Francesco Mastroti

nacque a Papasidero il 19 Febbraio 1777  da un’agiata famiglia locale ed ebbe l’opportunità di essere istruito nelle lettere classiche dallo zio Carlo Paolino, di cui ci siamo già occupati in precedenza.

Dopo la sua ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1803, si trasferì a Napoli dove assunse un ruolo chiave nelle vicende dell’istruzione popolare.

Per mettere meglio in evidenza il suo  ruolo, è opportuno ripercorrere a grandi linee gli sviluppi storici che hanno condotto al concetto di “istruzione popolare pubblica e gratuita”.  

La scuola pubblica moderna affonda le sue radici nella Riforma Protestante, nella Controriforma e nella Rivoluzione Francese.

Lutero, ponendo l’Evangelo come pura fonte del Cristianesimo e attribuendo alla Coscienza il diritto della sua interpretazione autentica, doveva per forza porsi il problema della diffusione tra i suoi seguaci dei mezzi necessari per leggere e interpretare la parola divina.

Egli era contro la scuola aristocratica medioevale e la fredda analisi formale della Scolastica, fu a favore di un insegnamento non formale delle lingue classiche, quanto bastava per capire e interpretare i testi sacri, e favorì l’insegnamento delle scienze, della musica e della ginnastica. Alla Riforma Protestante la Chiesa rispose col Concilio di Trento, la Congregazione dell’Indice e il Santo Ufficio a cui furono affidati la difesa del contenuto dottrinale e dogmatico del messaggio cristiano.

Nel 1534 S. Ignazio di Loyola fondò la Congregazione di Gesù con l’intento specifico di difendere i valori cristiani.

L’azione educativa dei Gesuiti si espletò nei Collegi ed ebbe per fondamenti un moderato ascetismo, la cura per l’educazione fisica, per il teatro, per la teologia, per la morale.

Il loro metodo didattico si basò sull’emulazione perseguita nelle gare accademiche. Privilegiarono lo studio del latino rispetto al greco e non tennero in gran conto lo studio delle scienze e della storia.

La forma e l’arte della parola erano privilegiate rispetto ai contenuti e al libero giudizio.

Essi operarono prevalentemente nell’ambito della classe aristocratica e trascurarono l’educazione del popolo a cui si dedicarono, non senza contrasti, altri Ordini religiosi: le Piccole Scuole dei solitari di Porto Reale, la Congregazione degli Oratori, l’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, gli Oblati, gli Scolopi che dedicarono le loro cure agli indigenti e portarono avanti un’educazione educativa che, al contrario dei Gesuiti, privilegiava i contenuti e non disdegnava l’uso della lingua materna.

La Rivoluzione Francese del 1789 ebbe una forte influenza sull’evoluzione dei modelli educativi non più legati alla formazione religiosa, ma finalizzati alla diffusione delle nuove idee di uguaglianza, libertà e fraternità.

Una riforma organica dell’istruzione nella Francia rivoluzionaria fu elaborata nel 1792, dopo la caduta di Robespierre, da A. Caritat, marchese di Contorcet, un progetto molto avanzato in cui si parlava di libertà di cultura, di ricerca, di insegnamento che, però, si scontrava con una realtà instabile e in rapida evoluzione.

Alla fine della Rivoluzione la situazione pregressa di fatto non mutò, ma, in seguito, si dovette fare i conti colle nuove idee che avevano fatto intravedere un’istruzione pubblica, laica, popolare e gratuita.

In realtà idee analoghe nel Regno di Napoli possono essere datate in un periodo anteriore alla Rivoluzione Francese.

Uno sbocco anticuriale e laico dell’istruzione fu ipotizzato da Pietro Giannone  e teorizzato da Antonio Genovese.

L’anticlericalismo di Bernardo Tanucci condusse all’emanazione della prammatica del 20-11-1767 con la quale vennero espulsi i Gesuiti dal Regno di Napoli.

Si procedette a un riordino degli studi affidato a Giacinto Dragonetti che chiese la  collaborazione di Antonio Genovesi.

Si affermò per la prima volta il principio del diritto-dovere dello Stato a provvedere all’istruzione pubblica.

Lo Stato, però, non era ancora in grado di assumere un ruolo guida e ciò portò all’affermazione delle scuole private, come quella di Carlo Paolino, e alla creazione di scuole professionali ispirate al pensiero del Filangieri di mettere al centro il lavoro al posto del vuoto esercizio intellettualistico delle scuole gesuitiche.

Si proposero scelte rivoluzionarie come quelle di mettere l’italiano al posto del latino e l’economia al posto della metafisica.

Per rimanere nell’ambito del Regno di Napoli, oggetto principale della nostra ricerca, bisogna ricordare che nel 1784 Ferdinando IV inviava i padri celestini Ludovico Vuoli e Alessandro Gentile a Rovereto per apprendere il metodo normale utilizzato nelle scuole primarie di Germania ed Austria per poterlo utilizzare anche nel Regno di Napoli.

Il metodo normale, a differenza di quello individuale allora in uso, presentava le seguenti caratteristiche certamente più adatte per una scuola primaria che aveva l’ambizione di diventare popolare: Era uniforme , cioè identico in tutte le scuole, e generale, nel senso che permetteva la frequenza a tutti, a prescindere dal ceto di appartenenza.

Le scuole normali furono introdotte a Napoli con l’editto del 17 Aprile 1789:

Volendo il Re che di mano in mano si stabiliscano le scuole normali per la pubblica, generale educazione… e che si impieghino non meno i regolari di qualunque ordine…, che i monasteri e i conservatori di donne per l’educazione ed istruzione della gioventù dell’uno e dell’altro sesso…

Nonostante le sanzioni previste dall’editto, la diffusione delle scuole normali incontrò difficoltà di varia natura: la carenza di insegnanti, l’ostruzionismo dei religiosi obbligati all’insegnamento, cause logistiche, economiche e anche politiche, specie a seguito della rivoluzione Francese le cui idee ebbero l’effetto di affievolire, se non addirittura demolire, le convinzioni del Sovrano circa la diffusione capillare dell’istruzione.

La massima diffusione delle scuole normali si raggiunse nell’anno scolastico 1792-93 con 115 scuole, 80 direttori e 142 maestri.

Questi numeri andarono diminuendo fino all’avvento della Repubblica Partenopea del 1799 la cui effimera esistenza non permise innovazioni di rilievo nell’istruzione pubblica.

Il rigore che seguì al rientro del Re Borbone non favorì certamente lo sviluppo scolastico che ridiventò oggetto delle cure del governo solo dopo il 6 Agosto 1804 con il ritorno dei Gesuiti  e la creazione di una Commissione che aveva il compito di studiare le riforme da apportare alla pubblica istruzione.

La discesa delle armi francesi azzerò questi tentativi e per il Regno di Napoli ebbe inizio un decennio molto favorevole allo sviluppo e alla riorganizzazione della scuola.

Si partiva da una situazione tragica per l’istruzione: solo diciassette scuole normali in tutto il Regno, i collegi riservati ai nobili e alle classi abbienti, si privilegiava lo studio della lingua latina e si trascurava quella italiana, gli studi Universitari carenti.

Il nuovo re Giuseppe Bonaparte, il “re filosofo”, come  lo appellò il Giornale Enciclopedico di Napoli, esordì affidando le cure della Pubblica Istruzione al Ministero degli Interni, sfrattando il 3 luglio 1806 i Gesuiti dalle scuole del Regno ed emanando il 15 agosto 1806 un decreto col quale:

tutte le città, terre, ville e altri luoghi abitati del regno sono obbligati a mantenere un maestro… e una maestra… Nei paesi con popolazione inferiore ai tremila abitanti, i maestri potevano usare il metodo antico, negli altri dovevano adoperare il metodo normale…” .

 

Non mancarono difficoltà di varia natura: la carenza di maestri sopperita dal ricorso ai parroci e ai regolari di alcuni conventi, l’opposizione dei sindaci e dei decurionati, difficoltà logistiche, economiche e sociali…

Tutto ciò non impedì che all’inizio del 1808 ben millecinquecento Comuni avevano eseguito il decreto. 

Al fine di migliorare l’istruzione, nel giugno 1807 fu istituita una Commissione che aveva il compito di vigilare sui libri di testo.

Ogni provincia fu divisa in dieci distretti e ogni distretto aveva un direttore scolastico che aveva il compito di vigilare sui maestri, sui libri e sulla disciplina delle scuole.

Il 30 Maggio 1807 fu approvato il progetto di riordino delle scuole medie in base al quale Napoli  ebbe assegnate due collegi reali e uno in ogni altra provincia. Una casa di educazione per le donzelle in ogni provincia stabilì le legge 11 agosto 1807.

Il 6 settembre 1808 entrava in Napoli Gioacchino Murat in sostituzione di Giuseppe Bonaparte che andò a cingere la corona di Spagna.

Il nuovo re trovò già florida l’istruzione primaria, avviata quella media e universitaria e un’amministrazione scolastica che rimarrà nella sua impostazione generale fino all’avvento dell’unità d’Italia. Il suo nuovo Ministro dell’Interno, Giuseppe Capecelatro, provvide, con decreto del 20 dicembre 1808, a creare una Direzione Generale col compito di vigilare sulle scuole e sull’insegnamento, sulla nomina dei maestri, sulle riforme da apportare per migliorare la pubblica istruzione.

Il 27 gennaio 1809 venne istituita una Commissione composta da Capecelatro, Bernardo della Torre, Melchiorre Delfico, Vincenzo Cuoco e Tito Manzi che ebbe il compito di presentare un progetto di Riforma della Scuola nel Regno di Napoli.

Il Rapporto, presentato il 10 Ottobre successivo, non passò per l’opposizione del nuovo Ministro dell’Interno Giuseppe Zurlo che, incaricato di redigere un nuovo piano, dopo alcune modifiche, fu approvato e promulgato il 29 novembre 1811sotto il titolo di: “ Decreto organico per l’Istruzione Pubblica”

Ma la vita della scuola non raggiunse quella forza e quell’armonia da più parti auspicata neppure sul finire del decennio francese. Le lacune si avvertivano specie nelle scuole primarie affidate, in alcuni casi, a maestri inabili e ignoranti.

Il lascito del decennio resta, comunque imponente: tremila scuole primarie frequentata da oltre centomila alunni, secondo il Rapporto a S. E. il Ministro dell’Interno redatto da Matteo Galdi nel 1814 che, successivamente corresse a ottantamila. Il Principe di Cardito, nel Breve cenno sullo stato attuale della P.I. Collezione delle Leggi, Vol 1, p. 551) afferma di aver trovato nel 1815, 1932 scuole primarie maschili e 405 femminili, frequentate da 48.918 alunni. Questa discordanza sulle cifre non attenua il grande merito del decennio di aver dato alla scuola del Regno una struttura e un’organizzazione di prim’ordine.   

A giudizio di Girolamo Nisio: “ Il decennio fu il tempo di maggiore studio governativo, sì nel riordinare la parte amministrativa dell’Istruzione, come nel riordinare gli studi languenti                       e nel destare la vita morale delle  scuole. 

Alfredo Zazo contesta, però, al Nisio l’affermazione che la pubblica istruzione cominciò a far parte delle cure del Governo solo dal 1806, disconoscendo,così, che “Ferdinando IV creò l’istruzione primaria e media, la disciplinò e le dette metodi e norme” e aggiunge che: “il decadimento profondo delle scuole sul finire del secolo XVIII fu conseguenza delle vicende politiche che turbarono la Corte e fecero retrocedere dalle iniziali riforme l’animo del Re” . Afferma, invece, che “risponde più a verità l’altra accusa fatta al governo borbonico in questo periodo, cioè quella di avere allontanato il laicato dall’insegnamento.”

Ma precisa che “occorre guardare i tempi, a una certa tradizione, al fattore economico e alle condizioni non floride della cultura generale. Le stesse ragioni costrinsero infatti il governo francese del decennio, a valersi largamente dell’opera dei parroci e dei religiosi per l’insegnamento elementare”.

Dopo il Congresso di Vienna, la Restaurazione che seguì, riportò sul trono di Napoli il Re Borbone che assunse il nome di Ferdinando I, re delle Due Sicilie.

Secondo il giudizio di Alfredo Zazo, Ferdinando I non mutò nulla di sostanziale alla grande opera lasciata dal decennio nel campo dell’istruzione pubblica, anzi apportò dei miglioramenti, almeno fino al 1821.

Il 2 Agosto 1815 la Direzione Generale di P. I. fu sostituita con la Commissione di P. I. presieduta da Ludovico Loffredo, principe di Cardito , il 14 Febbraio 1816 venne istituito l’Ispettorato Generale delle scuole in sostituzione dei Giurì che erano stati giudicati, almeno in parte, inadeguati ai compiti loro affidati  e il 1 Aprile 1816 fu emanato il Regolamento per le scuole primarie di Napoli e del Regno.

L’attiva partecipazione di Francesco Mastroti alle vicende scolastiche del Regno inizia da qui.

I meriti scolastici acquisiti nel periodo 1803 – 1815 gli procurarono la nomina nel 1816 a Ispettore delle scuole primarie.

Intanto si venne a conoscenza del metodo Lancasteriano proposto dall’Abate Scoppa che, avendolo appreso a Parigi, lo presentò al ministro Tommasi, mettendo in evidenza come il nuovo metodo si distingueva dal precedente “per la classificazione, per il mutuo insegnamento, per la simultaneità d’istruzione e di tempo, per la semplicità e la facilità, per la sensibile economia delle spese ed infine per il suo infallibile successo”.

Dopo il giudizio positivo di Domenico Gigli e di Matteo Galdi , entrambi membri della Commissione della P. I., fu dato parere favorevole alla sperimentazione di questo nuovo metodo d’insegnamento nelle scuole primarie che , prima in Italia, si tenne nel Reale Albergo dei Poveri ed ebbe inizio il 29 Settembre 1817.

Lasciamo alle parole di Bartolomeo Cortese il racconto di quanto avvenne: “Nel 1817 il Principe di Cardito, Presidente della istruzione pubblica con lettera de’26 Marzo incaricava un tal Giacomo Cari, il metodo di Bell e Lancaster traducesse. Il Cari munitosi di un trattato del Conte Alessandro de La Borde contenente una combinazione  di quanto detto avevano Bell e Lancaster, adempiva alla ricevuta commissione.  Siccome poi molta parte  della mutua istruzione si comprende nel modo pratico di comunicarla, il Governo richiamava da Parigi il siciliano ab. Antonio Scoppa, il quale avendo avuto campo in quella città di osservare ed analizzare le nuove dottrine, era di queste cose molto intendente, ed alla stesso dava mandato: di fondare una scuola nel Regio Albergo de’Poveri. Fondavasi; ma non passavano molti giorni che lo Scoppa moriva; succedendogli nel disimpegno della carica l’amicissimo mio ab. Francesco Mastroti.   Era già stato il Mastroti dalla Giunta di pubblica istruzione destinato qual coadiutore a quanto il direttore veniva facendo; quindi supposto che in qualche nozione almen fosse venuto standogli dapresso, in quella strettezza di eventi, persona più di lui adatta a surrogarlo non si vide.

Il decreto ufficiale di nomina del Mastroti a direttore del metodo di mutuo insegnamento fu emanato in data 25 luglio 1818.

A questo nuovo incarico il Mastroti si dedicò con sommo zelo, tanto che la fama della sua competenza ben presto si diffuse in altre regioni d’Italia.

Già il 18 Febbraio 1818 il Presidente della Commissione di P.I. aveva proposto l’apertura di 24 scuole monitorali in Napoli.

Il Re ne concesse una e il 20 Novembre 1818 fu aperta la scuola lancasteriana di S. Brigida, sempre sotto la direzione del Mastroti che, per tale incombenza, con decreto del 21 luglio 1818, ricevette lo stipendio di 30 ducati al mese e, per i risultati raggiunti, ebbe non pochi attestati di stima anche da personalità straniere.

L’organizzazione scolastica della scuola di mutuo insegnamento di S. Brigida ci è descritto dallo stesso Mastroti in appendice al Manuale del Sistema di Bell e Lancaster da lui tradotto dall’inglese e pubblicato nel 1819 con numerose note del traduttore che descrivono le modifiche apportate per adattarlo alla scuola di S. Brigida che divenne la scuola modello per il mutuo insegnamento maschile unita a quella di Montecalvario, vico Lungo S. M. Ognibene, diretta da Teresa La Coste che divenne scuola modello per il mutuo insegnamento femminile.

Nel 1818 lo “Spettatore Italiano”, edito a Milano, pubblicava un’appendice al “Rapporto sull’Istruzione” di Matteo Galdi scritta dal Mastroti in difesa della scuola di mutuo insegnamento nei confronti del metodo normale. 

L’interesse per il nuovo metodo si andò diffondendo sempre più.

E’ del 4 Maggio 1819 la decisione Consiglio di Stato che dispose che “altre otto o dieci scuole sorgessero in Napoli in quei quartieri che la Commissione credeva più a proposito.” 

Il  21 Dicembre 1819 fu emanato un decreto che stabiliva la graduale sostituzione delle scuole lancasteriane a quelle normali.

Intanto il Mastroti si adoperò per estendere il metodo anche nella scuola media per l’insegnamento della lingua italiana e latina, avallato in questa sperimentazione dal Principe di Cardito.

Infatti il 15 Febbraio 1820 il Presidente della Commissione di Pubblica Istruzione autorizzò il Rettore del Regio Liceo del Salvatore, Canonico Francesco Rossi a trovare il locale adatto per la nuova sperimentazione e, il giorno successivo, a prelevare i fondi necessari da quelli assegnti al Liceo e consegnarli al Direttore del metodo, abate Francesco Mastroti. In pari data il Principe di Cardito così scriveva al Mastroti: 

  Sig. Direttore, l’esercizio ch’ella comincia oggi nel Liceo del Salvatore di adottare il metodo di          Lancaster alle lingue, cominciando dall’italiana, è del tutto nuovo in Italia, ed abbiamo luogo di lusingarci, che, se riesce, faremo una rivoluzione contro il pedantismo che trattiene la gioventù degli anni del detto insegnamento, e spesso con poco profitto. Quello che desidero da Lei, è che si tenga un giornale di detto insegnamento; che il maestro tutte le mattine dopo la scuola, scriva tutto ciò, che ha rapporto al giornaliero esercizio ed Ella avrà la compiacenza di cifrarlo. Questo giornale servirà per far noto a tutta l’Italia questo andamento e se il risultato sarà felice, ci sarà grata delle sue cure”.

Il 28 Febbraio, giorno d’inizio della sperimentazione, il Principe di Cardito ne dava comunicazione al Ministro degli Interni con la lettera seguente:

Eccellenza, debbo con infinita soddisfazione farle noto, che quello che io annunziai nel mio rapporto a S. M. che noi saressimo stati i primi in Italia di adottare il metodo di Lancaster alle lingue italiana e latina e che S. M. si degnò non solo di accogliere, ma di permettere, che fosse al pubblico noto; questa mattina nel R. Liceo del Salvatore ci si è dato principio. Sessanta giovani hanno incominciato questo interessante esercizio per la lingua italiana ed il Direttore del Metodo, nonché il rettore del Liceo ( can. Francesco Rossi), sono stati compiaciuti nel vedere il piacere dei giovani in questo nuovo insegnamento ed ho concepito delle speranze per la riuscita; che se si realizzano, come si sono realizzate in Inghilterra ed in Iscozia, sarà un’epoca fortunata per questo paese”.

Il 26 Luglio 1820, come risulta da una lettera del Rettore al Cardito, la scuola di mutuo insegnamento giunse alla quarta classe “ dalla quale progressione si può rilevare il profitto dei giovanetti”. Il Rettore però ha dubbio che per la debolezza dei monitori, il risultato finale non corrisponda alle speranze del Presidente e della Commissione.

La  fiducia di trovare gli opportuni correttivi alle perplessità evidenziate da Francesco Rossi non venne meno al Mastroti, specie dopo i lusinghieri apprezzamenti  di  Joseph Hamel e di Stephen  Grellet riportati da Bartolomeo Cortese nel 28° volume degli Annali Civili del Regno delle Due Sicilie nel suo articolo dal titolo: “ Dell’Origine e Progresso del Mutuo Insegnamento”.

Egli riferisce di una lettera di Hamel al Principe di Cardito in cui, tra l’altro, si afferma: ” essere la scuola di modello in Napoli esistente ordinata come le migliori scuole dell’Inghilterra e della Francia” e soggiunge: “non si può abbastanza lodare  lo zelo dell’abile direttore di quello stabilimento nazionale Sig. Mastroti per portarlo a tal grado di perfezione”.

La lettera porta la data del 26 Maggio 1820 ed è pubblicata su “ Il giornale delle Due Sicilie”diretto da Emanuele Taddei in data 28 giugno dello stesso anno.

Il Cortese continua: “Di queste patrie scuole pur fece le meraviglie il Signor Grellet, il quale venuto dalla Nuova York a visitarle, tanto se ne partì compiaciuto, che in Londra portatosi, nel comitato di mutuo insegnamento delle nostre cose con tanto fervore parlò, che quegli uomini sommi che lo componevano vollero il Sign. Mastroti alla loro società appartenesse, e perché poi sapesse che qual membro del Consiglio eletto lo avevano, lettera gliene mandarono”.

La comunicazione della nomina del Mastroti a membro della Commissione di mutuo insegnamento di Londra è datata: 6 Novembre 1820.

Per quanto concerne la sperimentazione avviata presso il Liceo del Salvatore, così si esprime Hamel: “Una nuova e felice applicazione del metodo è stata fatta nel Liceo del Salvatore, per insegnare i principi della grammatica Italiana, applicazione che merita di essere imitata negli altri paesi”.

Il fervore del Mastroti per la diffusione del metodo di mutuo insegnamento e, in generale, per l’elevamento culturale delle masse popolari, trova un’ulteriore conferma nella Petizione inviata al Parlamento Nazionale in data 23 Gennaio 1821 in cui propone una vera e propria riforma scolastica volta ad affrancare il popolo dal retaggio dell’ignoranza e del degrado morale e civile servendosi delle scuole di mutuo insegnamento.

Egli inizia la sua petizione con un discorso statistico per quantificare il numero di scuole occorrenti:

·         Per Napoli 3 scuole modello (S. Brigida, S. Caterina per le scuole maschili e Capodimonte, diretta da Teresa La Coste per quelle femminili) e  55 scuole dedotte come segue: a) Posti 60 scolari per 1000 abitanti.

                                 b) Al 1816 Napoli contava 333940 abitanti e, quindi 16697 allievi;

                                 c) Ipotizzati 300 allievi per scuola, il numero discende di conseguenza

  

·         Per le Province, i capoluoghi di distretto e di circondario: due scuole modello e tante altre dedotte collo stesso criterio utilizzato per Napoli.

·         La Direzione Generale di Napoli fornisce alle Province i materiali necessari per il funzionamento delle scuole: (lavagne, tabelle, ruote alfabetiche, ecc.).

·         Orario delle lezioni: 3 ore al mattino 2 al pomeriggio 1 che i maestri adoperano per addestrare i monitori.

·         Controllo: Le scuole di Napoli sono visitate dal Direttore e dalla Commissione di quartiere; quelle delle province dagli Ispettori, dal Sindaco e dai Decurioni; I sottodirettori delle Province fanno rapporto trimestrale al Direttore di Napoli circa il numero degli alunni frequentanti e il loro progresso nell’insegnamento

·         Trattamento dei maestri: Ai maestri si dia un degno compenso alle loro fatiche. Quello attuale non è proporzionato né al loro travaglio, né ai loro bisogni. Fino a che non si metta un certo equilibrio tra quello che si pretende dai maestri con quello che loro si dà, si vedrà, ad onta di qualunque vigilanza degli ispettori, trascurata l’istruzione. L’emulazione che è uno dei pregi del metodo di mutuo insegnamento, deve estendersi anche all’operato dei maestri che dovranno essere premiati se saranno più produttivi.

Seguono delle proposte per consolidare l’istruzione di base nel Regno.

·         La prima proposta riguarda lo studio dell’Italiano: La perfezione della propria lingua è il vero segno della cultura di ogni nazione. Il modo di pensare deriva dal modo di parlare. La proposta è: una scuola gratuita di lingua italiana in ogni quartiere impartita col metodo di mutuo insegnamento.

·         Seconda proposta: Istruzione elementare nelle carceri. Servi della pena, esseri senza risorse, disgraziati che rientrano nella società più infelici e non corretti. Diasi loro una conveniente istruzione e vi è da sperare che i detenuti si restituiscano alla società educati. Proposta: una scuola di mutuo insegnamento nelle carceri della Vicaria e in tutte le prigioni in cui i detenuti fossero più di cento.

·         Terza proposta: Istruzione elementare nell’esercito. Il soldata deve avere parte più degli altri al beneficio dell’istruzione. Se il soldato non è analfabeta può sperare di far carriera. Proposta: una scuola di mutuo insegnamento per ogni reggimento che al più potrebbe costare 200 ducati come spese di primo impianto giacchè il maestro potrebbe essere il cappellano del reggimento.

Alleghiamo il testo integrale della Petizione del Mastroti.

 

Al temporaneo successo dei moti Carbonari e alla concessione della Costituzione, seguì la successiva reazione che segnò una significativa battuta di arresto alle attività riformatrici, specie in campo scolastico, da parte del governo Borbonico. Fu creata una Giunta di “scrutinio” ( decreto 12 Aprile 1821) col compito di effettuare una generale epurazione.

Seguirono una serie di decreti che palesano il radicale cambiamento di rotta delle politica scolastica fino ad allora seguita:

·         il decreto 2 Giugno 1821 sulla censura e sullo spaccio di libri;

·         quello dell’11 Giugno sulla sospensione della professione dei laureati nel periodo 7 Luglio 1820 – 23 Marzo 1821;

·         quello del 15 Giugno sull’obbligo imposto agli studenti della capitale di frequentare le congregazioni di spirito, pena l’esclusione dalle sedute di laurea;

·         quello del 13 Novembre sull’obbligo alle scuole  private  di fare lezione a porte aperte per permettere l’ispezione della polizia in qualsiasi momento della giornata.

In questo clima di diffidenza si procedette all’epurazione di intere scuole i cui docenti erano sfiorati dal minimo sospetto di aver sostenuto i rivoltosi.

Una tra le tante vittime illustri di questo clima di repressione fu Matteo Galdi a cui venne addirittura sospesa la pensione perché sospettato di essere stato un simpatizzante dei Carbonari, ad onta degli innumerevoli meriti acquisiti in tanti anni di impegno a favore dell’istruzione pubblica.

Anche  il fervore per l’organizzazione di scuole di mutuo insegnamento si affievolisce, anzi si creò una forte opposizione, specie ad opera dell’arcivescovo di Napoli Luigi Ruffo che giudicò le scuole lancasteriane contrarie ai principi di autorità e di subordinazione e ne propone addirittura la chiusura.

Non mancano critiche che sottolineano il carattere meccanico del metodo atto ad indurre un’istruzione superficiale, effimera e incompiuta.

Alcuni mettono in evidenza che il mutuo insegnamento induce sentimenti  di invidia e di emulazione pericolosi, di rivalità insanabili, altri criticano il sovraffollamento delle scuole lancasteriane che, se utile dal punto di vista economico, non permette l’apprendimento e la crescita morale individuale.

Il Re non se la sentì di distruggere un’opera che, con tanto entusiasmo, era stata avallata e, con decreto del 28 novembre 1821, mantenne aperta la scuola lancasteriana di S. Caterina a Chiaia.   Le mutate condizioni politiche e le serrate critiche al metodo didattico da lui sostenuto non distolsero il Mastroti dal proposito di rendersi ancora utile all’istruzione pubblica.

A sostegno della sua prima proposta fatta al Parlamento e, cioè, quella d’incrementare lo studio dell’Italiano, pubblicò nel 1821 il testo di Grammatica Italiana che doveva incontrare un generale consenso che si propagò anche al di fuori del Regno di Napoli, se di esso furono stampate ben sei edizioni, l’ultima delle quali, contenente un cenno biografico dell’autore, fu pubblicata postuma nel 1849.

Con reale rescritto del 7 Agosto 1821 la Grammatica del Mastroti fu dichiarata elementare per i licei e i collegi del Regno.

A completare la sua attività editoriale, il Mastroti pubblicò nel 1825 il primo e il secondo tomo e nel 1826 il terzo e ultimo tomo delle Antichità Romane di Alexander Adam, opera da lui tradotta dall’originale inglese e corredata di moltissime sue note.

La decadenza della scuola pubblica lo indusse a chiedere l’autorizzazione per aprire in Napoli una scuola privata di Lingua Italiana e Belle Lettere.

Tale autorizzazione venne rilasciata in data 26 Ottobre 1828.

La scuola fu aperta nel Vico II Montecalvario n° 34, fu molto frequentata ed ebbe l’ambizione di competere con quella più nota di Basilio Puoti.

 Anche nel suo paese d’origine, Papasidero, il Mastroti aprì un Istituto privato, frequentato dai rampolli della borghesia locale e dei paesi limitrofi in cui probabilmente sperimentò nuove tecniche d’insegnamento.

Su questa sua attività non ci sono, però, pervenute notizie certe, tranne la presenza di un locale idoneo nella sua casa paterna e l’iscrizione sullo stipite della sua porta d’ingresso.

Anche Carlo Paolino aveva avuto rapporti con la classe intellettuale locale, come lo si deduce dai suoi scritti, ma di entrambi i personaggi mancano testimonianze dirette o indirette.

Gli studiosi di storia locale potrebbero aiutare l’estensore di queste note a colmare con le loro ricerche la lacuna evidenziata.  

La scuola privata acquistò maggior peso a Napoli durante il regno di Francesco I (1825 – 1830), periodo in cui l’istruzione pubblica non migliorò, specie dal punto di vista qualitativo.

Ferdinando II (1830- 1859), pur non mostrando particolare interesse per l’istruzione, permise che si sviluppasse un dibattito serrato sulle riforme e sui metodi d’insegnamento.

Il metodo lancasteriano tonò in auge ed ebbe i suoi difensori quali il De Augustinis, il  De Samuele Cagnazzi, e lo stesso Bartolomeo Cortese.

Ebbe i inizio il dibattito intorno agli asili d’infanzia con Vincenzo D’Ambrosio, Gabriele Pepe e Achille Antonio Rossi.

E’ del 1837 il Progetto di riforma del regolamento di Pubblica Istruzione presentato da Giuseppe Maria Mazzetti, di recente nominato Presidente della Pubblica Istruzione del Regno che, però, come era già successo a Vincenzo Cuoco, fu contrastato dall’allora ministro dell’interno Nicola Santangelo, contrasto che si protrasse fino al 1842  e che terminò col naufragio del tentativo di riforma.

Nel 1840 il Mastroti fu ancora coinvolto dall’Intendente Antonio Sancio e dal Sindaco Duca di Bagnoli che ottennero dal Ministro Santangelo l’autorizzazione ad aprire una scuola di mutuo insegnamento in S. Niccolò. “E’  S. Niccolò, precisa Bartolomeo Cortese, il collegio dei Padri Dottrinari, posto nella strada detta di Caserta, il quale stando appresso la contrada de’ Tribunali è perciò in luogo da molto minuto popolo abitato. Mancando nell’edificio maggior capacità, il 10 Luglio 1840 una sala vi si stabiliva per settantadue ragazzi. Un’altra simile in S. Pietro Martire al 1 Luglio 1841 si aprì, la quale contiene il posto per centosettanta alunni, di poi in S.Maria in Portico presso Chiaja; quindi nel monastero di S. Maria la Nova , e nel monastero di S. Efrem nuovo, luoghi si destinarono in cui la mutua istruzione mostrasi nascente”. Fu questo l’ultimo incarico pubblico del Mastroti che, in questa circostanza, si avvalse della collaborazione del nipote Vincenzo Mastroti (decreto 5 maggio 1841), incarico che mantenne fino al 1844, anno in cui si ritirò a vita privata. La sua lunga attività in favore della pubblica istruzione del Regno fu compensata  con una pensione di 180 ducati annui (Decreto 25 Ottobre 1844). Dopo tre anni e,  precisamente, all’alba del 16 dicembre 1847, l’Abate Francesco Mastroti morì lasciando una cospicua eredità culturale certamente utile alle successive conquiste pedagogiche a favore dell’educazione popolare.

Dopo di lui, in seguito ai  moti del 1848, seguì un ulteriore periodo d’involuzione per l’istruzione pubblica. La scuola fu rimessa nelle mani dei vescovi e degli ordini religiosi dopo la loro estromissione del 1848. Tale situazione di degrado si protrasse fino al 1860  e, cioè, fino all’avvento dello Stato Unitario.

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