La curiosità ci assale

Distese sui letti non riuscimmo a vedere quando il nonno entrò nella nostra camera. Eravamo tanto stanche che tra una risata e l'altra ci addormentammo.
Fummo svegliate la mattina seguente da un sordo cigolio della porta e dalla soave voce di nonno Enzo che ci invitava ad alzarci. Un po' assonnate mettemmo
giù le nostre gambe che sembravano non aver voglia di camminare e a passi lenti e pesanti ci recammo in bagno per rinfrescarci il viso e per cercare di alzare quelle palpebre appesantite. Spalancate le finestre respirammo un po' d'aria pura e fresca e, come per incanto, tornammo quelle di prima, agili e scattanti ci rincorrevamo per la stanza fino a quando senza più un alito di respiro ci lasciammo cadere sui letti appena riordinati,
mentre: un respiro affannoso continuava ad agitare il nostro petto.
Riaffiorò, nella nostra mente, il desiderio di conoscere il mistero che avvolgeva quella piccola  ma  graziosa  villetta.  Ma  c'era veramente un mistero o forse avevamo letto troppi libri o visti troppi film gialli? Decidemmo, per poter sciogliere tutti questi dubbi, di cercare indizi. Rovistammo tutti i cassetti e trovammo delle vecchie foto: "Guarda questo ragazzo in divisa vicino a questo aereo. Chi sarà?" disse Martina, corrugando la fronte. "Forse questo è il padrone di casa" , rispose Caterina.
Poi, però, il discorso fu interrotto dalla comparsa   della   figura   del   nonno.
Frettolosamente e impacciatamente cercammo di nascondere le foto.
Il nonno fece finta di non vederci e disse sorridente: "Ginevra, è ora di cena. Lavatevi le manine."
E noi tutte in coro: "Nonno, non siamo mica delle bimbe, ora.siamo cresciute!!!".
"Va bene, va bene, ma ora correte a tavola". Corremmo nel bagno blu e ci lavammo le mani con una saponetta violacea, al profumo di mirtillo. Durante la cena. non parlammo quasi mai e fissammo nonno Enzo con occhi supplichevoli. Ma questi, con finta indifferenza:
"Come mai così silenziose? Di solito siete irrequiete e chiassose. C'e' qualcosa che vi turba?"
Ginevra si alzò sbattendo le mani sulla tavola imbandita.
"Ora basta! Voglio sapere perché ci hai portato qui".
Il nonno si alzò senza lasciare terminare la frase alla sua nipotina e ci guardò per un attimo in modo bieco, ma poi sorrise e disse: "Che barba che siete
!! Volete sapere tutto e subito. Ok, seguitemi in salotto".
Anche il salotto sembrava nascondere qualcosa di misterioso. Ai due lati delle pareti vi erano in bella mostra, quadri e oggetti. ricoperti da un leggero velo di polvere, segno del tempo trascorso. Guardammo incuriosite, e a dire il vero anche con un po' di tensione, tutti gli oggetti che via via scorrevano sotto i nostri occhi. Improvvisamente inciapammo in un tappeto e ci ritrovammo, non sappiamo come, sedute sul divano stetttamente appoggiate l'una all'altra. Una fragorosa risata smorzò la tensione fino ad allora contenuta. Il divano e le poltrone erano ricoperte di merletti e questo ci faceva pensare a qualcosa di molto familiare che non riuscivamo a mettere a fuoco. Il nonno intanto si era accomodato su una delle poltrone e mentre si asciugava la fronte con una mano, con l'altra si toglieva gli occhiali e li poggiava sul piccolo tavolo posto lateralmente.
Dai nostri volti traspariva, evidente, l'ansia di chi era desideroso di conoscere chissà quale mistero ed il nonno dovette percepirlo tanto che, dopo un profondo sospiro, ci guardò una per volta e solo allora ci accorgemmo che i suoi profondi occhi azzurri erano lucidi e che
qualche lacrima rigava lentamente quel volto ora un po' segnato dal tempo, ma che conservava intatta la bellezza giovanile. Ci guardò di nuovo attentamente e dopo un profondo sospiro esclamò: " Questa è casa mia".
"Perché noi non ce la ricordiamo nonno?" disse Giorgia incuriosita. "Lasciatemi finire - replicò il nonno sorridente - quando eravate piccoline; noi venivamo qui tutte le estati, ma poi, dieci anni fa, ci fu un terremoto che distrusse la casa e solo un anno fa ho deciso ai ricostruirla."
"Ecco perché ci sono le foto dei nostri primi compleanni", disse Ginevra.
"Già", disse nonno Enzo "fèsteggiavamo qui tutti i compleanni. Ma non pensiamo più a questi
dolorosi ricordi. Ho visto che frugavate nei miei cassetti, non è così?"
"Bhe, hai ragione", disse Caterina con aria mortificata  "Non  vi  preoccupate,  avete semplicemente facilitato il mio lavoro. Quello che vi racconterò ruota tutto intorno al militare della foto".
Noi ascoltavamo attentamente, ma avevamo
bisogno di spiegazioni più chiare. "Ma chi è quel  ragazzo  nella  foto?  Quello  vicino all'aeroplano, intendo", esclamò Martina.
"Ma sono io! il vostro nonno Enzo. Possibile che non mi avete riconosciuto? Ero giovane e carino, ma non credo di essere tanto cambiato". In effetti il nonno aveva proprio ragione il giovane nella foto era davvero carino!  Era alto, slanciato, ed anche se la foto era in "bianco e in nero", risaltavano come stelle nel cielo i suoi occhi chiari, aveva una capigliatura corvina e la
carnagione  chiara.  Non  riuscivamo a capacitarci, era così diverso, ci scappò una risatina. Il nonno ci guardò e disse "Mi ricordate una persona che ho conosciuto, o meglio un angelo."
"Cosa un angelo??? Un angelo  vero?" esclamammo in coro.
"
Come sapete, molti anni fa scoppiò una grande e catastrofica guerra: la seconda guerra mondiale, che coinvolse molti paesi del mondo compresa l'Italia, portando morte e distruzione, carestie ed epidemie, ma anche materiale per costruire miti e leggende. Anche io partecipai a questa guerra come fuggiasco. Vissi molte avventure: scampai alle bombe, venni catturato dai nemici e riuscii a fuggire. Queste vicende furono tutte molto toccanti ma in particolare una rimane ancora oggi nel mio cuore e nella
mia mente. Era il 1944, la guerra aveva ormai raggiunto il Lazio ed anche la nostra pacifica cittadina di Cassino. La popolazione era disperata perché i raccolti erano stati distrutti e il  cibo scarseggiava per tutti. Io ero costretto a mangiare il miglio e addirittura a stare a digiuno per giorni interi. Le case, diroccate, erano inabitabili e tutti cercavano posto dove rifugiarsi. Alla triste notizia che Cassino stava per essere bombardata, la popolazione fu presa dal panico più assoluto e dal terrore di morire sotto le macerie oppure di essere colpiti da una bomba. Tutti incomininciarono, senza perder tempo, a portare i loro beni, i tesori, le cose più care che avevano un certo valore a Montecassino, unico luogo ritenuto, in quel periodo, sicuro. Nel lungo e doloroso viaggio verso l'Abbazia,  indossavamo abiti "rattoppati", scarpe malridotte e portavamo con noi grandi fagotti che sostituivano le moderne valigie. Si sentivano pianti, urla di bambini terrorizzati e nei nostri volti si leggeva la paura. IL viaggio fu lungo e faticoso, ma arrivati alla meta tanto agognata, i nostri cuori si riempirono di speranza.   Per  molti  giorni  vivemmo nell'illusione  di  poterci   salvare  dai bombardamenti. Si pregava, si facevano voti e si cercava in tutti i modi di procurarsi il cibo. Un brutto giorno si sentì un forte boato e subito le nostre speranze svanirono nel nulla.
Il panico ci assalì, la tensione aumentò e fu così che ci precipitammo verso "la strada della salvezza":  senza pensare,  senza riflettere neanche per un attimo se fosse giusto o
sbagliato. Ci incolonnammo nella grande massa di persone che disperatamente cercavano un luogo sicuro, ma all'improvviso mi accorsi che mio fratello non era più al mio fianco. Mi fermai tremante e ansimante cercando di scorgere mio fratello in mezzo a tanti corpi straziati dal dolore delle ferite e urlanti per la paura. Udivo grida, urla disperate, pianti; vedevo polvere, macerie, corpi maciullati,  ma non riuscivo ad individuarlo.
Tutti ormai erano andati oltre; rimasi solo in quel luogo maledetto.
I muri cadevano, le scale di Montecassino crollavano, le schegge mi sfioravano. La scena era terrificante, l'Abbazia tremava e il pericolo che crollasse completamente aumentava sempre di più. Molte persone venivano sommerse dalle macerie. In quel momento tutti avevano perso il lume della ragione, chi scappava a destra chi cercava riparo a sinistra. Si udivano urla agghiaccianti, le bombe cadevano e smembravano e disarticolavano tutto; Montecassino crollò. Quasi tutti morirono e solo poche persone riuscirono a salvarsi. I pochi superstiti fuggivano cercando una via di scampo, io solamente rimasi imperterrito a scavare cercando di ritrovare mio fratello. Sentii all'improvviso un ultimo pianto, non capivo da dove provenisse, mi guardai intorno ma non vedevo nessuno. Incominciai a cercare ovunque, ma nonostante gli sforzi, non riuscivo a vedere nul!a: solo macerie e cadaveri.
Una luce illuminò una
pietra su cui c'era un bambino con gli occhi azzurri e i capelli biondi. Corsi subito in suo soccorso, ma all'improvviso vidi una sagoma dai contorni sfuocati, discendere dal cielo.
Scendeva lieto e molto lentamente.  Era bellissimo, così raggiante che sembrava essere un miraggio. I riccioli dorati splendevano come un raggio di sole fra il nero fumo delle bombe, gli occhi azzurri dovettero incantare il bambino che improvvisamente e miracolosamente smise di piangere. L'angelo sorrideva felice ed io lo guardavo stupito, tanto che, il mio cuore era pieno di gioia e speranza. Indossava un vestito bianco, largo al fondo con sfumature dorate, e le sue grandi ali erano ricche di piume celestine, intorno al collo aveva una collana dorata con un cuore contornato da due ali. A quel punto non sentii più alcun rumore, né bombe, né pianti di bambini terrorizzati. Il dolore, le lacrime,. la sofferenza,   sembravano   essere   spariti all' improvviso. Davanti ai miei occhi avevo
solo quell'angelica figura dalla carnagione chiara,  dalle mani bellissime, lunghe e affusolate; dalle guance rosee come due pesche che io fissavo estasiato. L'angelo continuava a scendere portando con sé un fascio di luce abbagliante che illuminava il suo viso e quello del bimbo. Rimasi paralizzato e non, sapevo se scappare, salvare il bambino o restare a guardare. Non riuscivo a staccare gli occhi da quella mistica visione a cui non sapevo dare un nome e che continuava a scendere lentamente avvicinandosi sempre di più al bimbo e, adagiandosi delicatamente su di lui, lo coprì avvolgendolo fra le sue ali. Rimase in quella posizione fin quando le macerie finirono di cadere, poi lo prese  in braccio e svanirono ambedue nel nulla. Non riuscivo a credere a ciò che avevo visto, rimasi come paralizzato e, nonostante mi sforzassi di muovermi, sentivo qualcosa che mi tratteneva e mi impediva di camminare. Avrei voluto correre, scappare da quel luogo che ritenevo pieno di mistero, ma, per quanti sforzi facessi, non ci riuscivo. Rimasi per un attimo a pensare accasciandomi a terra, ma non avevo neanche la forza di formulare un pensiero logico su quello che mi era accaduto. Forse ero troppo spaventato e lo sgomento mi aveva giocato un brutto scherzo. Tuttavia la figura dell'angelo continuava ad ossessionarmi e dicevo a me stesso che non poteva essere stato frutto della mia fantasia. Rimasi tutta la notte sveglio a pensare, a riflettere a cercare di capire senza ottenere alcuna risposta ma solo tanti  interrogativi  che  si  venivano  ad aggiungere a quelli precedenti. L'indomani raggiunsi la mia famiglia e pregai per mio fratello sperando che anche lui, come quel bambino,  fosse  stato salvato  dall'angelo misterioso".