Spesso quandio ti miro star così muta in sul deserto piano, che, in suo giro lontano, al ciel confina ; ovver con la mia greggia seguirmi viaggiando a mano a mano ; e quando miro in cielo arder le stelle ; dico fra me pensando : a che tante facelle ? che fa laria infinita, e quel profondo infinito seren ? che vuol dir questa solitudine immensa ? ed io chi sono ? Così meco ragiono : e della stanza smisurata e superba, e dellinnumerabile famiglia ; poi di tanto adoprar, di tanti moti dogni celeste, ogni terrena cosa, girando senza posa, per tornar sempre là donde son mosse ; uso alcuno, alcun frutto indovinar non so. |
Dal "Canto notturno" La poesia prende spunto da un libro del viaggiatore russo Meyendorff sui pastori Kirghisi, dei quali viene detto che "passano la notte seduti su una pietra a contemplare la luna, improvvisando parole assai tristi su arie che non lo sono da meno". Nel paesaggio desolato dellimmensa steppa asiatica, sovrastato dalla misteriosa vastità del cielo stellato, un pastore interroga la luna sul perché delle cose e sul senso del destino umano. Ma le sue domande non trovano risposta, e il silenzio del cielo sconfinato gli conferma ciò che già sapeva, cioè che luniverso è un enigma indecifrabile nel quale lunica cosa certa è il dolore degli uomini e di tutti gli esseri viventi. Scegliendo una figura umile come protagonista della lirica, Leopardi vuole dimostrare come tutti, ricchi o poveri, intellettuali o analfabeti, si pongono le stesse domande senza risposta sul significato della vita e sullesistenza del male ; anzi, sulle labbra di un semplice pastore questi interrogativi acquistano una forza particolare, primordiale e assoluta, che esprime la "radice" comune della condizione umana. In Canto notturno le strofe si presentano come una successione di domande rivolte alla luna. Il colloquio del pastore con la luna oscilla tra due spinte contrastanti: da un lato, egli sembra sperare che le sofferenze della vita abbiano un spiegazione che la luna conosce; dallaltro ne dubita e pensa che la negatività del destino umano sia un dato tragico quanto indiscutibile. Il pastore non rinuncia allidea che la luna possa svelare i misteri della vita e della morte, dellinfinito andar nel tempo e mutare delle stagioni e dellinquietante vastità delluniverso : a che tante facelle? / che fa laria infinita ... (versi 86 - 98). La bellezza della primavera e del cielo stellato devono giovare a qualcuno, non possono essere semplici apparenze di un universo indifferente. Ma lo sconforto emerge nellammissione finale, in cui i dubbi fiduciosi lasciano spazio a una certezza terribile : a me la vita è male.
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