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Singapore/Australia - Giava
 

 

Giava, pur essendo soltanto la quinta isola indonesiana in grandezza, è la più importante politicamente e la più densamente popolata.

 

 

Ottanta milioni di abitanti, i due terzi di tutta la popolazione dell'Indonesia

Ce ne rendiamo conto navigando lungo i mille chilometri della sua costa Nord: ovunque troviamo villaggi nascosti tra i palmeti o ai piedi delle alte montagne.

Anche quando sbarco su di una spiaggia deserta mi sento spiato da cento occhi e in pochi minuti sono attorniato da una folla di gente curiosa.

Volti che mostrano chiaramente nei tratti e nel profilo ]e origini dell'antica razza Malay Polinesiana. In genere si professano maomettani, ma frequenti sono i risvolti anímistici nelle fedi e nei riti che la piu evoluta religione importata non è riuscita a soffocare. Ciò nonostante vi sono molti templi buddisti nell'isola: Borubudur pimeggia in celebrità. A Giacarta restiamo quattro giorni. La città è grande, caotica, non bella. Gli spostamenti risultano faticosi e fanno perdere un sacco di tempo.

Ho però modo di scoprire anche zone suggestive e conoscere gli artigiani ambulanti che riempiono le strade, dal barbiere al guaritore miracoloso, dalla megera che predice il futuro ai nugoli di risuolatori di scarpe.

I mercatini all'aperto che invadono chilometri di asfalto, ci attraggono irresistibilmente; odore di gente, di cibi e di droghe, odore d'Oriente.

Il Borubudur Hotel, invece, è il punto d'incontro degli occidentali *bene". Aria condizionata, ristoranti impeccabili, antiquari, boutiques, telefoni e banca.

Passo due giorni a letto al Cosmen con febbre da cavallo e mal di gola causati da tutta l'acqua presa a Sumatra, finché una robusta dose di Bactrim non mi rimette in piedi. E' stato però simpatico questo riposo forzato. perché ho avuto modo di fare lunghe chiacchierate con Ronald, un francese hippy-look che da qualche anno gira a piedi per l'Asia: gechi rosa ci guardano dai muri con occhi attenti. Mi racconta che sulle montagne del Libano è andato avanti sette giorni e sette notti cibandosi solo di licheni e succhiando ghiaccio, in meditazione. Fumava hashishin continuazione. Poi ha avuto una crisi mistica (o di fegato) , ora fuma poco, viaggia molto, non medita più. Mi pare più figlio di papà che yogi, più contaballe che fotografo, ma è simpatico e sufficientemente discreto per essere parigino. In più mi fornisce alcuni ragguagli sui luoghi più belli da visitare a Giava.

 

All'immigrazione, ove, guarito, mi faccio rinnovare per un altro mese il visto di soggiorno, sono odiosi e mi fanno sganciare 9000 rupie: altre 4000 saranno necessarie per il terzo mese, l'ultimo.

Nel porto vecchio una fila inimmaginabile di velieri sostano per il carico e lo scarico delle merci. E un brulichio di persone dal viso da pirata (molti lo sono effettivamente), un va e vieni su barcollanti passerelle di legno con carichi da far paura, un gioco di forza e d'equilibrio. Altri traggono con le mani da una foglia di palma del riso condito con la terribile salsa "Sambal" e se lo portano avidamente alla bocca, altri discutono animosamente. Qui mi succede di cadere in una fogna a causa della rottura di un asse di legno marcio. M'infilo dentro con le gambe producendomi alcuni tagli e abrasioni: vicino a me vedo galleggiare, in mezzo a cose immonde, corpi di topi putrefatti. E' per questo pericolo d'infezioni sempre in agguato che mi porto una piccola farmacia di pronto soccorso nella borsa delle macchine foto.

Una brutta notizia ci arriva via telefono.

Ciccio deve immediatamente ritornare in Italia per sostenere a Roma alcuni esami per fare l'astronauta.

E una cosa a cui tiene enormemente, e ci abbandona nel giro di due ore con la promessa di raggiungerci a Bali tra quindici giorni.

Cercherà di portare giù le due chiglie pneumatiche nuove, colla e gonfleur, già richiesti alla Zodiac tramite Ambasciata belga.

Budi Wiharso e lan Noakes della Johnson, confermando l'efficienza e la serietà della grande casa americana, invadono con il loro entusiasmo i nostri gommoni, provano i motori, ci battono possenti manate sulle spalle.

" E un'impresa formidabile, fabulous, fantastic! Verremmo anche noi, non fossimo very afraid per gli sharks! ". Ci portano candele, pezzi di ricambio, prodotti per la manutenzione e c'invitano a cena. Una organizzazione magnifica.

La sera del 22 luglio gli altri vanno ad un party all'Ambasciata belga, io diserto e me ne resto tranquillo sul Selamat. Faccio qualche lavoretto per la partenza dell'indomani. sono di pessimo umore e non molto ben disposto verso i compagni brussellesi. John e Bernhard mi hanno laconicaniente fatto sapere tramite Francine che vanno a visitare l'interno di Giava. A Bandung c'è una festa con combattimenti di caproni, ci raggiungeranno a Cirebon.

Sono incazzato come un giaguaro: primo, il giro poteva interessare anche me, secondo come drivers di gommoni Michel ed io ci siamo già sorbiti tutta la costa infernale di Sumatra e ora mancherà pure Ciccio. Bernhard è da Muntok che non mette il culo sul dannato Mark 5, John è arrivato fresco fresco dal Belgio. Terzo, una questione di principio, e ne discuto con Michel, mi pare che le decisioni debbano essere prese di comune accordo, e non è giusto che ognuno faccia i cavoli propri come più gli piace.

Dopo un paio di whisky m'infilo nel sacco a pelo: domattina partenza all'alba. Silenziose e piene di mistero mi passano accanto le alte prore di barche dalle vele spiegate a farfalla. Se ne escono in mare aperto come bianchi fantasmi. Non un fruscio, non il minimo rumore.

Quando lasciamo Giacarta ci accorgiamo di aver saltato bellamente tutte le pratiche portuali, sia all'arrivo che alla partenza. E' l'anonimato delle grandi città!

Mare liscio come una tavola, bruma leggera, voliamo a 15 nodi. Michel e Francine sul Berani, io sul Selamat.

C'imbattiamo in centinaia di antiche barche dalle vele colorate e dalle forme più strane. Una meraviglia.

Doppiato capo Sedari abbiamo 35 miglia al largo per attraversare una prima amplissima insenatura. Si è alzato il solito monsone di prua e il mare è bianco di ochette.

Il massacro ricomincia.

 

Verso le 13 il vento rinforza ancora, come usa fare, calmandosi solo verso sera. Risaliamo penosamente un promontorio sabbioso orlato di secche che pare non voglia mai finire.

Per la notte scegliamo quello che si rivelerà il villaggio di Truntum, alla foce dei torrente Bobos. L'entrata nel fiume è difficoltosa per i banchi di sabbia e i frangenti riempibarca. Dopo una prima ricognizione, forziamo il passaggio sollevando il motore al momento opportuno e contando sull'abbrivio residuo, che però risulta insufficiente a causa del vento contro. Giù in acqua a tirare! Ci siamo, ora ci accoglie una quieta ansa di fiume, qualche casa capanna, tante barche all'ormeggio. Sono sampan stupende disegnate a colori vivaci, zeppe di pescatori intenti a riparare le reti. Siamo invitati a sfamarci con un "nasi goreng", il tipico riso fritto indonesiano mischiato a pezzetti di verdure e carni piccanti. A notte fonda assistiamo a canti e danze stile arabo: è la festa del paese, animata da suonatori ambulanti, una specie di zingari.

Alle sette di mattina devo farmi accompagnare in motocicletta a Pamanukan, 10 chilometri all'interno per trovare un po' di benzina. Attraverso verdi risaie percorse da canali d'acqua ove alcuni cinesi pescano col razzaglio: altri con larghi cappelli di paglia trasportano ceste a bilancere ricolme di ogni possibile merce. Noi facciamo gli equilibristi per riuscire a trattenere sulla piccola Honda un serbatoio souple da 70 litri. Ripartiamo subito, la marea sta scendendo nuovamente. 1 gommoni si sono trasformati in maschere di fango grazie ai piedi degli innumerevoli, scoccianti visitatori.

Un ragazzo ci indica la migliore via di uscita dalle secche dell'estuario, che percorriamo a piedi trainando i pesanti Zodiac fino a trovare acqua sufficiente. A questo punto occorre saltare a bordo il più rapidamente possibile, buttarsi sul motore e farlo partire prima che il vento e le onde ci scaraventino di nuovo contro la costa.

Fuori il mare resta buono come al solito fino alle undici, poi la dura maretta di prua ci fa imbestialire. In un salto più forte il vetro del mio proiettore si stacca e vola in acqua: non troveremo da sostituirlo.

Dopo capo Indramaju incrociamo una petroliera al lavoro, ci sono numerose piattaforme di trivellazione. Abbiamo il mare al traverso fino a capo Tanah, poi al giardinetto: sono andature più confortevoli come scossoni ma tremendamente bagnate. Nel pomeriggio raggiungiamo Cirebon con mare molto grosso. Alla perdita di pressione della chiglia del Berani si è aggiunta anche quella del Selamat che costringe a faticosi e sempre più frequenti pompaggi per ridurre il rischio che, a chiglia piatta, si accavallino i paglioli, provocando strappi sul tessuto gommato.

Ogni mezz'ora dobbiamo infilarci sotto al tendalino di prua col gonfleur, scostare il caos di bagagliame per trovare il bocchettone, misurare la pressione col manometro (uno si è rotto, l'altro per farlo funzionare dev'essere furiosamente percosso), pompare. La decisione di smontare tutti e due gli Zodiac è quindi unanime. Li fissiamo in banchina con una gru che i militari ci affittano per 5000 rupie. Raggiunti anche da Bernhard e john, iniziamo sotto un sole da Sahara gli allucinanti lavori di smontaggio e riparazione: troviamo tre piccoli, inspiegabili buchi sul Selamat, e il fondo chiglia nuovamente scollato sul Berani.

E' grave.

Altri microbuchi vengono scoperti successivamente, in alcuni notiamo tracce di limatura di ferro. Alcuni precedenti rappezzi si stanno per scollare, devono essere rifatti. Ci pare tra l'altro che l'incollante e gli indurenti abbiano sofferto il calore e non assicurino una tenuta perfetta. Altre piccole avarie: un cannocchiale della timoneria si è leggermente piegato (il volante era diventato durissimo, era quasi impossibile sterzare) e non è semplice rimetterlo in sesto. Gli archi inox che sorreggono il tendalino si sono aperti. li facciamo saldare. Cambio l'olio del piede del motore, le prime 100 ore di marcia sono passate da un pezzo!

L'infernale lavoro è allietato solo da grandi abbuffate al ristorante cinese Maxim's: la specialità è costituita da cosce di rana di grandezza straordinaria (quando cantano, le rane, nella notte sembrano cori di buoi) in salsa "sweet and sour" mango che si scioglie in bocca, thé al gelsomino. All'imbrunire però un altro tormento. Nugoli d'insetti alati con piccole elitre ci assaltano, s'infilano nei vestiti, nelle orecchie, sui capelli: un prurito atroce. Bernhard ha la ventura d'essere aggredito da microcimici biancastre, i terribili "morpion". Si deve rasare tutto e ungere con pomate battericide.

Nella notte stendiamo i sacchi a pelo tra l'ammasso caotico dei gommoni smontati (anche per evitare eventuali furti); gli scarafaggi s'arrampicano dappertutto. Una arrugginita bettolina in demolizione mi pare il luogo più riparato dall'attacco degli insetti. Prima di addormentarmi mi cospargo interamente di "Off ", un Autan locale. Niente da fare. Alle due mi sveglio di soprassalto con un enorme insetto tra i baffi che cerca d'infilarsi in bocca. Eh no, crudi e vivi proprio no! E poi ho sonno, non fame!

 

Testo e foto by Massimo Maggia - 1977 -

 

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