- Ossario Partigiano Forno Alpi Cozie -

  

DIARIO DI PIERINO

  

 Stavamo dicendo il rosario per zio Gino (Gino d'Mòdest), portato dai tedeschi alle carceri Nuove di Torino. È venuto Padre Ruggero, cappellano delle carceri, a trovare la zia Bianca (Maestra Bianca) e i miei cugini. Tutti piangevano. Poi sono entrati i soldati fascisti con i tedeschi e hanno caricato su un camion me, il papà e la mamma.
In Giaveno da Via don Pogolotti verso la campagna. Ci hanno chiusi con altre persone in un recinto del bestiame e in una stalla. Avevo paura, i tedeschi avevano i mitra. Si sentivano spari e si vedevano le fiamme delle case bruciate. Il papà mi ha messo su un mucchio di fieno e io mi sono nascosto. Dopo un pò ho detto : Papà ho fame! Papà si è messo a piangere e la mamma mi ha raccontato la favola di Pollicino che mi piaceva tanto.
Mi sono addormentato il pomeriggio del giorno dopo. Poi mi sono svegliato a casa!
Eravamo salvi! chissà cosa era successo!
Zio Gino e zia Bianca sono venuti a trovarci dopo qualche giorno a casa. Saputo che i nipotini avevano detto il rosario per lui, si è messo a piangere. Piangevamo tutti, ma io non sapevo perché.

 

(Episodi del rastrellamento in Val Sangone)

 

 Nella foto "Pierino".. Foto colorata del fotografo Basile di Torino

  

Un irato nume guerriero.

La nonna Gigia mi aveva comperato la pistola “cento colpi” marca Gymo (la ricordo ancor oggi). Era un giocattolo di latta, si inseriva un rotolino di carta nel quale vi era della polvere da sparo. Premendo il grilletto sparava a ripetizione emettendo un debole botto.
Vennero i tedeschi a casa nostra in Giaveno ed un vecchio soldato entrò in casa per la perquisizione, mentre il resto della pattuglia attendeva nel cortile. Quando lo vidi entrare in casa ed aprire i cassetti gli puntai contro la “cento colpi” e cominciai a sparare. Mio padre stava disegnando al tecnigrafo e si precipitò su di me, terreo in volto, mentre mormorava parole di scusa in tedesco.
Il vecchio soldato ebbe un moto di stizza, mi strappò di mano la pistola e la pestò sotto gli stivali.
Allora mi svincolai dalla stretta del babbo e gli saltai addosso per picchiarlo. Papà era sull’orlo del collasso! Il tedesco invece si mise a ridere, mi prese in braccio sorridendo, cavò dalla tasca un piccolo gnomo di legno colorato, me lo diede e disse: “ Das ist besser, Kamerad!” ( Questo è meglio, camerata!).
Il babbo aveva incominciato a menarmi, ma il soldato si oppose e diede a mio padre una medaglietta della Consolata di Torino.
Infine disse ridendo: “ Ein zorniger Gott des Kriegs, Herr Ingenieur!” ( un irato nume guerriero, signor ingegnere!), e se ne andò di sotto.
“Alles in Ordnung!” (tutto a posto) disse alla pattuglia. La Provvidenza ci aveva salvato anche quella volta, ma non mi salvò dalla successiva lezioncina del babbo!

 

BRUNO

Bruno era il più grandicello ed aveva ascendente. Quindi era il capo della banda di ragazzini. Se penso oggi a Bruno mi viene in mente un ragazzino troppo serio per la sua età, con gli occhi spesso velati di tristezza.
Voleva giocare in pace e desiderava, come tutti noi, quei giocattoli che all’epoca erano un sogno irrealizzabile. Era profondamente buono e quando sentiva i fatti orrendi che gli adulti riferivano, diceva che voleva morire.
Un giorno vedemmo la casa di Bruno che bruciava e, quando andammo a vedere le fiamme non si erano ancora spente del tutto.
Si sentiva un forte odore di carne bruciata.
Le SS avevano arso vivo Bruno e tutta la sua famiglia.

Nota: Bruno Viretto venne arso vivo con la mamma ed altri famigliari in borgata Ceca di Provonda il 29/11/1944

 

La pista delle biglie:

Quel giorno eravamo felici! Il papà ci aveva procurato dieci birille di terracotta colorata che noi chiamavano “le biglie”.
Il gioco era quello della “pista”. Si prendeva la sabbia e si costruiva un corridoio tortuoso mettendo a lato, a mo’ di argini e per tutto il percorso, la sabbia. Si faceva una riga sul terreno per marcare il punto di partenza e si lanciavano le biglie steccandole con il dito medio, come per lanciare una pallina di carta con le dita.
Vinceva colui che passava per primo il traguardo distanziando gli altri giocatori.
Avevamo notato un grosso mucchio di sabbia all’angolo della strada, lungo la via che da Giaveno si inerpica verso Coazze. Andammo a prendere la sabbia per fare il corridoio e ci trovammo le mani sporche di un liquido rosso. Allora scostammo la sabbia e ci apparve il cranio di un uomo orrendamente maciullato dalla mitraglia.
Scappammo urlando ed abbandonammo le biglie. Nessuno pensava più a riprenderle.

 

L’impiccagione del comandante Campana.

Di fianco alla stazione di Giaveno, sulla strada che porta a Torino, vi era un gruppo nutrito di tedeschi armati sino ai denti.
I passanti furono bloccati. Su un camion vi erano quattro giovani con le mani legate dietro la schiena. Si doveva guardare, sotto lo sguardo minaccioso dei carnefici.
La corda al collo, passata nella ringhiera del balcone, lo strappo, quattro corpi che guizzano come pesci all’amo dibattendosi nell’agonia. Poi il lento dondolare degli impiccati.
Dopo aver visto questi ed altri orrori, ringrazio l’Onnipotente per essere diventato una persona per bene e non un delinquente.

Nota: Felice Cordero di Pamparato, ufficiale dell’esercito italiano, partigiano con il nome di battaglia “Campana” venne impiccato a Giaveno il 17/8/44.

 

I martiri di Prabernasca

La famigliola stava tornando a Torino per controllare l’alloggio rimasto vuoto. Per noi bambini il viaggio su quel trenino scassato era sempre un avvenimento festoso.
Giunti a qualche centinaio di metri da Prabernasca il trenino si arrestò con una brusca frenata che ci fece sobbalzare. Subito dopo si udirono raffiche di mitra: una fucilazione! I viaggiatori spaventati non avevano ancora capito quel che stava succedendo.
Mi sporsi dal finestrino e vidi dei corpi di uomini stesi sulle rotaie, immobili.
Il babbo si precipitò dal manovratore e, con una voce che non ammetteva disobbedienza, ordinò di tornare indietro a tutta velocità. Sul trenino viaggiavano degli esponenti della resistenza e lo zio Gigi, fratello del babbo, partigiano.
Giunti a Trana entrammo nel Santuario di San Bernardino accolti con premura dai religiosi che ci rifugiarono.
Anche questa volta era andata bene.

 

Il bambino e la bomba a mano.

Eravamo a Torino in Corso Ferrucci. Avevamo trovato nel cortile dove stavamo giocando una granata tedesca, quelle con il manico di legno e cominciammo a maneggiarla.
La nonna in quel momento ci chiamò dalla strada: era l’ora di tornare a casa. Così lasciammo il bambino e la bomba ed uscimmo dal portone.
Dopo qualche minuto l’esplosione! Il bambino era stato sbranato dalla bomba che aveva fatto esplodere.

 

Il cecchino

Mamma era sul balcone intenta a bagnare i fiori e i suoi vasetti di erbe. La casa era di stile liberty ed il balcone era posto verso via G. Collegno.
A un certo punto si udirono spari ed urla! Papà balzò su mia madre e la trascinò dentro casa appena in tempo. Abbiamo sentito fischiare la palla del cecchino. Mamma era svenuta dalla paura ed io mi presi le solite pedate dal babbo perché stavo uscendo di casa per andare ad uccidere il cecchino che voleva far del male alla mamma. Parecchie furono le persone uccise dal cecchino che fu poi abbattuto dai partigiani sul tetto della casa ove si era appostato.

 

Il pane bianco e la croce nera sotto il campanello di casa

Il nostro portinaio si chiamava Michele ed il figlio Mario, ambedue partigiani comunisti della Garibaldi.
Allora vi era stato l’attentato a Togliatti e gli animi erano accesi. Si temeva il pericolo di una sanguinosa guerra civile.
Rientrando da scuola vidi la croce nera sotto il campanello. Il babbo disse che era uno scherzo di qualche burlone.
La verità l’appresi qualche anno dopo.
Michele e Mario avvisarono il babbo che la divisione Garibaldi ed altre si erano riarmate ed erano pronte a perpetrare stragi e che il nome di papà era sulla lista nera.
Si riteneva allora che i movimenti cattolici sollecitassero l’amnistia a favore dei fascisti. Come è noto, fu lo stesso Togliatti a perorare l’amnistia che venne poi applicata. Per fortuna non successe nulla. La gente disse che Bartali aveva vinto il giro di Francia e si era evitata la guerra civile.
A quei tempi scarseggiava il pane bianco. Papà aveva costruito un forno elettrico da pane e talvolta, seppur raramente, ne mangiavamo.
Michele avvisò mio padre di non mandare i bambini per la strada con la pagnotta di pane bianco, perché si correva il pericolo di essere aggrediti.
Oggi ci sono dei poveri che rifiutano il pane bianco offerto!

 

VALORI

La resitenza mi ha inculcato il senso dei valori intesi alla ricerca del bene comune.
Abbiamo visto in quel terribile passato i delinquenti vivere e gli innocenti morire.
Oggi un uomo senza valori puo’ arricchirsi e sopravvivere in una societa’ come la nostra, pervasa da una crisi epocale.
E’ altrettanto certo che una società senza valori non puo’, per converso, sopravvivere.
Un vero uomo non puo’ tollerare la vista del dolore innocente! Un vero uomo non puo’ perdere la libertà, se non insieme alla vita e combattendo!
La resistenza, come diceva Norberto Bobbio, ha lanciato questo monito. Spero ardentemente che gli uomini di buona volontà lo ascoltino e, abbandonato l’odio politico, ricerchino il bene comune sulla base dei valori eterni della Giustizia e della Libertà.
Non ho voluto postare in questo sito le fotografie delle stragi, in possesso della mia famiglia. Potrebbero rinfocolare un odio inutile. E’ passato tanto tempo! Ricordare e stigmatizzare quella pericolosa barbarie ed ogni altra tirannia è un dovere, ma diffondere l’odio tra le nuove generazioni per i fatti preteriti è colpevole. I Partigiani furono gente troppo giusta per vendicarsi. Desidero ardentemente che ritorni la fratellanza tra gli uomini anziché l’odio e la minaccia.