiare; discuterla sì, contestarla, disapprovarla… ma a che serve? Tanto vale accettarla com’è, anche se sfugge il senso.

- Il senso?

- Hai portato via tanta gente in questi anni. Perché?

- La Legge.

- Sì va bene, ma… cosa dice questa Legge? Qual è il momento in cui la si infrange e arrivi tu?

- Io non arrivo quando la Legge si infrange, ma quando si applica: semplicemente la faccio rispettare. Eseguo gli ordini, senza chiedere il motivo, tanto sarebbe inutile. Forse lo farò un giorno, quando non servirò più, quando verrà il momento di andare in pensione. Forse.

- Se lo farai e riceverai risposta, ricordati di me. Dovunque sarò in quel tempo cerca di farmi sapere.

- Cosa vorresti sapere esattamente?

- Ad esempio perché Mike e Petra, Diana e Steven sono stati arrestati. E gli altri amici, la gente di Herecity, prima che intorno fosse solo deserto. E perché mia figlia prima ancora di aprire gli occhi al mondo era stata condannata e sei venuto qui a prenderla per portarla via; e dopo appena due anni sei tornato e mentre io ero lontano, senza darmi un preavviso, hai portato via anche sua madre, cioè la donna che amavo… perché lo hai fatto, Slim? Perché?

- La Legge.

- Forse un giorno potrò conoscere anch’io il senso di questa Legge; e il suo contenuto, i suoi articoli, i comma, le disposizioni, le sanzioni… i perché…

- Forse.

 

Johnny versa altra birra, mentre Slim sparecchia e tira fuori da un cassetto una vecchia pipa.

- Posso?

- Certo che puoi, me lo domandi? Agli amici non si nega niente. Il tabacco è nel cofanetto, sulla mensola sopra alla stufa, così si mantiene secco.

- Lo so, me ne sono servito molte volte. Per questo passo sempre a trovarti volentieri, quando mi capita di trovarmi nei paraggi. Tu sei il mio unico amico in questa zona della Contea, l’unico che mi ospita con sincerità e persino con affetto, l’unico disposto a dividere un po’ di tempo con me, senza odio, senza disprezzo e senza paura.

- E’ normale che la gente ti tema. Tu rappresenti e applichi questa Legge sconosciuta dalla quale nessuno può sentirsi al sicuro. Io stesso, vedendoti arrivare, ogni volta mi chiedo se in questa occasione dovrai mostrare a me il mandato di cattura. Anche oggi, per un attimo…

- Oggi sono venuto a trovarti come amico, come ogni altra volta transitando dalle tue parti. Quando andrò via di qui, sulla strada del ritorno, passato l’orizzonte mi recherò da Barry. Ho qui nella borsa l’ordine di cattura che lo riguarda. Non dovrei dirtelo, perché queste notizie vengono date dopo, ad arresto avvenuto, ma faccio un’eccezione, tanto so bene che non lo dirai a nessuno.

 

E così è arrivato il turno del vecchio Barry. Una persona lontana che col deserto che avanzava era diventato il vicino più prossimo, ed ora il vecchio John Blues rimarrà davvero l’unico abitante di quella che un tempo fu la città di Herecity. John ora è certo che la prossima volta che vedrà disegnarsi lentamente all’orizzonte la sagoma del suo vecchio amico sceriffo, vorrà dire senza tema di equivoco che il vecchio Slim viene lì per lui.

Vanno a fumare in veranda, ognuno accomodandosi sopra a una sedia a dondolo, ad osservare la notte. Passa qualche coyotes silenzioso vicino alla casa, passa qualche nuvola in cielo ad oscurarne provvisoriamente un lembo tempestato di stelle, passa il tempo in silenzio. Infine il vecchio Slim si alza per andare via, spiega con cura ed indossa il mantello, slega il cavallo e balza in sella con la sua stessa agilità di sempre.

- E’ ora che vada. Grazie di tutto, Johnny, amico mio.

- Grazie a te per la visita, Slim, amico mio.

- Come ogni volta non posso e non so dire quando sarà il momento in cui ci rivedremo.

- Fa niente. Quel che importa è vedersi. Ti aspetto.

- Bye John…

- Bye Slim…

Le nuvole scendono basse all’orizzonte, disegnando sottili fili neri di vento nel cielo che si veste dei colori della notte.

 

 

 

 

 

Seguono altri racconti di Silvano Baracco