Taharqa
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Con l'ascesa al trono di Taharqa, fratello e successore di
Shebitku , la documentazione si fa abbondante. Alcuni scavi a Kawa fra la
terza e la quarta cateratta hanno riesumato ben cinque grandi stele per la
maggior parte in ottimo stato di conservazione che riferiscono gli avvenirnenti
dei suoi primi anni di regno e le donazioni da lui fatte ai templi in cui
vennero ritrovate. Duplicati frammentari delle più importanti di queste stele
sono stati scoperti a Mataana, Copto e
Tanis,
segno evidente che Taharqa non era restio a dar pubblicità alle sue fortunate
imprese. Si sa che all'età di vent'anni egli e altri fratelli del re erano stati
mandati dalla natia Nubia a raggiungere Shebitku a
Tebe,
dove Taharqa non tardò a conquistarsi il particolare affetto del sovrano. Alla
morte di questi fu incoronato re a Menfi e il suo primo atto fu di ricordare il
deplorevole stato in cui aveva visto i templi di Kawa durante il suo viaggio in
Egitto; i restauri e le numerose donazioni al dio del luogo, Amon-Ra, attestano
la devozione che continuò a nutrire per il paese d'origine.
Il sesto anno di regno fu il suo annus mirabilis: il livello particolarmente
alto del Nilo in Egitto e le abbondanti piogge nella Nubia avevano infatti
favorito i raccolti in modo eccezionale e recato grande prosperità nei due
paesi; e in quello stesso anno egli aveva ricevuto a Menfi
la visita della madre, Abar, che non rivedeva da quando aveva lasciato la Nubia.
É caratteristico di tutti questi documenti geroglifici il modo del tutto
ottimistico di rappresentare la situazione, senza neppure un accenno ai disastri
che Taharqa fu costretto in realtà ad affrontare. Del resto, le costruzioni da
lui iniziate a Karnak
e a Medinet Habu dimostrano che nella lunga valle del Nilo le opere di pace
erano ancora possibili anche in un periodo in cui un pericolo mortale minacciava
l'Egitto da nord-est.
A minare la tranquillità di Taharqa era tuttavia la
minaccia assira, sempre più presente in Asia nonostante lo scacco subito dal re
Sennacherib a Gerusalemme. Il faraone si mosse in due direzioni, trasferì la
capitale del Paese a Tanis, nella zona del Delta, da sempre la più esposta agli
attacchi esterni, per organizzare meglio la difesa; quindi cercò di fomentare
ovunque fosse possibile rivolte contro gli Assiri. La strategia funzionò per
breve tempo, perché a un certo punto Esarhaddon, nuovo re assiro, mosse
direttamente contro l'Egitto.
I documenti egizi tacciono, ma stele e tavolette in caratteri cuneiformi danno
particolareggiati resoconti della campagna in cui, dopo aver soggiogato la
Siria, egli costrinse Taharqa a ripiegare a sud e conquistò Menfi. Il faraone
nero riuscì a sfuggire alla cattura e da Napata riprese a tramare contro il
nemico, che commise l'errore di lasciare l'Egitto in tutta fretta credendolo
ormai battuto e sottomesso. Invece, di lì a poco, i principi del Delta si
ribellarono all'obbligo di pagare tributi agli Assiri e fu nuovamente guerra.
Poco dopo esser partito per questa nuova campagna, però, Esarhaddon cadde
ammalato ad Harran e morì, dando modo a Taharqa di riconquistare Menfi e
occuparla, finché non ne fu di nuovo cacciato da Ashurbanipal durante la sua
prima campagna (667 a. C.). Tebe (Nè) fu occupata per la prima volta, ma solo
per essere temporaneamente abbandonata; fu Tanuatamun, figlio di Shabako, a
riconquistarla.
Sopra un edificio di Tebe, Taharqa e Tanuatamun sono nominati insieme, ma non c'è motivo di supporre una coreggenza. Sulla fine di Taharqa non sappiamo altro se non che ritornò a Napata e fu sepolto a Nuri, poco più a sud.
Taharqa, che Manetone descrive come un uomo assetato di potere al punto i arrivare a sbarazzarsi del fratello, è ricordato dalle fonti come un sovrano saggio, oltre che come un temibile guerriero. Sotto il suo regno imponenti costruzioni fecero di Napata, la capitale della Nubia, una nuova Karnak, mentre grazie a una piena del Nilo particolarmente favorevole l'Egitto poteva tornare a contare su raccolti consistenti. Per la prima volta gli antichi tentavano di dare una spiegazione scientifica al fenomeno ciclico e misterioso dello straripamento delle acque del fiume, attribuendolo alle abbondanti precipitazioni nella parte meridionale del suo corso.