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..Come ti può capitare di conoscere Pianavia!

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Come ti può capitare di conoscere Pianavia...… …in un'assolata giornata di fine Dicembre!

Ormai è passato quasi un anno e mezzo da quel luminoso pomeriggio del 28 dicembre 2001 in cui io e M'Baye, il mio ragazzo, decidemmo di partire per andare a vedere e fotografare la chiesa di S. Anna, immersa tra gli ulivi che circondano Vasia. Devo ammettere in tutta sincerità (e riguardo questo mi assumo la responsabilità di affermare che lo stesso deve essere stato anche per le mie due sorelle e per mio fratello) che, pur venendo a Imperia dalla nascita per trascorrere le vacanze estive nella casa dei miei nonni paterni a Dolcedo, non avevo mai pensato che oltre alla spiaggia di Porto Maurizio con il trampolino consumato dalle nostre rincorse, oltre alle cartolerie di Oneglia dove alla fine di agosto si celebrava il rito dell'acquisto di un nuovo astuccio, al di là dell'alto muro che circonda ancor oggi il giardino dei nonni, ci fossero persone, paesini, storie, montagne... …questo fino al dicembre di quell'anno che molti volevano essere la fine di un millennio, in cui pensai che il Capodanno, questa volta, non si sarebbe dovuto trascinare in deprimenti tentativi di divertirsi circondati da feste che non ti appartengono né tantomeno ti divertono. Presi quindi la mia decisione: "Quest'anno, passiamo Capodanno a Dolcedo!" 

M'Baye, quando partì dal Senegal ormai più di cinque anni fa sapendo dell'esistenza di Genova solo perché seguiva le imprese del Genoa e della Samp via satellite, non credo potesse neanche immaginare dove sarebbe potuto finire…questo, ovviamente, perché non poteva certo pensare di incontrare me. E invece, fortunato, il 27 dicembre era a Pegli a caricare la Peugeot grigia che mi avrebbe accompagnata nella riscoperta del Ponente Ligure. 

Mi ero organizzata veramente bene, procurandomi nella Libreria degli Studi in via Balbi, a Genova, la guida ai Monumenti delle valli di Imperia pubblicata dall'Istituto di Studi Liguri: un volumetto dalla carta soda e pesante con una copertina in bianco e nero incorniciata color verdone, così retro che solo a sfogliarla sentivo odore di avventura. 

E avventura doveva essere; ma l'avventura è quando meno te l'aspetti. E infatti, la mattina del 28, mentre scorrevo con occhi ormai avvezzi a moderne, fulminanti policromie le foto della mia promettente pubblicazione, emerse dal bianco e nero una chiesetta (così mi appariva nella fumigante illustrazione) bucolicamente interessante. 

Era la chiesa di S. Anna a Vasia. Deciso: si va (anche perché il nome di questo paese mi riporta alla memoria un giro fatto con mio padre sul suo vecchio Guzzi brontolone, non so in quale remotissimo periodo della mia ormai quasi remota infanzia, passando su strade strappate, secondo la mia infantile percezione, dai fianchi di burroni decisamente precipiti che, ora che avevo 24 anni, non potevano non rappresentare l'essenza più profonda della natura montana che tanto mi attrae e commuove). 

Partendo da Dolcedo, la strada più rapida per arrivare a Vasia è quella che passa da Prelà (e molini annessi) inerpicandosi, per la verità piuttosto agevolmente, tra metallici uliveti con alberi che al posto delle foglie mi son sempre parsi, fin da bambina, muniti di lamette (non mi sono mai piaciuti, io ho sempre adorato l'ubertoso e archetipico verde del Trentino; fino a quando non ho imparato a conoscere l'enorme valore umano della coltura dell'ulivo, tanto che oggigiorno quasi mi commuovo pensando alla specificità della Taggiasca: ho iniziato ad apprezzare il grigiore di queste piante quando ne ho capito l'enorme importanza all'interno della storia della nostra - ma non solo - cultura). 

Tra una drupa e l'altra, disquisendo, si giunge in quota e ci si avvia con una marcia sostenuta verso il bianco e svettante campanile di Vasia… almeno, questo era quel che pensavamo, ignari, io e il povero M'Baye, messo a dura prova nella guida dalla mia presenza al suo fianco, perché ho l'incorreggibile tendenza, ogni volta che vedo qualcosa che attira la mia curiosità, sia pianta, uccellino, sasso o nuvoletta (per non parlare dei castelli!) di segnalargliela gesticolandogli sotto al naso e, manco a dirlo, davanti agli occhi… 

La strada, serpeggiando in una leggera discesa, stava per piegarsi in modo tale da sembrare realmente una cicciosa spira d'anaconda (ricordiamoci che questa era un'avventura!), quando, improvvisamente, si interrompeva o, meglio, si cominciava a infangare e a riempire di "strani" ed allarmanti segnali. 

Ma M'Baye, che dinnanzi ad ostacoli non vede nulla di meglio che proseguire, avanzandogli fin sotto, forse per vedere bene se sono proprio tali o, forse, per mero spirito di sfida, si spingeva ottusamente avanti…e io al suo fianco, finché non giungemmo in vista di due ometti che, a pochi giorni da un Capodanno che veniva spacciato per irripetibile (casomai ce ne sia mai stato alcuno che non lo fosse), stavano cercando, uno a terra con un badile, l'altro sopra una ridicola e microba ruspa, di attaccare il grande gigante di terra franata che se ne stava lì, ormai inerte, evidentemente con l'unica volontà di impedirci di giungere a destinazione. 

Ma, siccome una frana vista di fronte è un muro di terra, ma vista dall'alto è una montagnetta da scalare in allegria, dopo una rapida retromarcia per posteggiare in luogo più sicuro il nostro destriero, ci siamo incamminati passando in mezzo ai due ometti che, imperterriti, continuavano il loro lavoro; direzione: Vasia! Sembrava, almeno nell'approccio, proprio medioevo: "si va a piedi, ma si va! In fondo le gambe sono nate come mezzo di locomozione, ben prima della macchina…mi pare!" teorizzavo io, mentre con la macchina - fotografica - immortalavo M'Baye in mezzo a tonnellate di roccia e terra. Spensierati e, ancora, ingenui, trotterellavamo verso Vasia, pensando che le direzioni (e le distanze) fossero identiche a piedi come in macchina. 

Ebbene, ci sbagliavamo di grosso: dopo un gruppetto di case sparute che pensammo potesse essere la "periferia", la strada-serpentona tornava solitaria a bearsi del bel sole dicembrino, lasciandosi grattare la schiena dalle zampette degli uccellini. "Tanto piacere - pensavo - ma Vasia, dov'è?" 

Evidentemente, più avanti; tanto che, proseguendo, arriviamo in vista di un cartello stradale: PIANAVIA, c'è scritto. "Originale: - penso io - che la strada sia pianeggiante, mi sembra evidente. Non c'era null'altro di notevole da segnalare?" 

Effettivamente, sembrava proprio di no, a prima vista: la strada proseguiva, nera e lucida bisciona, passando proprio davanti alla chiesa, sopra, anzi, intorno al suo sagrato, tanto che sembrava se lo stesse digerendo, dopo averlo fagocitato chissà quanti anni fa, ed era fiancheggiata da una panchina su cui un'anziana signora chiacchierava con un anziano signore, presumibilmente lasciandosi sfiorare dalle rade macchine di passaggio. 

Fotografo M'Baye seduto sul guard-rail (no comment sullo sfondo, ma si sa, l'amour…) e poi decido di visitare la chiesa. Mi blocco sul portone giallo senape: è chiuso, ma ciò mi da modo di constatare che la serratura è proprio carina, di ferro lavorato, ancora col chiavistello…mi giro, sconsolata, verso M'Baye: siamo dinnanzi all'ennesimo bene artistico chiuso, inagibile e incustodito…scendo le poche scalette che mi ridepositano sul dorso della strada, chiedendomi per l'ennesima volta quanto possa distare ancora Vasia con la sua chiesetta, quando sento una voce che cerca garbatamente di attirare la mia attenzione. 

Era la signora che mi chiedeva se volevo visitare la chiesa. 

Titubante e spiazzata rispondo di sì, temendo che si stesse accingendo a snocciolarmi chissà quali strambi e burocraticamente determinati orari di visita. E invece, no: semplicemente, estrae dalla sua tasca la chiave per aprirla, appositamente per noi. 

Mi sento veramente fortunata e, oltre all'odore d'avventura, comincio a sentire profumo di contatto umano, che il suo più fragrante condimento. Il portoncino giallo celava dietro di sé un interno integro e ben poco manomesso: pareti verde pistacchio (mi piace definirlo così, ma non so se sia corretto) con lesene gialle; girali di stucchi e lampadari iridescenti, il tipico pavimento in quadri di ardesia e marmo su cui stavano in fila, una di fianco all'altra, le composte panche che, a prima vista, a me che sono sì appassionata, ma anche inesperta, sembravano di poco conto, ma che successivamente ho scoperto essere originali, perlomeno del Settecento. 

Oltre a tutto ciò, alla destra dell'altare, attirava l'attenzione un grazioso presepe…quella che mi era sembrata a prima vista una chiesa lasciata al suo destino si stava rivelando uno scrigno di sorprese e di inattesa vitalità: oltre ad un interno curato, c'erano anche i segni della partecipazione delle persone alla vita di quello che, comunque, resta un luogo di culto: il presepe, realizzato proprio dalla figlia della signora, con suo marito. 

Non voglio dilungarmi in descrizioni, anche perché una delle ragioni per cui sto raccontando questa esperienza che ho vissuto con il mio ragazzo è la speranza di invogliarvi a fare una visita a questo paesino che il destino mi ha letteralmente messo tra i piedi, e a tal fine ritengo che una sana dose di curiositas sia indispensabile… 

Di una persona, però, voglio ancora parlarvi: della signora Eliana, che così gentilmente ci ha accolti in quello che forse era il sagrato della chiesa, che ora è una strada, ma che per lei (mi piace pensarlo così) è il giardino della sua casetta dove tanti anni fa, mi ha raccontato, suo marito la portò dicendole che da lì si vedeva il mare: ed era vero, come ho potuto constatare affacciandomi dalla finestrina presso la quale siede; solo che, ancor oggi, il mare brilla o si increspa laggiù, in fondo alla valle, oltre paesi, uliveti, terrazze, spiagge, a chissà quanti chilometri da questo paesino piccolo piccolo ma che deve essere scoperto con la calma che solo in posti così torna nel cuore e che permette di notare colori, aromi, silenzi di luoghi nel mondo che ti sembrano irrimediabilmente "altri", che in realtà sono fisicamente poco lontani e che, quando li conosci, ti sanno sorprendere, anche se sai che, in fondo, fanno parte di te… 

Concludo, seppur brevemente, per non lasciarvi con la curiosità di sapere come è andata a finire: dopo aver chiacchierato con la signora Eliana, io e M'Baye abbiamo proseguito fino a Vasia, dove abbiamo scoperto che l'ormai famigerata chiesa di S. Anna si trova pochi chilometri fuori dal paese: ci siamo guardati negli occhi e, dato che ormai si era in ballo…abbiamo attraversato orti e uliveti, fino ad arrivare alla tanto sospirata chiesa, questa sì bene artistico inagibile e incustodito, suggestivamente bella, da visitare, tanto più che mi sono informata ed ho scoperto che viene aperta una sola volta all'anno, per celebrarvi la Messa, nel giorno dedicato… 

Al ritorno, passando nuovamente da Pianavia, ci siamo fermati ancora a chiacchierare con la signora Eliana: da quel giorno è nata una simpatica amicizia, e altre volte sono tornata nel "mio paesino", per partecipare alla festa della Nunzià, ma anche solo per portare un saluto alla signora, alla chiesa, ai nostri ricordi… 

Questa è la storia un po' romanzata ma totalmente veritiera del nostro incontro con Pianavia. Il tutto si è svolto in poche, allegre, ore. Ma io ho voluto raccontarvela così, in un modo che spero sia stato per voi gustoso come lo è stato per me, sperando che anche altri sappiano cogliere la bellezza di questi posti, su cui non penseresti di poter investire molto, ma che sono il risultato di vite vissute al loro interno da persone e che, per ciò stesso, racchiudono inesauribili potenzialità umane che basta solo avere la voglia, il tempo (e l'occasione) per cogliere ed assaporare.

Ringrazio veramente chiunque abbia avuto il coraggio di addentrarsi nella lettura di questa mio sproloquio che, in ogni caso, oltre ad avermi divertita (e spero che possa essere così anche per altri) è stato anche un'occasione per ricordare e (ahi! ahi!) per progettare…altre avventure! Spero che ci si possa, prima o poi, incontrare…ovviamente a Pianavia!!!

CIAO A TUTTI! 

Elena Serrati (Genova, notte dell' 11 Aprile 2002)

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  Ultimo Aggiornamento: 03 maggio 2002