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Il Terremoto di Messina  parte terza

SCENA 141

SALETTA DEL CASINO DELLA BORSA. Interno notte

Due appliques fanno poca luce nella saletta privata dove don Vito, Reina, Todero e altri "gentiluomini" di Messina stanno assistendo allo spogliarello delle tre "gemelline" del circo. C’è anche Pierrot, in abiti normali, che fa solletico al sindaco che ride divertito.

Don Vito tiene un braccio intorno alle spalle di Colette, la cavallerizza mulatta, e l’altro su quelle di Giovanna che ha un vestito scollato che evidenzia ancora di più la sua immaturità. Don Vito é eccitato proprio da questo e la fa bere.

Reina è al colmo dell’eccitazione allacciato con le due formose trapeziste tedesche.

REINA

Come mai non é venuta Sherazade?

PIERROT (fingendosi effeminato)

Quella stronza s’é innamorata!

Le tre "gemelline" che non si assomigliano affatto se non per la lunga chioma rossa sono quasi nude e ridono. Tutti applaudono su di giri.

TODERO

Cento lire alla prima che si leva le mutande!

Giovanna si leva di dosso una mano di don Vito che cerca di accarezzarle il ventre

GIOVANNA

La volete smettere?!

Le appliques si spengono e tutti lanciano gridolini di sorpresa. Si sente il rumore di un tavolino rovesciato e di bicchieri che si rompono.

Qualcuno ride, qualcuno ansima, la voce terrorizzata di Giovanna, protesta

GIOVANNA

No! No! Aiuto.... maiale, no!

si sente il suono secco di un ceffone.

Dal buio spunta un cameriere con un candeliere acceso che illumina per un attimo il volto paonazzo di don Vito che, in piedi, si sta calando i pantaloni, C’è un groviglio di corpi sul pavimento.

Pierrot, con aria diabolica, soffia sulle candele spegnendole.

 

S C E N A 142

SALA DA GIOCO CLANDESTINA. Interno notte

Bruno Tripodi guarda le proprie carte e dice a Rosina che, pallida, tesa, senza i suoi favolosi gioielli, sta seduta di fronte a lui. Ai lati altri due giocatori.

TRIPODI

Più tremila.

ROSINA

Tremila più cinquemila.

gli altri due giocatori sono già fuori dalla partita.

TRIPODI

Vedo.

ROSINA

Scala all’asse.

TRIPODI

Colore. Mi dispiace signora.

ROSINA (ha una smorfia di disappunto)

Domani avrà la somma. Venderò i miei gioielli.

TRIPODI

Venderà. . . domani?

ROSINA

Sì, valgono almeno il doppio.

TRIPODI (ironico)

Se vuole, li può dare a me... per evitare il fastidio della vendita. .

ROSINA

La ringrazio. Preferisco venderli, forse resterà qualcosa per me...

 

 

S C E N A 143

PANORAMA NOTTURNO DI MESSINA. Esterno notte

Tutta la città è immersa nel buio, Scarsa l’illuminazione, solo due grandi lampioni a forcella illuminano la parte centrale del porto con la loro luce a gas.

Un lampo illumina la città a giorno, poi il rombo di un tuono e lo scroscio della pioggia.

TRIPODI (in tono ambiguo)

Come vuole, signora. Stia attenta però: Messina si è riempita di gentaglia. Potrebbero tagliarle la gola per una somma simile.

ROSINA

Grazie, ma non sono nata ieri.

 

S C E N A 144

CAMERA DA LETTO DI ELENA. Interno notte

La luce di un lampo entra dalla finestra e illumina Elena, sdraiata sul letto, nella stessa identica posizione in cui l’abbiamo lasciata nelle scene precedenti.

Però ha gli occhi chiusi. Alla luce azzurra del lampo sembra morta.

 

S C E N A 145

CAMERATA ORFANOTROFIO. Interno notte

Fuori piove a scrosci, brevi, con lunghe pause.

Peppino è a letto, in camerata, insieme ai compagni. Un lampo. Esseneto vede Peppino rannicchiato con le mani sulle orecchie. Scende dal letto, scalzo e in camicia, va a staccargli una delle mani. Peppino ha la fronte imperlata di sudore.

ESSENETO

Stai male? Chiamo suor Angelica?

PEPPINO

No. . . non senti questo fischio? E’ un rumore che fa male qui… (si tocca la pancia)

ESSENETO

Come uno un fantasma che si lamenta?

PEPPINO

Non so. . . come si lamenta uno spirito?

ESSENETO

Allora è u fuddeddu! Si fa sentire solo dai bambini e ti porta un tesoro. . . ma non devi dirlo a nessuno che l’hai visto o sentito. . . altrimenti fa cadere le case e i bambini se li mangia!

PEPPINO

Allora speriamo che non sia lui...

ESSENETO

Perché?

PEPPINO

Perchè ormai te l’ho detto che l’ho sentito... ahi!

ESSENETO

Come quando la maestra graffia la lavagna col gesso?

Peppino lo guarda senza capire e Esseneto scrolla le spalle

ESSENETO

Ah già, tu non l’hai ancora sentito.... Piove forte, può essere la pioggia?

Peppino scuote la testa e poi mormora all’amico

PEPPINO

No. E’ come come se qualcuno trascinasse su l’inferno...

 

S C E N A 146

CABINA DI PONOMAROV SULLA MAKAROV. Interno notte

Ponomarov alza il volto e guarda Alexis che dalla porta della cabina saluta militarmente

ALEXIS (in russo)

Comandante, siamo in banchina. Ci sono i sindaci di Augusta e di Siracusa e il nostro console di Palermo che vorrebbero salutarvi.

PONOMAROV (in russo)

Li faccia salire a bordo, tenente. Questa è per lei…

il capitano lisciandosi il cranio rasato gli porge una lettera sigillata

Ci fermeremo qui, a Siracusa, fino all’otto gennaio. Il nostro console ha una macchina, se la faccia dare, torni a Messina. Ci metterà quattr’ore al massimo. Arriverà all’alba e consegnerà questo alla Capitaneria di Porto.

Alexis nota lo sguardo ironico del capitano che gli tende la busta.

Non è una missione obbligatoria. Mi pareva che avrebbe preferito passare il Capodanno a Messina anzichè a bordo, ma se non è così…

ALEXIS (in russo)

E’ così, signor capitano.

prende la busta, saluta e se ne va, poi si riaffaccia e dice

ALEXIS (in russo)

Grazie, signor capitano.

PONOMAROV (in russo)

Non sembra affatto lieto, tenente.

ALEXIS (in russo)

Ma lo sono. Tantissimo.

 

S C E N A 147

STRADA DI CASA TORCELLO. Esterno notte

Il buio è quasi assoluto: lampi senza tuoni serpeggiano sotto le nuvole scure rischiarando le case con una luce spettrale.

Rosario scende da un calesse e lega il cavallo all’inferriata della finestrella attraverso cui spesso ha parlato con Carmela, poi si issa sulla cinta e si lascia cadere nell’orto.

S C E N A 148

ORTO DI CASA TORCELLO. Esterno notte

Rosario attraversa l’orto. Manca ancora la luce. Tutte le finestre della casa sono buie. Si arrampica verso quella di Carmela

ROSARIO

Carmela, sono io.. . ecco la chiave, dovrebbe andar bene.

Carmela si avvicina alla finestra, prende la chiave che Rosario le porge e gli sussurra

CARMELA

Hai proprio deciso?

ROSARIO

Io sì. Ma se tu hai paura..

CARMELA

Ho paura, ma lo voglio fare lo stesso!

ROSARIO

Allora sbrigati. Ti aspetto nell’orto.

 

S C E N A 149

CAMERA DA LETTO DI CARMELA. Interno notte

Carmela va alla porta e infila la chiave nella serratura. Armeggia un po’ perchè c’è l’altra chiave nella toppa: la fa cadere sul pavimento e apre. Prende uno scialle, se lo getta sulle spalle ed esce senza far rumore. Richiude l’uscio a chiave da fuori.

 

S C E N A 150

SOGGIORNO DI CASA TORCELLO. Interno notte

Carmela attraversa il soggiorno e la luce dei lampi illumina i grandi quadri alle pareti raffiguranti suo padre e i suoi nonni.

Carmela si avvicina al quadro del padre, un uomo nel pieno della maturità, dal volto duro.

CARMELA

Lo sai papà che ti volevo bene, ma voglio bene pure a lui, che è innocente della tua morte. Tra poco sarò con te, dovunque tu sia.

Le lacrime brillano negli occhi di Carmela che se le asciuga con rabbia e corre fuori.

 

S C E N A 151

ORTO DI CASA TORCELLO. Esterno notte

Rosario sbuca da dietro un filare di fagioli e la abbraccia. Carmela si aggrappa a lui.

ROSARIO

Amore mio... vieni!

la guida verso la finestrella e le sussurra

ROSARIO

Prima io, poi ti tiro su.

Rosario si arrampica e tende una mano a Carmela issandola sulla cinta.

 

S C E N A 152

STRADA DI CASA TORCELLO. Esterno notte

Rosario salta giù dalla cinta e poi aiuta Carmela a scendere, accogliendola a braccia aperte.

Rosario e Carmela si baciano a lungo. Un turbine di vento li avvolge facendo volare intorno a loro foglie secche e pezzi di carta. Le guance della ragazza sono rigate di lacrime.

ROSARIO

Amore, tu piangi! Carmela, sei ancora in tempo. Se non vuoi...

CARMELA

Se me lo chiedi un’altra volta comincerò a pensare che sei tu che non vuoi.

Rosario la prende per mano e la aiuta a salire sul calesse. L’ululato del vento incita l’ululare di cani lontani. Il cavallo nitrisce e s’impenna, spezzando la cavezza. Rosario si aggrappa ai finimenti e calma l’animale

ROSARIO

Buono, Saladino, buono... di che hai paura tu?

il cavallo si ammansisce e Rosario salta in serpa e sorride a Carmela che si stringe a lui

Quando mio padre scoprirà che ho preso Saladino s’arrabbierà, ma non mi potrà fare più niente.

Dà briglie al cavallo che parte al trotto. Un lampo violento brucia l’immagine mentre si ode un tuono stridente, come se si stesse rompendo la volta celeste.

 

S C E N A 153

STRADA PER MESSINA. Esterno notte

Alla guida di una macchina scoperta, Alexis, col viso riparato da grossi occhialoni da moto, corre lungo una strada ghiaiosa, tutta buche, alla volta di Messina.

Dopo due curve prese al massimo della velocità consentita dalla macchina e dalla strada, Alexis è costretto a pigiare sul freno: una mucca gli si para davanti, illuminata dai fari, gli occhi dilatati dal terrore. Alexis riesce a fermarsi ad un metro dalla bestia che gli muggisce sul parabrezza e poi fugge al galoppo.

Altre due vacche muggiscono e corrono via mentre una terza urta l’auto e scappa ferita, lanciata in una corsa assurda.

Nel cono dei fari si agitano due uomini infagottati in giacche sdrucite che tentano di richiamare le mucche

 

STALLIERE

Beatrice! Margherita! Vittoria! Venite qui!

ALEXIS

Le ho spaventate io con la macchina?

UNO STALLIERE

No, no! Sono scappate dalla stalla senza motivo! Come se avessero visto u fuddeddu! Beatrice! Margherita!

i due stallieri scompaiono nel buio all’inseguimento delle loro mucche.

Alexis innesta la marcia e riprende la sua corsa.

 

S C E N A 154

CAMERATA DELL’ORFANOTROFIO. Interno notte

Peppino sta sotto le coperte, gli occhi sbarrati verso le finestre da cui entra il baluginare continuo dei lampi. Sente uno stridere insopportabile, come una bacinella di zinco trascinata su un pavimento di marmo. Si tappa le orecchie. Dal letto accanto Esseneto gli sussurra:

ESSENETO

L’hai sentito ancora?

PEPPINO

Sì... è come se si stesse rompendo la terra.

arriva l’eco dell’ululare dei cani e Esseneto gli soffia

ESSENETO

Questi sono solo cani...

Peppino annuisce spaventato.

 

S C E N A 155

STANZETTA DI MARIA ALL’ORFANOTROFIO Interno notte

E’ una celletta a due letti. Maria non riesce a dormire, ha gli occhi spalancati.

Sull’altro letto dorme una suorina. Un tuono le fa aprire gli occhi e vede Maria sveglia.

SUORINA

Non dormi?

MARIA

Penso.

SUORINA

A quel marinaio russo?

MARIA

A lui e alla mia vita.

SUORINA

Maria. . . com’è?

MARIA

Com’é cosa?

SUORINA

Fare l’amore con tanti uomini.

MARIA

Non è che fai l’amore, fai solo finta... quasi sempre fai solo finta. E’ un lavoro. Mio padre è morto in una solfatara, nel mio mestiere si muore di meno.

SUORINA

Ma, sapevi che era peccato?

MARIA

Se dio c’è, lui sa la verità. Se non c’è, niente importa.

la suorina si fa un veloce segno di croce e chiude gli occhi.

 

S C E N A 156

CAPANNO SUL LAGO. Esterno notte

Rosario ferma il calesse in riva ad uno stagno, vicino ad un capanno per la caccia di passo.

In mezzo ai nuvoloni scuri dentro cui si accendono continui lampi, si affaccia la luna e illumina i due giovani come in una fiaba.

CARMELA

L’aria ha uno strano odore.

ROSARIO (annusando)

Sa di marcio. Sarà lo stagno. Vieni.

aiuta Carmela a scendere dal calesse e, tenendola abbracciata, si avviano verso il capanno.

Non c’è chiave, solo un paletto. Rosario solleva tra le braccia la ragazza e le sorride

ROSARIO

Amore mio, avrei voluto prenderti in braccio e farti varcare la soglia di una reggia.

CARMELA

Per me é una reggia, e questa è la nostra notte.

ROSARIO (baciandola)

La prima e l’ultima e la faremo durare una vita.

apre l’uscio del capanno ed entra nel buio.

 

SC E N A 157

CAPANNO SUL LAGO. Interno notte

Rosario posa a terra Carmela e accende un lumino ad olio che rischiara appena il pagliericcio che occupa metà del pavimento. Alle pareti di legno arnesi da pesca e un fucile.

ROSARIO

Don Corlando mi ha detto che nel matrimonio il prete è solo un testimone. Sono gli sposi che fanno tutto.

le prende una mano e le si mette di fianco, come fosse davanti ad un altare, dice

Io Rosario Forgione, prendo te Carmela Torcello come mia sposa.

CARMELA

Io Carmela Torcello prendo te, Rosario Forgione, come mio sposo.

ROSARIO

Finchè morte non ci divida. Adesso siamo sposati.

si buttano uno fra le braccia dell’altra. Carmela ha un singhiozzo. Rosario la accarezza. Scivolano sul pagliericcio e il loro abbraccio diventa appassionato.

Rosario si alza in ginocchio e si spoglia con frenesia, mentre Carmela lo guarda, gli occhi lucidi di desiderio. Tende le mani verso il suo corpo nudo e se lo tira addosso.

 

 

S C E N A 158

CAPANNO SUL LAGO. Esterno notte

Un colpo forte di vento scuote un vecchio albero che si erge sul bordo dello stagno. La sua chioma ne è squassata.

La superficie dello stagno vibra di piccole onde, poi con uno schianto il tronco crolla nell’acqua sollevando alti spruzzi che brillano nella luce della luna.

 

S C E N A 159

STRADA PER MESSINA, Esterno notte

Alexis guida l’auto a tutta velocità sulla strada inghiaiata che porta a Messina.

La strada corre tra montagna e mare a mezza costa.

Uno scroscio improvviso di pioggia e Alexis, accecato dall’acqua è costretto a rallentare: questo lo salva da un urto poiché, dietro la curva, grossi massi, rotolati giù dalla scarpata, punteggiano la sede stradale.

Fa uno slalom con l’auto e passa oltre. Improvvisa com’è venuta la pioggia cessa.

Un rombo sordo e crescente sovrasta il motore, accelera: alla sua destra un costone di montagna sta franando.

L’auto fa appena in tempo a passare che una cascata di terra e pietre cancella la strada.

Alexis pigia sull’acceleratore e l’auto schizza via sollevando fango.

 

S C E N A 160

PIAZZALE DEL CIRCO. Esterno notte

Il vento fa rotolare cartacce negli spazi tra i carrozzoni e scuote il grande tendone del circo.

Alcuni uomini stanno rinforzando le corde di ancoraggio.

URLA DEGLI OPERAI

Tira!

Raddoppia quella corda! Presto che qui vola via tutto!

Un’automobile e una carrozza arrivano sulla piazza: scendono Pierrot, Colette, le trapeziste, le tre gemelline e Giovanna.

L’auto è quella di Todero, padrone della conceria, guidata dal suo autista. Da dentro Todero, ubriaco, saluta

TODERO

A presto bellezze! A molto presto...

PIERROT

Ciao, maschione!

le due trapeziste sono anche loro brille e vanno a zigzag verso il loro carrozzone

UNA TRAPEZISTA (in tedesco)

Quello non era normale. . . aveva un palo del telegrafo.

ALTRA TRAPEZISTA (in tedesco, ridendo)

L’Italia è famosa per questo tipo di pali...

l’auto e la carrozza voltano a U e spariscono nel buio. Tutti vanno verso i propri carrozzoni, resta solo Giovanna, pallida e scarmigliata, traumatizzata, gli abiti frugati dalle folate rabbiose del vento.

 

S C E N A 161

CARROZZONE DI SHERAZADE. Interno notte

Sherazade é stesa in cuccetta ma non dorme: il fischio del vento fa cigolare il carrozzone che ondeggia. Si mette a sedere. Sospira, si passa una mano sul volto. Si guarda nello specchio da trucco appeso alla parete e si saluta con una smorfia

SHERAZADE

Ciao, contessa della minchia.

qualcuno batte contro la porta. Sherazade si infila le pantofole e va a vedere

e adesso chi rompe?

apre la portiera del carrozzone e si trova davanti a Giovanna che la guarda pallida

SHERAZADE

Giovanna! Ma. . . oh porca miseria. . . hanno portato anche te, quei maiali! Vieni su!

Sherazade la aiuta a salire: la ragazzina si muove come in trance.

Adesso bevi un bicchiere di vino caldo.

Sherazade alza la lanterna per prendere il vino e vede una riga di sangue nella parte interna della coscia della ragazza.

SHERAZADE

Povera Giovanna. . . chi è stato? Roland?

Giovanna scuote la testa. Sherazade versa del vino da un pentolino che sta su un fornello a spirito e glielo porge

SHERAZADE

Bevi. .. chi è stato?

GIOVANNA (scoppiando in singhiozzi)

Un vecchio brutto puzzolente. . . che schifo!

SHERAZADE

Ma perchè ci sei andata?

GIOVANNA

Mi avevano detto che era una bella festa.

SHERAZADE

Una festa, certo, l’han fatta a te la festa.

GIOVANNA

Io. .. non lo farò mai più.

Sherazade abbraccia Giovanna che piange e le accarezza i capelli

SHERAZADE

Lo farai ancora, vedrai, un sacco di volte.

e lo dice con una tristezza infinita.

 

S C E N A 162

PORTO DI MESSINA. Esterno notte

Avvolto nei suoi stracci, al riparo tra le grandi botti di vino marsala in attesa di imbarco, Archimede, sta dormendo. Il vento fischia a raffiche e il mare sciaborda contro le banchine.

Minosse è inquieto, col pelo ritto. Guaisce lamentoso. Poi va a raspare sul corpo di Archimede che apre un occhio e biascica

ARCHIMEDE

Buono, Minosse, buono..

il cane parte per una breve corsa, si arresta, torna indietro e va a mugolare sul corpo addormentato del padrone, addenta un lembo della giacca e tira.

ARCHIMEDE

Ma che succede?Minosse, che hai, eh?

il cane è spaventato e corre via, torna indietro, corre via. Archimede si alza a fatica, sbuffando

ARCHIMEDE

Ma che c’è? Dove vuoi che andiamo.

uno squittire vicinissimo fa sobbalzare Archimede: tra le botti escono dei grossi ratti che fuggono verso le banchine.

Archimede fa tre passi di lato: appena in tempo, una vibrazione della terra fa cadere la catasta di botti che rotolano tutto intorno. Una si sfascia e il vino marsala allaga il piazzale.

Minosse lappa il vino e abbaia festoso al padrone che si gratta incredulo.

ARCHIMEDE

Amico mio, credo che tu mi abbia salvato la vita.

guarda il cielo percorso dai lampi mentre il vento fa rotolare i pezzi della botte sfasciata

ARCHIMEDE

Strana notte, Minosse, strana davvero,

si china sul lago di marsala e si riempie le mani a coppa ne beve un lungo sorso

ARCHIMEDE

Dolce come quello che servono le Urì, amico mio.

gratta il cane con affetto, lo bacia sul muso

vedrai, ci saranno anche per te delle deliziose cagnette in paradiso.

 

S C E N A 163

FERRYBOAT CALABRIA. Esterno notte

Con un colpo di sirena il ferryboat "CALABRIA" lascia 1‘attracco.

Tutte le sue luci sono accese, il ponte è pieno di passeggeri nonostante il vento.

 

S C E N A 164

PONTE DEL FERRYBOAT CALABRIA. Esterno notte

Roland alza il bavero del soprabito e guarda verso le luci di Messina che si allontana,

Controlla l’ora al suo orologio da panciotto: segna le cinque e dieci.

 

S C E N A 165

PIAZZA DEL DUOMO. Esterno notte

L’auto guidata da Alexis attraversa la grande piazza deserta e buia.

Il tenente ferma la macchina davanti al duomo. Spegne il motore, spegne i fari e resta immobile, le mani sul volante e il capo chino.

Un lampo illumina la piazza e un tuono rimbomba potente nel cielo. Una soffiata poderosa di vento fa cadere le sedie accatastate del bar.

Alexis scende dall’auto e guarda verso il cielo: le nuvole scure corrono veloci e a tratti lasciano intravedere la luna.

La campana del campanile emette una strana bassa vibrazione sonora. L’orologio segna le cinque.

Si incammina verso il palazzotto di Don Vito. Tutte le finestre sono buie e chiuse tranne quella della camera di Elena che è rimasta aperta.

Alexis sospira mentre un rombo di tuono esplode come una cannonata nel cielo.

 

S C E N A 166

CAPANNO SUL LAGO. Interno notte

Carmela dorme, nuda sul pagliericcio, bellissima. Il suo volto è rilassato e sereno, i lunghi capelli sciolti fanno da cornice al seno turgido.

Rosario, nudo anche lui, inginocchiato a lei la guarda commosso.

Fuori canta un gallo.

Cercando di non far rumore, Rosario va a staccare il fucile da caccia dalla parete del capanno e lo carica con due grosse cartucce.

Il canto del gallo si ripete con una nota di terrore. Gli fa eco un lontano ululare di cani.

Rosario socchiude la finestra che dà sul lago e guarda fuori.

 

S C E N A 167

CAPANNO SUL LAGO. Esterno primissima alba

Un lievissimo chiarore nel cielo ma è ancora buio fitto: uno stormo di uccelli passa radente il lago, stridendo. Sull’altro lato dello stagno sbuca un gregge di pecore al galoppo in un coro di belati disperati. E’ la visione di pochi secondi, gli animali scompaiono oltre il folto.

Rosario, alla finestra, col fucile in pugno, si fa un lento segno della croce, poi stringe i denti e si volta verso l’interno buio.

 

 

S C E N A 168

CAPANNO SUL LAGO. Interno primissima alba

Dentro, l’oscurità è rotta solo dal piccolo alone del lumino ad olio che brucia l’ultimo tratto dello stoppino. Carmela si muove appena nel sonno, sorride. Rosario le punta il fucile al cuore.

Gli occhi del giovane luccicano di pianto e la sua voce sussurra rauca

ROSARIO

Addio amore.

il dito va sul grilletto ma non trova la forza di premerlo.

Lo schianto di un tuono e la luce fortissima di un lampo annullano quasi l’immagine: Carmela spalanca gli occhi. Vede Rosario col fucile puntato contro di lei

CARMELA

E’ ora?

ROSARIO

Sì.

CARMELA

Vestiamoci prima. Se ci trovano così chissà che diranno di me.

Carmela prende il suo vestito da terra. Rosario si infila i pantaloni con rabbia

 

ROSARIO

Maledetto mondo! maledetti tutti!

Carmela gli posa un dito sulle labbra. Rosario la stringe forte a sè.

 

S C E N A 169

CAMERA DA LETTO DI ELENA. Interno primissima alba

La stanza è buia, il riquadro della finestra mostra un poco di chiarore, ma è ancora scuro.

Elena giace supina, immobile, le mani sul ventre. Non sembra essersi mai mossa. Si sente un raspare vicino alla finestra e la ragazza apre gli occhi: una mano d’uomo si aggrappa al davanzale e poi appare la testa di Alexis.

ELENA (sussurra)

Alexis.

Alexis si issa sul davanzale

ALEXIS

Elena, sei tu?

ELENA

Alexis! non puoi essere qui...

la donna richiude gli occhi, convinta di avere delle allucinazioni.

Alexis salta dentro e le va accanto e si china a sfiorarle le labbra secche dalla sete. Elena guarda il volto dell’uomo vicinissimo al suo. Con un filo di voce sussurra

ELENA

Alexis... amore mio, ti ammazzerà!

ALEXIS

Sono venuto a portarti via.

la maniglia della porta della stanza di Elena gira e si sente lo scatto lieve della chiave.

ELENA

Non ce la faremo mai. Lui sa tutto.

ALEXIS

Allora lo ucciderò.

ELENA

Ucciderà te. . . va via!

la porta si apre ed appaiono tre uomini: al centro c’è don Vito armato di pistola, e al suo fianco Bernardo con una lupara, il terzo è il servo che tiene una lanterna .

Nel vano della finestra spunta un altro picciotto con un fucile a chiudere ogni via di fugas.

DON VITO

Mi scusi la poca luce, ma andò via il gas è ancora non è tornato.

punta la pistola verso Alexis che si stacca da Elena. Don Vito sorride da uomo di mondo:

DON VITO

Non so come si usi dalle vostre parti, signor tenente: qui, quando un marito trova la propria moglie a letto con l’amante, ha diritto di uccidere entrambi.

ELENA

Che c’entra lui! Ammazza me.

ALEXIS

Io amo Elena e la sfido a regolare duello.

DON ANTONIO

Mi dispiace, no. Un duello si può anche perdere e io non perdo mai. Se volete fare i romantici potete abbracciarvi e morire insieme.

Don Vito alza il cane della pistola. Bernardo spiana la lupara e il picciotto dalla finestra punta il fucile. La mano di Alexis va alla propria pistola d’ordinanza.

Un frastuono terribile di cose che si spezzano proviene da fuori.

Tutta la casa sussulta. L’uomo, appollaiato sul davanzale della finestra, cade con un urlo nel giardino. Don Vito spara ma il pavimento gli si inclina sotto i piedi e il suo colpo va centrare il soffitto che si sta spaccando in due.

 

S C E N A 170

PANORAMA DI MESSINA. Esterno primissima alba

Il vento è cessato. Per un attimo tutto è fermo, poi una scossa tremenda: come se il suolo su cui sono costruite le case si fosse tramutato in un mare ondoso.

Crollano tetti e si incrinano i palazzi.

 

S C E N A 171

CAMERA DI ELENA E CORRIDOIO. Int. primissima alba

I mobili scivolano sul pavimento andando a fracassarsi contro le pareti. Il letto di Elena urta contro il muro e la donna viene sbalzata di lato. Alexis la afferra e si aggrappa al letto strisciandoci sotto. Poi l’inclinazione del pavimento si inverte e i mobili vanno a sbattere contro la parete di fronte. Bernardo urla, bianco di calce

BERNARDO

U tirrimotu! Madonna santa bedda matri aiutami!

 

don Vito lascia cadere la pistola e si aggrappa allo stipite che adesso sussulta con tale violenza come se volesse scrollarselo di dosso.

Il pavimento cede sotto i piedi di don Vito che urla a Bernardo

DON VITO

Aiutami! Una mano! Dammi una manoooo!

 

ma Bernardo sta ben stretto con entrambe le mani al mancorrente della scala del corridoio e guarda, senza muoversi, verso don Vito sospeso nel vuoto, aggrappato con le unghie allo stipite della porta.

 

S C E N A 172

CASA DI ELENA. SCALA. Interno primissima alba

Rosalia, la sorella di don Vito, in camicia da notte sale la scala urlando:

ROSALIA

Antonio! Antonio!

polvere di calce la imbianca tutta, la scala oscilla e si spezza. Con un urlo disperato, la donna precipita e su di lei crolla una gran massa di macerie.

 

S C E N A 173

CAMERA DI ELENA E CORRIDOIO. Int. primissima alba

La casa trema. Lo stipite cede e don Vito sparisce con un urlo in una nuvola di calcinacci mentre il soffitto crolla seppellendo tutti, poi i muri vacillanti si chiudono l’uno sull’altro come fossero un castello di carte.

Sopra al rumore del crollo il coro infernale di migliaia di voci urlanti terrore.

 

S C E N A 174

PANORAMA DI MESSINA DAL PORTO. Esterno primissima alba.

In sovrimpressione

28 DICEMBRE 1908: Lunedì ORE 5,25 a.m.

un rombo sordo scuote mare e terra. Gigantesche bolle d’aria esplodono sulla superficie acquea del porto mentre le banchine si alzano e si abbassano come fossero diventate di gomma. Le barche urtano e si sfasciano contro i moli.

 

S C E N A 175

STRETTO DI MESSINA.

FERRYBOAT "CALABRIA" IN NAVIGAZIONE. Est. primissima alba

Un lievissimo chiarore staglia i monti della Sila la dove la leggenda ha messo Scilla, il mostro atroce.

Roland fuma, appoggiato alla ringhiera di poppa del ferryboat, lo sguardo verso Messina di cui si vedono ormai soltono gli aloni dei lampioni. Molti sono i passeggeri che sfidano il vento della notte.

All’improvviso la nave "cade" come se il mare le si fosse aperto sotto. La prua va giù a picco in un gigantesco "buco" e i fari illuminano per spaventosi attimi enormi muraglie d’acqua ergersi ben oltre la tolda del ferryboat.

Poi, con la stessa fulminea rapidità, la nave risale in superfice mentre enormi onde le imprimono tremendi movimenti di beccheggio.

Roland aggrappato alla ringhiera resiste alle scosse, ma alcuni passeggeri volano, urlando nel nero delle onde.

Le luci di Messina si spengono, tutte, di colpo.

 

S C E N A 176

PANORAMA DI MESSINA DAL PORTO. Esterno primissima alba

Le luci si sono spente, eccetto i due grandi fanali a gas a ridosso della banchina centrale.

La "palazzata" oscilla in avanti come fosse uno scenario di carta. L’aria si riempie di suoni stridenti che salgono di tono fino a diventare insopportabili.

Tutte le cataste di botti crollano e le botti rotolano sullo spiazzo che si gonfia per una bolla che spinge da sotto e il selciato sembra di gomma.

Tra le botti fugge terrorizzato Minosse mentre Archimede cerca di afferrarlo e l’inclinarsi del piazzale lo fa barcollare.

Le colonne neoclassiche della palazzata cedono e alcuni parti crollano.

Si leva dalla città un orribile coro di urla: terrore e disperazione e dolore.

Si sentono le campane suonare dentro i campanili scossi come alberi al vento.

S C E N A 177

STRETTO DI MESSINA.

FERRYBOAT "CALABRIA" IN NAVIGAZIONE. Est. primissima alba

Il ferryboat "Calabria" è in balia di una serie di gigantesche ondate.

I suoi fari sono puntati sull’acqua. Marinai, sfidando la morte, buttano cime alle persone cadute in acqua.

Roland dà una mano a tirar su i naufraghi, mentre una voce amplificata da un megafono ordina

CAPITANO FALKENBURG

Sono il capitano Falkenburg. Siamo stati investiti da un’ondata di maremoto ma la nave non corre pericolo.Tutti i passeggeri sono pregati di rientrare nei saloni. Non appena farà più chiaro torneremo a Messina. Siete pregati di mantenere la calma.

 

S C E N A 178

CAPANNO SUL LAGO. Interno primissima alba

Rosario e Carmela sono vestiti e la ragazza sta seduta a terra, gli occhi chiusi, le mani giunte, e un sorriso sulle labbra. Rosario le punta addosso il fucile e ha il dito sul grilletto ma non si decide a premerlo.

 

S C E N A 179

CAPANNO SUL LAGO, Esterno primissima alba

La superficie dello stagno si gonfia in un’unica assurda bolla d’acqua mentre tutte le piante intorno sono squassate fino alle radici.

Il capanno si inclina da un lato.

 

S C E N A 180

CAPANNO SUL LAGO, Interno ed esterno primissima alba

Rosario viene sbattuto contro la parete mentre il pavimento si inclina di 45 gradi. Il grilletto del fucile scatta e il colpo esplode come una cannonata.

Carmela urla e il suo corpo rotola ai piedi di Rosario, il volto rigato di sangue.

Per un orribile momento Rosario crede di averla uccisa e, appoggiato al trave inclinato della parete, volge il fucile verso la propria faccia.

CARMELA (con un filo di voce)

Rosario.

il gemito della fanciulla blocca il dito di Rosario sul grilletto. Si inginocchia su di lei.

Un nuovo scrollone viene dal profondo della terra e il capanno si apre: le pareti si staccano le une delle altre e i due giovani si trovano a rotolare sull’erba bagnata dallo stagno la cui assurda bolla esplode nel cielo e l’acqua crolla su di loro con la potenza di una cascata, levando loro il fiato.

L’acqua trascina i loro corpi nella mota dello stagno. Le dita di Rosario passano ansiose sulla faccia coperta di fango della sua donna che apre gli occhi: è come una resurrezione. C’è del sangue fra i suoi capelli. E gli occhi della ragazza sono pieni di paura ma brillano di vita e d’amore e nel fango che le copre le labbra, si apre il bianchissimo e perlato sorriso di Carmela.

ROSARIO

Dio, grazie!

bacia quelle labbra sporche di fango. Carmela si avvinghia a lui mentre la terra torna a sussultare e uno scroscio di pioggia segue ad un tuono secco.

 

S C E N A 181

UFFICIO DI BENIMATI. Interno primissima alba

Benimati si aggrappa al suo tavolo da lavoro che si muove come se fosse sull’acqua.

Dalla porta socchiusa sbuca la canna di una lupara. La impugna lo stesso picciotto dell’attentato precedente che si deve aggrappare allo stipite della porta per non cadere.

Il killer gli fa scoppiare una scarica di pallettoni nel petto.

Benimati si accascia sul pavimento che sussulta con violenza e poi si apre inghiottendolo.

Il killer fugge ma un grosso trave si stacca dal soffitto e lo colpisce al capo, come una terribile randellata vibrata da dio.

La testa spaccata come una noce, il killer crolla sul pavimento seppellito dai mobili che il terremoto frulla come fuscelli.

 

S C E N A 182

PIAZZA DEL DUOMO. Esterno primissima alba

Il campanile sembra una palma scossa dal vento e le campane sbatacchiano con suoni violenti e assordanti.

La gente corre urlando fuori dalle case. Un tetto crolla, la facciata di una casa si abbatte sui tavolini del bar.

VOCI URLANTI

Al mare! Via dalle case! Al mare!

Seminudi, coperti di polvere e sangue, il Calogero e sua moglie corrono tenendosi per mano, diretti al porto

CALOGERO

Se arriviamo al mare siamo salvi!

Il campanile crolla seppellendo la gente sotto le sue macerie.

Una delle grosse campane suona rimbalzando vicinissima al barbiere e sua moglie e travolgendo tre persone.

Le urla di terrore si alzano di tono. Qualcuno cerca rifugio in chiesa.

 

 

S C E N A 183

DUOMO DI MESSINA. Interno primissima alba

Don Corlando è aggrappato all’altar maggiore e prega ad alta voce con grande fede

DON CORLANDO

Gesù santo, ti prego risparmia questa gente. In molti abbiamo peccato ma non sterminare le nostre donne e i nostri bambini innocenti...

la gente entra in chiesa stralunata, le madri in camicia da notte si stringono fra le braccia bambini nudi avvolti in coperte, molti guardano terrorizzati la volta della chiesa

DETTAGLIO: la volta della chiesa si apre e la luce di un lampo penetra attraverso la crepa. Cadono calcinacci

Una donna con due figli fra le braccia crolla in ginocchio davanti alla statua della madonna

MADRE CON FIGLI

Madonnuzza mia bella! Abbi pietà!

la statua cade in avanti. La donna si tira di lato sbigottita evitando l’impatto: la testa della statua spezzata rotola ai piedi della donna e si ferma guardandola con occhi bianchi, spettrali, il colore si è staccato per l’urto, ed è un orribile sguardo di morte. La donna urla mentre crolla un pezzo della volta, seppellendola.

DON CORLANDO (invoca urlando)

Dio abbi pietà di noi!

il pavimento sussulta con tale violenza che don Corlando è sbattuto a terra. Cadono candelieri, icone e crocefisso. L’altare stesso si spezza e si ribalta.

Le colonne si chiudono come quinte di una scenografia, mentre la chiesa tutta crolla in una nuvola densissima di polvere che oscura quasi del tutto l’immagine.

 

S C E N A 184

PIAZZA DEL DUOMO. Esterno primissima alba

La chiesa crolla con un boato spaventoso: resta in piedi solo una parte della facciata con il portale gotico.

Gente ferita, discinta, scarmigliata sta affluendo dalle strade verso la piazza ancora buia.

 

S C E N A 185

STRADA CASA RINALDO. Esterno primissima alba

I muri son sbattuti come foglie. Da tutte le case una grandine di tegole, di vasi, di parapetti, di davanzali, di cornicioni, si abbatte sulla strada.

Una nuova forte scossa ondulatoria fa crollare le case con un grande. I muri cadono sulla gente in fuga, schiacciando molte persone.

Flash tremendi:

una facciata crolla mostrando gli interni delle stanze ammobiliati, simili a tanti palcoscenici in cui si sia interrotta di colpo l’azione.

In alcune stanze si muovono incredule e terrorizzate persone che si affacciano stordite a guardare il vuoto su cui ora si affacciano le loro camere.

All’ultimo piano di un altro caseggiato in crollo, il macellaio che vedemmo rincorrere il toro, rimane appeso per i piedi in un contorto di ferri, la camicia gli avvolge la testa. Tenta invano di afferrarsi con le mani a qualcosa. Un muro crolla ma lui resta là, appeso, proprio come uno dei suoi manzi.

Da un cumulo di travi sbuca Franchina, la segretaria di Benimati, seminuda, sporca di nero e di bianco, il corpo rigato di sangue, corre via urlando da schiantarsi la gola.

Sul bordo della piazza striscia un uomo senza gambe lasciando una scia di sangue.

La fuga diventa disperata: la gente che cade viene calpestata.

 

S C E N A 186

PAGODA E GIARDINO ORIENTALE. Esterno primissima alba

La terra si apre seguendo il sentiero che va alla pagoda che sprofonda nell’abisso mentre un rombo copre la cacofonia delle urla che arriva dalla città, come un coro di dannati infernali.

Un colpo di vento piega fin quasi a terra il ciuffo delle palme.

 

S C E N A 187

ORFANOTROFIO. Esterno primissima alba

L’intera costruzione vacilla.

Dal tetto cade una pioggia di tegole, i vetri si infrangono a terra.

La terra si solleva sotto le basi della grande costruzione che si apre in due.

 

S C E N A 188

CAMERATA DI PEPPINO. Interno primissima alba

Peppino rotola insieme al letto verso la spaccatura che si apre nel muro.

Il vento entra dall’apertura e trasforma la camerata in una diabolica sarrabanda di lenzuola svolazzanti mentre il pavimento sobbalza come la schiena di un cavallo imbizzarrito.

Esseneto grida e scivola, aggrappato al letto, verso la voragine.

Peppino tenta invano di afferrarlo per una mano: il pavimento sprofonda e Esseneto scompare nel buio e nella polvere.

Uno scossone strappa Peppino dal letto a cui si tiene e lo proietta fuori attraverso la spaccatura del muro.

S C E N A 189

STANZETTA DI MARIA ALL’ORFANOTROFIO. Int.primissima alba

Il pavimento della stanzetta si apre al centro. I due letti, quello di Maria e quello su cui sta la suorina restano intatti, ma il pezzo di pavimento su cui c’è il letto della suorina si sta sgretolando e il letto si inclina verso l’abisso.

SUORINA (in panico)

Gesù, Peppino Maria.... Gesù, Peppino.. Maria...

MARIA

Dammi una mano! Presto!

Maria si tende attraverso il baratro nel continuo scuotersi dei muri e allunga una mano verso la suora. Ma questa non è in sè e continua a ripetere la sua giaculatoria.

SUORINA

Gesù Peppino Maria! Gesù Peppino Maria!

MARIA

Coraggio! Sono io Maria! dammi la mano.. di qua il soffitto regge! Forza!

vedendo che la suora è fuori di sè, Maria si sposta cercando di afferrare la suora con entrambe le mani. Ma una nuova scossa fa precipitare il letto e la suora scompare nel buio e nella polvere ripetendo come un automa:

SUORINA

Gesù Peppino Maria...

Maria si trova a dondolare nel vuoto, aggrappata al proprio letto. Ci si abbarbica, trascinandosi sotto.

Un pezzo di soffitto crolla e il pavimento cede. Maria, aggrappata al letto, precipita.

 

S C E N A 190

ORFANOTROFIO. Esterno primissima alba

L’intero orfanotrofio crolla in un calderone di polvere e vapori seppellendo ogni cosa.

Il dottor Neumann viene proiettato sulla scalea insieme ad alcuni ragazzini urlanti e una cascata di mattoni. Neumann fa scudo col suo corpo a tre bambini: un pezzo di muro gli cade addosso ma il robusto dottore riesce a reggerlo con un sforzo tremendo, ma un grosso cornicione crolla sul muro schiacciando sia Neuman che i bambini che ha tentato di proteggere.

 

Il vento impetuoso che piega le palme cessa per un attimo e l’albero si raddrizza: aggrappato tra il fogliame c’è Peppino terrorizzato.

 

 

S C E N A 191

CASA GRIFEO. Interno primissima alba

Concetta la moglie del giudice Grifeo, viene sbalzata dal letto dal terremoto e urla

CONCETTA

Figlie mie!

attraverso la porta, camminando sul pavimento che sussulta così forte da costringerlo a reggersi con le mani, il giudice riesce ad afferrare la moglie per un braccio e la trascina fuori.

Appena in tempo: il soffitto della stanza crolla sul letto e un attimo dopo cede anche il pavimento. Nel buio quasi assoluto, il giudice cammina attraverso due stanze indenni, tenendo per mano la moglie.

CONCETTA (grida)

Alfrida! Alfrida! siamo qui!

non viene risposta e il giudice va ad urtare contro un ostacolo imprevisto: al posto della porta che va nella stanza di Alfrida c’è ora un cumulo di macerie.

E da sotto le macerie spunta un pezzo del corpo di Giacomo, il maggiordomo. In una mano reca una candela spenta. Grifeo la prende e fruga il cadavere finché non trova un fiammiferoe accende la candela.

Concetta guarda quelle macerie sgomenta.

CONCETTA (urla)

Alfrida! Alfrida mia!

 

S C E N A 192

CARCERE. Esterno primissima alba

 

Le urla della gente fanno da colonna sonora.

L’aria è densa di polvere. La strada davanti al carcere si gonfia ed esplode emettendo un getto di vapore simile ad un geyser.

Le spesse mura del carcere mandamentale si spezzano e, nel continuo sussultare dei muri, si intravedono sagome di uomini in fuga. Tra gli altri Lappanazza e Gerlando.

Il capo delle guardie, semischiacciato sotto un trave, geme e Lappanazza gli si avvicina e lo fruga, strappandogli l’orologio che ha nel taschino del panciotto.

CAPO DELLE GUARDIE DEL CARCERE

Aiutami... soffoco..

Lappanazza solleva un blocco di mattoni e con un ghigno glielo lascia cadere sulla testa.

LAPPANAZZA

Crepa sbirro!

e salta sul trave uccidendolo.

 

S C E N A 193

PALAZZO FULCI. Interno primissima alba

 

Il grande scalone che porta ai vari piani si torce e si crepa.

Si spalanca una porta sul pianerottolo del secondo piano e appare Ludovico Fulci in camicia, coperto di polvere, la faccia rigata di sangue, tremante per lo shock.

Stanno scendendo lungo la scala traballante, al lume di una candela, un uomo che porta in braccio una bambina di tre anni e mezzo, una donna incinta, e altri due bambini di cinque e di otto anni. L’uomo indossa un paio di pantaloni qualunque e la giacca da capitano d’artiglieria: è il CAPITANO PETTINI.

Una parte della scala è crollata e il capitano è costretto a una pericolosa acrobazia per far passare i bambini.

LUDOVICO FULCI (urla)

Capitano Pettini! La stanza di mio fratello Nicola è crollata. Lui è sepolto là sotto! L’ho chiamato, m’ha risposto! Mi aiuti a salvarlo!

CAPITANO PETTINI

Onorevole, non posso lasciare i miei figli qui! Qui viene giù tutto! Scenda anche lei! Poi vedremo quello che si può fare per suo fratello!

LUDOVICO PULCI (fuori di sé)

Capitano Pettini! Io le ordino...

CAPITANO PETTINI

Ma che vuole ordinare, maledizione!

Crolla un pezzo del soffitto e la scala si torce in modo pauroso. Il capitano Pettini abbranca i tre bambini per impedir loro di cadere.

La candela cade nel vuoto e incendia con una gran vampata del gas che si era raccolto in basso.

Il capitano afferra in una sola bracciata i suoi tre figli e corre verso il basso superando le fiamme mentre dall’alto la voce di Fulci urla

LUDOVICO FULCI

Capitano Pettini! !

 

S C E N A 194

PALAZZINA TODERO. Interno primissima alba

I mobili della stanza da letto saltellano così forte che l’armadio a specchi urta contro il soffitto. Gli specchi vanno in frantumi.

Todero è seduto sul letto, in camicia da notte, stordito. Annaspa cercando gli occhiali ma il comodino su cui stanno si rovescia mentre nel pavimento si allarga una crepa.

La moglie di Todero, una donna grassa sulla trentina, aggrappata allo stipite della porta urla

MOGLIE DI TODERO

Gigi! Nostra figlia non c’è più! non c’è più!

Todero barcolla verso la donna si trova a guardare nel vuoto: la villetta da quel lato è già crollata e continua ad tremare.

L’autista di Todero, in camicia da notte anch’egli, si sta calando con una corda dal corridoio sventrato per mettersi in salvo.

TODERO

Anselmo! Buttami quella corda! La stanza di Almanda è crollata. . . magari è ancora viva... buttami la corda!

ANSELMO

Ti butto una minchia, padrone! La mia vita vale più della la tua e di quella di tutti i tuoi bastardi! Vieni Rosita, vieni!

l’autista di Todero tira una ragazza verso di sè e la lega alla corda, calandola poi verso la strada, mentre tutto ondeggia e un nuovo boato riempie l’aria.

TODERO

Allora vengo io. . . calami giù. . . devo salvare la mia bambina.

Almanda! Almanda! Mi senti? Sono papà! Adesso ti prendo e ti porto con me! Non avere paura Almanda.

 

S C E N A 195

MAGAZZINO DEL PESCE. Interno primissima alba

Reina sta aggrappato ad uno dei grossi ripiani su cui ci sono tonnellate di pesce congelato.

Due pescatori e alcuni inservienti, infagottati contro il freddo del magazzino pieno di sbarre di ghiaccio, si reggono a fatica alle scaffalature. Il sobbalzare violento di tutto il magazzino fa cadere una pioggia di pesci gelati duri come sassi.Un grosso pesce spada scivola in avanti. Reina lo vede e urla. Il sussultare del terremoto lo fa cadere sulla schiena: precisa come un arpone, la spada del grosso pesce in caduta lo trafigge da parte a parte.

 

S C E N A 196

PIAZZALE CIRCO. Esterno primissima alba

Una luce perlacea illumina il piazzale dove il grande tendone del circo si gonfia e si sgonfia come un enorme spinnaker alle raffiche del vento.

Gli animali sono terrorizzati ed è un coro di barriti, grugniti, nitriti e ululati da bolgia infernale.

I carrozzoni hanno rotto i freni: il piazzale si inclina da un lato e poi dall’altro e i carrozzoni, simili a giocattoli, sbattono uno contro l’altro poi si sfasciano e si rovesciano gettando sul piazzale la gente del circo terrorizzata.

Sherazade rotola in camicia da notte sotto le ruote di un carrozzone.

Scroscia forte la pioggia e il grande tendone si affloscia su se stesso trasformandosi in un gigantesco catino.

Da sotto un carrozzone sbuca. Improvvise le mani di una donna si levano da uno sfascio di legno e ruote e afferrano Pierrot per le gambe con urlo.

La crepa nel piazzale si allarga e punta verso Pierrot che scalcia la donna cercando di salvarsi, ma è troppo tardi: la voragine si spalanca sotto di lui ingoiandolo. La crepa si richiude come una gigantesca bocca sollevando la terra lungo i suoi bordi.

I cavalli del circo irrompono sul piazzale impazziti di paura e travolgono la povera Colette.

Giovanna sbuca da sotto il tendone urlando. La pioggia la investe.

Enorme, semiavvolto da pezzi di telone e sfasciame di legno, l’elefante impazzito, corre verso la ragazza barrendo con la proboscide alzata.

Sherazade la vede e urla

SHERAZADE

Giovanna!

ma la ragazza resta immobile, acciecata dalla pioggia e dalla paura. L’elefante le è addosso. Sherazade, disperata, corre verso Giovanna.

L’elefante impazzito fa tremare la piazza che continua a sussultare. Le sue pesanti zampe fanno rimbombare il suolo come se sotto fosse vuoto.

Sherazade si tuffa sulla ragazza e, insieme rotolano, a terra. Le zampe dell’elefante piombano a pochi centimetri dai loro due corpi. Sherazade stringe forte Giovanna e scoppia a ridere di un riso isterico.

 

S C E N A 197

VIA CAVOUR. Esterno primissima alba

Gli uffici de L’AVVENIRE DI SICILIA crollano del tutto seppellendo Benimati e il suo assassino.

Dovunque gente urlante in fuga sulla strada: donne con bambini avvolti in stracci, vecchi aggrappati alle braccia dei più giovani, facce sporche di sangue.

GENTE URLANTE

Via dalle case! Al mare! Al mare! Qui vien giù tuttoooo!

Minosse sbuca guaiendo terrorizzato e dietro a lui corre Archimede che cerca di acchiapparlo

ARCHIMEDE

Minosse! Vieni qui! Minosse!

la strada si arrotola come una gigantesca lingua di carnevale e Archimede cade sulla schiena.

Una casa si inclina e da una finestra del primo piano esce, sfondando gli infissi, la grossa cassaforte dello strozzino col padrone, in camicia da notte, aggrappato ad essa.

La cassaforte cade schiacciando lo strozzino.

Archimede insegue sil suo cane saltellando anche lui fra le macerie ed evitando la gente in fuga e i crolli continui.

Un bambino, solo, piange disperato mentre dietro a lui un avanzo di muro sta tremando.

Archimede lo vede, guarda il muro che sta per cadergli addosso, e, d’istinto, si tuffa su di lui, facendolo rotolare di qualche metro.

Il muro cade e Archimede cerca di salvarsi rotolando: evita il grosso del crollo, ma un trave gli cade di traverso sulla schiena facendolo urlare di dolore, poi mattoni e calcinacci lo sepelliscono quasi del tutto.

Minosse si blocca all’urlo di Archimede, poi con la coda fra le gambe torna indietro e arriva sulle macerie che seppelliscono il suo padrone. Scava senza esito fino a ferirsi le zampe.

Il cane sembra impazzito: salta davanti alla gente che scappa, cercando di fermare qualcuno per avere aiuto. Torna di corsa alle macerie, abbaia, torna in mezzo alla strada, nel caos dei crolli.

Un omaccione gli dà una tremenda pedata scaraventandolo contro un comò semischiantato. Il povero Minosse guaisce di dolore e poi si rialza a fatica, sbilenco va verso le macerie sotto cui sta Archimede e ulula un lamento disperato.

 

S C E N A 198

PORTO E SPIAGGE DI MESSINA. Esterno primissima alba

Una fiumana di gente impazzita dal dolore e dalla paura sbuca nel porto gremendo le banchine e le spiagge.

Onde nere e piene di pezzi di barche rotte buttano detriti all’asciutto.

Sullo sfondo la "palazzata" sta crollando un pezzo alla volta sotto le continue scosse del terremoto. Le banchine si alzano e si abbassano.

Il barbiere e la moglie Teresa sono fra la gente più vicina all’acqua. Si stanno calmando, il fiato grosso per la corsa. Intorno a loro gruppi familiari si cercano e si abbracciano. Molti piangono forte.

CALOGERO

Ce l’abbiamo fatta, Teresa! Qui siamo al sicuro.

 

Teresa si stringe al marito tremando, lui la accarezza per rassicurarla, guarda verso il mare e sgrana gli occhi terrorizzato.

Teresa si volta anche lei a guardare il mare e urla.

 

Le acque cupe si sono gonfiate: un’onda alta venti metri corre verso la città.

 

La gente cerca di fuggire ma urta contro il movimento di quelli che ancora stanno arrivando.

La maga Cariddi, le braccia spalancate come se attendesse l’abbraccio di un amante lungamente atteso, si offre all’onda gigantesca che si abbatte su di lei e sul porto e sulle spiagge sommergendo tutti e tutto.

 

MAGA CARIDDI

Cariddi, prendi me!

 

Corpi, barche, botti presi dall’acqua vengono sbattuti con violenza contro le mura dei magazzini.

 

Teresa viene strappata dalle braccia del marito e infilzata contro un mozzicone di cancellata come un animale allo spiedo. Il barbiere, portato con violenza dall’acqua si schianta il cranio contro i ruderi della "palazzata."

 

Quando l’acqua si ritira porta con sè migliaia di corpi umani e relitti di ogni genere.

Molti urlano nella schiuma, cercano di resistere all’immane risucchio ma la forza dell’acqua è immensa e porta via persone e cose.

 

Banchine e spiaggie sono ora svuotate e deserte: solo qualche cadavere impigliato qua e là, come la povera Teresa, testimonia il massacro. L’intera folla è stata spazzata via dall’ondata immane. Cariddi ha davvero succhiato tutto.

Un bastimento giace semisventrato contro le banchine, intorno uno sfasciume di barche, gozzi, velieri.

La gente che ancora sta ancora correndo verso il mare si ferma incerta perché una seconda ondata, meno alta della precedente ma altrettanto mortale si sta per abbattere sulle banchine.

L’ondata sommerge la folla e trascina i copri in mare.

I superstiti, allucinati, affranti, storditi, spinti alle spalle da altri fuggitivi che premono, avanzano nello spiazzo antistante al porto fra le pozzanghere e i relitti.

 

S C E N A 199

ORFANOTROFIO. Esterno alba

Aggrappato al ciuffo della palma che ondeggia, Peppino vede suor Angelica, con la camicia da notte intrisa di sangue, che striscia in mezzo alle macerie, tirandosi dietro il corpo inerte di un bambino.

PEPPINO

Suor Angelica!

la suora sente il suo richiamo, lo cerca, ma il suo sguardo è già annebbiato dalla morte.

PEPPINO

Suor Angelica... fammi scendere!

la suora vede Peppino aggrappato al ciuffo della palma. Leva la mano verso di lui ma le forze le mancano e muore sui detriti dell’orfanotrofio.

 

S C E N A 200

SOMMO DI UNA COLLINA. Esterno alba

Rosario e Carmela stanno ritti al sommo di una collinetta che domina Messina. Dal basso sale una nuvola densa di sabbia e polvere. Nella luce di un’alba che non riesce a diventare giorno, guardano increduli verso la città distrutta, senza riuscire a dire parola, mentre un breve scroscio di pioggia sporca li infradicia..

 

S C E N A 201

PANORAMA DI MESSINA TERREMOTATA. Esterno alba

La città vista dall’alto: è un panorama di distruzione, di rovine, di macerie.

Qua e là divampano grandi incendi. Nembi scuri e densi corrono per il cielo.

 

S C E N A 202

CASA DI ELENA. MACERIE, Esterno giorno

Elena ferita, con le vesti stracciate, emerge dalle rovine della casa, strisciando sul ventre.

Si aggrappa con le mani alle macerie per liberarsi il bacino e le gambe.

Si muove di pochi centimetri: le gambe sono intrappolate contro una lamiera arrugginita e tagliente: ad ogni movimento che fa, il ferro penetra nella sua carne.

Si guarda intorno disperata e chiama

ELENA

Alexis!

ciò che vede le leva ogni speranza e ripete singhiozzando

ELENA

Alexis!

un gemito proviene da sotto le macerie, flebile, forse una risposta. Elena urla

ELENA

Alexis, sei tu?

Nessuna risposta. La donna tenta di liberarsi. la lamiera le taglia la coscia per tutta la lunghezza ma riesce ad uscire. Cerca di alzarsi in piedi ma non ce la fa. Si strappa un pezzo della camicia e si fascia la coscia. Zoppica verso il punto da cui è venuto il lamento e chiama

ELENA

Alexis! Rispondi, Alexis!

un gemito proviene da sotto il cumulo di detriti e Elena scava con le mani.

Il sangue le cola lungo la gamba. Scavando, scopre un pilastro di mattoni incastrato nei detriti, spinge con le spalle ma non lo muove di un millimetro.

Il sindaco D’Arrigo, scortato da due guardie armate, passa davanti alle macerie.

ELENA

Signor sindaco! Mio. . . mio marito è qui sotto! Aiutatemi!

D’ARRIGO

Noi dobbiamo scavare i vivi, signora, non i morti!

Elena corre verso il sindaco ma uno dei due guardaspalle la blocca

ELENA

Ma chi glielo dice che è morto?

D’ARRIGO

Nessuno ci dice neanche che è vivo! Venga via con noi, signora Vito.

ELENA

No. . . non può essere morto.

il sindaco le dà un’occhiata di traverso, insospettito e poi brontola

D ‘ARRIGO

U tirrimotu fa diventare scemi. . . se don Vito è morto questa dovrebbe fare festa.

Elena si dimena e arriva a strappare la camicia al sindaco urlando

ELENA

Dobbiamo scavare!

il guardaspalle colpisce Elena al capo col calcio della pistola. La donna sviene e cade sulle macerie. I tre se ne vanno a lunghi passi.

 

S C E N A 203

PORTO DI MESSINA. MACERIE. Esterno giorno

Lento, carico di gente che guarda le rovine della città, con aria inebetita, il ferryboat CALABRIA accosta alla Stazione.

Sull’acqua del porto galleggiano dozzine di cadaveri e sfasciume di ogni tipo.

Roland guarda quella desolazione a bocca aperta.

Il ferryboat attracca e apre i portelloni: la gente si scuote come se solo ora realizzasse la catastrofe. Esplodono urla e singhiozzi: come un’ondata umana, tutti corrono verso le macerie, alla disperata ricerca delle proprie case e dei propri cari.

La terra trema ancora e un frontone della "palazzata" crolla con fragore travolgendo una decina dei nuovi arrivati.

Roland scende a terra e si incammina verso le macerie.

 

S C E N A 204

ZONA DEL GASOMETRO. Esterno giorno

Una giovane madre, sotto shock, si aggira fra le macerie: indossa un grambiule aperto davanti e offre con una mano una mammella ai passanti con aria dolce e melancoica

GIOVANE MADRE

Volete un po’ del mio latte? Il mio bambino é morto, chi vuole un po’ del mio latte?

Roland guarda la pazza, sconvolto. Cammina inorno ad un gasometro circolare e un gruppo di persone quasi lo travolge: stanno correndo verso il mare perché tutt’intorno i muri delle case continuano a crollare.

ROLAND

Sapete dov’era il palazzo dei conti D’Angiò?

UN UOMO

Non c’è più nessun conte! Siamo tutti uguali adesso!

ROLAND (ad una vecchia)

Dov’era il pazzo dei conti D’Angiò? Per favore! C’è la mia donna là!

VECCHIA

Da quella parte. . . ma lasciate perdere, bisogna arrivare alla spiaggia per salvarsi.

Roland non risponde, lascia il gruppetto in fuga e si ficca in mezzo ai muri cadenti, correndo nella direzione indicatagli dalla vecchia.

Con un’esplosione apocalittica esplode il gazometro e la vampata di fuoco brucia l’intero gruppetto di fuggitivi.

Roland viene buttato a terra dallo spostamento d’aria. Si rialza, sporco, insanguinato e riprende la sua corsa in mezzo ai ruderi che crollano.

Il fuoco, spinto dal forte vento, dilaga avvolgendo i monconi delle case.

DETTAGLI:

tendaggi si infiammano come fossero intrisi di benzina.

una villetta avvolta dalle fiamme esplode e dalle sue viscere il tubo del gas soffia fuoco come un lanciafiamme.

tra le macerie di una casa semicrollata, alcune persone lottano per liberarsi, imprigionate da travi, putrelle e detriti: il fuoco li raggiunge e questi disgraziati urlano, urlano e si torcono, diventano uno ad uno fiaccole viventi e bruciano vivi.

da un ‘altra casa avvolta dalle fiamme, una donna butta di sotto i suoi due bambini, avvolti in pesanti coperte e il fuoco le si appicca ai capelli e subito alla camicia da notte. Si butta di sotto avvolta dal fuoco. I suoi due figli si gettano su di lei con le coperte per spegnere il fuoco: ce la fanno, ma la donna è morta e il sangue cola copioso da dietro la testa.

 

S C E N A 205

ORFANOTROFIO. MACERIE. Esterno giorno

Aggrappato alla sommità della palma, Peppino guarda le rovine tutt’intorno, con aria inebetita.

Il vento è cessato. Ai rombi assordanti del terremoto è subentrato un irreale silenzio. Una pesante caligine stagna sulle macerie. Peppino scende dall‘albero.

 

S C E N A 210

PIAZZALE DEL CIRCO. Esterno giorno

Sul piazzale devastato, i carrozzoni sfondati e capovolti, il grande tendone afflosciato a catino e pieno d’acqua piovana, spunta un raggio di sole che subito si spegne al diffondersi di una nuvolaglia nera fatta di fumo e di polvere.

I pochi superstiti del circo equestre, tra cui l’imbonitore, si radunano, feriti e zoppicanti, al centro dello spiazzo.

Sherazade si stacca da Giovanna e si alza.

Inebetite, fradice di pioggia, sporche di fumo e di morchia, alcune persone sbucano sul piazzale, mentre la terra è ancora scossa da qualche fremito che fa oscillare i ruderi intorno. Portano a braccia dei feriti gravi. Alcuni stringono al petto crocefissi, altri innalzano piangendo sacre icone.

Il barone Falcone, in vestaglia e ciabatte, sostiene una donna ferita, coperta da una mantella militare.

Todero, con la figlia stretta fra le braccia, si fa avanti e chiede

TODERO

Avete acqua? La mia bambina ha sete.

il corpulento imbonitore, tragicomico nella sua lunga camicia da notte e papalina, risponde

IMBONITORE

Solo quella piovana che si è raccolta nel telone.

TODERO

Va bene anche quella.

Sherazade indica a a Todero un carrozzone mancante di due pareti ma rimasto sulle ruote:

SHERAZADE

Venite qui, al riparo, ecco, mettete giù la bambina. . . è vostra figlia?

Todero obbedisce e Sherazade sistema un materasso sul pavimento sconnesso del carrozzone e aiuta Todero a stenderci sopra il corpo della piccola. Basta un’occhiata a Sherazade per rendersi conto della realtà: la bambina è morta. Sherazade dà un’occhiata a Todero che le sorride immerso in una beata pazzia:

TODERO

Si é addormentata...

Sherazade annuisce. Copre il cadaverino con un telo e Todero gli fa la risvolta sotto il mento, accarezzando i capelli della bambina con mano lieve

TODERO

Mi resti solo tu, tesoro, ma,vedrai, saremo felici insieme.

Sherazade si allontana e viene afferrata da un uomo sporco di nero e col viso rigato di lacrime, singhiozza

UOMO IN LACRIME

Messina non c’è più! guardate là! Anche l’ospedale… qui si diceva "chiù duru d’a cantunera d’u spitali"… sono morti tutti:, malati, infermieri e dottori1

Il barone Falcone afferra l’uomo da dietro e lo blocca

BARONE FALCONE

Calma, non dobbiamo cedere. Ci aranno decine di migliaia di persone ancora vive là sotto! dobbiamo organizzare i soccorsi... Voi del circo avete scale, corde, coraggio! Ogni minuto perso per molti vorrà dire la morte.

S C E N A 207

CASA GRIFEO. MACERIE. Esterno giorno

Il giudice Grifeo e la moglie, scarmigliati, con le mani sanguinanti, stanno scavando nelle macerie. Il giudice scopre il coperchio di un pianoforte, accanto c’è un ventaglio. Concetta lo raccoglie

CONCETTA

Il ventaglio che mi aveva regalato, oh, povera figlia mia.

il giudice tenta di sollevare un pezzo di muro ma cede di schianto sulle ginocchia, scosso da un singhiozzo.

Arrivano quattro ragazzi, cenciosi, sudati. Concetta li supplica

CONCETTA

Dio vi manda! C’è mia figlia là sotto! Aiutateci,

i quattro si scambiano un’occhiata e poi si mettono a scavare di buona lena. Il giudice e sua moglie cercano di aiutarli, ma vengono respinti con mala grazia.

I quattro estraggono dalle macerie un cassettone, lo sfondano con una spranga di ferro e dentro luccicano posate e altri oggetti d’argento. I quattro arraffano tutto e scappano.

Concetta e il giudice li guardano sbalorditi e poi Concetta ha uno scatto di rabbia ma non riesce a gridare e balbetta

CONCETTA

Povera figlia mia…

Il giudice si alza a fatica, dolorante per tutto il corpo

GIUDICE GRIFEO

Vado a cercare qualcuno che possa aiutarci.

Una nuova scossa fa fremere i ruderi e cadere nuovi calcinacci. L’alto muro rimasto in piedi ondeggia

GIUDICE GRIFFO

Concetta!

il giudice si butta verso la moglie e la solleva in braccio correndo via dalle macerie.

L’alta parete ondeggia due volte e poi crolla con gran rumore e un nuvolone di polvere.

Il giudice inciampa e cade insieme alla moglie, rotolano su ciò che resta della strada e la valanga di mattoni arriva a seppellire tutto fino a pochi centimetri dai loro corpi.

Concetta si rialza con gli occhi pieni di lacrime: ora non c’è più speranza alcuna. Un cumulo immenso di macerie ha coperto il punto in cui stavano scavando.

Il giudice si rialza prende la mano della moglie e si incamminano senza una parola.

 

S C E N A 208

VIA CAVOUR. MACERIE. Esterno giorno

Peppino percorre il tracciato di quella che era la strada, irriconoscibile in mezzo alla caotica e totale distruzione.

Peppino guarda stralunato un pezzo di marciapiede, sollevato a quaranta gradi dal sisma. Sente chiarissime le voci allegre delle ragazze del giorno prima.

VOCI RAGAZZE

Allora domani andiamo al cinema!

Ma io domani ho lezione di piano.

E io domani ho un appuntamento con Andrea!

Peppino si volge di scatto verso il marciapiede opposto ma non c’è nessuno: solo silenzio, distruzione e morte.

Ora sente allegra e prorompente la "banda" del circo equestre: sembra provenire da dietro un cumulo di macerie. Peppino corre da quella parte ma non c’è nessuno. Sente chiarissima la voce di Giovanna che gli dice

VOCE GIOVANNA

Dì alla tua mamma che hai un biglietto gratis per domani...

Peppino torna al centro della strada e da dietro un angolo di casa rimasto in piedi, ecco la voce di Sherazade:

VOCE SHERAZADE

Domani, caro. Stesso posto, stessa ora. .

ora le voci che ha sentito, per la prima volta nella sua vita, il giorno prima, gli vengono da ogni dove: da cumuli di macerie, da finestre vuote, da voragini aperte dal terremoto, da cadaveri schiacciati sulla strada.

VOCI

Pagherò domani, vi ho detto!

Domani, domani! Sempre domani! Finchè un bel giorno domani non ci sarete più!

Peppino vede un moncone con la finestra da cui aveva sentito le voce delle ragazze

VOCI

A domani , amore

A domani...

si sente il suono dell’omnibus a cavalli che transita lungo la via. Peppino si volta di scatto a guardare l’incredibile susseguirsi di cumuli di macerie, ma lui sente ancora i suoni allegri, pieni di vita del giorno precedente

VOCI

Ciao! E ricordati di portarmi il libro domani a scuola!

VOCE DI SUOR ANGELICA

Domani ne parlo con la Superiora.

Peppino si tappa le orecchie con le mani, disperato.

VOCI (mixed)

Domani, a domani... domani.., domani

Peppino scoppia a piangere e urla, isterico

PEPPINO

Oggi è domani! Dove siete tutti! Dove???

si mette a correre senza guardare dove mette i piedi.

Minosse, coperto di polvere e con le zampe insanguinate gli si avventa addosso.

Peppino si scuote, guarda Minosse uscendo solo ora dal suo incubo sonoro. Si guarda intorno e adesso vede tutto il disastro. Sussurra allibito

PEPPINO

Dio mio. . . era tutto così bello.

Il cane guaisce, corre via per alcuni metri, si ferma, abbaia, torna verso Peppino e poi torna a correre via. Peppino gli risponde

PEPPINO

Ho capito.. . vengo.

Minosse con tre balzi raggiunge un uomo ritto in piedi che gli dà le spalle, a gambe divaricate, nell’inequivocabile posizione di chi sta soddisfacendo un bisogno corporale.

L’uomo è Saverio Condò e sta pisciando addosso ad Archimede bloccato a mezza schiena, irridendolo

SAVERIO CONDO’

Archimede, avete finito di rompere i coglioni!

Il cane con un latrato feroce addenta Condò ad una gamba Il picciotto lancia un urlo di dolore e scalcia per liberarsi dal morso. Furibondo estrae un coltello

CONDO’

Cagnaccio fetuso.

ARCHIMEDE

Minosse! Via!

il cane molla la gamba dell’uomo e scappa inseguito da Condò zoppicante.

Arriva Dellatro che grida

DELLATRO

Saverio, qua! Guarda che ben di dio!

e mostra le mani piene di banconote. Condò lascia perdere il cane e corre da quella parte: banconote e i gioielli di Rosina Storchi sono sparsi intorno alla cassaforte sfondata dello strozzino, morto schiacciato sotto di essa.

Condò raccoglie gioielli e denaro e se li ficca i tasca, imitato da Dellatro.

Peppino ha rallentato, intimorito dalla presenza dei due sciacalli, Minosse torna indietro e si ferma là dove giace Archimede, bloccato dalle macerie. Il cane gli ha pulito la faccia con la sua lingua, mugola e si accuccia.

Il cantone di un palazzo di tre piani è ancora in piedi e un balcone in parte divelto penzola pericolosamente sopra Archimede.

Peppino si inginocchia accanto a lui che torce la faccia in una smorfia

ARCHIMEDE

Hai visto, ragazzo? Il padreterno s’è stufato di noi...

Peppino afferra il trave e cerca di sollevarlo ma è troppo pesante.

Una nuova scossa fa tremare il rudere e dondolare il balcone. Peppino viene investito da una pioggia di calcinacci.

Condò e Dellatro scappano.

ARCHIMEDE

Quel muro può cadere da un momento all’altro, stai lontano.., tanto con questo trave maiale non ce la farebbe nemmeno un elefante. Vedi se trovi qualcuno che ti dia una mano. . . Attento, però. . . la gente e più matta e pericolosa di prima: il mio povero Minosse ha preso solo calci...

lo sforzo di parlare è troppo e Archimede chiude gli occhi, abbandonandosi.

PEPPINO

Troverò qualcuno. Fidatevi di me.

 

S C E N A 209

PALAZZO DEI CONTI D’ANGIO. MACERIE. Esterno alba

Roland arriva ansimando davanti a quel che resta di un palazzotto. Solo un muro è rimasto in piedi il resto è un cumulo di detriti, sui quali due uomini stanno scavando: sono Saverio Condò e Guido Dellatro

ROLAND

Era questo il palazzo dei conti D’Angiò?

SAVERIO CONDO’

Siamo arrivati prima noi, amico! Fatti un giro, ce n’è da scavare.

Roland si allontana ma un urlo terribile di donna lo fa volgere di scatto.

SAVERIO CONDO’

Contessa D’Angiò, all’inferno non le serviranno anelli…

Roland torna gridando

ROLAND

Contessa!

si ferma inorridito: quello che vede è agghiacciante: i due sciacalli sono riusciti a liberare fino al busto una signora di mezza età che respira a fatica. Condò le blocca un braccio e Dellatro le tronca un dito col coltello poichè non riesce a sfilarle un anello con un grosso smeraldo. La contessa urla più per l’orrore che per il dolore.

GUIDO DELLATRO

Ficca qualcosa in bocca alla contessa!

SAVERIO CONDO’

Adesso vedrai che sta zitta...

Condò le taglia la gola con un colpo netto.

Roland si avventa sui due armato di una pietra e colpisce l’assassino alla nuca. Condò crolla in avanti: dalle tasche gli escono gioielli e monete.

Dellatro colpisce Roland e lo manda sopra al corpo di Condò poi tira fuori dalle brache una pistola e gliela spiana contro.

Un colpo di revolver esplode ma è lo sciacallo a crollare, con la faccia insanguinata.

Ha sparato uno dei due guardaspalle del sindaco. L’altro punta la pistola contro Roland.

D’ARRIGO

Quello non è uno sciacallo, lo conosco, è un francese. Monsieur Darracq! Venga via di lì. Ho dato ordine di sparare a chiunque scavi macerie non sue. Cercava qualcuno là sotto?

ROLAND

Sì. La contessa D’Angiò.

D’ARRIGO

Allora, l’ha trovata. Andiamo ragazzi.

Roland si volta a guardare la vera contessa D’Angiò, riversa tra i detriti.

 

S C E N A 210

CASA FORGIONE. MACERIE. Esterno giorno

Tutto il complesso di casa Forgione è diroccato e avvolto da alte fiamme: bruciano il fienile, la casa colonica, i carri sull’aia.

Al limitare dell’incendio, Rosario e Carmela guardano impietriti. Carmela abbraccia il ragazzo che nasconde il volto nei capelli di lei.

 

S C E N A 211

PALAZZO DEL BANCO DI SICILIA. MACERIE. Esterno giorno

Pezzi di muri ancora in piedi, spicchi di stanze arredate.

Di traverso sulle macerie parte delle grandi lettere che formavano la scritta BANCO DI SICILIA.

Un bambino piange aggrappato con le mani ad un tubo contorto a sette metri da terra, scalciando nel vuoto tentando invano di trovare appoggio.

Il barone Falcone, Sherazade e Giovanna indicano il bambino ad alcuni acrobati del circo

FALCONE

La scala, presto!

Gli acrobati appoggiano alla parete una lunga scala ma non appena uno di loro sale i primi scalini, la parte di muro su cui poggia la scala crolla con fragore.

Il povero bambino urla.

BARONE FALCONE

Niente scala! Andate su, a piramide, come fate nello spettacolo!

gli acrobati, velocissimi, si dispongono: tre si abbracciano fianco a fianco, due salgono sulle loro spalle, e il terzo, in cima a tutti, arriva ad afferrare il bambino.

Il piccolo, isterico, non riesce più ad aprire le mani. L’acrobata gli dà uno strattone e la piramide umana oscilla.

Giovanna urla al bambino

GIOVANNA

Vuoi venire a fare un giro sul mio cavallo?

il bambino guarda Giovanna che gli fa un cenno di richiamo, annuisce e apre le mani. L’acrobata lo prende fra le braccia e un attimo dopo è in salvo.

La voce di Peppino fa volgere Giovanna di scatto:

PEPPINO

Giovanna!

GIOVANNA

Peppino!

 

i due ragazzi si corrono incontro e si abbracciano forte.

GIOVANNA

Pensavo che anche tu fossi morto.

Cinquanta passi dietro ai due, altri del circo con l’elefante, sono impegnati a spostare un grosso intrico di ferro e cemento. L’elefante tira possente.

Peppino indica l’elefante che sta trascinando un grosso blocco con facilità:

PEPPINO

Quello mi serve! Subito! C’è un amico mio, qui vicino, schiacciato da un trave! io

non ce la faccio, ma lui...

Giovanna gli sorride e corre verso l’elefante gridando

GIOVANNA

Ercole! C’è un uomo sepolto vivo!

 

S C E N A 212

CASA TORCELLO. MACERIE. Esterno giorno

Il cadavere di Brunilde Torcello giace, schiacciato, contro quel che resta della cinta.

La casa è sprofondata e anche l’orto è sconvolto: una grossa gobba di terriccio si erge fra i ruderi della casa.

Carmela non ha il coraggio di toccare il corpo della madre e Rosario la abbraccia forte, costringendola a girare la testa verso il suo petto e a non guardare. Una voce si lamenta poco lontano

 

VOCE DI BAMBINO

Tiratemi fuori.... soffoco!

ROSARIO

Carmela, un bambino chiede aiuto dall’altra parte della strada. Carmela!

le prende il volto fra le mani e le dice con forza

dobbiamo aiutare i vivi adesso!

 

S C E N A 213

ORFANOTROFIO. MACERIE. Interno buio.

Maria sputa la calce che le riempie la bocca. Da una fessura penetra la luce del giorno. La ragazza è semischiacciata dal letto che le ha salvato la vita. Si tira fuori, ma il movimento provoca una valanga di mattoni e calcinacci.Avvicina la bocca alla fessura, respira e grida

MARI A

Aiutoooo!

cerca di allargare la fessura e si trova davanti al piede del grande crocefisso d’ebano del convento. Cerca di smuoverlo ma una cascata di sassi chiude anche quella piccola fessura. Adesso è buio.

MARIA

Aiutooooo!

S C E N A 214

CASA DI ELENA. MACERIE. Esterno giorno

Elena sta scavando a mani nude.

Escoriata, scarmigliata, esausta, sposta blocchi di mattoni e di calcinacci, solleva travi scavando prima tutt’intorno per liberarli.

Lavora tentando di allargare un pertugio che sprofonda tra le macerie. Si affaccia ansimante e grida

ELENA

Alexis! . . . sei vivo?

si odono da sotto terra tre piccoli colpi, un segnale.

ELENA

Ho sentito! Resisti!

riprende a scavare.

 

S C E N A 215

VIA CAVOUR. MACERIE. Esterno giorno

Due grosse catene vengono passate, da quelli del circo, sotto il trave che schiaccia Archimede mentre Minosse se ne sta in disparte a guardare, agitando la coda, senza nessuna paura del grosso elefante.

PEPPINO

Archimede, avete detto elefante. . . e un elefante vi ho portato!

l’uomo trova la forza per un debole sorriso mentre le catene si tendono

GIOVANNA

Forza Ercole, tira!

l’elefante si incammina e il trave si solleva puntando su un lato. Il movimento del trave fa tremare il muro ancora in piedi.

BARONE FALCONE

Attenti!

Peppino e due uomini del circo trascinano via Archimede un attimo prima che il muro crolli. Si sentono urla, grida. Archimede tossisce e cerca di alzarsi ma ha una gamba spezzata

ARCHIMEDE

Minosse!

ma il cane è scomparso sotto il crollo. Archimede si trascina con le mani sulle macerie

ARCHIMEDE

Minosse! Il mio cane. . . mi ha salvato la vita! Minosse!

BARONE FALCONE

Presto! Da questa parte! C’è altra gente qui sotto!

quelli del circo sciolgono le catene dal trave e si allontanano nella direzione presa dal barone. Peppino e Giovanna restano accanto a Archimede che grida

ARCHIMEDE

Minosse!

un guaito debole proviene da sotto le macerie. Archimede scava con le mani poggiandosi sul ginocchio della gamba sana, ma come tocca i mattoni altri ne cadono, colpendolo.

PEPPINO

Archimede, dobbiamo andar via di qui...

ma il cantastorie scava con le unghie fra i detriti. Fa un buco e ci grida dentro

ARCHIMEDE

Minosse!

risponde un altro guaito. Archimede cerca invano di allargare il foro: il cumulo di mattoni che ha seppellito il cane è enorme

PEPPINO

Non si può far niente, Archimede.

GIOVANNA

Nessuno scaverà per un cane con tanti cristiani da tirar fuori...

ma Archimede si lascia cadere vicino al pertugio e parla al suo cane

ARCHIMEDE

Minosse... mi senti? Io sono qui... io non mi muovo da qui finchè non ti salveranno.., amico mio, sei l’unico che non merita di morire. Perdonami se non ho saputo darti tutto quello che

meritavi.. .una buona cuccia asciutta e calda, un pezzo di carne tutti i giorni. Però tu lo sai... sei l’unica cosa vivente che abbia amato.

Giovanna prende Peppino per mano e china la testa

GIOVANNA

Vieni, non credo che voglia che lo ascoltiamo.

Peppino annuisce e si lascia guidare dalla ragazza.

 

S C E N A 216

PANORAMA DI MESSINA. MACERIE. Esterno tramonto

Il sole tramonta, filtrando attraverso la pesante caligine che stagna sulla citta distrutta. Molti incendi punteggiano il panorama della catstrofe.

 

S C E N A 217

RADA DI AUGUSTA. Esterno notte.

La flotta russa è all’ancora nella rada con le luci di posizione accese.

Dalla nave ammiraglia parte una segnalazione luminosa indizzata alla MAKAROV che risponde col segno di ricevuto.

 

S C E N A 218

INFERMERIA SULLA MAKAROV. Interno notte

Yuri è steso su una delle brandine dell’infermeria. Sta dormendo ma si agita in preda ad un incubo.

 

S C E N A 219

INCUBO. EFFETTO IRREALE

In un vortice di fumo, un grande crocefisso con un Cristo d’ebano.

Yuri col petto coperto di sangue avanza stremato verso quel crocefisso che ora non ha più un Cristo inchiodato sulla croce ma il corpo annerito di Maria. Yuri urla.

 

S C E N A 220

INFERMERIA SULLA MAKAROV. Interno notte

Yuri spalanca gli occhi, sudato.

Si sente un gran trambusto per il corridoio e poi il rumore delle macchine che salgono di giri.

Il marinaio Boris spalanca la porta e gli grida

 

BORIS (in russo)

Yuri! Hai un culo così: stiamo tornando a Messina!

Yuri balza giù dal letto ma un infermiere lo blocca

 

YURI (in russo)

A Messina?..

BORIS (in russo)

Sì! Il contrammiraglio Litvinov ha deciso di tornare a prendere la tua Maria con tutta la flotta.

 

S C E N A 221

PORTO DI MESSINA. MACERIE. Esterno notte

Uomini, donne, vecchi e bambini si aggirano sui moli devastati. Sullo sfondo i ruderi di Messina: molti incendi stanno consumando quel che resta della città.

Seduti a terra, avvolti in una vela stracciata, ci sono Carmela e tre bambini piccoli dai grandi occhi sgranati. Sono immobili, sotto shock.

Rosario si avvicina, scavalca un cumulo di rottani e porge ai bambini un pezzo di cioccolata in parte schiacciato e sporco di terra

ROSARIO

Non sono riuscito a trovare altro. Coraggio, è buono.

un uomo sulla trentina, dalla faccia da bruto, abbatte la sua manona callosa sul braccio di Rosario e lo blocca mentre con l’altra afferra il pezzo di cioccolata ficcandoselo in bocca con tutta la stagnola.

ROSARIO

Bastardo!

cerca di colpire il bruto ma altri due lo afferrano da dietro e lo buttano a terra

 

ALTRO BRUTO

Dove l’hai trovato quel cioccolato? Vuoi tenertelo tutto per te, fetuso? Parla!

Un altro uomo strappa la vela che ripara dal freddo Carmela e i bambini e si china sulla ragazza

TERZO BRUTO

Conosco un altro modo per star caldi...

Rosario ha una reazione che coglie tutti di sorpresa: afferra tra i detriti un asse spezzato e colpisce con violenza, stordendo i due che lo hanno buttato a terra e centrando poi, di taglio, la testa dell’uomo che ha afferrato Carmela. L’uomo crolla sulle ginocchia come un bue al mattatoio però la rissa ha attirato l’attenzione di altra gente.

VOCI

Che succede?

Quello ha trovato un posto dove c’è roba da mangiare!

Dove? chi?

Lui!

un cerchio minaccioso si stringe intorno a Rosario che protegge Carmela e i bambini brandendo il pezzo di legno, ma la folla ingrossa e si fa più minacciosa

VOCI

Non ce lo vuol dire!

Vuol mangiare tutto lui e quella sucaminchia che si tira dietro!

Dove hai trovto da mangiare ah?

Rosario è ormai serrato da presso e grida

ROSARIO

Alla stazione del ferryboat! Al deposito della stazione!

il cerchio di folla minacciosa ondeggia e si scompone: tutti corrono verso la stazione urlando

VOCI

Solo per i ricchi tengono la roba! La nascondono alla stazione, questi pezzi di merda!

Rosario avvolge Carmela nella vela stracciata e prende per mano i bambini

ROSARIO

Andiamo via di qui. Presto. Se camminiamo svelti prima dell’alba siamo in campagna.

 

S C E N A 222

STAZIONE FERROVIARIA. Interno esterno notte

La stazione é danneggiata. Alcuni vagoni giacciono ammonticchiati l’uno sull’altro.

Una folla di gente disperata si accalca lungo i binari contorti.

Dei doganieri sono a custodia di un magazzino di merci e danno qualcosa da mangiare alle donne e ai bambini: latte in polvere, farina, sacchetti di legumi.

D’un tratto una torma di persone di ogni ceto, d’ogni età, lacere, folli, di quella follia che è furore incomposto e bestialità insieme, irrompe nella stazione col proposito del saccheggio, pronta ad uccidere pur di avere qualcosa da mangiare e una giacca per ripararsi dal freddo.

E’ una scena orribile: i nuovi venuti strappano i vestiti agli altri, urlano e bastonano, tentando di sfondare il cordone di doganieri,

Un doganiere crolla a terra con la testa insanguinata. Una voce urla da dentro il magazzino

VOCE COMANDANTE

Sparate!

i doganieri aprono il fuoco contro gli assalitori. Le fiammate delle pistole, la gente che cade, la marea che urla e sbanda e travolge i più deboli, sono dettagli di una scena assurda e infernale.

 

S C E N A 223

PONTE DELLA MAKAROV IN NAVIGAZIONE. Esterno alba

Sulla tolda c’è il comandante Ponomarov e alcuni ufficiali, tra cui il sottotenente Sacha.

Ponomarov guarda col cannocchiale.

PONOMAROV (sbigottito, in russo)

Mio dio…

 

S C E N A 224

PORTO E PANORAMA DI MESSINA. MACERIE. Esterno alba

Visto dalla tolda della Makarov: il panorama di Messina si delinea in tutta la sua devastazione: incendi bruciano ancora qua e là. Un fungo di fumo nero grava sulla città.

 

S C E N A 225

PONTE DELLA MAKAROV IN NAVIGAZIONE. Esterno alba

PONOMAROV (in russo)

E’ più grave di quanto potessi immaginare... Presto, organizzate le squadre di soccorso. Dieci uomini per squadra. Chi sa qualche parola di italiano?

SACHA

Solo il tenente Alexis Golutva, comandante.

PONOMAROV

Lui è già in quell’inferno... scegliete quelli che parlano francese. Uno per ogni squadra. . . cibo, coperte, corde, pale, tutto quel che serve per dissotterrare una città.

Gli ufficiali corrono a dare gli ordini e si calano le scialuppe. Da un portello si affaccia pallido Yuri che guarda incredulo la città distrutta. Taglia la strada al comandante

YURI (in russo)

Signor Comandante.

UN UFFICIALE (in russo)

Marinaio, come ti permetti! Lo faccio mettere ai ferri signor comandante.

YURI (in russo)

Chiedo di partecipare al soccorso. Adesso sto bene. .

PONOMAROV (in russo)

Va bene, marinaio. Mettetelo nella prima squadra.

 

S C E N A 233

PORTO E RADA DI MESSINA. MACERIE. Esterno giorno

Il sole illumina il panorama di distruzione e di morte quando la Makarov entra nella rada e butta l’ancora a cento metri dalle banchine, dietro sta arrivando una seconda nave.

Sei scialuppe vengono calate in mare

Sulla prima, comandata da Sacha, Yuri rema come una furia.

La gente si ammassa vicino all’acqua e dieci mani si tendono per prendere la cima della barca di Yuri. I marinai russi saltano a terra e subito sono stretti dalla folla,.Yuri guarda quelle facce allucinate e sporche, alla vana ricerca di quella di Maria.

SACHA (in francese)

Un po’ di spazio per favore, state indietro.

ma la gente ha visto le provviste sulla barca e molti si gettano in acqua per fare prima.

Due saltano nella scialuppa dal molo, mani si aggrappano ai fianchi della barca e i due che sono a bordo picchiano su quelle mani senza pietà.

Sacha estrae una pistola e spara un colpo in aria. Tutti si fermano.

SACHA (in francese)

Fermi! Ce n’è per tutti! Voi due, tornate a terra! E anche voi! Arrivano le altre scialuppe, ce n’é per tutti... mettetevi in fila!

i marinai russi distribuiscono in quelle cento mani avide e sporche, pane, gallette, carne essiccata. Una bambina bionda, scalza, pallida, prende per mano Yuri e gli dice

LUCIA

Mi chiamo Lucia. Vieni a scavare la mia casa? C’è il mio papà sotto..

YURI (ripete)

Papa?

LUCIA

Sì, il mio papà. . . vieni!

Sacha annuisce a Yuri e poi fa cenno agli altri di seguirlo

SACHA (in russo)

Da qualche parte bisogna cominciare, andiamo!

Da una delle scialuppe sbarca il comandante Ponomarov che si guarda intorno costernato. Poi dà alcuni ordini secchi agli ufficiali che sono con lui

PONOMAROV

Sono troppi... non possiamo portarli tutti a bordo. Tirate su delle baracche, un’infermeria, là c’è legname a sufficienza.

e indica lo sfasciume di botti sventrate, travi divelte, pezzi di barche.

 

SCENA 227

PALAZZATA. MACERIE. Esterno giorno

Sacha e la sua squadra scavalcano un cumulo di cadaveri che la mareggiata ha spinto tra i ruderi della palazzata e si dirigono verso la città distrutta.

 

S C E N A 228

CASA ELENA. MACERIE. Esterno giorno

Elena giace riversa tra i resti della propria casa. Il cunicolo che è riuscita a scavare è lungo appena un metro.

Un suono di voci e di passi. Elena si alza: ha il volto sporco di nero, le mani sporche di sangue raggrumato e la camicia lacerata la copre assai poco.

Sei uomini, tra cui Gerlando, armati di picconi, spranghe e pistole, capeggiati da Lappanazza, si fermano a pochi passi dalla donna

LAPPANAZZA

Andiamo a scavare il Banco di Sicilia. Ci dev’essere la cassaforte là sotto.

GERLANDO

Anche se la troviamo quella non la apriamo coi picconi. Meglio scegliere i palazzi dei ricchi.

ELENA

Lappanazza! Venite qui, vi prego, c’è qualcuno vivo qua sotto!

LAPPANAZZA (ridendo)

Mia cara signora, con questa bella festa che ci ha preparato il Padre Eterno, volete che perdiamo tempo a salvare qualche storpio fetuso?

il gruppo di sciacalli ride. Elena si alza in piedi e giunge le mani, muovendo qualche passo

ELENA

Vi prego!

LAPPANAZZA (ai compari)

Oh, la signora mi prega! Prova a pregarmi a gambe aperte!

ELENA

Attento a come parlate! Don Vito è intrappolato qui sotto ma è vivo e se non lo tirate fuori subito, credo proprio che ve ne farà pentire.

Lappanazza dà una spinta a Elena facendola cadere a terra, poi le mette un piede sul ventre, le parla con odio

LAPPANAZZA

Non hai capito, signora di questa minchia, che quel mondo è finito? Adesso non ci son più pezzi da novanta, niente amicizie col sindaco, col prefetto, coi deputati. . . niente picciotti che uccidono a comando, niete puttane come te che danno ordini come se fossero le padrone del mondo. Adesso gli ordini li diamo noi perchè abbiamo queste e questi!

Lappanazza si tocca la pistola che porta alla cintola e poi i testicoli.

UNO SCIACALLO

Se è la casa di don Vito vale la pena di scavare! Ci sarà nascosto un tesoro da qualche parte.

GERLANDO

Don Vito non si fidava delle banche, teneva tutto in casa.

e comincia a lavorare di piccone, facendo franare parte delle macerie.

Lappanazza volta le spalle a Elena e anuisce

LAPPANAZZA

Forza ragazzi e se troviamo vivo quel pallone gonfiato, lo sgonfiamo una volta per tutte!

tutti si mettono a scavare, allargano il cunicolo, lo approfondiscono.

Elena segue lo scavo affranta ma con un filo speranza.

 

 

S C E N A 229

ORFANOTROFIO. MACERIE. Esterno giorno

Guidati dalla piccola Lucia che ha preso per mano Yuri, la squadra di russi passa accanto alle macerie dell’orfanotrofio.

Su uno dei cumuli di mattoni spunta il grande crocefisso col Cristo in ebano che stava nella stanza della Superiora, uguale a quello del sogno di Yuri, ma il marinaio non lo vede.

YURI (a Lucia)

Ti snaiesc. . . tu nosce Maria?

La bambina scuote la testa e trascina il gruppo da un’altra parte.

LUCIA

Il mio papà è là!

 

S C E N A 230

PIAZZA DEL DUOMO. Esterno giorno

Dal DETTAGLIO dell’orologio del campanile fra le rovine segna ancora le 5,25, ora del terremoto, ad un ragazzo che urla, tirando le gambe di un uomo semisepolto

RAGAZZO

Papà! Papà!

qualche metro sopra di lui, semischiacciata tra due muri crollati e appoggiati l’uno all’altro, c’è il cadavere nudo di una bellissima donna.

 

S C E N A 231

RUDERE IN FIAMME. Esterno giorno

Yuri e gli altri marinai russi si fermano davanti al rogo che avvolge il rudere di una casa. Lucia guarda Yuri con occhi pieni di speranza

LUCIA

Il mio papà è in cantina. Io sono passata in un buco ma è troppo piccolo per lui.

Si avvicina un uomo, col vestito bruciacchiato, i capelli strinati dal fuoco, la faccia nera dal fumo che agita una pala

UOMO CON PALA

Non si può far niente qui! Venite con me, c’è mia moglie incastrata tra due muri.

LUCIA

Prima il mio papà! Li ho portati io qui!

Yuri annuisce alla bambina che lo trascina verso le fiamme e gli indica un piccolo cunicolo, dove sembra poterci passare a mala pena un gatto

LUCIA

Io sono uscita di là.

Yuri si avvicina al buco, le fiamme sono vicinissime. Grida

YURI (in russo)

C’è qualcuno?

VOCE DEL PADRE DI LUCIA

Aiuto! Le pietre stanno diventando roventi! Ttiratemi fuori!

LUCIA

Papà! Papà, ti ho portato i soldati... adesso ti tiriamo fuori...

Yuri guarda i compagni che scuotono la testa indicano l’incendio sempre più furioso.

Yuri si leva la giacca, se la avvolge sulla testa e scava con gli altri per allargare il passaggio.

VOCE DEL PADRE DI LUCIA

Presto per carità!

UOMO CON PALA

Attenti! Vien giù tutto!

il rudere crolla con fragore in una nuvola di scintille e di fumo nero.

Nel crollo si apre una breccia e attraverso il fuoco e il fumo Yuri vede un uomo intrappolato che tenta di liberarsi mentre le fiamme lo lambiscono.

Lucia si butta verso il padre urlando

LUCIA

Papà!

Yuri l’afferra, la solleva fra le braccia e le getta ad un compagno che la acchiappa al volo.

Yuri si butta nel fuoco, raggiunge l’uomo, lo libera e lo trascina fuori con la giacca in fiamme. I suoi compagni spengono il fuoco che si è appiccato ai suoi abiti e a quelli del superstite con grandi manate, che si trasformano poi in manate di congratulazioni.

La bambina e l’uomo singhiozzano uniti in un abbraccio.

 

S C E N A 232

ORFANOTROFIO. MACERIE. Interno buio

L’acqua e il fango stanno sommergendo Maria aggrappata ad uno spezzone di muro per portarsi il più in alto possibile, ma il livello continua a salire.

Maria succhia l’aria premendo il volto contro due pietre. Un piccolo tonfo: accanto a lei nuota un grosso topo. Maria urla.

 

S C E N A 233

ORFANOTROFIO. MACERIE. Esterno giorno

Yuri e i suoi compagni seguono, correndo, l’uomo con la pala. Il grido di Maria giunge ovattato alle loro orecchie. Yuri si ferma, ma l’uomo con la pala lo supplica disperato

UOMO CON LA PALA

Presto! Mia moglie muore, mi capite?

ripete sillabando, battendosi la mano sul petto, quasi che sillabando i russi debbano comprendere

Mia. . . mo. . . glie. . . muo . re. . . . mia mo. . . glie!

Yuri annuisce e si affretta dietro all’uomo, lancia un’occhiata alle rovine dell’orfanotrofio e il suo sguardo cade sul grosso crocefisso col Cristo in ebano nero.

YURI

Maria!

corre verso quel segno magico, uguale al suo sogno, tira con forza il crocefisso, estraendolo dalle macerie e grida in quel buco

I GOR

Maria!

 

S C E N A 234

ORFANOTROFIO. MACERIE. Interno buio

L’acqua sta sommergendo il volto di Maria.

Apre la bocca per urlare ma un fiotto di fango gliela riempie. Tossisce, strabuzza gli occhi e si abbandona scivolando sotto la melma.

 

S C E N A 235

ORFANOTROFIO. MACERIE. Esterno giorno

Yuri afferra con le mani un pilastro che blocca il cumulo di detriti e tira.

I suoi corrono a dargli una mano. Il pilastro si muove un poco e Yuri grida

YURI (in russo)

Qui sotto c’è Maria! L’ho sognato questo crocefisso! L’ho sognato! Dobbiamo fare presto!

usa il piede del crocefisso come leva e il pilastro si alza. Un marinaio urla all’uomo con la pala che si è fermato a guardare

UN MARINAIO (in russo)

Vieni anche tu, maledizione!

L’uomo capisce il senso dell’esortazione perchè molla la pala e va a sostenere il trave,

Il trave si alza e Yuri vede sotto una pozza di fango.

UN MARINAIO (in russo)

Non c’è nessuno qui... solo merda!

ma Yuri si getta nel fango e draga con le braccia tirando fuori il corpo esanime di Maria,

YURI

Maria...

le pulisce il volto con dita amorevoli, gli occhi, la bocca

YURI(in russo)

…non puoi essere morta. . . Maria!

la donna dà un piccolo colpo di tosse. Yuri urla la sua gioia

YURI (in russo)

Cristo ti ringrazio!

Maria tossisce più forte e apre gli occhi. Stenta a mettere a fuoco la faccia diYuri, poi sussurra

MARI A

Yuri. .. ti ho chiamato tanto.

la ragazza sviene. L’uomo con la pala torna a supplicare

UOMO CON LA PALA

Volete venire adesso?

Passa correndo la squadra di Sacha. Due marinai hanno fra le braccia dei neonati, altri hanno una barella vuota.

YURI(in russo)

Sacha! L’ho trovata! E’ viva! Stava sott’acqua ma era viva!

SACHA (in russo)

Acqua? Dove?

Yuri indica la pozza da cui ha estratto Maria e Sacha si china, bagna il suo fazzoletto in quell’acqua sporca, lo strizza un poco e poi corre dai due neonati che sembrano morti, le loro fasce sono bruciacchiate, i loro visetti ustionati: con infinita tenerezza Sacha fa colare qualche goccia d’acqua dal suo fazzoletto sulle labbra riarse dei due bambini.

Sacha ordina ai suoi

SACHA (in russo)

Portateli al porto, forse si salveranno.Yuri, anche la ragazza. .

Yuri posa Maria sulla barella e accanto a lei vengono posti i neonati. Due marinai sollevano la barella e si allontanano.

Un urlo di donna proviene da poco lontano

VOCE ELENA

No, bastardi, no!

VOCE LAPPANAZZA

Togliti di mezzo o ti tolgo di mezzo io per sempre.

la voce di Lappanazza fa scattare il ricordo in Yuri che senza dire niente estrae la pistola e corre in quella direzione.

 

S C E N A 236

CASA ELENA. MACERIE. Esterno giorno

Due sciacalli trascinano Elena di qualche metro mentre Lappanazza col coltello in pugno si china verso il buco che hanno scavato: una parte del corpo di don Vito spunta tra i calcinacci. L’uomo è ancora vivo ma non riesce a parlare, ha il torace compresso dalle macerie.

Lappanazza afferra la mano di don Vito che lo guarda spaventato. Con un sorriso crudele, il criminale cala il coltello su quella mano tumefatta e gliela taglia.

Lo sguardo di don Vito resta sul suo scagnozzo ribelle, il suo volto non dà segni di aver sentito dolore. Lappanazza sfila gli anelli dalle dita della mano amputata e poi la bacia buttandola in faccia alla sua vittima, irridente

LAPPANAZZA

Per l’ultima volta don Vito: baciamo le mani!

Elena urla di orrore. Lappanazza gira il coltello verso di lei

Ti avrei sbattuto volentieri, signora, ma, hai visto troppo e non sai tenere la bocca chiusa.

Lappanazza afferra Elena per i capelli e la costringe ad offrirgli la gola. Leva il coltello per sgozzarla. Echeggia uno sparo e Lappanazza, centrato al petto, crolla sulle ginocchia.

A pochi metri, Yuri con la pistola fumante in pugno. Gerlando e i suoi compari gli sparano e il marinaio cade centrato da più colpi.

Sacha e altri marinai russi arrivano correndo e sparando.

Lappanazza cade e rotola nella buca finendo con la faccia a due dita da quella di don Vito che raccoglie le sue ultime energie e gli sputa sangue e saliva sul volto: spirano entrambi dopo quest’ultimo atto di odio e barbarie.

I suoi compari si mettono al riparo e rispondono al fuoco.

Sacha striscia verso Yuri sfidando le pallottole degli sciacalli

YURI (sussurra)

Maria...

SACHA (in russo)

Non ti preoccupare. . . penso io alla ragazza.. . adesso ti riporto sulla nave...

Yuri fa di no col capo e muore. Una pallottola ferisce di striscio Sacha al volto e lo costringe a buttarsi giù.

Sacha stringe i denti per soffocare il dolore, impugna nella sinistra la pistola dell’amico ucciso e poi fa segno ai suoi di coprirlo.

I marinai intensificano il fuoco contro gli sciacalli che rispondono. Sacha aggira le loro posizioni e sbuca alle loro spalle aprendo il fuoco con entrambe le pistole: li uccide tutti.

Il corpo di Yuri viene messo dai suoi compagni su un asse ed Elena vede Sacha che si sta avvicinando a capo chino

ELENA

Alexis! Il tenente Golutva è là sotto!

SACHA

Alexis sdiés? Alexis. . . ici?

ELENA

Da! Ici! Salvatelo! E’ qui sotto, vite! Presto! Forse è ancora vivo, deve essere ancora vivo!

SACHA (ai suoi, in russo)

Questa donna dice che il tenente Golutva è sepolto qui! Forza coi picconi!

butta le pistole e afferra un piccone iniziando a scavare. Tutta la squadra si mette al lavoro riuscendo a trovare un cunicolo tra le rovine.

Sacha ci si infila dentro, nel buio di un intrico di mobili sfasciati e giunge ad afferrare il corpo di un uomo: lo tira fuori.

Elena, da dietro spia col fiato sospeso. E’ Alexis. La faccia sporca di calce e sangue, gli occhi chiusi, le braccia inerti.

ELENA

Alexis!

I marinai la bloccano mentre Sacha e un altro portano il corpo di Alexis verso una barella di fortuna.

Alexis viene steso sulla barella e non dà segni di vita. Sacha e un altro marinaio sollevano la barella e di corsa si dirigono verso il porto.

Elena corre, incespicando, affranta ed esausta, dietro alla barella.

 

S C E N A 237

PALAZZO DEI CONTI D’ANGIO’. MACERIE. Esterno giorno

Decine di morti giacciono allineati accanto alle macerie del palazzo D’Angiò, ed altri ne continuano ad arrivare portati dai marinai russi e dai gruppi di volontari.

Sherazade si trascina a fatica portando due cadaveri su una barella, aiutata dal barone Falcone. Scaricano i due cadaveri accanto agli altri e la donna barcolla.

FALCONE

Riposiamoci un momento...

SHERAZADE

Sto lavorando con un barone. Se mi vedesse Roland sarebbe più che mai sicuro che sono la contessa D’Angiò.

FALCONE

A proposito della sua storia, questo era il palazzo dei conti D’Angiò. Se quell’uomo tornerà verrà a cercarla qui...

SHERAZADE

Non tornerà, perché dovrebbe.

si muove fra le macerie e si trova davanti al cadavere della vera contessa, ancora incastrato tra le rovine. Sherazade vede su un muro non crollato, una scritta fatta con un pezzo di carbone

 

TI ASPETTO A CANNES - ROLAND B.

Sherazade si sente girare la testa e deve sedersi

SHERAZADE

Oh dio, è tornato! E mi vuole anche se non sono una contessa!

 

S C E N A 238

PORTO DI MESSINA. Esterno giorno

Nel piazzale del porto sono state erette delle baracche e i marinai russi si danno da fare per curare i feriti, cucinare zuppe cotte in acqua di mare, distribuire coperte, mentre le scialuppe fanno la spola cariche di profughi che vengono imbarcati sulle navi.

Don Corlando, chino su una donna morente, le dà l’estrema unzione.

Carmela e Rosario, sfiniti e sporchi, posano accanto alla barella della donna due bambini feriti. Uno piange. Carmela lo accarezza e il piccolo volge la faccia verso di lei: i suoi occhi sono stati cotti dal fuoco. Chiede incerto

BAMBINO

Sei tu, mamma?

CARMELA (in un soffio)

Sì.

il bambino smette di piangere e si stringe a Carmela. Rosario bacia la ragazza sui capelli e le sussurra

ROSARIO

Abbiamo fatto bene a non scappare.

poi si rivolge a don Corlando che si alza dal capezzale della donna morta

ROSARIO

Don Corlando. . . io e Carmela ci siamo sposati. Vorremmo la sua benedizione.

 

DON CORLANDO (stanchissimo)

Ma. . . tuo padre? Sua madre?

ROSARIO

Io sono l’ultimo dei Forgione e lei è l’ultima dei Torcello. La faida é finita.

don Corlando annuisce, poi prende le mani dei due giovani, le unisce, ci traccia un segno di croce e dice

 

DON CORLANDO

Siete marito e moglie.

Arrivano Sacha e i suoi uomini correndo, con la barella su cui c’é Alexis esanime.

Sacha grida ai marinai di una scialuppa che stanno caricando i corpi dei marinai russi caduti

 

SACHA (in russo)

Il tenente Golutva! E’ ancora vivo! Bisogna portarlo subito a bordo!

arrancando, premendosi un fianco, Elena guarda disperata il trasbordo di Alexis dalla banchina alla scialuppa. Rantola

ELENA

Alexis....!

Alexis apre gli occhi. Elena si sente scoppiare il cuore per l’emozione. L’uomo tenta di parlare ma non ci riesce. La sua barella viene caricata sulla barca. Accanto al cadavere di Yuri

Maria, insanguinata, gli abiti a brandelli, si aggrappa alla poppa della scialuppa. Elena corre a sorreggerla e a consolarla serrandola in un abbraccio.

La scialuppa si allontana sotto i colpi ritmati dei remi, diretta alla Makarov.

Falcone e Sherazade intrisi di sangue, posano la donna incinta su un tavolato davanti ad una baracca. Un medico militare la controlla

 

MEDICO MILITARE (in russo)

E’ morta.

e fa un segno inequivocabile, ma Sherazade lo blocca gli indica il ventre della donna

SHERAZADE

Il bambino sta nascendo!

il medico si china a guardare fra le gambe della donna morta e subito grida

 

MEDICO MILITARE

Dell’acqua calda! Un asciugamano! Presto!

 

S C E N A 239

RADA DI MESSINA. Esterno giorno

La scialuppa con Alexis e i caduti russi arriva sotto bordo della Makarov,

I marinai levano in alto i remi mentre dalla nave parte una salva di cannoni in onore dei caduti.

 

S C E N A 240

PORTO DI MESSINA, Esterno giorno

 

Maria singhiozza fra le braccia di Elena che guarda verso la Makarov.

Improvviso, da dietro le baracche un coro di urla di gioia

 

CORO DI URLA

Urrah! Urrah! Urrah!

e subito dopo il vagito di un neonato.

Il medico russo innalza verso il cielo il neonato ancora sporco di sangue e di placenta che strilla la sua venuta al mondo.

Su questa immagine si blocca il fotogramma.

DISSOLVE sul panorama della Messina di oggi.

 

S C E N A 251

PANORAMA DI MESSINA DI OGGI. Esterno giorno

Il panorama della Messina odierna. Appare la didascalia:

MESSINA VENNE RICOSTRUITA CON L’AIUTO DI MOLTI PAESI DI OGNI CONTINENTE.

QUEL 28 DICEMBRE DEL 1908 MORIRONO 90.000 PERSONE SU UN TOTALE DI 120.000 ABITANTI, CROLLO’ IL 90% DELLE CASE E IL LITORALE SI ABBASSO’ DI 70 CENTIMETRI.

 

I MARINAI RUSSI, CHE FRA I PRIMI PARTECIPARONO AI SOCCORSI, FURONO DECORATI CON LA MEDAGLIA D’ORO DAL RE D’ITALIA.

f  i  n  e

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