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.: ORIZZONTI - La Poesia Araba delle Origini - a cura di Skydos |
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Introducendo queste pagine dedicate alla Poesia Araba Armida Pratesi, alias Skydos, ne fa la seguente presentazione:
"Con questa mia ricerca ho inteso usare la semplice chiave dell'assaggio ad una piccola porzione di conoscenza per tentare di capire un mondo, quello delle lettere e dei suoni del mondo arabo, perchè anche di suoni si tratta, suoni che purtroppo per noi, però, si perdono nella diversa resa della traduzione nella nostra lingua. Limitiamoci quindi a far risuonare dentro di noi il passo scalpitante di puledri e segugi, gazzelle e fanciulle, il frullar di piume e di bioccoli di nuvole, lo scrocchiar di tuoni e di parole ora amare ora forti, ora tenere ora addolorate. Si entra dapprima nel vasto mondo antico dei deserti e delle battaglie a fil di spada, dell'incanto dei nomadi e dei carovanieri che per loro scelta o per passione percorrevano gli invisibili sentieri delle dune e quelli, molto più spesso, tracciati dalle costellazioni e dalle fasi lunari, per poi passare al mondo contemporaneo, segnato molto più spesso da un nomadismo dolorante e condizionato da vicende storiche e politiche tuttora non sopite, da ferite tuttora sanguinanti e doloranti, e su entrambi gli scenari la passione, l'amore sensuale, che sempre ha pervaso, pervade e pervaderà l'immaginario collettivo dell'arabo medio, a dispetto di tutte le tradizioni e le costrizioni e/o castrazioni vere o presunte tali che gli sono state via via attribuite. “ |
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La poesia araba delle origini
Imru’l - Qays Fu principe e poeta dell’Arabia preislamica. Quando il padre, re della tribù dei Kinda, cadde vittima di una rivolta, Imru’l – Qays cominciò una vita avventurosa senz’altro scopo che la vendetta: da ciò il soprannome di “re errante”. La tradizione gli attribuisce il merito di aver dato una sistemazione metrica alla poesia araba, con norme definitive anche sull’uso della rima. Una delle sue più famose composizioni, di cui è riportato qui il brano di contenuto amoroso, fa parte della raccolta delle Mu’allaqat.
Convegno d’amore Uscimmo insieme, io camminavo e lei trascinava, sulle nostre orme, l’orlo di una veste errante e quando oltrepassammo il recinto della tribù e giungemmo in una conca fra le dune intricate afferrai le sue ciocche mentre si chinava su di me, sottile di vita e dalle gambe tornite, slanciata, bianca, dalle giuste forme e con il seno levigato come uno specchio. Si volge mostrando una guancia liscia e si difende Con uno sguardo da antilope di Wagrah, mostra un collo simile a quello della bianca gazzella, non troppo lungo né sciupato quando lo alza verso l’alto, e una capigliatura nera come carbone lungo la schiena, folta come un grappolo di datteri che pende dalla palma, mentre le trecce sono ripiegate verso l’alto i riccioli si perdono in pieghe e in onde, e una vita sottile come una fine redine e gambe, fusti irrigati e irrorati. Mentre briciole di muschio sono sparse nel suo letto Dorme la mattina senza cintura alla veste. Tocca con delicatezza leggera come Bruchi di Zabbi o ramoscelli di ishil. Illumina il buio della notte come lampada notturna di monaco solitario. (Da “le Mu’ allaqat”)
Ibn al-Mu’tazz Principe abbàside, Ibn al-Mu’tazz visse dall’861 al 908 d.C. Eletto califfo in seguito a una congiura che aveva cacciato il califfo legittimo, mantenne la carica per un solo giorno, perché lo spodestato ritornò subito al potere. Ibn al-Mu’tazz fuggì, ma fu catturato e ucciso. Fu uno dei più brillanti ingegni del suo tempo, come critico letterario e poeta. Il suo canzoniere, ricco di concetti e immagini preziose, è improntato a un’estrema eleganza formale e purezza di espressione. I cani Quando la stella si inclinò al tramonto, e il nero capo della notte si tinse del grigio dell’alba, guidammo contro le gazzelle del deserto che protendono il muso un segugio aggirantesi al guinzaglio. Mentre i nembi di polvere sembran veli femminili, esso pare affrettarsi a raccogliere perle cadute in terra, riportandole ai cerchi degli orecchini. È di una razza di cani che balzano vivaci, dalle code ritte come scudisci, dalle orecchie appuntite come denti di pettine: snudano, per azzannare le vertebre dei fianchi, zanne quali lisce cuspidi polite, quali scrigni di perle nei muliebri astucci.
Pioggia Una nube gravata d’acqua se ne venne dondolando In groppa ai venti, e per tutta la notte versò acqua a fiotti e rovesci, come sangue dalla bocca delle ferite. Quando si dissipò, il cielo stellato al mattino Sembrava un prato di viole rorido di rugiada, con dischiusi in mezzo fiori di camomilla.
LA QASIDAH La qasidah è un componimento di circa 100 versi basato sulla successione di alcuni temi fissi: il preludio amoroso in cui il poeta piange sui resti dell’accampamento della tribù dell’amata che ha dovuto migrare verso nuove sedi, il viaggio compiuto dal poeta, con le descrizioni della cavalcatura, compagna di tante avventure, e di vari aspetti della natura, per giungere alla conclusione consistente in un panegirico.
LE MU’ALLAQAT Con questo nome vengono chiamate sette poesie, del genere “qasidah”, tra le più belle della poesia araba preislamica. Risalenti al VI secolo d.C., sono attribuite a sette diversi poeti. Nel 1819 Goethe, che ne aveva letto una traduzione già dal 1783, ne rivelò l’esistenza all’Europa, definendole “splendidi tesori”. Queste liriche sono tipici esempi dell’antica poesia beduina, scritti in un linguaggio vivace e ricco di immagini. Il loro nome significa letteralmente “le appese” e si riferisce al fatto che, per la loro bellezza, le sette poesie furono forse appese nella Ka’aba.
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