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                                           I Quaranta belanti         

 

Lettera all'Editore

Roma, settembre 1974

Caro Lischi, 

fato avverso non mi ha permesso di arrivare in Corsica! Ricevetti la Sua lettera col programma Pivieri appena in tempo e subito feci vela per S. Marinella imbarcando il mio ultimo pargolo vecchio di ben tre mesi. Avevo accuratamente predisposto le tappe in modo che senza troppa fatica per il nuovo marinaio e il mio secondo-balia sarei dovuto approdare a Campoloro al più tardi lunedì 5 agosto, ahimè, ultimo scorso.

Prevedevo tappe a Santa Marinella, Giannutri, Montecristo. A Santa Marinella arrivo all'imbrunire e ormeggio in rada .

Non conoscendo le " scogliere " che fungono da banchine nel porto che un vistoso cartello avverte come " impraticabile ". Tutto bene, pappa al capitano, pappa al pupo e a nanna. Alle quattro in punto apro un occhio sotto la spinta di una impellenza fisiologica e annaspo fino al cubicolo apposito. Accendo la luce, anzi cerco di accendere: un fioco rosso inonda la lampadina e smuore. Insonnolito e perplesso. Poi mi felicito perché ho la batteria di scorta sempre disinnestata. Innesto e accendo la luce: seconda triste agonia rossastra nella lampadina. La cosa mi sveglia del tutto. Senza neppure muovermi, seguendo il filo di un ragionamento stringente deduco che c'é solo una cosa che pub mettere contemporaneamente a terra due batterie: una innestata e l’altra no... cosa? Ma l’acqua di mare! Sollevo i paglioli: il mio bel dieselone naviga come un capodoglio in sentina con le narici fuori e l'onda sciacquetta sui poli delle batterie, senza distinzione tra quella d'uso e quella di riserva. Realizzo nella fosca alba che in quel pezzo di sentina, stagno rispetto al resto della barca, dispongo solo di una pompa elettrica. Maledicendo, la pigrizia che mi ha impedito durante l’inverno di montare la pompa a mano (che pure ho in un gavone) mi dò al secchio. Due ore dopo il capodoglio è quasi di nuovo in secca mentre io sono in rotta sbracato a pagliolo.

Ma l'allegro chiocciare dell'acqua che zampilla in sentina dall'astuccio dell'elica sprona l’anima a cose immediate. Mentre io secondo si sveglia di soprassalto chiedendomi cosa diavolo stia facendo alle sei di mattina su e giù per la barca, io armo il pram e scoreggiando a quattro cavalli arrivo a riva. Dove c'é un bar fin dal 1939. E da allora in poi c'è rimasto sempre solo quello, ma io di quello conosco vita morte e miracoli perché devo passare un paio d'ore col padrone a bere collane di cappuccini in attesa delle otto, ora in cui dovrebbe arrivare Paolo che è il padrone del " cantierino ".

Infatti a ben guardare c'é una barchetta di tre metri in costruzione su quattro, palanche a due metri dall'acqua. Io penso al mio capodoglio, che si starà di nuovo immergendo e sto in ansia. Le otto e poi le otto e mezza. Paolo non arriva e allora io vado a cercare Paolo. Dorme. Il sole già picchia quando finalmente viene a darmi un'occhiata. Porta una batteria 24 volE’per darmi 1'eventuale schicchera. Eventuale perché non parte più niente, men che meno il motore. A mezzogiorno il capodoglio ha perso l’elettrocalamita dell'avviamento avviata verso un elettrauto per la sostituzione e io comincio a perdere la speranza della Corsica. La Sgnuffi viene ingloriosamente trainata presso il cantierino. Alle cinque del pomeriggio la nuova elettrocalamita torna al suo posto: siamo tutti elettrizzati: partirà il motore? Purtroppo restiamo gli unici elettrizzati perché il capodoglio non si elettrizza per nulla. Paolo comincia a trafficare perplesso. Bisogna esaminare l'impianto elettrico. Lo schema non c'è mai stato. Bisogna seguire i fili. Li seguiamo e appuriamo che apparentemente il capodoglio non avrebbe mai dovuto avere corrente perché il polo negativo termina a paratia e non ha nessun collegamento visibile. Assicuro Paolo che il capodoglio gira da tre anni. E’ incredulo. Prova e riprova, poi si accorge che il circuito è fatto al contrario e la corrente prima va al motore e poi al quadro: artisti toscani! Finalmente il capodoglio gira e permette il succhio elettrico delta pompa che mi libera dalla schiavitù del secchio e, vuotando la fonda sentina, permette di godersi in pieno il gorgoglio dell'acqua fresca che entra.

Paolo si infila fin contro l'astuccio: la mia speranza è tutta sul premistoppa, ma quando Paolo emerge capisco da solo che il premistoppa preme ed é innocente. Ahimè, l’acqua entra tra la carena e l’astuccio dell'elica. Bisogna tirare in secco la barca. A Santa Marinella naturalmente non c'è lo scalo. A Civitavecchia c'è ma essendo sabato se ne parla lunedì. Il più piccolo marinaio di Santa Marinella frigna. Motore acceso, pompa di sentina accesa, volto la prua verso Fiumara e così ridiscendo avvilito e disperso quelle onde che avevo salito con tanta orgogliosa sicurezza.

Poi a Fiumara sono successe cose turche ma questo esula già dal Fato Avverso che mi ha impedito di stringerle la mano a Campoloro.

Ecco, la lunga pappardella a mo' di giustificazione per l’assenza.

Immagino che tutti voi invece ve la siate goduta follemente a Campoloro e dintorni e questo aumenta la mia malinconia: ho riposto in un gavone le bandierine gialle e rosse che mi ero confezionato e ho ributtato in un cassetto i passaporti che, avendoli dimenticati a Roma il giorno della partenza, mi costrinsero ad una corsa supplementare di cento chilometri in macchina per tornare a prenderli... ma era destino che dovessimo invece prendercela nell'apposito astuccio. Pazienza.

A lei e a tutti i fortunati naviganti, con le barche sempre in perfetto ordine che possono andare in Corsica quando vogliono i miei più invidiosi saluti.

Ernesto Gastaldi

P.S.: mi scriva almeno un bigliettino di condoglianze. Grazie.

                   I Quaranta belanti                           

IL MARE IN SALITA

A otto anni non avevo ancora visto il mare.

Credevo che fosse in salita perché mi dicevano che più si andava avanti e più l’acqua diventava alta. Così il mio mare era tutto in salita con un bel ricciolo di spuma lontano verso il cielo. Ma a otto anni coi sottomarini inglesi che sparavano su San Remo scoprii che l’acqua del mare era tutta al livello del mare tranne qualche volta che soffiava il vento e allora si alzava un po', ma a tratti, mica tutta insieme. Avevo scoperto anche le onde. Bislunghe e rotonde come diceva un amico di quei tempi beati.

Trenta giorni di noia su una spiaggia semideserta a guardare mio padre che faceva le sabbiature. No, la voglia di mare non nacque mica lì.

La seconda volta che vidi il mare di anni ne avevo diciotto e mi ricordavo benissimo che non era l’acqua a diventare alta ma il fondo a diventare basso. Ma ci feci appena caso perché non era per il mare che ero andato a Chiavari, ma per via di una gran cotta per una compagna di scuola che passava là le vacanze.

Nuoticchiavo perché avevo imparato nelle fresche (gelide) acque dei torrenti alpini e vidi un ragazzone biondo che andava su e giù con un buffo arnese a molla e portava su pesci e polipi infilzati. Ci feci appena caso perché la mia compagna di scuola aveva messo un costumino bianchissimo ed era bene abbronzata: cosa che mi metteva addosso una inconsueta voglia di mordere.

No, la voglia di mare non nacque neanche allora. La terza volta fu ad Ostia. Vivevo in quegli anni alla ventura ed era già un problema trovare il grano per la metropolitana. Si partiva. da Termini e si arrivava ad Ostia ma tutti parlavano del prolungamento che avrebbe servito il centro della città.

Se ne parla ancora.

Si arrivava sul piazzale in duemila per volta e si correva disperati agli stabilimenti che si ponevano come insuperabile barriera tra i romani e il mare. C’era anche un tratto di spiaggia che serviva per lo scarico delle immondizie solo che ci avevano piantato un cartello che diceva "spiaggia libera".

Niente plastica ancora: tutti avevano, quelle belle carte oleate piene di mortadella che il vento portava con la sabbia sulla pelle bianchiccia dei fortunati sudati che erano riusciti a conquistarsi un posto al sole, dando finalmente concreto significato al vecchio slogan. Un benefico massaggio e Polio di mortadella era meglio, di quello solare.

Sul mare di Ostia galleggiavano, galleggiano, e galleggeranno, i prodotti finali dell'umanità, ed un mio amico di quei tempi beati poteva declamare stando nell'acqua fino, alla cintola: povera umanità dove si perde, nel mare delle urine e delle merde!

No, la voglia di mare non nacque neanche a Ostia. Forse fu al Circeo nel sessantuno. Ma non credo interessi la Storia e quindi non documento. Fatto sta che nella mia biblioteca c'è un numero di Nautica del sessantaquattro. Sfogliarlo è sempre bello: la nautica (quella con la " n " minuscola ma che conta di più, non era ancora popolare, la vetroresina si affacciava timida e si chiamava vetro poliestere e stonava tremendamente in mezzo alle barche tutte indistintamente in "legni pregiati". La nautica non era popolare e infatti Nautica costava 500 lire e faceva pubblicità a barche e vela di otto metri che costavano, due milioni. Roba da nababbi! Meno male che poi c'è stato il boom e la scoperta che la nautica è un fenomeno altamente sociale. Così adesso, con due milioni ci si paga più o meno l’abbonamento a Nautica.

Credo che il galeotto sia stato il Saetta B. Quel bel fucilone a molla terrore di pesci e bagnanti sugli scogli favolosi del Circeo. Ma mentre i bagnanti rimasero sugli scogli, i pesci, più furbi, cominciarono a disertarli e cosi, pinne ai piedi, spinnate della madonna per andare a cercarli sulle secche un chilometro fuori. Niente. Era ormai chiaro che serviva una bufala di cosa che galleggiasse fino alla secca, non tanto per risparmiarmi le spinnate, quanto per risparmiarmi le lamentele della famiglia.

Naturale che col passare degli anni uno si faccia una famiglia... Se poi ha l’incredibile fortuna di sposare una gran bionda, disegnata come uno stradivari, che fa l’attrice di cinema, proprio non può lasciarla per troppi giorni a lamentarsi su degli scogli lontani un chilometro e mettersi anche quindici metri d'acqua sulla testa. Meglio imbarcarla su una bufala di cosa galleggiante e tirarsela sulla secca. Dato che per prendere aria si deve venire su, le si dà una guardata: rassicurante e ritemprativa.

Tirarsela sulla secca: è una parola. Il Laros Otto pieno di piombi, pinne, fucile, muta, coltelli, maschera e poi accappatoi, o1ù solari (finiti i tempi della cartuccella!) costumi di ricambio, figlia nata nel frattempo eccetera coi remi proprio, non si muove. Dopo aver rotto per due volte gli scalmi fu d'uopo, comprare una bufala di cosa che spingesse. E così arrivò il sei cavalli Johnson. Adesso andare sulla secca era uno spasso. Uno spasso che cominciava dal momento in cui il canotto era in acqua e il motore stretto allo specchio, di poppa.

Prima invece era facchinaggio. Roba da tempi durissimi. Mica atmosferici! E chi lo sentiva allora Bernacca o il Meteo? Dalla scogliera alla secca era senza dubbio mare quello che c'era in mezzo, ma per me "il mare" era quello che stava sotto le onde e che poteva presentarsi in due sole condizioni: con pesci o senza pesci. E questo non c'è barba di bollettino che lo dica perché nessuno ci ha ancora capito niente.

Dicevo, facchinaggio da tempi duri perché le scogliere del Circeo sono tutte fatte di sassi e roccia messi in modo piuttosto irregolare e mal si prestano ad essere scese e salite col saccone blu del Laros smontato nella sinistra e la destra aggrappata disperatamente alla calandra del sei cavalli Johnson che sta cercando di scavarsi un buco proprio sulla clavicola. La bocca serviva abbastanza bene per reggere il soffietto, ma era imbarazzante quando la giovane e morbidetta moglie gorgheggiava in bilico su un sasso: non mi dai la mano?

E se non trovavo subito una mano da darle c'era sempre qualche fustaccio in minislip rinforzato che gliene dava due: una in mano come richiesto e l’altra. sui fianchi clessidrici nudi. Per aiutarla meglio, naturalmente. D'altra parte meglio che mettessero la mano dov'era nuda, perché quel poco che teneva coperto era molto delicato.

Lì per lì trovai anche la soluzione: la Sgnuffi arrivava leggiadra Sul bordo della scogliera e io le depositavo intorno Laros, motore e borse, poi mi appiattivo dietro un sasso. Oh, la Sgnuffi é lei naturalmente, la biondona tutta curve supermolleggiata che chissà come ho vinto alla lotteria del matrimonio; allora la Sgnuffi fingeva (recitare è il suo mestiere) di sollevare l'incredibile borsone blu del Laros, definito dal venditore come incredibilmente comodo (ho capito, dopo il senso recondito di quell’incredibilmente), comunque lei fingeva di sollevare e subito una torma di gentiluomini in minislip accorre- va per esibire i muscoli esibibili e in un baleno il canotto veniva trascinato in acqua bello gonfio col suo motore fortemente serrato sullo specchio, di poppa... allora spuntavo io, in alto, con un leggiadro, saluto alla bionda, come se arrivassi in quel momento: iuuh! Uuh!

Le scogliere del Circeo hanno un bel ricambio di minchioni ma non col ritmo richiesto dalla mia passione sub e così feci il terzo passo: A Laros sarebbe restato sempre bello gonfio e col motore ben stretto sullo, specchio di poppa. Come? Dove? Perbacco, al Circeo da alcuni anni si era iniziata la costruzione di un bellissimo porticciolo turistico!

Fu così che incontrai le barche e i loro custodi. Quando vi capita di fare un giro, in un porto da diporto osservate la pena che fa un canottino di tre metri ormeggiato tra due "barche". Se pensate ancora che barca significhi proprio barca, allora troppi ne dovete ancora fare di giri nei porti da diporto.

I custodi delle barche sono persone (sì, sì, persone!) molto disgraziate. Gli tocca di star a guardare tutte quelle belle barche e al massimo, ma proprio al massimo, possono fregarne una per qualche ora, quella di quel tale che certo oggi non viene e che poi invece viene e sbraita come un pazzo in banchina. Si vede che non ha letto le norme del galateo marino, così propagandate da tutte le riviste del settore.

In ogni modo i custodi del Laros furono sempre estremamente gentili e mi resero il canotto tutte le volte che glielo chiesi senza mai indispettirsi, anche quando magari lo stavano usando per sbarcare una carico di mattoni venuto via mare. Veramente persone squisite: si offrirono sempre di riempire il serbatoio che avevano, vuotato e la miscela aveva già il prezzo di adesso. Erano dei precursori dell'unione del mondo arabo e anticipatori dell'austerity.

Per tutto questo io pagavo soltanto dodicimila lire al mese. Sparirono i remi, è vero, sparì anche un serbatoio e il soffietto, ma non potevo pretendere che quei poveri ragazzi stessero giorno e notte con gli occhi appiccicati al mio misero gommone, come loro stessi mi fecero osservare con ogni possibile grazia.

Ma ormai mi ero scafato e in autunno prelevai un paio di remi da uno sfortunato vicino, un serbatoio da un secondo e un soffietto da un terzo in modo da dividere le disgrazie sul maggior numero di persone possibile e impacchettai il tutto. Visto poi che durante l'intera operazione nessuno si fece vivo, me ne andai senza pagare la guardiania e col desiderio malvagio di passare dai carabinieri per denunciare A furto di gommone e motore. Ma soffocai tale malvagio pensiero anche perché A maresciallo mi spiegò che il porto non esisteva.

- No, ma guardi che c'é, eh? - timidamente osservavo io cercando approvazione e conforto nei grandi cenni biondi della mia sexy consorte.

Ma il maresciallo rispondeva con decisi cenni calvi come palle da biliardo. Categorico: il porto non c'é. E’ in costruzione ma agli effetti legali non c'é. Quindi un porto che non c'é non può avere guardiani e se non c'é porto né guardiani io al più potevo sporgere denuncia contro, ignoti ma con l’aggravante di avere abbandonato senza la cura del buon padre di famiglia, beni mobili deperibili asportabili e non assicurati. Insomma roba che se i ladri non ruba- vano li avrebbe schiaffati dentro.

Ormai avrete capito il meccanismo. Aggiungeteci una sventolata con allagamento del Laros e doccia gelida relativa, immaginate una preziosa cipria impastata a pagliolo coi biscotti del pupo nato nel frattempo (be’, ti capita una biondona alla chitarra e non la usi??), una valvola che comincia a perdere, il ragionamento suonante press'a poco "a che cavolo serve un gommone sgonfiabile e smontabile se poi non lo smonti mai" e avrete, la grande spinta che porta il neofita dal gommone alla barca barca.

Naturalmente si passa da Genova. Si passa e si ripassa, un anno, dopo l’altro. Intanto si leggono, le riviste e si collezionano depliant. Magari un Bora. Però c'è quell'amico dei tempi beati che ha dovuto venderlo perché la moglie si è ammalata di sinuite. Sinuite? Sì, a forza di cucinare in ginocchio. Un Bora un po' più grande. Ma se non hai i soldi nemmeno per quello piccolo? A proporre non costa mica.

Andrebbe bene quell'Ecstasy anche se ha quella "c" in più. Ma la "c" sta sempre per "che cavolo dici" visto che vogliono, una decina di milioni. Ma quello dice che poi le bar- che aumentano. Che scoperta, visto mai che siano calate? Si potrebbe ripiegare sull'Eros. Be’, proprio, ramicino, allora guarda è meglio, il Laros.

E via per un'altra estate. Ma ormai sui quindici metri si pesca poco. Qualche saragotto sprovveduto. Una spigola raminga da un chilo fa già storia. Ci vorrebbero le bombole. Ma siamo ormai in quattro, e tutti con bagaglio appresso. Già non plana più.

Il porto continua a non esistere ma intanto è sempre più pieno di barche barche. Ce n'é perfino una sventrata sugli scogli. Doveva essere bella, nominandola da viva. Anche sconciata col ventre aperto e le costole fuori fa la sua figura.

E’ stata la mareggiata di novembre. Aveva ragione A maresciallo dopotutto: il porto non esiste. Il mare passava, sopra il molo di sopraflutto come se avesse equivocato il senso della parola.

I guardiani c'erano. Ma il padrone della barca (skipper lo abbiamo imparato dopo) non aveva pagato. E i guardiani hanno, guardato, mentre la grande barca veniva sugli scogli trascinandosi dietro i corpi morti a cui era ormeggiata. Dicono che ci abbia messo sei ore e che quelli che hanno mosso un dito sia stato solo per ficcarselo nel naso.

Pensare che io una barca la salverei anche se fosse del programmista della televisione: come si fa ad aspettare col dito nel naso che una barca sbatta contro gli scogli, sentire il legno che scricchiola, che urla e si schianta, le ordinate che gemono sotto le martellate dei frangenti e poi il crollo, degli alberi, giù, con l’orgoglio di tutti quelli che amano il mare. Mah!

Le riviste del settore cominciarono a dire peste e corna dei motori a benzina e della velocità. Chi porta in mare la mentalità dell'autostrada è indicato come un povero cafone rimbecillito. Non perché non lo sia anche in autostrada, ma perché nel mare si può nascondere meno. Il diesel é un'altra cosa. Infatti lo é: la stessa barca col diesel costa una milionata in più. Perché con le macchine non è lo stesso? La Mercedes diesel per esempio costa solo centomila lire in più della stessa versione benzina... Uffa! Il venditore ti guarda come se fossi un verme col vomito: non bisogna affrontare il mare e il salone di Genova con mentalità automobilistica. Ancora una domanda così e i venditori intoneranno in coro, puntandoti il dito addosso: la montanara, ueh! Si sente cantare...

Fortuna che non hanno tempo perché devono correre a mostrare il cesso alla signora.

La storia del cesso la notai fin dal mio primo salone: sarà il mal di mare, sarà che la clientela di Genova é diarroica, ma tutti corrono per prima cosa a vedere il cesso. E naturalmente costruttori e venditori si adeguano subito e riescono ancora a vendere certi cessi di barche...

Ma la cultura nautica ormai incombe. Siamo, all'alba degli anni settanta. C'è perfino chi comincia, a sbirciare le vele. Io no. Il mare continua ad essere soprattutto sott'acqua e là vele non se ne sono ancora viste.

Faccio l’occhio all'Albin 25. Mica male. Intanto ha il diesel che va piano sano e lontano. Poi due posti per dormire dietro e due davanti. Non che ci si voglia proprio dormire, ma insomma... pub servire no? E poi è simpatica, così bianca e liscia, così levigata e curata. Certo, vetroresina. Ormai il legno, serve per le porte.

E poi l'Albin ce l’ha un rappresentante di Roma. Così possiamo vederla. ancora, con calma, a Roma. E farci fare i conti.

A Genova costava quattro e nove (milioni naturalmente, quando si parla di barche l'unita' é sempre il milione) e a Roma bisogna aggiungere due o tre cosette: stupidate! Trasporto, immatricolazione, messa su e messa giù dal camion e poi qualche optional. Be’, se sono optional opterei per non prenderli. Ma guardi che la battagliola di poppa ci vuole, eh? E vuol navigare senza bussola? Non mi dica che non sa che ci vuole l’ancora e appresso all'ancora la catena! Via! E i razzi? Oh non si scherza con la legge eh? Ci vuole anche una coperta di lana, ma no, chi se ne frega se ha freddo! per spegnere l’incendio! E i sacchi di sabbia e una sassola. Però ci mettiamo anche una pompetta di sentina.

Morale i milioni eran già più di mezza dozzina. Purtroppo stavano, tutti sul foglietto di carta del venditore e non sul mio conto in banca. Affronto la Sgnuffi, si fa un bel debito e sciao! Oppure si passa ancora un'estate col culo a mollo, sul Laros e si risparmia, così l’anno prossimo...

La secca è sempre più deserta. Anche l’acqua non è più proprio così limpida. Poi passano quei peschereccioni che strascicano fin sul marciapiedi della delegazione di spiaggia. Un giorno o l’altro tiran su uno della Finanza, parola.

Una volta un amico mio, incavolato, ha telefonato in delegazione: qui strascicano quasi a riva! Non è vietato? Certo, vietatissimo! E llora? E allora cosa? Perché non intervenite? Perché non c'è nessuna denuncia. E questa cos'é allora, una telefonata di auguri? Spiritoso, le denunce si fanno in carta da bollo e ci deve mettere il nome della nave, la matricola, la stazza e il nome dell'armatore. Non crede che nel frattempo il peschereccio avrà pettinato tutto il Tirreno?

Sì, sembra che lo credessero ma la cosa non toglieva il sonno a nessuno.

Giuro, è l’ultima estate di gommone. L'anno prossimo, la barca.

E intanto d'inverno io e la Sgnuffi, buoni buoni, a scuola da Cardea alla Lega Navale. A novembre impariamo che la Terra è tonda, a dicembre che non bisogna permettere al proprio equipaggio di farsi prendere la mano e che il marinaio deve fare il marinaio e non lo skipper (ecco la parola finalmente!). Anch'io concordo e mi lancio in bellissime bugie su quella volta che il mio marinaio, eccetera. Perché la' gli allievi più miserabili hanno quindici metri di barca con marinaio. E noi che ci eravamo iscritti perché il corso si intitolava "Vela e Motore" e poiché di vela non si sapeva niente, ma proprio niente, si immaginava un corso tutto salsedine e griselle! A Gennaio imparammo il calcolo di "mu", l’uso delle tavole e "l’appartamento" che dovrebbero servire per il punto stimato. A Febbraio attaccammo la navigazione costiera, i rilevamenti polari e veri e magnetici e i circoli capaci e quelli "Amici Magnaghi" e poi staziometri, grafometri, barometri, termometri, igrometri. Ci rimase impresso che la bussola magnetica non si rompe se non la si prende a martellate, cosa effettivamente piuttosto rara stando alle statistiche della Lega Navale, mentre quella giroscopica salta alla prima cannonata.

Evidentemente le cannonate sono più frequenti delle martellate. Con l’avvento della primavera, quando il mare si fa più turchino e i gabbiani stridono d'amore mentre i pesci assommano, i tonni passano e i polpi stiracchiano le loro otto braccia, noi entrammo nell'aula di ingegneria dell'Università per iniziare le lezioni di carteggio.

Il quarantacinque traverso cominciò a farci sorridere di superiorità e quelle navi di Cardea che mutavano rotta senza senso per tutto il Mediterraneo cambiando velocità e strumenti di rilevazione e che poi alla fine volevano petulantemente sapere dove cavolo fossero finite cominciarono a fard tenerezza. Stavamo evidentemente maturando per l’esame.

Io mi sentivo prontissimo. L'unico dubbio che mi torturava era: la randa è quel lenzuolo che ha il bordo rigido anche di sotto oppure è quello che non ce l'ha? Per fortuna poi ci furono le uscite col Makatea.

Il Makatea è una goletta (così mi dissero e credetti sulla parola) antica tutta pittata di nero con due alberoni e vele quadre. Partiamo dal canale di Fiumicino una bella mattina di sole, a motore.

Appena fuori, l'equipaggio professionista si ritira a guardare, e l'istruttore prende il comando della barca dandoci ordini tremendi come "cinque alla drizza della randa!" e "cinque alla drizza del trevo di trinchetto!", "cinque a quella del controvelaccio!" o roba simile.

Tutti balziamo in piedi come un sol uomo, pieni di entusiasmo e ci a aggrappiamo qua e là ai canaponi grandi come un braccio, che piovono in bando sulle nostre teste da vertiginosa altezza.

Nel giro di una mezz'ora, con favolosi cigolù alla mar dei Caraibi, il Makatea alza orgogliosamente le sue vele che un benevolo venticello gonfia cercando di cancellare le indelebili ammuffite pieghe in tanto vecchio cotone.

- Macchine a zero! – l’istruttore vive la sua avventura. Il motore si spegne e ci lascia in quel fantastico silenzio pieno di fruscii e cigolii e buffetti d'acqua sul dritto di prua che sentivo, allora per la prima volta. Ah, la vela!

Forse é il caso di spiegare, per qualcuno, che il dritto di prua non è quell'allievo panciutello e attempato che si è sistemato a prendere il sole sul grosso pennone dopo averlo imbottito con un materassino, ma si chiama così il legno che nelle costruzioni classiche sale dalla chiglia per dare forza e forma alla prua.

Ma questa é cultura, perché nella nautica i dritti di prua e di poppa stanno, sparendo sostituiti da altri dritti di più dubbia utilità.

Ah, la vela!

- Pronti per la virata! - urla l’istruttore aggrappato alla gigantesca ruota del timone da dove si ha ampia vista sulle cucine della barca e sugli alloggi dei marinai perché sul ponte ci han costruito un casottone alto due metri.

L'equipaggio vero che sta in disparte sogghigna e il motivo é subito chiaro nella prua ben messa al vento e nelle vecchie vele che sbattono come brutte lenzuola mal stese.

Si torna al vento con una bella puggiata e poi l’istruttore si sgola:

- Cazza! Cazza! Cazza... cazzo, non vira... - L'orgogliosa goletta ha rimesso la criniera al vento.

Mi levo il sangue dalle mani e i legnetti che ci si sono piantati provenienti dai rudi canapi che fanno da scotte e guardo la Sgnuffi: é sospesa in aria, a mezzo metro dal ponte. saldamente aggrappata alla scotta della quadra, e sventola anche lei allo stesso ritmo della vela. Fortuna che ha i pantaloni.

- Pronti per la strambata!- l’urlo di ripiego dell’istruttore.

Allora non lo sapevo che quella riesce sempre e ci fu un applauso al sangue quando il Makatea, imponente, girò il culo al vento trascinando con sé i disgraziati che da punto di scotta diventavano punto di mura.

Scendendo dal Makatea avevo imparato molte cose preziose quel primo giorno di navigazione a vela: primo, il motore fa rumore, puzza ed è uno schifo che ti riporta a casa dopo ore e ore di poesia e di vela.

Secondo, la randa può avere il bordo di legno anche in alto e allora si chiama "aurica" e spesso ha sopra un triangolino che si chiama "controranda". Se il triangolino é cucito direttamente sulla randa allora la randa si chiama "marconi".

Il secondo giorno il mare é un po' mosso. Una bella onda lunga che ci alza di un metro e mezzo quando ci passa sotto.

- Pronti alla virata! – l’istruttore ci deve aver pensato tutta la notte perché adesso grida - Fiocco a collo! -

La Sgnuffi molla la scotta e salta sul ponte sistemandosi i fiocchetti della cuffia con cui ha impiùgionato l’aureola bionda. Ma non sono mica quelli i fiocchi che vanno messi a collo e alla terza manovra l’abbiamo capito tutti.

Fiocchi a collo, vuol dire semplicemente lasciarli cazzati sopravvento quando la prua della barca tenta di girare, così spingono come dei bravi buoi e la costringono a girare anche se punta i piedi.

Naturalmente una barca non gira mai, una barca vira. Il Makatea no, non gira e non vira. Tiene di nuovo le sue antiche vele fileggianti al vento con patriottico orgoglio in linea perfetta con la bandiera nazionale.

Ma l’istruttore ha il colpo segreto: il controtimone. Quando i fiocchi avranno di nuovo preso collo, lui, l’astuto, ruoterà velocemente la ruota in senso inverso in modo da facilitare il passaggio nel letto del vento della barca che starà indietreggiando.

Adesso siamo tutti tesi, come per una scommessa contro il Makatea.

Noto preoccupato il sorriso sornione dell'equipaggio vero che ci osserva con distacco.

- Cazza, cazza, cazza... a collo, a collo, a collo... contro- timone !!!! –

Sprack!

La grande ruota gira libera dalla catena. Le antiche vele asciugano la muffa al vento di Fiumicino incerto tra petrolio e fogna.

Stavolta 1'equipaggio vero si deve muovere. Il Makatea è abbandonato sulla molle onda lunga.

Il capitano mena martellate con la testa infilata sotto pagliolo. Vedo bene adesso la differenza tra un terragnolo e un uomo di mare. Ù capitano si mena una tal botta sul pollice da farsi saltare l’unghia e schizzare sangue sui pantaloni bianchi di un allievo che é primario al Policlinico. Niente mortacci o bestemmie. Nemmeno un guaito. Un'occhiata distratta al dito sfregiato e poi subito di nuovo martellate alla catena. Deve essere che sul mare nessuno osa sfidare dio o i morti.

Dura un'ora e quaranta la giostra alla deriva sull'onda lunga e naturalmente é una strage. Su quaranta allievi, trentotto rimettono un pasto dopo l’altro fino all'ultimo Natale. Trentotto. Anche la Sgnuffi che ha accettato la premura galante di un marinaio che le ha offerto un caffè: dentro e fuori nel giro di secondi.

L'altro che non rimette è un bell'uomo alto, biondo con gli occhi azzurri. L'ho visto tante volte al corso e so che si chiama Glauco.

Mi avvicino e subito ci lega la simpatia dei refrattari e l’odio dei vomitanti.

- Che ne dici di un panino e una birra? -

L'urlo, gorgogliante dei vomitanti sembra venire dritto dal Bounty.

Così il Makatea, con le vele nuovamente strette sui pennoni, scarica sul molo di Fiumicino una torma di esseri pallidi e con le gambe molli.

Al momento dei saluti il capitano della goletta ci consola:

- Il Makatea non vira più a vela da quando ci hanno fatto le sovrastrutture. Troppo peso e troppa superficie esposta. Noi andiamo sempre solo a motore -.

Viva la faccia. Potevano dircelo prima. Ma no, se no che gusto c'era.

E’ stata una bella lotta e ha instillato nella Sgnuffi l’idea fondamentale: la vela è una bella cosa soltanto se c'é sotto un gran motore.

Considerazione che porta dritto al motorsailer. Dire motoveliero che è più bello, sembra però troppo importante. Voglio comprare un motoveliero! Ooh, e che sei, Onassis ? Voglio comprare un motorsailer. Ah sì? E che roba è?

Così adesso sulle riviste sfoglio le pagine dedicate ai "cabinati a vela" e comincio a tralasciare i "cabinati a motore". Naturalmente per l’estate ormai prossima c'è il solito problema: ancora gommone? No, assolutamente no.

Intanto bisogna dare l’esame. Il grosso informatissimo corso di Cardea tende al brevetto a vela per le 50 tonnellate, legge dell'epoca. Ma sembra che per darlo gli allievi si debbano presentare con veliero proprio o del proprio circolo e che gli esaminatori vogliano sapere cose curiose come:

- Se dovesse mettersi alla cappa quali ordini darebbe? -

Niente, Cardea sulla cappa non ci ha detto niente. lo e la Sgnuffi sfogliamo disperati i nostri due volumi in elegante brossura blu e rivediamo sfilarci davanti strumenti, calcoli e grafici. Cappa niente. Tanto, se debbo comprare una barca a motore con un po' di vela, basta la patente da motoscafo dove la cappa é quel telo che si mette sopra di notte.

Son carabinieri che mi fanno l’esame sul Tevere. Da un po' i carabinieri si vedono sul mare, ma allora per me un carabiniere era il simbolo più terragnolo possibile. A cavallo al massimo riesco ad immaginarmi un carabiniere.

Sono poi guastato da cattiva letteratura: "stupido come la merda di un carabiniere" é battuta corrente ai piedi delle Alpi e nessuno ci può far niente.

Salgo sul Boston Whaler di tre metri e mezzo col carabiniere e un istruttore.

Il carabiniere é chiaramente preoccupato per la stabilità del barchino e per il colore di quell'acqua gialla che lo circonda. A poppa c'è un fuoribordo da venti cavalli coi telecomandi.

Brum avanti, brum indietro.

- Uomo in mare! - E’ invece un salvagente che la fogna Tevere sta portando alla deriva.

Bruum, ripescato. Fine della prova pratica che mi autorizza a portare barconi di tredici o quattordici metri in giro per il mondo.

Altro carabiniere, prova teorica.

- Un idrovolante alla fonda che luci mostra? - Luci di stupore perché chi li ha più visti gli idrovolanti alla fonda? –

Il carabiniere è a disagio e sventola il libretto. La domanda l’ha presa di là ma la mia risposta non la trova.

Meno male che, ancora fresco degli esami universitari mi sono preparato alle domande idiote e così snocciolo quei tre o quattro o cinque fanali bianchi rossi e verdi.

Rassicurato il carabiniere firma il verbale e sono patentato. Solo motore naturalmente.

Ma è già scoppiato il caldo. Anche se avessimo i soldi, chi ce la da più una barca per 1'estate? Tanto vale aspettare Genova, tanto più che hanno anticipato il salone all'autunno.

La Sgnuffi dice che va bene. In fondo sono io il patito delta barca. A lei sta bene anche lo scoglio piatto e artefatto, giù da Alfonso, sotto il Faro.

E sarà un'estate di spinnate delta madonna. Il gommone giace piegato e negletto nella legnaia. Il é HP Johnson, pieno d'olio extra vergine minerale, riposa in pace sotto una cappa di nylon ben piantato sull'apposito cavalletto. Muta, pinne e fucile e la Sgnuffi sempre più in bikini abbandonata sugli scogli alla torbida ammirazione dei turisti.

Fortuna che i pargoli stanno crescendo e fanno buona guardia.

E’ evidente che siamo giunti ad un punto di rottura. Il gommone e stato ufficialmente ripudiato. La prossima estate ci DEVE essere la barca. Sono mesi di frenetici conteggi: da una parte il libretto degli assegni con il saldo Comit e dall'altra il catalogo del mare di Mondo Sommerso coi prezzi. Forse a qualcosa intorno ai sette metri ci si arriva tirando la cinghia. 0 chissà, un usato da nove.

Via le pinne e su le scarpe. Scarpinate delta madonna per i cantieri del centrosud. Dall'Argentario a Torre del Greco. Bidoni, bidoni, bidoni.

C’è un Alicudi a cinque milioni, ma è scomodo per quattro. Poi di legno: e la manutenzione?

Ma dove si trova un usato, quasi nuovo in vetroresina, motore di nota affidabilità albero di alluminio vele in dacron quattro cuccette di cui almeno una di due metri visto che io, lo skipper, tiro, un metro e novantadue?

Non resta che Genova. Ma stavolta decisi: o si compra o si muore.

Li vediamo tutti quelli che più o meno, sono motorsailer: dal Banjer, al MS 33, al Nauticat, al Vagabond, al Firmsailer, ai vari Viksund.

Ci infiliamo sotto i paglioli del Tortuga, del Fenicia, dell’Euros.

Incuranti dei prezzi in questa prima scelta. Alle quattro del pomeriggio abbiamo i piedi gonfi e la testa vuota. Questo via che tanto costa venti milioni, quest'altro via perché ha solo un gran cesso e poi é tutto, corridoietti con spigoli mortali, quest'altro via pure perché non c'é posto per la Sgnuffi lunga distesa ne' nel pozzetto ne' sulla tuga e non posso essere accusato di volerle far prendere la tintarella a strisce.

Riprendiamo il giro. I pargoli frignano ma siamo già in clima di marineria e gli ordini alla ciurma sono secchi e perentori.

C'è una barcona, panciuta, nello stand della Multimare. Tutti e quattro su per la scaletta.

Il pozzetto, e' un pozzone. Roba da tre metri per due. Enorme e solleva l’entusiasmo della futura ciurma che si sbraca sulle ampie panche. Dico che

troppo grande, se entra un'onda di poppa e lo riempie...

- Autovuotante, signore - é sbucato un giovanotto dagli interni moquettati. E mi indica quattro fori grandi come monete da cento. Autovuotante ma con calma, penso, facendo un grossolano conto del volume del pozzetto e della capacita di scarico dei fori.

Ma le grida di entusiasmo della Sgnuffi provengono già dall'interno: finalmente sembra che abbia trovato una cucina dove si può cucinare, un tavolo dove si pub proprio pranzare, delle, cuccette dove si può proprio dormire, un lavello do- ve ci si può davvero lavare.

Io entro e vedo il sorriso permanere sulla faccia del venditore. Di solito, il sorriso smuore per via della storia dell'altezza d'uomo. Non ci sono barche ad altezza di un uomo come me. Barche con uno straccio di vela, dico.

E invece questa ce l’ha. Anzi avanzo perfino quattro dita dal soffitto. Chi lo sa che cos'è che ti fa sentire che hai trovato. Come un ricordo dal futuro. A me succede anche quando cerco casa. Giro per appartamenti anonimi, appena intonacati, freddi ed estranei e poi, all'improvviso, apro una porta e "sento" di esserci già stato. Non e' vero, è la prima volta. Eppure sento l’abitudine dietro i miei gesti: quella è la cucina, lo so, quante volte sono entrato, a prendere un bicchier d'acqua, a far friggere un uovo, a scaldarmi il caffè... quella è la stanza da letto, perbacco, lo so! Quante centinaia di ore favolose ho già passato guardando quel soffitto, nascosto da quelle mura... quello è il soggiorno, e sento nell'aria il calore delle serate passate con gli amici.

Io lo chiamo ricordo del futuro. In fondo che il tempo vada a senso unico deve essere un'illusione.

Comunque sia, "sento" che ho trovato la barca. Adesso restano, i dettagli: ordinarla, pagarla, attrezzarla.

Viste le intenzioni serie, spunta il costruttore, l’ingegnere. Simpatico, di quelli che sanno che si pub vendere una cosa senza dover dire che é perfetta e che di meglio non ce n'é.

Gli occhi ce li abbiamo tutti anche se non tutti sanno vedere le stesse cose per mancanza di esperienza. Dall'ingegnere al rappresentante per Roma che è Petrini. Almeno allora lo era.

In linea di massima sì, ma un residuo di pudore (costa quattordici milioni!) mi fa sollevare delle riserve: voglio provarla a vela. Bene, l’ingegnere dice che da Petrini, di lì a un mese, ci sarà un esemplare da provare.

La barca ha una denominazione di vendita e di cantiere: si chiama Multi 96. Multi perché la fa la Multimare, e perché è lunga nove metri e sessanta. Ad una mia misurazione accurata poi risulterà solo 9,58 ma non sono così pignolo, da chiamarlo Multi 95 e 8…

Ce la guardiamo e cerco l’approvazione negli occhi di tutti.

Mi sembra troppo grande per le mie capacità nautiche. Ha una pancia di tre metri e trenta, bella lucida sana, sembra pregna. Comoda é comoda, quello lo vede anche un cretino, ma sarà marina?

Ho letto i libri dei grandi navigatori e i manuali di navigazione, tutti, da quelli dei Glenans fino a quelli tascabili della Mondadori. Ma non ho capito bene che cos'è una barca marina.

La prima risposta. sembra ovvia: è marina una barca che va per mare e non affonda.

Mica vero: affondano, fior di petroliere e di incrociatori.

Affondano mercantili e Andrea Doria e non affondano quasi mai barche da diporto.

Certo, quando il mare è brutto sono quasi tutte sotto i capannoni e come fanno ad affondare? Comunque la risposta non è soddisfacente.

E allora leggo "Lo Yacht" di Sciarelli. Un libro di cultura. E lì vedo che sono stati marini barchini corti e piatti, barconi larghi e piatti, slupponi stretti e fondi, marine certe prue dritte come un filo a piombo, marine le prue ad incrociatore, marine le poppe a canoa, marine le poppe tronche, marini i cavallini positivi, marini anche quelli negativi.

Insomma è stato più o meno marino tutto quello che ha galleggiato sui mari dai tronchi alla Michelangelo.

Così sono al punto di prima. In ogni modo mi han detto che: chiglia lunga significa stabilità di rotta, poppa appuntita significa tranquillità col mare in poppa, prua a incrociatore vuol dire morbidezza di impatto sull'onda. Il Multi ha tutte queste qualità. Poi ha un serbatoio di trecento litri per il gasolio, e un bel diesel Aifo FiaE’nel pancione, seicento litri d'acqua distribuiti con autoclave, e cuccette lunghe due metri.

Ma voglio sapere, se va bene a vela. Il bello è che non so esattamente quello che deve fare il Multi per andare bene a vela. Ma la frase serve per prendere fiato e tempo e rifare i conti.

Quattordici milioni che poi, ormai lo so già, diventano quindici per poter navigate. La Multimare fa una lista di optional coi prezzi: ecoscandaglio Seafarer montato lire centomila. Lo prendo come esempio. Lo strumento, costa ottantottomila alla Finder. Quindi é onesto.

Però io non ci arrivo. Bisogna inventare qualcosa per non passare, un'altra estate a spinneggiare.

Petrini accetterebbe qualche cambiale. Lasciamo, perdere gli optional il più possibile. Proviamo con il Prestitempo della Merit.

Fino a tre milioni non ci sono ipoteche, poi bisogna aggiungerci tre o quattrocentomila lire di spese.

Tira molla, aggiungi il dodici per cento. Forse vendendo il canotto col fuoribordo. Già, ma un barchino, ci vuole quando si ha una barca come il Multi.

Un mese dopo Genova arriva a Roma l’ingegnere e si esce col Multi.

Siamo in diciotto sopra, tra aspiranti compratori e aspiranti venditori. Il mare é appena increspato, il vento debole debole. A motore si va che é una meraviglia, il suo bel chiglione la manda via dritta dritta finché taglia le onde di prua col mascone, rolla un po' se le becca al traverso sulla pancia.

Su il genoa.

Grande bianco come una promessa di pace. Due giri sul winch per far scena perché non serve. Winch é il nome snob degli arganetti per le scotte. Quelli sul Multi sono piccoli e vezzosi, con la campana in vetroresina, da quattro soldi. Sono gli stessi che la Multimare monta sui Superjet. Ma sono difetti di gioventù, ammette l’ingegnere.

La barca si appoggia sull'onda e adesso rolla meno anche con il mare al traverso. Funzione stabilizzatrice della vela: quante volte l'avevo letto in giro, ma adesso la sento con tutto il corpo.

Saranno almeno cinque nodi. Non si può dire che vada male, in fondo ha soltanto quaranta metri di vela tra randa e genoa e disloca quasi cinque tonnellate che con tutti noi a bordo sono più di sei.

Proviamo a virare. Abbiamo messo la barra per guidare dal pozzetto, perché la timoneria principale é interna. Si stringe il vento, cazzando il genova e la barca perde velocità per mettersi poi prua al vento. Se non avessi fatto qualche giretto sulle derive della scuola di vela del Circeo direi che é un comportamento tipico delle barche a vela.

L'ingegnere é meno capoccione dell'istruttore della Lega e rinuncia subito per evitarsi magre: c'é poco vento, certo non é una barca a vela pura fatta per bordeggiare di bolina. Quando il vento é di prua si mette motore. ù

- A quanti gradi riesce a stringere il vento? – l’ho fatta io la domanda in tono mondano, tecnico-mondano. L'ingegnere mi guarda e in fondo mi sembra di scorgere un brillio di ironia.

- Sessanta -. La gente intorno a me annuisce: é un buon angolo per un motoveliero.

Si torna a Fiumara che é quasi buio e fa freschetto. Qui bisogna decidere. Li abbiamo portati a spasso per un mese, ci han portati a spasso per due ore. Adesso o sì o no.

Che fosse sì l’avevo capito dal primo incontro con la barca per via di quella strana sensazione di già vissuto. C'é il problema quattrino.

L'ingegnere sorride: devo trattare con Petrini. Lui mi può garantire la consegna, se ordino, subito, per giugno. Di Multi il cantiere riesce a farne uno al mese e quello di Maggio é già stato comprato.

Petrini caccia un modulo in macchina e comincia a battere: nome, cognome?

Quasi in un sogno dò tutti i dati. Credo di stare ordinando la barca.

Ma tutto scivola via come se non dipendesse già più da me.

L'anticipo é potabile: mezzo milione. Ma é per la firma del compromesso. Poi al contratto sono tre milioni. Ahi. E poi quando metteranno il motore sono altri quattro e mezzo. Ahi, ahi. Ù resto alla consegna: parte in contanti e parte in cambiali.

Mi trovo la biro in mano. Che posso fare ormai? Firmo. Per gli optional niente, ci voglio pensare. E’ l’unica concessione che riesce a strapparmi la mia coscienza.

C'é anche chi mi invidia: amici del pomeriggio che hanno navigato per due ore con me e la Sgnuffi e che adesso non possono decidere sempre per il maledetto quattrino.

Tornando, a Via Veneto, compro la mia prima rivista inglese: sono o non sono uno skipper? E allora in barca voglio la mia copia di Practical Boat Owner.

Ma come sarebbe a dire che l’ecoscandaglio Seafarer costa 24 sterline? Ma la sterlina non sta a milletrè? Ma sì, lo dice anche Espansione di questo mese. 1300. Porca l’oca: allora a Londra il Seafarer costa 31.é90 lire!!!

Sfoglio la rivista con emozione crescente: c'é un log elettronico per 40 sterline con tanto di speedometer! Ma guarda l’Hitachi, il radiogoniometro, quello che in negozio, vogliono 75.000 lire, si può avere dalla Comet per 19 sterline! E il gas detector? L'anemometro? Ma anche gli estintori, e le cime per le vele, e il telemetro, e la bussola, e il megafono... Ma costa tutto un terzo, un quarto di quello che chiedono in Italia!

Mi calmo: ci deve essere il suo perché. Forse la dogana. 0 il trasporto. 0 chissà che cosa.

Novanta lire di francobollo per chiedere direttamente alle ditte che si vantano di vendere per posta "world wide", quanto il mondo é largo.

Dieci giorni e la risposta é sulla mia scrivania: one pound for postage charges. Una sterlina.

Acchiappo un foglio e ordino nel mio inglese maccheronico. Posso comprare tutto con quello che a Roma o a Civitavecchia avrei speso per uno solo di questi marchingegni elettronici.

Magari non servono neppure tutti, però danno, un senso di sicurezza e anche mi fanno sentire più marinaro, perché dovrò montarmeli da solo.

Il primo viaggio a Donoratico, dove si fanno i Multi e' proprio per portare gli scatoloni arrivati felicemente da Londra, per posta normale, senza un soldo di dogana.

Il cantiere é un cantierino, simpatico, però. E simpatici anche i titolari e gli operai. Una specie di cooperativa, mi sembra di aver capito e hanno avuto la garanzia dalla Multimare di un Multi al mese.

Mi indicano un guscio ancora spontato: eccola! Così, da sotto l’invaso, mi sembra enorme. Una mezza balena che io dovrò portare a spasso per i mari.

La sfioro con la mano. Quel suo bel pancione lucido. E’ il primo contatto quello che conta. Una barca, anche mezza barca, risponde.

Infilo le dita nei suoi buchetti torniti: prese d'acqua, scarichi, foro per l’ecoscandaglio. Ne ha di buchi e di vario diametro. Ci infilo il dito e sembra già una presa di contatto più intima.

- Salga, dottore, salga! - mi chiama l’operaio che spunta toscano da sopra il bordo del pozzetto con una bustina di traverso e lo sguardo ceruleo. Anche gli altri mi incitano. La Sgnuffi guarda la mezza barca con un po' più di diffidenza. Anche a lei ho l’impressione che sembri troppo, grande adesso.

Nel ventre della "mia" barca ferve il lavoro dei falegnami che stanno preparando i punti di appoggio per le paratie in legno e tutto l’arredamento.

La Sgnuffi mi stringe un poco un braccio e mi mormora in un orecchio:

- Ce la fai a portare una barca cosi? -

Che deve rispondere un poveraccio pieno di debiti proprio per colpa di quella barca? Io sorrido di sufficienza e infilo una mano in un barattolo di copale.

Le donne hanno meno pudori. E’ una mia vecchia teoria maturata sulla spiaggia di Chiavari ai tempi della prima cotta. Infatti la Sgnuffi chiede "alcune piccole modifiche" agli interni. Tranquilla, con la beata incoscienza di chi non ha mai letto Nautica o Vela e Motore, chiede le sue "piccole modifiche".

E quelli ascoltano. Ascoltano e annuiscono. Uno prende perfino nota.

E brava la Sgnuffi! La nomino, sul campo vicecomandante, vicecapitano, viceskipper. Ah no, si dice: capitano in seconda.

Mesi di febbre. Di corse da Roma a Donoratico in auto: quattro ore per arrivare in cantiere, dare una guardata e via, quattro, ore per tornare a casa. Ma la barca c'è. Le hanno messo la tuga. Tra poco le ficcano in pancia il motore.

Già, e scade la rata grossa da pagare. Fortuna che la Merit accoglie la domanda di prestito e mi molla un assegno circolare di tre milioni. Per il resto bisogna intensificare il lavoro, che per me significa passare più notti alla macchina da scrivere per mettere insieme storie da film. Passo la primavera con Bud Spencer e James Coburn che devono assaltare un'imprendibile posizione sudista, poi a Pasqua, pagato da Ponti, squarto tre ragazze i cui corpi recano tracce di violenza carnale, torno nel West con VanCleef per un grande duello e poi faccio un salto a Milano e scopro che trema perché la polizia vuole giustizia.

Cosa non si fa per andare in barca! Giugno stringi il pugno e a luglio poi fa quel che vuoi. Infatti la promessa consegna per giugno salta regolarmente alla fine di luglio. Ma significa anche un mese di respiro per l’ultima rata.

Poi finalmente telefona l'ingegnere: domenica mattina, a Porto Baratti, le consegnerà personalmente la barca.

Gulp!

Anche Petrini chiama: bisogna saldare. Ma... prima di vedere la barca finita? Sì, prima.

- Se io non do il benestare e dico all'ingegnere che tutto e' pagato quello non vi dà la barca. - Alla faccia della fiducia!

Gli ultimi soldi e le prime cambiali passano di mano. Petrini scuote la testa:

- Fatevela mandate col camion. Costa settecentomila lire ma io ve la faccio, trovare tutta bella pulita al mio centro nautico. -

Inflessibile su questo punto per vari motivi, non ultimo che le settecentomila lire non le ho più e che comunque mi sembrano un po' tante e rendono l'insistenza sospetta, ma soprattutto perché o sono in grado di venire in barca da Porto Baratti fino al Circeo o che cavolo mi sono rovinato a fare.

Non che dentro non ci sia un po' di rodimento: in fondo il mare mare chi l’ha mai visto? Cardea, Cardea aiutami tu! E passo la notte a rileggere di rotte e di rilevamenti.

La Sgnuffi dorme accanto a me il sonno placido del capitano in seconda che si affida al capitano in prima. E io, capitano in prima, a chi mi affiderò?

Mi faccio coraggio: l’ho fatta tante volte in macchina la strada fino a Donoratico, la potrò fare anche una volta in barca no?

Ho comprato alla Finder le lettere per il suo nome. Le minuscole le avevano finite e così ho comprato tutte maiuscole con svolazzo: le devono già avere avvitate a poppa della "mia" barca. Se le han messe nella giusta sequenza si dovrebbe leggere LA SGNUFFI.

La barca é femmina, l’ho sentito la prima volta che l'ho toccata.

Poi così lucida, soda e tornita non poteva avere un altro nome per me.

Capisco perché molti skipper chiamano la loro barca con nomi di donna. Oh, stavolta skipper mi e' venuto proprio spontaneo. Mi sto già marinizzando.

Sono undici colli. Due valigie e nove sacchi. Colmi. Pesanti.

Ho deciso di partire di sabato quando ho saputo che La Sgnuffi (quella con una sola poppa e norvegese per giunta) sarebbe stata in acqua già da sabato.

Il varo, però sarà segreto ed effettuato a Piombino. Il cantiere non vuole nessuno perché il porto di Piombino non e' leggiadro, la sua acqua é nafta e volano scorie di carbone nell'aria. Vezzo tipicamente toscano volere consegnare il frutto di tante ore di lavoro umano in una cornice adeguata.

Piombino é a sud di Porto Baratti, più vicino a Roma e al Circeo. Niente: la barca va in acqua a Piombino perché la c'é la gru, però poi girerà intorno al promontorio e verrà consegnata nella fiorita archeologica baia di Baratti. Okay.

Viste le finanze e anche per una specie di acclimatazione prima della grande avventurosa traversata, si decide di partire di sabato e dormire già in barca. Così la giornata di domenica trascorrerà con l’ingegnere nel controllo di tutto e anche in qualche giro di scuola guida.

Ho nelle mani il ricordo del volantino con cui ho preso la patente e poi quello grosso del Multi che ho provato a Fiumicino. Come passare da un'automobilina dell'autoscontro a un autotreno.

Due valigie e nove sacchi e soltanto quattro, mani: due mie e due della Sgnuffi (quella con due poppe). Il taxi ci scarica a Termini e vado, a fare il biglietto.

- Baratti, Baratti... -l'impiegato cerca svogliato nel prontuario. Ce n'è uno in provincia di Torino. No, troppo al nord. Ma non ce n'è un altro.

Mi guarda sospettoso: sono sicuro di non voler andare in quel Baratti lì?

- Sicuro. Vado a ritirare una barca. Ci deve essere il mare. –

Sfoglia irritato e poi chiude il libretto: mi sbaglio di sicuro. Se vuole mi fa il biglietto per Baratti - Torino.

La Sgnuffi mi guarda incerta e devo rassicurarla: la Multimare è una ditta troppo nota per fare un bidone così nero. Adesso compro una carta dell'Italia e 'sto Porto Baratti salterà fuori.

Un salto in tabaccheria e dopo cinque minuti spiattello la carta sotto il naso dell'infastidito impiegato ferroviario:

- Eccolo. Porto Baratti, scritto fine fine ma leggibile, proprio a nord del promontorio di Piombino.-

Si infila gli occhiali ed esamina con sospetto la carta d'Italia.

Dà un'occhiata in fondo alla ricerca del nome dello stampatore, la guarda per trasparenza come se fosse falsa, poi me le restituisce:

- Per noi fa testo il libretto. Porto Baratti non c'è. 0 almeno non ci va il treno. -

- Ecco, forse. Veda un po' dove il treno passa da quelle parti. Ù più vicino possibile. -

Come si fa a chiedere ad un pover'uomo di lavorare così! E’ l’espressione della sua faccia mentre la reimmerge nelle sozze pagine del libretto. Poi dice:

- Populonia. -

- E Populonia sia. -

- Ma bisogna cambiare a Marina di Campiglia. -

- Pazienza. -

Tuuuuut! Si parte. Si va a prendere la Sgnuffi (quella con le vele) con la Sgnuffi (quella con l’aureola bionda).

Marina di Campigliaaaa! Un tuffo al cuore. Giù le valige! E i sacchi! Dallo scompartimento al predellino, con le valigie sbatacchianti contro le mie e le altrui gambe. Com’è colorito il toscano quando i toscani ci si mettono d'impegno!

La Sgnuffi comincia a passarmi i sacchi dal finestrino. Siamo, al quarto che il treno si muove. Ù mio urlo é più forte del fischio del locomotore che si ferma di nuovo. Accorre uno della stazione e mi aiuta ad abbrancare i sacchi che adesso qualcuno butta dal finestrino mentre la Sgnuffi appare, stralunata e capelli al vento, sul predellino. Lascio perdere un sacco che con bella traiettoria si spiaccica sulla banchina liberando pentolini e rotoli di carta igienica che sollevano la perplessità dell'addetto:

- O che pensa, che noi ci si pulisce con le dita?! - Aspira e domanda.

Abbranco la Sgnuffi per la vita e la poso delicatamente in mezzo alla carta igienica.

Per Populonia c'é un vecchio treno che aspetta. Ma c'é tempo. Non parte finché non passa il Piombino che viene da Livorno.

Così posso tranquillamente fare i quattro o cinque viaggi con sacchi e valigie scavalcando. binari e traversine e caricando il tutto sul vecchio treno dall'aria vagamente western. Uffa, deve essere una deformazione professionale, però se adesso di là scende Terence Hill vestito di stracci non si stupisce nessuno.

Al bar della stazione mi guardano con sorrisetti strani.

- Che, va a Populonia? -

- Sì. Anzi no, vado, a Baratti. -

- 0 mamma senti? Gli e' un altro che va a Baratti!! -

Si affaccia una signora grassa con lo zinale e mi sorride:

- Il treno arriva a Populonia alle otto e mezza. - Mi informa in tono definitivo. Ma io non riesco a captare il significato lugubre della battuta e resto col cappuccino in mano a guardare la simpatica cicciona che chiarisce:

- Da Populonia a Baratti son cinque chilometri da fare a piedi.

- Perché a piedi?

- Perché sulle ginocchia é peggio. - Spiritosi questi eredi di Dante.

- E allora che devo fare? -

Si stringe nelle spalle e la ciccia si arriccia verso il collo:

- A San Vincenzo ci sono i taxi. Ma di la i chilometri sono venti e gli viene a costare trentamila lire.

Imbrunisce già. Guardo il vecchio treno.

Forse conviene scaricare e cercare un albergo. La Sgnuffi garrula mi saluta dal finestrino: non ha voluto venire al bar per fare la guardia ai bagagli: oh grulla quelli han visto che c'é solo carta igienica!

Già, e la bussola da rilevamento? E le carte nautiche? E le squadrette e il compasso che ci ha fatto comprare Cardea?

Bravo capitano in seconda: resti di guardia. E adesso vado lì e le dico scarichiamo tutto? Col cavolo.

Populonia sia. Il treno si mette in moto dopo un quarto d'ora e nel giro

di trenta minuti: Populoniaaaaa! Due valigie e nove sacchi. Oplà! Oplà! Oplà!

La catasta si ammucchia là dove finisce il ghiaione e comincia l’erba.

Tuuuuut! Il trenetto se ne va e si lascia dietro una stazioncina ina ina, isolata nel verde, con la pensilina in legno traforato.

Hai la vita appesa a un filo, Jack! Bam! Bam! E la ColE’sparisce in fondina. Questo é West, ragazzi!

Lascio la roba ammucchiata col capitano in seconda di nuovo di guardia e mi incammino verso la stazioncina. Oltre lo sportello, giuro, c'é un vecchietto con la scoppoletta. Proprio quella da veeeecchio John, telegrafista di Cheyenne.

Saluto con un cenno di mano, perché il vecchio ha sollevato il ricevitore di un telefono di quelli in ottone arabescato a sta dicendo qualcosa la' dentro.

- Per andare a Baratti, c'é qualcosa? –

- Le gambe, figliolo. Gli è una passeggiata. –

Ma non con undici colli e la Sgnuffi. Non che la Sgnuffi non cammini visto che é stata campionessa di ginnastica artistica e appena può lo fa sapere a tutti, ma siamo già stanchi e abbiamo anche fame.

Idea: telefono all'albergo che mi han detto esserci a Porto Baratti e mi faccio venire a prendere da qualcuno. Un albergo avrà uno schifo di macchina.

Il vecchietto posa l’antico ricevitore sulla forcella e mi dice querulo:

- Non abbiamo telefono, figliolo! –

Punto un dito accusatore contro il vistoso apparecchio modellato da un ammiratore di D'Annunzio, ma il vecchietto scuote di nuovo la testa:

- Questo e' della Ferrovia, figliolo. Non e' collegato con l'esterno. –

L'espressione di pena é così evidente sul mio visto che il vecchietto si leva la scoppola e si affaccia torcendosi verso l’alto, là dove c'è una verandina di legno tutta coperta di fiori:

- Vincenzooooo!- Si affaccia una donna. Vincenzo non c'é. Forse é al Circolo.

Il vecchietto mi informa: Vincenzo é il figlio del capo stazione e spesso da uno strappo ai disgraziati che scendono a Populonia nell'illusione di arrivare a Porto Baratti.

E’ un bravo ragazzo Vincenzo, ma non c'é. Però posso provare al Circolo. Impossibile sbagliare: dietro la stazioncina c'è uno slargo e poi una breve main street. Dieci case da una parte e dieci dall'altra. Sull'angolo, ci sarebbe il telefono pubblico ma chiude alle sette. In fondo a destra c'è il Circolo. Provare a chiedere di Vincenzo.

Rassicuro il capitano in seconda: qualche cosa inventeremo.

Intanto e' chiaro che a Populonia non c'é da dormire. A] massimo possiamo lasciare il bagaglio in stazione, che tra poco chiude, e incamminarci per Porto Baratti.

Entro nel Circolo che e' poi un mezzo bar con un flipper e due tavoli dove otto stanno giocando a scopa. Guardo il barista e chiedo a voce alta:

- C'é Vincenzo? - Il barista mi fa di no con la testa:

- 0 che Vincenzo non gli é andato a Baratti, non gli é andato? -

Chiede a tutti e nessuno risponde. Poi uno caccia un sospiro così profondo che sembra partire da sotto la sedia e si alza:

- Vi accompagno io. -

E’ una bella NSU Prinz quella che riempiano coi nostri sacchi e valige, dentro e fuori, sotto e sopra e poi imbottiamo coi nostri corpi quel poco, che resta.

Il signore che ci accompagna é molto gentile: no, nessun disturbo. Solo per le nove vuole essere a Piombino.

Sto meditando il prezzo. Quanto ci chiederà questo distinto signore per portarci fino a Baratti?

Il tramonto scivola nel buio e ai lati della strada si stagliano le favolose tombe etrusche. Un posto affascinante. Laggiù la baia di Baratti piena di barche. Un brivido: là in mezzo c'é la nostra Sgnuffi!

Il distinto signore guarda l’ora: alle nove vuole assolutamente essere a Piombino perché c'è la riunione del consiglio comunale di cui fa parte e dove vuole proporre con rinnovata insistenza la necessita dell'istituzione di un Pullman che colleghi Populonia con Baratti. E’ una questione di civiltà: arrivano i turisti col treno e mica sempre lui o Vincenzo possono essere lì ad aspettarli!

Nella semioscurità non mi pare che ci sia l'inconfondibile sagoma panciuta della Sgnuffi (quella con la chiglia, per carità!).

Il distinto signore rifiuta l'invito a cena: che altro posso fare con un consigliere comunale? Allungargli un deca? Sbarchiamo dalla NSU che inverte la marcia e esploriamo con angoscia crescente la doppia fila di barche in rada: non c'é più dubbio! La Sgnuffi non c'è!!!!

Quella a forma di chitarra mi guarda con occhioni umidi da gazzella. Pagato abbiamo pagato. Ti ricordi di quell'amico biondo al corso, che ci aveva detto di essere stato bidonato 1'estate prima? Tre milioni di acconto e ancora aspetta la barca!

Ma no! Via! Ci sarà stato un contrattempo, ecco tutto. Certo l'ingegnere avrà cercato di informarci. Andiamo in quell'albergo laggiù in fondo, forse sapranno qualcosa.

E’ un bell'alberghetto con ristorante sul mare. Profumo di spaghetti cucinati alla pescatora e stomaco, in movimento di protesta. Un momento, abbiamo cose più urgenti no?

Niente. Nessuno ha lasciato detto niente per nessuno. L'albergo é esauritissimo e non ci può ospitare neanche in cucina. Mangiare si, dormire no .

La cosa si fa seria e la notte nera.

Vinicio! Come mi viene in mente il nome dio solo lo sa. Devo, averlo letto su un qualche articolo sperduto in chissà quale rivista. Uno diceva che a Porto Baratti c'é un certo Vinicio che é un sant'uomo e risolve tutto. Se mi ricordo giusto, naturalmente.

Con la determinazione di chi comincia a sentire la sorda irritazione di essere stato, preso per grullo, affronto il problema e chiedo, seccamente:

- Dove posso trovare Vinicio? -

Nessuna sorpresa. L'ho azzeccata. Mi indicano, una casa che si affaccia sulla rada. Oltre i vetri, una tavola imbandita e un televisore acceso.

Mangiano. Beati loro.

La Sgnuffi é rigida, accanto alla montagna di sacchi e valigie, in attesa di ordini, Sillaba al mio passaggio:

- Ho fame. -

Busso ai vetri. Un uomo grande e grosso alza la testa da un gigantesco piatto di spaghetti e mi guarda. Cerco il mio sorriso migliore. Lui mi dice con la mano: aspetta, vengo.

Torno verso la Sgnuffi che mi sillaba:

- Ho freddo. -

Vinicio, esce con l'ultimo boccone tra i denti. Gli spiego la situazione.

Conosce l'ingegnere, ma non si é proprio, visto. Vagamente, molto vagamente gli pare di aver sentito dire che forse dovevano arrivare con una barca. Ma non sono arrivati.

Ah.

Vinicio ci guarda. Guarda il cumulo di sacchi e capisce al volo. Per dormire bisogna arrivare a Piombino. Lì, alla fine di luglio, non c'é mai posto.

Ah.

Vinicio ci guarda di nuovo come se stesse valutandoci, poi decide:

- Prendete la mia macchina. - E sventola un mazzo di chiavi.

Intanto, é uscita una donna che cerca di intromettersi: forse e' meglio che cl accompagni lui e... Vinicio taglia corto e mi ficca in mano le chiavi:

- La macchina gli e' un po' arrivata ma funziona ancora. Ci vediamo domattina.-

Grazie Vinicio, grazie.

Piombino. A Biella, quando andavo a scuola, un professore aveva soprannominato così una mia compagna. Piombino. Perché aveva, poca elevazione sotto canestro. Piombino. In fondo, esiste davvero un posto chiamato così.

Tralicci di alta tensione e ciminiere fumanti. Aria sporca ma simpatica.

Aria quasi di casa perché anche a Biella le ciminiere mica scherzano.

Attracchiamo all'albergo Moderno che di moderno ha solo il nome ma anche i prezzi sono vecchi e questo é quello che più ci serve.

Volevamo dormire in barca e ci tocca un lettone matrimoniale stile parto della bisnonna.

E’ molto tardi e riusciamo a fare uno spuntino, in un ristorante vicino. Lì il telefono c'é naturalmente ma non serve a niente perché, adesso che ci penso, scopro di non avere mai avuto indirizzo e telefono dell'ingegnere.

Al cantiere, chiaro, a quell'ora non risponde nessuno e il cantiere é a Donoratico qualche dieci chilometri più a nord. Domani é domenica e al cantiere non c'é speranza di risposta. Ma domani mattina a Baratti troveremo certo la barca.

Ci addormentiamo con questo sogno abbracciati, io e il mio capitano in seconda.

Il cielo é azzurro. Il mare splendido. L'aria tiepida. I pini secolari disegnano, nel cielo i loro fitti ricami scuri. Le antiche tombe punteggiano il verde del declivio come sentinelle in attesa di qualcosa: forse, l’arrivo della Sgnuffi (quella con la prua).

E anche noi, circondati dai nostri sacchi, diligentemente ricchi di nodi da marinaio, imparati nelle notti di inverno, scrutiamo il mare.

Sull'acqua della baia, oltre le barche, galleggia, zavorrato, un grosso bidone: che sia un simbolo?

Vinicio accoglie la sua auto con signorile noncuranza: no, l’ingegnere non si e' visto.

Passano le ore e la mattina invecchia.

Le antiche tombe son sempre ritte di sentinella. Noi invece ci siamo accasciati su una panchina.

- Signor Gastaldi! -

La voce... questa voce... ma sì! E’ l’ingegnere!

Come il cuore si apre alla vista di un vecchio amico che si credeva perduto, o di un biglietto di lotteria vincente, così io e la Sgnuffi ci spalanchiamo alla gioia di tanta vista: l’ingegnere ci corre incontro atteggiando la faccia espressiva al codice desolato-chiedo-scusa.

Il varo non e' avvenuto. Causa un ritardo nell'arrivo dell’albero di Canclini. Oggi é domenica e non può avvenire. Non per le gru del porto, ma per via della Stradale. Perché la barca dovrebbe viaggiare con la scorta della Polizia dal cantiere fino a Piombino. La Polizia chiude un occhio, ma solo all'alba dei giorni feriali. Non di domenica. Troppo traffico anche all'alba. L'austerità é ancora lontana.

Per dimostrarci la sua simpatia e farsi scusare con maggior benevolenza, l’ingegnere ci invita a pranzo nella sua bella villa che si affaccia proprio sulla spiaggia di Donoratico. E poi la sera ci presta la sua auto per tornare a dormire a Piombino.

Visto che ormai l’effetto coreografico e' piuttosto, rovinato cerco di convincere l’ingegnere a consegnarmi la barca a Piombino e buonanotte.

Dice di sì, ma non mi sembra molto convinto. In ogni modo il varo e' per l’indomani tra le nove e le dieci.

Il guaio é che la Sgnuffi ha sentito e non posso più dirle che dobbiamo essere al porto per le otto, unico modo per arrivare appunto tra le nove e le dieci. Così arriviamo sulle enormi banchine alle undici.

Il sole picchia già con ferocia. La grande gru é immobile. In acqua si dondolano due barche, ma non la Sgnuffi. Ahi.

C’é un guardiano sonnolento seduto da una parte e lo sottopongo a stringente interrogatorio: no, non sa nulla. Ah sì, sa che smonta a mezzogiorno. E torna a sonnecchiare.

Se non hanno varato allora vuol dire che sarà successo qualche altro contrattempo.

La Sgnuffi (quella con due gambe da fischio) guarda le acque nere del porto: che sia colata a picco appena varata? Ti ricordi di quell'amico che ci aveva raccontato di quel varo dove la carena della barca aveva il buco per il log che poi non era stato montato?

Uffa! Oggi è lunedì e al cantiere risponderà qualcuno. Infatti mi risponde un operaio in perfetto toscano aspirato:

- O che dice che non gli é arrivata la barca??! Ma se é partita da qui che saranno state le cinque! -

Le cinque. Anche a spingerla a piedi per le sei era nel porto. Sospetto: quelli hanno varato in fretta e furia e si sono precipitati a Baratti per la cerimonia della consegna. Maledetti toscani!

Saltiamo sulla macchina dell'ingegnere e via a tavoletta fino all'elettrauto. S1, perché si é accesa la spia rossa del generatore. Questa mi si ferma in aperta campagna e quest'inseguimento alla Sgnuffi non finisce più.

La Sgnuffi bionda ride: la Sgnuffi con l’elica le sta proprio simpatica.

Perché mi fa correre correre correre proprio come a suo tempo ha fatto la Sgnuffi senza elica.

Fin dove può arrivare la presunzione delle donne?

L'elettrauto non ha fretta. Poi mi cambia un fusibile. Poi controlla chissà cosa. Parte la cinquemila. Pazienza. Uno skipper non può mica lesinare su queste quisquilie.

Centocinquanta all'ora: oooooh!

Fin dall'alto della strada vedo, in un trionfo sfolgorante di sole, la Sgnuffi dondolarsi al centro della baia. Ha tutta la luce di un miraggio.

Ficco, la macchina nel primo buco di parcheggio, e mano nella mano io e la Sgnuffi ci precipitiamo sul pontile facendo grandi gesti di saluto alla nostra barca.

Qualcuno equivocando ci risponde salutando da sopra la nostra barca.

Poi un barchino si stacca da qualche parte e un marinaio viene a prenderci remando. Guardo l’ora che scocca sul quadrante della Storia: sono le dodici esatte del giorno 24 di luglio del 1972, anno del Signore.

Tre minuti dopo monto sulla Sgnuffi (quella con una sola poppa, chiaro!) e stringo la mano dell'ingegnere che ricambia la stretta ma non sorride.

La sua faccia espressiva ha di nuovo un significato nel codice delle smorfie: ci-é-capitata-grossa-chiedo-scusa.

Ignoro perché devo dare la mano alla Sgnuffi dalle belle gambe che ora ne sta passando una oltre il bordo del pozzetto entusiasticamente aiutata dal marinaio rimasto nel barchino. Guai del bordo libero un po' alto.

L'ingegnere, compito, sfiora la mano, del capitano in seconda con le labbra e poi si permette un sorriso con un terzo della bocca:

- Abbiamo avuto un piccolo guaio. -

Il cuore mi si ferma mentre il mio sguardo smarrito vaga verso i lucidi fianchi della Sgnuffi (quelli in vetroresina) col terrore di vedere un qualche orrido squarcio, una sconcia rigatura, una macchiolina indelebile. Ma i fianchi sono splendidamente torniti, orgogliosamente candidi.

- Abbiamo perso l’elica. - Lo ha detto bene l’ingegnere, con estrema simpatia, quasi con affetto: abbiamo perso l’elica.

Adesso le due Sgnuffi sono già più eguali: nessuna delle due ha l’elica.

Il racconto del fatto ci viene sorriso col pudore di una nuvola di fumo di sigaretta: gradisce? No grazie, non fumo mai senza elica.

E’ stato a due o trecento metri dalla rada. Il varo é andato benissimo e poi a sette nodi, con due terzi di giri motore, intorno al promontorio. Bello il promontorio, così a picco. Anche il mare splendido.

Ah già, l’elica. Be’, quando il marinaio ha messo in folle, si é sentito il motore salire di colpo di giri. Forse l’elica era stata fissata male e quando é cessata la pressione dell'acqua sulle pale si é sfilata. Nel passaggio al linguaggio tecnico l’ingegnere acquista sicurezza: in ogni modo é già partito D'Artagnan per Milano e tornerà prima di sera coi gioielli della regina presi da Orvea.

- Il folle passando in folle e sentendo l’aumento dei giri non ha pensato a buttare qualcosa di vuoto, la sua testa per esempio, per segnare almeno il posto dove ha perso l’elica? – amaro sarcasmo.

No, il folle la testa ce l’ha ancora sul collo. Forse gli servirà in un’altra occasione.

Strano. L'incidente non mi dispiace. Capisco anche il perché. Davanti al costruttore della tua barca ti senti un po' come davanti al padre della donna che stai per sposare: lui conosce tutti i pregi e i difetti di quello che ti sta per appioppare e tu no. Be’, é una posizione scomoda.

Ma se il padre della sposa perde l’elica... le cose cambiano un po', in chiave psicologica voglio dire. L'ingegnere che perde l’elica anche se ha fatto la Cape Town - Rio de Janeiro da meno soggezione.

Comincio a slegare un sacco: quel nodo savoia che si slegava sempre é diventato maledettamente duro, comunque ecco muta, maschera e pinne.

L'ingegnere guarda con distacco, conversando con la Sgnuffi che sta dando un'occhiata alla barca' odorante di coppale.

- Posso provare a cercare l’elica. - affermo brandendo le mie lunghe pinne, memore di quelle spinnate della madonna che mi portavano lungo le scogliere del Circeo e fino alle secche.

Questa volta l’espressione non é neppure in codice, proprio papale papale:

- L'abbiamo cercata per quattro ore. Ma trovare una cosa sul fondo del mare é molto più difficile di quanto sembri. Si passa e si ripassa magari dieci volte sullo stesso posto e mai un metro più in là. Poi l’acqua non é limpida e ci sono le alghe. -

Ha ragione e non va contraddetto. Ha anche svagato da tempo che non sono Chichester e so per esperienza che la gente interpola volentieri l'ignoranza del prossimo in un settore a tutto lo scibile traendo confortanti conclusioni di superiorità.

Però dobbiamo aspettare D'Artagnan e fa caldo. Faccio il bagno.

Prima del tuffo agguanto il marinaio che ha perso l'elica.

- Dov'é successo più o meno? - Mi indica una goletta alla fonda al largo:

- Tra quella barca e la punta del promontorio della rada, cinquanta metri più, cinquanta metri meno. -

Lascio, la Sgnuffi che sfodera già il suo minibikini seduta sulla Sgnuffi senza elica e comincio la spinnata.

Il fondo é sabbioso con grandi ciuffi di posidonie e l’acqua si va intorbidendo mentre procedo verso il largo della rada. Il fondo scende lentamente e resta quasi orizzontale sui dieci metri per un bel tratto.

Sono quasi in zona, ma adesso il fondo non si riesce più a vederlo.

Si indovinano i folti di posidonie dal colore più scuro, ma bisogna sommozzare per dare un'occhiata chiara.

Così é davvero improbabile che capiti proprio sull'elica, ma se ci riuscissi... be’, non si vive di solo pane, vero?

Fortuna che pesco in apnea e che al saliscendi per ore sono abituato.

Adesso il fondo é a dodici metri. Mi tiro dietro il mio pallone segnasub perché in rada passano anche i soliti cretini coi motoscafi lanciati a sessanta all'ora. Non che il pallone li tenga tutti lontani, anzi c'é sempre quello che ha vinto la coppa dell'idiozia e che ci punta sopra il suo cento cavalli fuoribordo per venire a vedere che cos'é quel coso arancione che sembra alla deriva.

Agli affettati resta la soddisfazione di essere in regola con la Legge.

Su e giù per un paio d'ore lungo la linea immaginaria che unisce quella bella goletta al promontorio.

Sommozzo più verso la goletta che verso il promontorio calcolando che uno che porta una barca, in rada tende a tenersi il più possibile verso il centro della stessa.

Già, proprio là dove é più fondo. Le posidonie sono folte e molto sviluppate. Se l’elica si è sdraiata in mezzo ad una di quelle praterie, amen.

Dopo due ore sono già stanco. Strano, pesco magari per cinque o sei ore senza stancarmi. Si vede che il ritmo é meno intenso o forse la pesca mi diverte e mi stanco meno.

Purtroppo il fondale di Porto Baratti non é neanche bello: solo sabbia, posidonie scure e qualche vecchio barattolo.

Ma oltre la nebbia gialla che intorbida l'acqua, oltre il confine ondeggiante di un mazzo di posidonie, intravedo una forma inconsueta: come due gnacchere studiatamente inclinate una rispetto all'altro. Altro, che gnacchere, gente! Quella é 1'elica della mia Sgnuffi piantata fino al mozzo con una pala nella sabbia e le altre due dritte come le orecchie di un cane da guardia.

Porco mondo, come pesa! La svello, dalla, sabbia e mi poso con lei sul fondo. Pinneggio con rabbia e mi sollevo di due metri. Devo lasciarla andare o ci resto anch'io con le orecchie dritte come un cane da guardia.

Fortuna che la legge ha inventato il segnasub. E io so che serve. Non per gli idioti affettatori ma per portare i pesi. Vado giù con la sagola del pallone e la passo nel mozzo dell'elica: dove va, adesso?

Ù pallone vien giù di due spanne sott'acqua ma porta quasi tutto il peso. Mi aspetta una spinnata di trecento metri con elica da sessanta centimetri di raggio in bell'ottone lucido.

E’ per questo che sono senza fiato quando arrivo sotto il bordo della Sgnuffi che mostra la barra dell'elica nuda, orrenda come una mutilazione.

E’ lei la prima a rabbrividire di piacere nel vedermi con l’elica in braccio.

La seconda a rabbrividire di piacere é la Sgnuffi bionda che sta conversando con l’ingegnere. Scrutano le acque al largo, nella rada, pensando che io sia ancora là e l’ingegnere dice:

- Suo marito si sta stancando inutilmente, signora. E’ impossibile trovarel’elica là in mezzo.-

Ooooh, issa! L'elica a tre pale emerge grondando acqua, ancora imbragata con la sagola del pallone e il peso mi spinge sotto. Ma la mano e l’elica restano fuori mentre pinneggio con disperato vigore.

Qualcosa deve avvenire fuori dall'acqua perché dopo un po' il peso mi viene tolto ed io emergo come un tappo, sbuffando come un tricheco ma come un tricheco felice.

Alle brevi esclamazioni incredule dell'ingegnere si uniscono quelle dei marinai, ma poiché ostriche a tre pale non crescono in fondo al mare, tutti devono ammettere che si tratta proprio dell'elica perduta.

Bene, gente, a questo punto quando i marinai mi chiamano skipper non mi sembra più che mi prendano per i fondelli. Anche se tutto questo non c'entra un tubo, col saper navigare. Ma sapete già com'é: la gente é portata a interpolare...

Superato lo stupore anche l’ingegnere é soddisfatto: dopotutto un'elica così costa un'ottantina di mila lire! E ci compra il gelato.

Dopo un paio d'ore arriva il Carmignani: un tecnico preziosissimo visti i festeggiamenti. Ha le bombole in spalla e mugugna che mica si va e si viene da Milano così in fretta e contava di montare l’elica in serata.

I mugugni diventano bolle e l’elica torna sull'asse con chiavetta ben serrata. Almeno tutti lo speriamo.

E’ il momento della verità: forza Sgnuffi! L'ingegnere mi fa vedere come si fa. Qui si infila la chiavetta e gira. Subito il motore si accende e ronfa. Si innesta il comando morse e si va avanti.

Cosa che la Sgnuffi fa stupendamente proprio come se avesse fatto il corso alla Lega.

Il Carmignani é a bordo con noi e di tanto in tanto si sporge a poppa per poi annunciare, non senza orgoglio, che l'elica c'é ancora.

Purtroppo l’ingegnere ha degli impegni e il giretto di collaudo é corto. Si torna all'ancora dopo un'oretta.

Strette di mano e saluti.

Per caso do un'occhiata alla bussola di rilevamento e poi a quella impiantata Sul cruscotto: una delle due dà i numeri. C'é un divario di sessanta gradi! Mi sposto con la bussola di rilevamento in pugno: niente.

L’errore é su quella del cruscotto.

L'ingegnere asserisce categoricamente che la bussola montata come al solito e che nessun cliente si e' mai lamentato. Mi ricordo delle foto pubblicitarie del Multi: ne mostrano uno che naviga sotto spi nel lago di Garda. L'avrà mai guardata la bussola quello skipper?

Osservo pacatamente che é un peccato che l’errore sia soltanto di sessanta gradi: se l'ago faceva tutto il giro sarebbe stato perfetto e senza bisogno di compensare.

L'ingegnere ammette che sessanta sono un po' tantini e che forse gatta ci cova.

Ormai Carmignani é andato via. Domattina ce lo rimanda e ci sistema la deviazione di sicuro.

Di nuovo strette di mano e saluti. Guardo Vinicio che porta a riva l'ingegnere e gli operai del cantiere.

Io e la Sgnuffi con due poppe siamo soli sulla Sgnuffi monopoppica.

Siamo, soli sulla nostra barca!

Avrà l’elica facile, perderà spesso la bussola, ma già le vogliamo bene.

La nostra barca. Che voglia di rovistarla tutta! Su i paglioli! Giù i materassini! Mani nei gavoni con voluttà.

Spazio. C'é una sensazione di spazio che nelle altre barche non c'é. Sembra uguale agli altri Multi eppure sento che é sottilmente diversa: più femminile, che ne so, civettuola.

Intanto sculetta sull'onda molle della rada, un po' mignottella come le femmine femmine. Quelle che portano alla rovina fior di gentiluomini.

Quindici milioni per montarci sopra é un bel pagare, dopotutto...

Guardo il capitano in seconda un po' preoccupato: non vorrei che quello sculettio le desse fastidio. Va bene che é un esercizio in cui il capitano in seconda non é secondo a nessuno, ma... No, la Sgnuffi bionda sembra prenderlo bene. Così decidiamo di cenare a bordo e di non scendere.

Spaghetti al sugo e carne in scatola,. Sorge la luna che inargenta tutto l’inargentabile. Poesia. Meglio prenderla a piccoli sorsi, però. Forse una passeggiata sul lungomare dopotutto non ci farà male.

Riemerge il bravo gommone dalla consunta sacca blu e gli do un sacco, d'aria col soffietto. Si gonfia tutto come nuovo, anche lui é contento di tornare a galla.

Il sei cavalli é legato così bene nel pozzetto che sarebbe un peccato scioglierlo.

Due colpi di remo e via, neri nella notte guardando la sagoma chiara della Sgnuffi che continua a sculettare mentre l’onda le accarezza la poppa.

Riusciremo a dormirci sopra? Non ce lo chiediamo, apertamente ma giriamo intorno all'argomento.

- Io quando, cambio letto non dormo, mai. –

E anche:

- Chissà che umido ci sarà. E’ come farsi un buco nell’acqua e dormirci dentro. -

Sarebbe comico se dovessimo portare i sacchi a pelo sulla banchina. Meglio tornare subito e levarsi il pensiero.

Le cuccette sono comode e non c'é poi tutto quest'umido.

Splasc. Splasc. La prima notte in barca. Splasc. Splasc.

Sto fermo, sdraiato di schiena sulla gomma morbida del materasso, ma quello che c'é dentro lo stomaco ripete il ritmo dell'onda: splasc. Splasc.

Non mi piace mica. Eppure da piccolo piangevo se non mi cullavano. Questa é una culla che non si ferma mai. Splasc. Splasc.

Fatto mai l’amore in una culla? Comunque aiuta a non ascoltare l’onda.

Io e la Sgnuffi bionda abbiamo, i nostri modi di inaugurare letti.

La luna e' alta nel cielo. Un silenzio non ascoltato da tanto. Non si muove nulla nella rada che non sia mosso da quest'onda molle e accarezzante. Splasc! Splasc!

Anche le quattro chiacchiere affettuose con la Sgnuffi dalle lunghe gambe hanno termine e il capitano in seconda torna nella sua cuccetta.

Ah sì, perché la matrimoniale basta appena per me. Non ascoltate i venditori quando, vi dicono, che le cuccette devono essere strette per essere comode, altrimenti non si riesce a dormite sopravvento. Non li ascoltate se non avete in progetto i quaranta ruggenti.

E se li avete in progetto non starete certo ad ascoltare gente che novanta su cento dorme per trecentosessantacinque notti all'anno in giganteschi lettoni matrimoniali con testiera e le uniche onde che hanno mai avuto sotto il sedere sono ondaflex.

In realtà le cuccette sono strette perché vogliono stiparne sette dove ce ne andrebbero quattro e perché in due o tre metri di larghezza fuori tutto sarebbe davvero un guaio se le cuccette per essere comode non dovessero essere strette.

Ma stavolta ho la soluzione ottimale: cuccette il più larghe possibile e due belle asole nel materasso a dieci, quindici centimetri dal bordo per lasciare passare le eventuali cinghie che vi terranno a cuccetta anche nei quaranta ruggenti.

Il capitano, in seconda non dice niente, ma non dorme mica. Deve sentire anche lei quella bolla nello stomaco che fa splaso splasc! Anzi, io sono più refrattario al mal di mare...

Dormicchio. Mi sveglio di colpo. Un colpo. Forse qualcosa ha urtato la barca o qualcuno... Mi alzo piano. Una sbirciatina fuori. Grigio. I vetri sono appannati dai nostri fiati. Socchiudo la porta della cabina. Grigio lo stesso. Siamo avvolti da una nebbia grigia. Deve mancare pochissimo, all'alba. I contorni della rada sono cancellati. Vedo la prua del motoscafone ancorato dietro, a noi e la punta della banchina con la sua collana di barchini e barcarozzi.

Un silenzio ovattato come in una baita di montagna affogata di neve. La Sgnuffi dorme. Ce l’ha fatta, allora. Un'occhiata all'orologio montato a paratia: quasi le quattro.

Mi sdraio di nuovo. Lo diceva quel manuale che il sonno dello skipper é leggero! Almeno in questo mi sono adeguato. Anzi adesso e' così! leggero che resto con gli occhi aperti a pensare.

Mai pensare alle quattro di mattina sdraiati sulla barca nuova non pagata che per un terzo o giù di lì.

Bene, ora la barca c'é. Ma in fondo non e' che mi servisse proprio. Figuriamoci, per andare alla secchetta davanti al porto... Be’ no, adesso con la barca posso arrivare a pescare a Ponza. Già, quel tale mi ha detto che Palmarola e' la fine del mondo, acqua da bere tant’è limpida. Poi magari esagerava. Chissà.

Ci potevo comprare un appartamento. A Roma siamo ancora in affitto. Ma si vive una volta sola. E poi cos'é questa mania della proprietà immobiliare! Una stupidata, un'illusione! Poi si crepa e la terra e la casa restano là. Migliaia di persone diverse, guardando un pezzo di terra, hanno detto compiaciute: questa e' mia. Mica vero. La terra é sempre là e non ci sono più loro. Almeno la barca la adopero e me la scasso io. Già, niente di più facile visto che non ho mai provato neanche una manovra di ormeggio.

Oh dio, domani si parte. Ripassiamo un po’: primo tiro su l'ancora facendo leva sull'arganetto a mano che c'è a prua. 0 prima mollo il traversino che mi lega alla catenaria? Ce n’e' uno anche a poppa mi sembra. Be’ me lo farò spiegare da Vinicio.

Tirar su la vela neanche a parlarne. Magari dopo, se tutto va. bene. L'ingegnere dice che la Sgnuffi va come una sposa con randa e mezzo motore. Eh sì, la randa stabilizza e aiuta un po'.

Per tracciare la rotta sulla carta nessun patema. Vorrei vedere, dopo sei mesi di Cardea. Ma a tracciarla poi con la prua sul mare magari sarà un altro discorso.

Ormai si deve ballare. La rotta più breve sarà la mia. Mica starò a preoccuparmi se non si vede più terra. Anzi, in tutti i manuali c'é scritto che i pericoli sono sempre a terra e mai in mare. Doppiamente vero, nel mio caso. Ma prima o poi dovrò accostare a qualcosa, una banchina, un molo... Speriamo che ci sia qualcuno a darmi- una mano. C'é o non c'é questa mafia dei porti? Mi costerà un cinquemila o un diecione?

Il sole fa capolino oltre le tende arancio. Chi dorme più adesso dopo queste pensate antelucane?

Il sole é già caldo quando la Sgnuffi si stiracchia e pensa al caffè mattutino. Del Carmignani neanche l’ombra.

Una bella remata fino al telefono dell'albergo per chiedere notizie al cantiere. Il solito violento accento toscano giura e spergiura che alle ore 08.00 é partito dal cantiere un "moschettiere" per Piombino allo scopo appunto di agguantare il prezioso Carmignani.

Il mio orologio dice sono le11l.00 tempo locale: evidentemente il moschettiere deve avere incontrato qualche malefica guardia del cardinale ....

Sono le 12.00 esatte quando un pallido stralunato mezzo toscano coi capelli rossicci e arruffati gesticola in banchina. Un'altra bella remata e me lo trascino a bordo gustandomi il messaggio:

- Il Carmignani, da Piombino, dice che l’errore bussola non é dovuto all'impianto elettrico... –

Che vista, gente, che elicottera!

Il pallido e scarno moschettiere cerca di dare un senso ai suoi viaggi e smonta il pannello del quadro, degli strumenti e mi guarda di traverso:

- 0 che lei non doveva partire stamattina? –

- Già! Invece sono partiti bussola, autoclave, log e speedometro. –

- 0 gli é curioso! Un funziona nulla... -

Sollevato il pannello, lo stupendo intrico dei fili sgargiantemente colorati solleva altre esclamazioni di meraviglia del moschettiere mezzo toscano:

- 0 che non gli é bellino?! –

Effettivamente e' bellino: il solito dilemma tra arte e scienza. Ma questa non e' terra di dilemmi di questo tipo. Da secoli qui si usa chiamare arte anche la tecnica.

Il mezzo toscano si torce a cavatappi ed entra nell'armadio. Non per un attacco, di vergogna ma perché levando il fondo dell'armadio con due contorsioni doppie e una giravolta semplice si può accedere al vano pieno di fili colorati che sta sotto il pannello degli strumenti.

Tra una bestemmia e l’altra, il moschettiere biascica a se stesso che lui gli é un pratico, mica un teorico. Lui 'un capisce un cacchio, scusi signora, di tutti quegli strumentini. Ha fatto sl l’impianto elettrico della barca ma senza tante teorie e soprattutto senza schema. Pero' gli ha da essere tutto a posto, gli ha da essere! Suda e si storce uscendo coi capelli irti dall'armadio per vedere quello che ho appena estratto dal ventre della Sgnuffi (quella con l’elica ovviamente!): la ruota a pale del log diligentemente verniciata di antivegetativa.

Sgrana gli occhi e mi guarda: giurerei che e' parente del povero Stanlio, proprio una di quelle magnifiche espressioni alla Cric.

Si dà anche una gratta al cespuglio per completare la somiglianza e osserva giudizioso:

- Bisognerebbe farsi tutto da soli! Glielo abbiamo detto al ragazzo che pittava di risparmiare l’ecoscandaglio e l’elichetta del log! -

Sul fatto che bisognerebbe farsi tutto da soli comincio a concordare, coniugando però il 'verbo un po' diversamente: bisognerà farsi tutto da soli.

Tanto incamero in un angolo del cervello: ripassarsi i principi fondamentali dell'elettricità abbandonati alla beata età delle medie superiori.

Il mezzo toscano gratta un po' di vernice dal log e poi soffia come una dannato sulla ruotina a pale che gira vorticosa. Ma la lancetta sul quadrante resta ferma nella sua idea: zero.

Mezzo toscano, scuote la testa, poi mi guarda con aria accusatrice alzando verso di me lo strumento:

- Ma che, é inglese sto cosetto?

Ammetto che é inglese. Ghigna soddisfatto come se avesse trovato la soluzione del guasto:

- A me gli inglesi non mi piacciono manco quando dormono. –

E su questa sentenza torna a cacciarsi, avvitandosi, in mezzo ai fili colorati. Per un attimo la testa spunta oltre il groviglio nel buco lasciato dal pannello, poi si tuffa nella sentina. Mugugna insonorizzato dai paglioli, poi riaffiora:

- L'autoclave gli é apposto. Si era solo allentata lo stringitubo. Lo sa che ci vorrebbe? Un fioccbetto rosso!

- Per lo stringitubo?-

- Mica al posto dello stringitubo! Un fiocchetto rosso sulla barca, contro la jella...-

Oh guarda. La barca é ferma e la bussola gira. Spostando la matassa di fili elettrici si é mossa. Controllo. Adesso 1'errore su questa indicazione é di soli 25 gradi. Alla faccia del Carmignani che sta a Piombino.

L'artista venuto al suo posto smonta la bussola in un baleno e comincia a girare per la barca per trovare un posto non disturbato. In cucina, per esempio, ha pochissima deviazione. Probabilmente anche nel cesso.

Ma per fare certe cose mica si ha bisogno di calcolare la rotta: come va, va. E va quasi sempre in centro.

Il tecnico sospira:

- Qui ci vorrebbe un tecnico...

E’ chiaramente una frase conclusiva. Si pulisce le mani e richiude la borsa dei ferri. Lui ha finito. La bussola sbaglia sempre di 25 gradi.

Il log e lo speed continuano a non funzionare.

Mi tocca riportarlo in banchina, due volte perché alla prima si accorge di avere dimenticato le chiavi della macchina in barca. Durante il secondo tragitto intono un canto della laguna, da gondoliere: quando faccio, una cosa mi piace farla bene, io! E ci metto tutto su quell'io.

Il pallido, stanco moschettiere mezzo toscano un po' artista e po' tecnico mi guarda con i grandi occhi sporgenti cerchiati di tristezza.

Cala la tela sull'operazione approntamento Sgnuffi e cala anche il sole. Neanche un applauso.

Tornando indietro mi consolo: vista dal canotto la Sgnuffi é superba.

Sia quella in due pezzi sulla tuga che si mostra all'ultimo bacio del sole, sia quella in un pezzo solo (spero che duri così!) con la sua pancia e doppia prua. Non che sia precisamente elegante ma mi piace.

Poi spaghetti, luna e gioie di bordo.

 

PRIMO GIORNO DI CROCIERA

L'alba umida vissuta in mare. Oblò appannati come se fuori ci fosse latte. Stanotte é andata meglio della passata. Dormicchiatine di due o tre ore, con la Sgnuffi bionda che si é fatta invece tutta una tirata da mezzanotte al bollettino dei naviganti delle ore 06.24. Il mio Hitachi nuovo fiammante parla di alta pressione (barometro 1030) mare quasi calmo. Dodici ore successive: senza variazioni. Allora si parte!

Ma il log e lo speed? Se li hai comprati servono no?

- Come facciamo senza? -

Bevo il caffè e faccio la mia prima dissertazione da skipper partendo dalla nostalgia di quando si navigava guardando le stelle e portandosi dietro soltanto piede e senso marino.

Noi invece navighiamo senza piede e senza senso con un guazzabuglio di ritrovati tecnici che non funzionano.

Mi sembra di averlo detto bene e adesso devo proprio iniziare la manovra del disormeggio. Meno male che siamo lontani dalla banchina e nessuno fa caso a noi. Sarebbe stato troppo provare la prima partenza davanti al pubblico delle banchine che so invidioso e malignamente critico.

Prendo accordi col capitano in seconda: via le tendine dagli oblò. Uh, che scarsa visuale! La prua monta nel cielo e nasconde un bel tratto di mare davanti. Poi c'é un bell'angolo cieco per via dell'ampio montante della tuga. Bisognerà farci l'occhio. Spero di non farci anche il naso andando a sbattere da qualche parte.

Allora, l’ingegnere ha detto: si gira la chiavetta. Ah no, prima la leva va messa in folle a accelerata. Ecco fatto. Giro la chiavetta.

Evviva! Il motore risponde e si accende: non si e' accorto di nulla.

Non ha notato il cambiamento di mano.

Adesso non resta che tirare su l'ancora e mollare il traversino.

Il capitano in seconda, volenterosamente comincia a pompare sull'argano facendo ingoiare catena al gavone di prua. Dieci colpi, venti, trenta. Dal mio, posto di comando, mani sulla ruota, posso godere il notevole panorama del capitano in seconda piegato in due che punta verso il sole le sue splendide rotondità guizzanti per Il lavoro muscolare adesso perché smette? Mi guarda da prua e scuote l'aureola bionda: non ce la fa più. Il motore romba, la leva e' sempre in folle, penso di poter lasciare e fare un salto a prua.

Le altre trenta energiche pompate toccano a me e finalmente la Danforth affiora addobbata di alghe.

Momenti di suspense. Non siamo più ancorati. Uno sguardo di apprensione a trecentosessanta gradi. Tutto pacifico nella luce solare che sta scorciando le ombre del mattino.

Dietro c'è il motoscafone. A sinistra, molto più avanti, la goletta.

A destra, a venti metri c'è uno sloop gigantesco in legno con una donna sdraiata sul bompresso che prende il sole.

Coraggio. Via il traversino! Butto in mare la grossa cima e mi precipito in cabina.

Crash!

L'alluce, il ditone, proprio di punta calcia con violenza il bordo inferiore del vano d'ingresso. Tre stellette nere mi si accendono davanti agli occhi. Sono stato io, sono stato io a farlo fare cinque centimetri più alto per avere un baluardo migliore nel caso di allagamento del pozzetto!

Ma non c'è tempo neanche per bestemmiare. La barca non è piu' attaccata a niente e c'è un venticello che si alza dal mare. Certo staremo già scarrocciando. Bisogna ingranare l’elica!

Incastro la leva e spingo con cautela, abbrancato alla grande ruota. Si muove!

La Sgnuffi ronfa e si muove. Meglio andar via dritti fino al largo e poi virare a sud oltre il promontorio. Ma perché vira? Ma perché vira questa barca femmina traditrice?

- Drizza il volante! Drizza il volante! - è l’urlo avvilente e autostradale del capitano in seconda che è rimasto nel pozzetto aggrappato al bordo e che ora fissa con terrore la prua dello sluppone con tanto di bompresso verso il quale la nostra prora sta puntando malignamente desiderosa di un contatto quasi carnale.

Non sottilizzo e ruoto la ruota tutta a dritta finché si blocca contro il fermo. Niente: caparbia, solenne, autodecidente, dispettosa la Sgnuffi dalla bianca poppa continua il suo avvicinarsi al fallico pennone del bompresso del virilissitno sluppone.

Un avvicinarsi strano, a semicerchio. Aggrappato alla ruota tutta girata sulla dritta fisso con occhi appannati e cervello in subbuglio quel mostruoso avvicinarsi e l’ineluttabilità dello scontro mi mette acqua nelle gambe, come un accettare una fatalità che toglie ogni forza di reazione.

Come flash bruciati al magnesio le meningi consumano ciò che sanno: è con la barra che per virare a destra si mette a sinistra, con la ruota no, porca barca, con la ruota è come in macchina: a destra per andare a destra e a sinistra, per andare a sinistra! E io sono a destra, tutto a destra! Perché mai questa disgraziata va a sinistra? E ci va come se fosse... LEGATA!

Balzo fuori come un pazzo mettendo in folle.

La signora sdraiata sul bompresso e' già passata dalla posizione sul gomito significante distaccato interesse a quella sulla mano: inizio di preoccupazione. Ma adesso scatta in piedi con occhi sbarrati mentre guarda la prua della Sgnuffi che, portata dall'inerzia, sta andandole addosso.

Ecco cosa non ha questa benedetta barca! Non ha i freni! E invece uno ce l’ha. Un bel freno di corda che il buon Vinicio in un momento di chissà quale profonda distrazione ha rintorcinato intorno al basamento del portacanne che ho fatto montare in previsione di chissà quale big game.

E’ il maledetto traversino, teso come una corda di chitarra, che ha costretto la Sgnuffi a girare in tondo ignorando i buoni consigli del timone. Ma adesso è il benedetto traversino che frena lo slancio impudico della prua e impedisce il contatto con lo sluppone, lasciando il grosso bompresso fremente a non più di venti centimetri dalla bocca di rancio. (Per i più alpini: bocca di rancio non ha niente a che vedere con la bocca dei burba, ma è il buco dove scorre la catena dell’ancora).

E’ fremente anche la donna in bikini che ci fissa incerta: è stato uno scherzo per farle paura o un incredibile errore di manovra?

Gli erculei sforzi di tutto 1'equipaggio compreso il capitano in prima e in seconda per cercare di allentare il traversino, tornato maledetto, di quel tanto che si deve per svincolarlo, cominciano a farla propendere per 1'errore di manovra. Ci guarda e non fiata, nel senso che, non parla, perché per fiatare fiata e a ritmo accelerato per la fifa presa.

- Vinicio mentre mi parlava era un po' imbarazzato e ho visto che attorcigliava, questa corda qui, ma... -

Un ruggito sordo che mi trema nella gola contratta lascia esitante il capitano in seconda. Il pollice della destra mi va sotto il traversino che comincia allegramente a segarlo aiutato dal movimento del bordo della barca. Stringo i denti e insisto nello sforzo disperato, memore dello sprezzo per il dolore mostrato dal capitano del Makatea. E alla fine il traversino è a mare. Insieme a mezz'etto di pelle delle mie dita.

La signora dallo sluppone dice qualcosa, ma già la Sgnuffi (quella con l’elica) sta derivando di nuovo verso l’acuminato bompresso e non c'è tempo per rispondere.

Con un balzo colpisco in pieno con precisione invidiabile il bordo inferiore di quello schifo di buco da cui bisogna pur passare per entrare in cabina: lo colpisco nello stesso posto e con lo stesso dito. Stavolta le stellette nere sono almeno sei: quasi una promozione sul campo.

Ululando come una sirena da nebbia mi attacco alla leva dei comandi e innesto una furiosa marcia indietro. Riesco ad impedire l’irreparabile.

Come un marito che riesca in estremis a trascinare indietro la moglie infedele aggrappandosi alle sue anche già nude per sottrarla all'amplesso disonorante, così riesco a tirar via la Sgnuffi da quell'erto bompresso e a conservarle virginea la prua e il fianco.

La rabbiosa marcia indietro, con il timone tutto a destra, mi porta ad un'uscita dalla rada unica nel suo genere: semicircolare all'indietro a tutto gas. Bellissima.

La signora dello sloop si rimette a cavallo del suo intatto bompresso e grida qualcos'altro. La Sgnuffi in bikini risponde qualcosa di confuso per me che sto cercando di moderate il gran cerchio indietro che mi sta portando verso il promontorio. Ruoto tutto a sinistra e lascio un po' di pelle di nocche della mano destra sul bordo tagliente del cruscotto: c'è poco spazio tra la ruota e il cruscotto dalla parte destra.

Annoto mentalmente irridendo alle vampe di dolore che salgono dalle nocche. Sento che e' davvero cominciata una vacanza tutta speciale.

La Sgnuffi dalla bianca poppa si sta raddrizzando e prima di ingranare la marcia avanti sento il mio biondo secondo che urla alla signora che monta il bompresso:

- Andiamo al Circeo!!! –

Ingrano una bella marcia tutta avanti e la barca mi sculetta sotto compiendo un altro bel semicerchio, stavolta docile come una sposa, e puntando obbediente verso l'immenso azzurro.

Chissà se c'è stata risposta da parte della signora del bompresso: voltandomi l'ho vista farci uno strano gesto con la mano, come di minaccia. Per la nostra incoscienza se ci ha creduti, per la nostra faccia tosta se ha pensato di essere presa in giro.

Ma la barca va. E finché la barca va eccetera. Se non fosse per il ditone gonfio e il sangue che mi cola dalle nocche fin sulla moquette potrei già parlare della poesia dello sconfinato mare, della tersita del cielo e delle bellezze di Piombino fumante carbone e ruggine che mi sta trascorrendo, sulla sinistra.

Faccio un segno alla Sgnufffi con due poppe:

- In barca c’è una sola corda, quella della campana. – sentenzio.

Dal libro di bordo: partenza da Baratti ore 08.05 rotta bussola 190° vento forza 2 foschia.

La rotta bussola non è quella della bussola rotta ma quella della bussola da rilevamento che impugno di tanto in tanto per controllare quella che segna 225° o giù di lì..

E adesso Cardea, a noi! Compasso e squadrette, matita, gomma e libro delle tavole.

Ore 10.05: rilevamento Cerboli per 255'. Punto stimato a 4 miglia sulla Rv da Piombino. Il calcolo dà una velocità di sette nodi.

Riprendo la ruota soddisfatto e do un'occhiata gongolante alla Sgnuffi che mi guarda perplessa dando a tratti significative occhiate verso la costa che va sfumando nella foschia trasformando Piombino in un'isola e il mare davand a noi in un infinito oceano misterioso.

Indago nella sua perplessità ma sfugge trillando:

- Ci facciamo un panino? - ma dopo qualche secondo, a tradimento, dalla cucina:

- Davvero vuoi tagliare dritto? La prima volta forse e' meglio costeggiare...

Fortuna che le ho letto il libro di Moitessier e il suo dialogo con la moglie circa la "rotta più logica". Se lui ha convinto la moglie a girare da Capo Horn, io posso sperare di riuscire a convincere la mia a tirar dritto per Punta Ala. Fatte le debite proporzioni, sono grande anch'io perché la Sgnuffi mi passa il panino e addenta il suo. La bocca piena tace e solo nello sguardo da cerbiatta resta quell'umida nostalgia di terra e di verde.

Mezz'ora dopo ci siamo: mare davanti, mare a dritta, mare a sinistra e mare dietro. E noi, soli, in mezzo. Che non sia l'oceano Pacifico è difficile da dimostrare.

La Sgnuffi ronfa (quella con l’elica, chiaro) e tiene la rotta come chi ha messo, definitivamente la testa a partito. Posso mollare la ruota e andare a finire il mio secondo panino sulla tuga insieme al mio favoloso capitano in seconda.

E’ proprio fatta! La mia barca, la mia donna, il mio mare! I possessivi gonfiano il cuore di grandezza.

Dura un quarto d'ora e poi, dritto a prua, si delinea già la prima ombra di terra.

La genuina meraviglia del mio secondo in bikini mi dà la dimensione del suo coraggio. Come il marinaio di Colombo, balza in piedi e punta l'unghia laccata verso quel sospetto di mondo che emerge dalla foschla e lancia il grido che deve essere risuonato dall'inizio dei tempi sul mare:

- Terra! Terra! –

La dimensione del suo coraggio: ha mangiato tre panini pur covando in cuor suo la quasi certezza che davanti a noi non avremmo trovato che acqua per l'eternità!

Con movimenti ormai carichi di significato faccio il punto nave sulla carta e scrivo nel libro di bordo tre quarti d'ora dopo: ore 11.02 Scoglio Sparviero al traverso, e già Punta Ala trascorre e la prua punta ancora sull'orizzonte.

Ma ormai è routine. Il diesel diventa un suono naturale per l'orecchio e scandisce i suoi 1.700 giri al minuto con la perfezione del grande solista. La barca tira la sua rotta sull'acqua calma e azzurra proprio come io l'ho gia tirata sulla carta.

Un nodo mi si scioglie dentro. Solo adesso mi accorgo che anch'io, giù in fondo, dove non arriva lo sguardo della coscienza, ho sempre dubitato. Di cosa? Ma... forse di tutto. Dubitato che la Terra fosse tonda, che la bussola facesse poi proprio quello che diceva Cardea, che la barca si spostasse sul mare proprio come diceva l'ingegnere, che le coste fossero proprio come sono disegnate sulle carte. Dubitavo, certo soprattutto di me, nato fra le cime alpine, con le mani arrogante mente strette intorno alla ruota di un timone.

Le coste dell'Argentario fanno sorridere la Sgnuffi dalla pelle dorata. Non c'è più quella bella meraviglia nel vederle sorgere dalle acque, ma ancora un refolo di sollievo esce dalle sue labbra carnosette e ben disegnate.

Scrivo sul libro di bordo; Punta Avoltore ore 15.57.

Non c'é proprio onda e piazzo il capitano in seconda al timone: mi sento montare un'onda di sonno: è quell'improvvisa stanchezza che coglie i grandi dopo il culmine di storiche prove.

Dormicchio steso sul divano della dinette. Andarmi a ficcare proprio in cuccetta, a prua, con la Sgnuffi che timona, chissà, ancora non me la sento.

Fa caldo. Porto Clementino è un paesetto senza porto e io credo di riconoscerlo nella già rosata luce del tramonto, puntandoci sopra il cannocchiale.

La Sgnuffi, guidata dalla Sgnuffi, continua a fendere l'onda del Tirreno. Meta: Civitavecchia.

Controllo la bussola rotta: rotta bussola con 10' di errore! Vuoi vedere che finirà per andare tutto a posto da solo? Accendo il log e lo speed.

A quanti miracoli credi di avere diritto? Log e speed dicono che siamo immobili come il Cervino della mia infanzia.

Comunque ora si accosta e si costeggia fino a Civitavecchia. Riprendo il timone e con lui anche le mie preoccupazioni: sto per entrare nel mio primo porto!

E non è un porticciolo grazioso, su misura di barchini. E’ il porto di Civitavecchia, roba da transatlantici.

Acchiappo le schede che ho riunito staccando le copertine dell'Enciclopedia del Mare della De Agostini e mi piazzo davanti il fotocolor del porto di Civitavecchia.

Chi sei sconosciuto ideatore di quei fotocolor? Che tu sia benedetto, perché se avessi dovuto usare solo gli schizzi del Portolano...

Il nervosismo è in aumento in misura direttamente proporzionale al sole che scivola sempre piu verso l'acqua. Ci mancherebbe pure che diventasse notte prima di essere dentro!

Sì, sì, qualcuno mi ha detto che si entra meglio di notte nei porti per via dei fanali colorati, ma io voglio che sia giorno.

Non è né giorno né notte quando arrivo nei pressi dei giganteschi bracci che invitano ad entrare nel porto.

Due incredibili sagome fosche torreggiano sul mare dirigendosi verso quell'abbraccio di cemento. Nelle onde di poppa dei bestioni diventiamo, acciughe in una pentola che bolle. I bestioni fischiano cupo e qualcuno va in loro, soccorso per tirarli dentro.

Guardo, la Sgnuffi che si è vestita legandosi un foulard sui fianchi e che non stacca gli occhi da quelle cose gigantesche che abbiamo davanti.

Le luci verdi gia accese sono cinque o sei e altrettante sono quelle rosse: verde a destra e rosso a sinistra. I porti van presi cosi. E prendiamolo.

Il bestione davanti sembra risucchiare l’acqua contro il molo di sopraflutto e poi si dirige sulla sinistra.

La sera diventa sempre più fosca. Motore al minimo e fifa al massimo.

Siamo dentro ma dove andiamo? E dove e come ci si ferma?

Luci, molti interni, sagome di piroscafi. Tuf, tuf, tuf. A dritta. Dov'è quel maledetto porto vecchio che serve per i trabiccoli come il nostro?

Lo vedo solo gru e gru e gru e tubi enormi e banchine da rocciatori ornate di bitte grandi come il tavolo dell'Ultima Cena da cui partono catene dagli anelli grandi come automobiline della "rumba".

- Là! - urla la Sgnuffi aggrappata al pulpito di prua, dito teso e ondeggiando il foulard coi fianchi.

Appiattito dalla luce grigia del vespro, forse a sinistra c'è veramente un anfratto, qualcosa che permette all'acqua densa e nera di nafta di incunearsi di più tra i muraglioni sudici.

Pescherecci e una trentina di barche. Neanche un centimetro di banchina visibile tutt'intorno.

Metto in folle e la Sgnuffi entra dolcemente nel vecchio bacino.

Pescherecci tristi, bui. Yacht legati come spelacchiati cani alla catena ormai rassegnati al loro avvilente destino. Non una luce, un movimento: olio nero sotto e nero che cala dal cielo.

Azzardo un colpetto di marcia indietro per impedire alla Sgnuffi di infilare la prua fra quello sfasciume di legno.

Eccoci al centro del guaio: che si fa? Io non oso certo avvicinare la barca alle altre, manovrare, calcolare l’abbrivio, dare e togliere gas, invertire la marcia. So tutto in teoria, ma qui davvero non posso permettermelo, anche se ho pagato una sventola di assicurazione per metterci dentro proprio tutti i rischi.

Due ombre scure si muovono sulla prua di un peschereccio. Resta una cosa sola da fare: chiedere aiuto.

La Sgnuffi in bikini si sbraccia e nonostante la notte ci riesce: nessun merito, mai visto, che non sia riuscita ad attirare l’attenzione di qualsiasi cosa appena appena maschile.

I pescatori guardano, e io urlo:

- Non so manovrare! Come faccio per attraccareeeee!? –

Mai confessione fu più urlata senza alcun pudore. E i bravi pescatori si drizzano sulla prua e uno di loro comincia a guidare la manovra:

- Ruota tutta a dritta. Indietro a tutto, gas! –

Eseguo, ma, esito, un po' nel gas.

- Più gaaaaaaas!!!!

Niente da fare. Passato il comando, passata la responsabilità. Da skipper a mozzo, ma bisogna pur cominciare. Do il gas.

La Sgnuffi sculetta e indietreggia spostando lentamente la poppa, sulla destra. Ma certo non bastera per infilarsi tra le prue di quei due pescherecci!

- Senza toccare la ruota, tutto gas avantiii! E chi la tocca! Giù gas!

- Basta! Di nuovo indietroooo! Sbruuum! –

Incredibile: la poppa della Sgnuffi (quella in vetroresina, ovviamente!) è quasi al punto giusto.

Il bravo pescatore ci butta una cima. La Sgnuffi di carne la agguanta e il pescatore urla:

- Le dia volta, signora! Spenga il motoreee! –

Il dito, parte felice a premere il bottone che comanda il solenoide dello stop.

Che bel silenzio! Là, in quelle acque ristrette il rumore del diesel non era più amichevole, era qualcosa di non obbediente, che da un momento all'altro poteva mordere.

Schizzo fuori e stavolta il ditone urta il bordo dalla parte interna:

-…aaaaah! - ma riesco a trasformare l'urlo in saluto, e suona: - Aaaaaah, grazie! -

Do volta alla cima e il pescatore tira, tira e ci porta sotto la sua altissima prua.

- Parabordi! -

Sono già tornato skipper. Il secondo obbedisce e butta fuori bordo palloni e cilindri di gomma.

- Mezzo marinaio! –

Ordino e lo afferro, puntandolo contro la chiglia del peschereccio. Riesco a far scapolare alla poppa della Sgnuffi quella ruvida chiglia e poi salto sull'altro lato a spingere contro il fianco dell'altro barcone.

Siamo fermi, ormeggiati, anzi incastrati.

- L'ancora non serve! - ci grida ancora il pescatore.

Questo l’avevo capito anch'io. Siamo fermi ma piccoli movimenti ci sono: bastano, per fare rotolare via i parabordi dai punti più esposti lasciando che la tenera, Sgnufli dalla vetroresina candida entri in contatto coi quei rudi scorridori dei mari.

Il salvagente, una matassa di corda, tutto quello che riesco a trovare diventa parabordo.

Il pescatore ora vuole una cima nostra e gliela butto. Salta dalla sua barca ad uno sfasciume marcio che sta ormeggiato proprio in banchina. Ci lega là.

Sono passate le 21.00.

Stanchi morti ma affamati. Mi ricordo che al porto c'e' una trattoria specializzata nella zuppa di pesce. Ci muoviamo per tentare la scalata della banchina che torreggia alta su di noi, quando la voce dell'amico pescatore ci ferma ancora:

- Che, ve ne andate? -

- Sì, andiamo a mangiare.

Ride. Poi, bonario, ci ammonisce:

- Oh, qui state proprio nella mala mala, eh! Qui ci rubiamo tutto pure tra di noi. Se ve ne andate tutti non trovate più manco la barca. -

Si sentono delle risate lugubri provenire dal buio. Guardo quelle sagome possenti che ci sovrastano, il marciume che abbiamo a poppa, il buio sulla banchina altissima. Meglio fare uno spuntino a bordo, non si sa mai.

Ma al posto del frigorifero a bordo c'è un bel buco, dove abbiamo stivato le borse. L'ingegnere ce l’ha mostrato sorridendo: il frigo e' compreso nel prezzo ma ancora non è arrivato. Ve lo manderemo da Petrini. Già, ma non abbiamo acqua fresca. E se c'è una cosa che avvilisce 1'equipaggio sulla Sgnuffi è non avere acqua fresca. Soprattutto il secondo ne fa una malattia.

Ma sotto la rude scorza dello skipper pulsa un cuore generoso.

Ci sono due strade per arrivare a terra: arrampicarsi lungo la cima tesa fra noi e lo sfasciume, oppure il Laros fino ai piedi della parete e poi chiodi, scarponi, corda doppia e martello.

Da buon alpino scelgo la seconda soluzione. Scalata memorabile sfruttando gli intarsi del tempo scavati tra blocco e blocco di granito.

Attento a non scivolare sullo strato di grasso che dovrebbe spingere gli archeologi a sapienti scavi per studiare le miscele oleose al tempo della repubblica romana e forse anche diventare edotti sui grassi che usavano gli etruschi per ungere le cime.

Ho certo addosso un campionario di tutto quando riesco a piantare la bandiera sulla vetta, emergendo, dal limbo nero sottostante nel pallido alone di un lontano fanale.

Scalata memorabile ma nessuno mi applaude né mi intervista. Accantono nella mia mente il vergognoso progetto di andare ad acchiappare l’assessore al turismo di questa città e fargli ripetere la scalata.

Mi faccio una sgambata di un chilometro per arrivare al primo bar, una sgambata col cuore in tumulto: sarà stato prudente lasciare la Sgnuffi sola? Mica la barca, via, quella col foulard. Quella se lo mette in un modo che proprio fa venire voglia di strapparglielo via.

Da grandi navi con la pancia aperta scendono autocarri. Pompe gigantesche riempiono le loro, pance d'acqua.

A me basta una bottiglietta da un litro, fresca però.

Ne trovo una appena freschina e galoppo sulla strada del ritorno. C’é un marinaio ubriaco che vaneggia sulla banchina. Altri due cantano abbracciati con facce vagamente cinesi: dite quel che vi pare di Mao, ma due marinai dalle facce vagamente cinesi mettono sempre un brivido di preoccupazione.

Riconosco il profumo da trenta metri: sughetto fatto dalla Sgnuffi! Profumo di sugo, tutto bene. Difficile che una violentata faccia il sugo per gli spaghetti.

Infatti è ancora "vestita" col foulard sulle anche e armeggia con la pentola di smalto per scolare gli spaghetti senza colapasta nel lavello inox che sembra diventare più piccolo quando serve per simili bisogne.

- Uhuu! - saluto sventolando la bottiglia. La risposta un clangore di smalto e acciaio inox. Addio spaghetti! La Sgnuffi saltella succhiandosi un dito ma gli spaghetti sono, quasi tutti salvi, ancora nella pentola.

Inizio la discesa: perigliosa, difficilissima per via della bottiglia imperlata dalle goccette della rugiada della notte sul vetro più freddo dell'aria.

Mi siedo sul bordo della bancbina, ignorando sputi catarrosi, carte usate per cose innominabili, placche di grasso, aloni di petrolio, latte arruginite, teste di pesci che sembrano uscite da "Tutti i pesci del Mediterraneo" e altre schifezze di più difficile inventario.

Ma ci sarà un assessore al turismo a Civitavecchia?

Ho le gambe più lunghe d'Italia (più o meno) ma non arrivo al primo bordino, bisogna proprio che mi metta a pancia sotto.

Eseguo e adesso posso ammirare le delizie stratificate sulla banchina da non più di tre centimetri dal naso. Spenzolo le gambe nel buio aggrappato al bordo della banchina e alla bottiglia il cui vetro, si va gia asciugando per il venticello tiepido della notte.

Stendo come posso il ditone gonfio e dolorante e finalmente, proprio con l’unghia raschio il sudicio depositato sul bordo che sporge di quasi due centimetri a metà della parete strapiombante sul mare.

Bisogna osare.

Mollo un poco il peso del corpo. Il ditone preme sul bordo, scivola, annaspo disperatamente. Artiglio la pietra, mi puntello col mento, scivolo giu' col corpo. Il ditone trova presa e grida tutta la sua rabbia per quella scalata.

Poi, con mosse dolci struscio ben aderente alla bancbina fino ad arrivare coi piedi sul Laros. Ci sono.

Due colpi di remo in mezzo allo sfasciume, alla nafta e alla scumma e schifezza e fetenzia e purcaria, come dicono a Napoli, e sono gloriosamente a bordo. Pronto per la doccia che per fortuna è montata in.un gavone del pozzetto.

Gli spaghetti fumano nei piatti. Presento alla Sgnuffi la bottiglia di acqua minerale come D'Artagnan i gioielli della regina (ognuno fa riferimento alla cultura che ha) e la Sgnuffi accetta, graziosa, l’omaggio di tanta fatica, di tanto rischio, di tanto sprezzo per ogni tipo di lebbra.

- Me la apri? - cinguetta. Poso la forchettata scolante sugo ed obbedisco. Mescio (voce del verbo mescere) e la Sgnuffi alza il bicchiere di carta alla sua deliziosa bocca. Si bagna appena le labbra e poi le storce di disgusto:

- E’ calda. - dice. Come se la regina avesse detto a D’Artagnan che i gioielli erano bigiotteria.

La gioia della sigaretta steso nel pozzetto a mezzanotte. A pochi centimetri da me, l'immondezzaio del mondo galleggiante sul concentrato di una pubblicità sull'inquinamento, eppure nella mia barca tutto il lindore e il calore di un'alcova, di un nido che passa tra le cose del mondo senza sporcarsi, senza deteriorarsi, senza perdere calore e sicurezza. Sono i primi pensieri da tartaruga della mia vita.

C’è quella grossa cima che ci lega allo sfasciume putrido della carcassa del peschereccio, ormeggiato in banchina, quasi un odioso cordone ombelicale col marcio di fuori. Ma bisogna tenerselo. Dico:

- Sai i topi che ci saranno la sopra. Magari stanotte vengono giù per la cima.

L'umidità è alta. Bisogna dormire perché domani ci aspetta un'altra grande traversata fino al Circeo.

La Sgnuffi si sdraia sulla brandina di tela, a pullman, e io sotto nella comoda dinette. Questa scelta Pha fatta il secondo, perché dice che nella cuccetta superiore sente meno claustrofobia avendo tutto il finestrino all'altezza del corpo per guardar fuori. Che serve naturalmente anche agli altri per guardar dentro: un'attrice ama la vetrina e i gusti son gusti.

Chiudo la porta a chiave. Visto mai che qualcuno pensi di approfittare del nostro sonno del giusto?

Il dolce sciabordare della nafta sotto la carena mi fa scivolare in un vischioso dormiveglia che diventa sempre più nero e pesante man mano che ci sprofondo dentro.

Un urlo disperato squarcia il denso velo che sigilla le palpebre.

La Sgnuffi urla!

Scatto a sedere prima ancora di svegliarmi e batto una capocciata tremenda contro il tubo d'acciaio che regge la cuccetta della Sgnuffi stesa sopra di me.

Un secondo urlo tremendo, mio stavolta, squarcia adesso la notte.

- Un topo! - e' di nuovo la Sgnuffi a prendere la parola.

Quando la parola la prendo io è per maltrattarla e farla diventare una parolaccia.

- Un topo, un topo! - insiste con la pelle d'oca tutta sparsa sul bel corpo nudo, gli occhi sgranati di ribrezzo. Con una botta decisa chiudo il vetro del finestrino: se c'è un topo e' in trappola.

Non resta che cercarlo mentre la Sgnuffi si dilunga, in particolari:

- Dormivo ma appena appena, quando ho sentito sul braccio titic titic.-

Titic titic sarebbe il rumore, la sensazione, delle zampette incerte del topo che prova a camminare sul tornito braccio del mio biondo secondo.

La Sgnuffi mi guarda coi suoi occhioni bambini pieni di interrogativi e di paura di non essere creduta. Paura forse che cresce in lei man mano che vede crescere in me la ficozza sulla fronte.

Non nego: un piccolo brivido ce l'ho mentre afferro con due dita il bordo del cuscino della Sgnuffi e lo sollevo di colpo.

E se c'è il topo che fo? Lo afferro e lo stritolo con virile brutalità per farla subito finita, oppure lo tengo leggermente e lo porto fuori con romantica delicatezza d'animo? 0 con una manata spiccia lo faccio volare fuori affidandolo alla sua buona fortuna? Ma fortuna che il topo non c'e'. Almeno non sotto il cuscino.

- Titic titic e poi tititititic! - e con le dita affusolate simboleggia sulla sua pelle dorata il cammino del topo verso il perfetto turgore del seno.

- Forse hai sognato. Prima io ho detto... –

- No! Ho sentito la pelliccia. –

Argomento conclusivo. Se ha sentito la pelliccia... perché di pellicce la Sgnuffi se ne intende. Se ne intenderebbe anche di più se non avessi comprato la barca dirottandoci anche i soldi del vagheggiato visone (via, col visone che ci fai? E’ anche fuori moda! Con la barca invece ci navighi no?).

Comunque meglio non battere sul tasto pelliccia e cercare il topo.

Finora la Sgnuffi è stata uno splendido secondo.. Bella al timone, bella a prua, bella in cucina e bellissima in cucetta. Neanche una sillaba di lamento. Speriamo cbe duri e cerchiamo il topo.

La barca non è poi tanto grande, anzi diciamo che è un quinto di stanza come cubatura, però è il posto meno adatto per cercare un topo.

- La nave affondaa! - grido e la Sgnuffi balza giù dalla cuccetta spaventata.

Le faccio l'occhietto e segno di star zitta: è per il topo. Lo sanno tutti che quando la nave affonda i topi scappano.

- Ti dico che ho sentito la pelliccia! - insiste la Sgnuffi e io ficco la testa sotto i paglioli.

Quel bastardo d'un topo figlio di topo chissà dove si ficcato. Direi che ha il nido nel cervello della Sgnuffi ma meglio non contrariarla troppo.

La lascio all'ipotetico cammino fatto dalla bestiola: titititic e poi titic e ancora titititititic... e forse è scappato di nuovo fuori quando, ha urlato... e intanto mi metto una pezza bagnata d'acqua sulla ficozza e mi ritrovo a guardarmi nello specchio dell'armadio da bagno (be’ stanza non si può proprio chiamare, ma non è scomodissimo): ma che ci faccio io con questo straccio, bagnato in testa alle due di notte?

Che razza di domande si trovano in uno specchio, a volte! Meglio piuttosto cercare di dormire un altro po’ perché il bolletrino delle 0é.24 bisogna proprio sentirlo prima di partire.

Facile da dire, non da fare. A luce spenta si sentono infiniti tritic e poi titic e anche cùuuuù... Sarà il topo?

Ancora non lo sapevo, ma il dubbio ci avrebbe seguito per tutta l’estate.

Anche l’alba è sporca nel porto turistico di Civitavecchia. E anche la radio: scariche e scariche e scariche. Roba che tra la merda sull'acqua e i rumori delle onde hertziane mi viene voglia di guardare il cielo temendo di scorgere lo sfintere del gigante che ha eletto qui il suo "comodo".

Tra una scarica e l’altra però il bollettino non è più roseo come a Baratti: dice che sono possibili temporali e che il mare sarà fra due e tre.

Per navigatori come noi questo dovrebbe significare una gita in collina.

Ma il porto che ci attornia è più incitante di una fanfara che suoni la carica: partire a qualunque costo! Via di qua!

Però devo fare gasolio. Per prudenza. Basterebbe fino al Circeo ma proprio appena. Con un mare che si prospetta tre meglio avere delle scorte.

Lo so che nei quaranta ruggenti il mare tre è calma piatta, e che lo è anche per i ruggenti navigatori di pontile, ma qui, gente, i quaranta sono belanti in tutti i sensi. E "meglio un giorno da leone che cento anni da pecora" è sempre stato il motto di chi sperava di vivere cento anni da leone.

Allora, pecorotti di Mompracem, leviamo l'ancora! (per la questione culturale, vale quanto già detto a pag. 72).

Prima però facciamo nafta! Il sole scalda già quando riesco ad agganciare alla voce un fannullone mattiniero cbe bighellona in banchina:

- Come faccio per fare nafta? - urlo. E quello mi indica in lontananza l'insieme terrificante di tubi e cisterne dove vanno a servirsi i transatlantici.

A parte che non troverò più il pescatore per la manovra, ho la sensazione che sarebbe come andare con un accendino a far benzina ad un distributore dell'autostrada.

- Oppure? - ci sarà un'alternativa. C'e'. Oppure si aspetta il guardiano.

Toh, c'è un guardiano! Infatti il guardiano arriva alle 07.30 e guarda le barche con le mani sprofondate nei pantaloni blu: forse le conta. Così, per sapere se ci sono ancora tutte, come i pastori con le pecore.

Ariecco le pecore! Sarà che son di Biella, città laniera. Mi sbraccio e urlo come un piroscafo. Lentamente volge il capo e mi guarda: nafta! gasolio! Duecento litri! Annuisce e se ne va.

Lo seguo con sguardo ansioso e preoccupato: due amici lo bloccano su un pontiletto. Ahi! Gli offrono da fumare. Accetta. Si appoggia. Siamo fregati. Al Circeo arriveremo di notte.

Lui arriva con le taniche alle 08.30 e facciamo il trasbordo col Laros. Pago munificamente e mollo l’ormeggio.

Uscire è infinitamente più facile che entrare e me la sento. Poi che me la senta o no, voglio disperatamente uscire da questo pozzo nero.

Il motore romba al minimo ed esco dall'antico bacino per immettermi nel maggiore, poi tenendo la dritta comincio a costeggiare il molo di sottoflutto: la' fuori il mare non è pù quello di ieri.

C’è schiuma e grandi gobbe che entrano fin dentro la bocca del porto facendoci già ballare. Il cielo si va ingrigendo. Nuvolaglia.

Forza e coraggio: su la randa che stabilizza! Affido la ruota alla Sgnuffi, metto quasi in folle, giusto per controbilanciare la spinta che viene dal mare con la risacca e mi arrampico sulla tuga. Tuga alta: comodo sotto, meno comodo sopra. L'oscillazione ha raddoppiato la. sua altezza. Stringo i denti, e le mani intorno all'albero. Non voglio guardare il mare, devo concentrarmi sulla vela.

Abbraccio il boma come se ne fossi perdutamente innamorato e libero la vela del suo ragno elastico. Infilo la manovella del winch di dritta e isso.

La vela comincia a salire. Ma si blocca. Che succede? Il fermo della canaletta dove scorrono i garrocci di plastica ha dei bordi da limare. Bisogna accompagnare garroccio per garroccio con la mano.

Il boma ondeggia maligno allentando la scotta che lo tiene sul fondo del pozzetto. Questo non è più quello sculettio simpatico e mignottello: questo e' un dimenarsi bello e buono e la poppa della Sgnuffi si alza e si abbassa e si sposta di due metri a destra e poi a sinistra.

Su con la vela!

La barca si sta lentamente traversando. Batto un piede sulla tuga, urlo affinchè il timoniere drizzi la barca, ma so che non può sentirmi nè capire. Mollare la vela mezza su proprio non posso. Solo sbrigarmi e tirare.

Senza stecche, pazienza. Per la prima volta va bene anche senza stecche!

La randa arriva in cima all'albero, e strozzo la drizza con rabbia facendomi sanguinare di nuovo le nocche per lo sfregamento brutale contro la galloccia a piede d'albero.

Salto giù e do gas.

La barca si assesta e si affaccia, prua alle onde, fuori dal porto. Si balla un po'. Una pentola rotola fuori dall'armadietto. Bisognerà sistemare qualcosa per fissare gli oggetti di cucina che rollano dentro l'armadio. Le bottighe si possono ficcare nel lavello che le tiene ben ferme.

Sono le ore 08.45. Il barometro é sceso di tre punti. Sarà stata l'acrobazia in tuga, o l'affanno o tutt'e due le cose condite dal non aver dormito abbastanza, ma cos'é quel senso di unto in fondo allo stomaco?

L'onda c'é ma e' monotona e sempre uguale. Non c'é proprio nessun pericolo, ma questo mare non deve essere ancora mare tre. Non c'é quasi per niente schiuma.

Lascio il timone alla mia bionda e la scruto senza parere: macché, vispetta e sorridente non ha nessun sintomo. Ma non era lei che soffriva il mare?

Boh! Disteso sto subito meglio e le palpebre si fanno presto pesanti. Quando le riapro il sole entra in cuccetta con un angolo che tende già ai novanta gradi. La Sgnuffi vista cosl al timone in controluce mi appare di colpo diversa: una donna vikinga dominatrice del mare.

Ma certo! La mia siciliana slanciata e formosetta, i capelli biondi li deve avere pur rimediati da qualche parte! Un violentatore normanno si é certo fatta una qualche sua trisnonna!

- Odinoooo! –

Il mio urlo vikingo la fa sobbalzare ma mi guarda sorridente,

- Lo sai che ci stavo proprio pensando! –

Mi metto a sedere e sbadiglio. L'olio nello stomaco é passato ma una certa cefalea è rimasta.

- A cosa? -

- Ai vikinghi. –

Gente, quando, si dice della comunità dei corpi e delle anime!

- Tu stai un po' male, vero? - chiede soave.

Mi drizzo e mi devo afferrare ad un maniglione per non essere sbattuto da una parte dall'onda che passa quasi di traverso sotto la chiglia.

Gonfio le gote assumendo una certa aria approssimativa, dubbiosa:

- No... male... no, é che non ho dormito. Colpa del topo. –

Piccola vendetta buttata là sulle spalle vikinghe del secondo.

- Io sto benissimo invece. Strano perché ho sempre sofferto il mare. Chissà perché guardando le onde tutte bianche ho pensato ai vikinghi. –

Sarà quel vecchio film che han fatto alla TV… Onde bianche?

Plumffete! Lo schizzo arriva sul vetro della tuga. Oh, ma la tuga é ad un metro e mezzo dall'acqua!

Mi affaccio: non é terrificante ma le onde sono orlate di bianco.

L'acqua é molto più scura adesso, quasi volesse far risaltare meglio il ricciolo bianco delle onde.

La barca avanza dritta e sicura. La randa é ben tesa, il boma stretto quasi al centro del pozzetto. Sbadiglio: io quasi mi rimetto a dormire. Vuoi vedere che ho sposato un marinaio?

Dandoci un po' il cambio al timone e in dispensa (ho scoperto che mangiucchiando sempre, mandando giù, si impedisce l’instaurazione del senso contrario) alle 13.15 siamo al traverso della boa di Fiumicino, cioé del terminal dell'oleodotto. Il cielo si mantiene imbronciato, le onde ci mantengono in ballo ma ormai ci stiamo facendo il callo. Ci stiamo facendo il callo nella parte esterna alta delle cosce che ci servono da paraurti quando d spostiamo per la barca.

A ovest il cielo sta diventando ancora più nero. Non ho niente per controllare la forza del vento, però le raffiche cominciano a farsi sentire e inclinano a tratti la Sgnuffi. Ma l’ingegnere mi ha detto che é poco invelata e che ha il centro velico basso così non mi preoccupo. I cordini blu attaccati ad un terzo della randa ciondolano e svolazzano. Si chiamano matafioni e servono per prendere i terzaroli. Lo so benissimo. Ho letto della manovra centinaia di volte. Io poi sulla Sgnuffi ho anche la manovella che fa ruotare il boma.

Ma visto che vado essenzialmente a motore e che la randa dovrebbe stabilizzare, anche se fa quel che può col mare quasi al traverso, perché arrampicarsi sulla tuga per tentare quella faticosa manovra?

Un angolo del cervello prende nota: sintomo di mal di mare, svogliatezza. E dopo aver preso nota, controllato che il formoso secondo sta saldamente e serenamente attaccato al timone, mi stendo beato sul divano della dinette, lascio ciondolare un braccio verso il pagliolo dove mi puntello con la mano quando la barca sbanda sulla dritta: ma per far questo non ho bisogno di svegliarmi.

Le cannonate della madonna della mia dolce infanzia. Le bombe. Le smitragliate dei partigiani. Gli squarci di fuoco a Torino in quelle notti inglesi. E gente impiccata ai balconi di Novara nei festosi giorni della Liberazione. Le scarpe ondeggiavano noiose all'altezza dei volto di chi passeggiava e qualcuno, seccato, le scostava. Strano che nessuno abbia mai fatto un film su quelle giornate di maggio. Hai la vita appesa a un filo, Jack! Bam! Bam! Bam!

Il rombo fortissimo riempie l’aria e i lampi dei colpi riempiono le mie pupille assonnate. Nelle orecchie la lontana flebile voce della Sgnuffi supermolleggiata:

- Non volevo svegliarti ma non ce lo faccio più... guarda! –

I rombi non sono le cannonate dell’infanzia, né le bombe su Torino, né la Colt di Terence Hill: sono signori tuoni preceduti e seguiti da un guazzabuglio di lampi.

Burrasca, gente! Burrasca, vera!

Il ballo é più violento, adesso non sembra avere ritmo. Nulla accompagna la barca nelle sue ricadute nel cavo delle onde: ci sbatte proprio a brutto muso e tonfa con un suono tra il cupo e lo schiaffo.

Scosto la Sgnuffi dalla ruota col gesto di chi dice: ghe pense mi. E di nuovo nei suoi grandi occhi bambini la paura di non essere creduta. Spalanca le braccia, ma subito deve usare le mani per aggrapparsi: voleva descrivermi l’altezza dell’onda tremenda che sembra aver colpito la barca poco prima

che mi svegliassi. Un'onda tremenda e un colpo di vento che le ha fatto fare un giro intero.

Un giro intero é un giro intero: anche se é fatto per così invece che per cosi. Insomma é capitato ai più grandi navigatori dei quaranta ruggenti di fare il giro intero lungo l’asse longitudinale, a quelli dei quaranta belanti succede di farlo, sempre intero, ma lungo l’asse trasversale: stai a guardare il capello!?

Il mare é brutto, però. Adesso schiuma ce n'é proprio tanta. Un'occhiata alle tabelle descrittive: evviva, é almeno tre!

Sorrido, alla Sgnuffi per rincuorarla: stiamo avendo il nostro bravo mare tre e navighiamo! Navighiamo come se niente fosse! La Sgnuffi si aggrappa più forte al tientibene. Ricomincia il tentativo di spalancare le braccia per mostrarmi quant'era grande l’onda che l’ha spaventata e che ha investito tutta la barca passando sulla tuga, ma deve subito aggrapparsi di nuovo.

Impeditele di recitare e si arrabbia. Stringe le labbra e guarda le onde con odio. Gli schizzi lavano i vetri e li appannano. Fortuna che ho fatto émettere un tergicristallo non ascoltando l’ingegnere che diceva che non serviva. Invece serve. Nelle nostre modeste burraschine, ingegnere, serve.

E, tra una spazzolata e l’altra che indico alla Sgnuffi il promontorio di Anzio:

- Anzio - grido, per superare il rombo dei tuoni, del motore e del mare.

- Fermiamoci, allora, fermiamoci. Guarda come diventa ancora più nero! –

Fermiamoci. Una parola che odio: vuol dire entrare m'altra volta in un porto sconosciuto. Cerco di riunire i brandelli dei ricordi delle due volte che l’ho visto dalle banchine. Niente, non riesco a immaginarlo tutto. E le copertine dell’Enciclopedia non sono ancora arrivate a questo porto. Mi ricordo anche che ha dei bassi fondali all'ingresso da qualche parte. Entrare con quel mare non mi fido.

Ma questo ragionamento lo tengo per me. Al secondo mostrate sempre sicurezza e buonumore. Sta scritto sul corso dei Glenans, mi pare.

Quindi sicurezza:

- Ma se andiamo benissimo! Si sa che il mare ha le onde! –

Buonumore:

- Se scappiamo davanti a un modesto mare tre, allora non potremo che fare giretti davanti al porto. -

- Ma se aumenta ancora? Hai visto che nero laggiù? –

- Se aumenta, ciccia. Siamo ad Anzio, fra tre ore siamo al Circeo. Cosa vuoi che succeda in tre ore, il maremoto? –

Il secondo fa il suo dovere: tace. Anche lei ha letto i Glenans: mai discutere gli ordini dello skipper. Però di nascosto riduco il gas. Un po' meno di forza contro quelle onde ricciute di schiuma, un po' più lungo il viaggio ma meno scomodo. Ormai devo tenere il timone fino al Circeo.

Mi sento riposato per le belle dormicchiatine fattemi anche se mi dispiace di essermi perso quella famosa onda alta cosl e quel groppo di vento che ci ha fatto girare così….

Sono le ore 16.05 quando mi lascio Anzio al traverso per tuffare la prua nelle infinite vallate d'acqua che mi separano dal Circeo.

Su e giù. Su e giù. Su e giù e per la val Camonica non si sente, non si sente...

Per me lega benissimo: mare e canti di montagna.

Il mare sembra già meno cattivo anche se a volte mi manda a sbattere il cocuzzolo contro la tuga foderata di skay anticondensa.

La barca regge benone, non fa una piega. Anche la randa non la fa ben tesa dal vento anche tra una raffica e l’altra. Rivoli d'acqua che colano lungo i passavanti arrivano a tratti nel pozzetto che li ingoia nei suoi quattro buchi restituendoli al mare.

Zampe di gallina di fuoco partono dal nuvolone nero che sta avanzando veloce dando l’impressione che corra verso di noi.

Il parafulmine non c'é. E l’albero scarica in tuga. Poi c'é un piantone metallico, di rinforzo che fa da forte e io ce l’ho a due spanne dalla ruota. Se il fulmine centra l’albero e viene giù non può scaricarsi, vedrò un bell'arco voltaico stabilirsi tra me e quel maledetto piantone.

Bisognerebbe avere una catenella da mettere a festoni intorno alla barca mettendo a massa sartie e stralli. Ma io non l’ho. Sarebbe una jella se il fulmine venisse proprio sulla punta del mio albero al mio primo temporale. Confortato dalla statistica che mi parla di improbabilità vado avanti tranquillizzato.

Piove. Sembrano secchiate. Adesso l’ingegnere ha ragione. Il tergicristallo non serve più perché ce ne vorrebbero due e forse non si vedrebbe niente lo stesso. Fortuna che non c'é traffico. Ah già, non c'é traffico.

Ma non parlavano tutti di boom della nautica? E siamo alla fine di luglio. Se non c'é traffico adesso quando naviga la gente?

Sospetto la risposta ma la respingo: il solito pivellino che già si sente più bravo di tutti. Però sul mare non c'é nessuno. Spero che non sia un brutto segno. Ma no, anche ieri che era bello non c'era nessuno. Qualche vela davanti ai porti e quel disgraziato di vaporetto che andando all'Elba mi ha fatto venire un coccolone perché mi é spuntato tre metri sulla dritta proprio nell'angolo cieco della tuga.

Il nuvolone nero passa. La pioggia smette e là in fondo, l’inconfondibile profilo della maga Circe.

Come l’emigrante che rivede dopo una vita di lavoro il profilo della sua terra, la commozione gonfia i nostri cuori. Il secondo si stringe al primo e tutti e due esclamiamo estasiati:

- Il Circeo! -

Chissa da dove arriva: ma ci prende da dietro. La poppa si solleva come il culo di un cavallo al rodeo, poi tutta la barca va in alto e ruota su se stessa, come se avesse un perno sotto la chiglia, prima di ricadere di schianto nel burrone scavato dall'incredibile onda, lasciandoci abbracciati, contusi, in un mare di pentole, bottiglie, torcia, bussola da rilevamento, binocolo, compasso, carte, squadrette, piani dei porti, portolani, mele, pesche, panini, biscotti, cuscini, maglioni.

La prima cosa che riesce a dire la Sgnuffi spalancando le braccia è come la "sua" onda al largo di Anzio fosse moooolto ma mooolto più grande e di come la barca avesse fatto il giro intero, non un mezzo giro come stavolta.

- Tre volte il fè girar con tutte l’acque. - Sembra proprio come ha detto Dante: appena abbiamo visto l'alta montagna noi ci allegrammo ma tosto tornò in pianto perché dalla nuova terra un turbo nacque e percosse la nave in primo canto.

Ma é stato solo una scopoletta amichevole di saluto che ci ha dato la maga. Un'affettuosa pacchetta sul deretano per significare: eh bravi, eccovi qui. Di questo ne sono sicurissimo e infatti dopo la scopoletta il mare comincia a spianarsi e l'onda si fa lunga.

Ancora un po' di lotta per doppiare lo sperone di Torre Paola, poi ecco Punta Rossa e il Faro!

E la', dietro al Faro, chi rosseggia timida nel verde della macchia?

La minuscola casetta in cui abbiamo quattro minuscole stanzette tutte nostre! La salutiamo felici come bambini.

E in fondo c'é il porto. Ma questo lo conosco bene e non mi fa paura. Anche perché so che sul pontile c'é Peppe che mi aspetta.

Peppe é il marinaio con cui ho preso accordi per la guardanìa della Sgnuffi. Non ho mai potuto permettermi il lusso di un guardiano per la Sgnuffi ad un tanto al mese (chi vigila i vigilanti?), ma stavolta la Sgnuffi con le vele un guardiano ce l’avrà.

Sono, le 20.15 quando mi attacco alla sirena entrando nel porto del Circeo, porto non segnato sul Portolano perché in costruzione, ma gremito di barche in tripla fila lungo tutti i pontili di legno abusivi ma autorizzati che arredano lo specchio d'acqua.

Metto al minimo e l'ansia cresce: c'é Peppe? Già imbrunisce e là sul pontile c'é qualcuno ma non sembra Peppe.

Metto in folle: la barca si ferma a una decina di metri dalle prue delle consorelle ben ormeggiate. Giù la randa che deriviamo maledettamente! Fuori i parabordi!

Il secondo, scatta come può con la grazia che le ha elargito la natura. Ma sono io che mi devo attaccare  alla randa e il secondo si attacca alla sirena. Finalmente ecco uno che si sbraccia: ha una maglia blu.

E’ Peppe!

Che vuol dire con quei segni?

C’è un motoryacht a metà banchina e adesso Peppe sta manovrando a spinta delle barchine per farci un posto. E’ riuscito a ricavare due metri al massimo ma ci fa segno di ficcarci là dentro.

Eppure glielo avevo detto che non so manovrare! Peggio per lui!

Tutta la ruota a dritta, una sgassata. La barca inizia un ampio giro e mi trovo con la poppa volta alla banchina ma non in linea col buco di Peppe, dieci metri più a terra.

Marcia indietro. Rabbiosa. La Sgnuffi mi si traversa. Tutta la ruota a sinistra, colpo avanti, poi indietro. Oh dio, adesso la ruota da che parte è? Tutta a dritta o tutta sinistra?

La prua del motoryacht è gia così vicina!

Ma la prua del motoryacht non é più deserta: un'intera famiglia ci si sta radunando, armata di mezzi marinai, parabordi, cime da ormeggio. Quelli han capito subito che razza di marinai siamo. Beh? Siamo marinai che la prima volta che han messo piede su una barca l’han portata da Piombino al Circeo, bene o male. Anzi, più bene che male, direi.

Cerco di tirarmi su di morale, ma la Sgnuffi fa i capricci e non mi dice da che parte sta il timone. Provo a forzare sulla sinistra. Non gira, allora é tutto a sinistra. Un colpetto indietro: sì, maledettamente troppo a sinistra! La poppa sembra voglia infilarsi oltre il motoryacht, nella pancia candida di un Nicholson. Peppe urla:

- Nooo! Avanti di nuovooo! –

Ma perché non viene lui? E avanti di nuovo. E poi indietro ancora. La Sgnuffi si é armata di mezzo marinaio e sta sulla punta del pozzetto a poppa, pronta a tutto.

Indietro. Una gran sgassata indietro. La barca parte bene, sembra filare dritta nel buco ma dopo un po' si piega a destra. Troppo a destra, troppo a destra, verso la pancia di quel Baglietto!

Devo dare gas avanti, dio, avanti o lo sfondo!

Di nuovo quel senso di acqua nei muscoli che si chiama masochistico piacere della rassegnazione all’ineluttabile. No! Avanti!

- Ferma! Fermaaa! - la voce di Peppe é disperata e io premo il pulsante nero. Il motore tace di colpo. Mollo la ruota e balzo fuori.

Dal motoryacht due donne, una ragazza, un bambino e un pappagallo mi guardano, mentre cordiale e sorridente balza a bordo un bell'uomo abbronzato dalla faccia simpatica e mi tende la mano. La stringo, quel volto lo conosco ma nel trambusto del momento non riesco a mettergli sotto un nome o qualche avvenimento che lo distingua nel magazzino della memoria.

La Sgnuffi intanto sta andando in banchina tirata sapientemente da Peppe e da un suo aiutante che sono riusciti a buttare una cima alla ben pettinata ondina che ancheggia leggiadra nel pozzetto.

Agguanto l’ondina e la tiro in cabina: chi é quel signore?

- Ma é Pigna, quello della televisione! –

La domenica sportiva! Porca miseria, certo che l’avevo visto ma non ricordavo momenti vissuti in comune! Chissà che paura per la sua barca quando ci ha visto fare quel po' po' di slalom la davanti!

Raccolgo un po’ di roba urgente e riemergo. Si é radunata gente in banchina: la solita gente invidiosa e maligna.

Peppe tira e la Sgnuffi si fa largo coi fianchi conquistandosi il posto tra il Bagatelle di Pigna e il Baglietto sulla dritta.

Peppe tira e possiamo passare direttamente dal pozzetto in banchina, dove posso annunciare all'inclita, col petto gonfio di giusto orgoglio:

- Veniamo da Piombino. -

- Mica lontano - fa uno.

  

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