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                         I Quaranta belanti                                   

 

segue "La prima stagione"  

CON UNA BARCA NUOVA PUO' SUCCEDERE

La processione dei parenti e degli amici lungo le abusive banchine di legno, dura per giorni. Vengono, a vedere la barca, ad ammirare apertamente e a disapprovare segretamente ma non tanto.

- Ti potevi comprare un villino. -

- Sai quante vacanze coi fiocchi ti ci pagavi con questi soldi. -

- Beato te che hai trovato il modo di guadagnare tanto senza lavorare. -

Ho un solo amico che va a vela, gira davanti a Torre Astura con un Vaurien e lui non viene. Gli altri li divido, in tre categorie: quelli che restano sulla banchina e guardano la barca di là trovando le più strane scuse per non salire a bordo, quelli che salgono a bordo ma trovano le più strane scuse perché non li porti a fare un giro, quelli che vogliono fare un giro ma alla prima onda fuori dal porto urlano di tornare indietro.

D'altra parte succede così quando si é originari delle Alpi e parenti e amici hanno sempre diffidato di quella cosa acquosa che non riesce a star ferma.

Non è poi che io muoia dalla voglia di staccarmi dalla banchina per giretti di pochi minuti perché ogni volta che devo tornarci sono costretto a dare spettacolo mentre Pigna e famiglia, pappagallo compreso, sono costretti a tender fuori dalla loro barca piedi, mani, parabordi e mezzi marinai.

La vita in banchina ha un suo fascino, qualcosa che si insinua nelle ossa come una vischiosa pigrizia: la barca é lì, il mare là fuori. Il mare é bello, azzurro, invitante. Ma la barca é lì e intorno ci sono tante sorelle e ognuna sopra ha il suo bravo skipper dall'aria chichesteriana che sembra sempre sul punto di salpare, per chissa' quale crociera perché é invariabilmente impegnato a opere di grande revisione.

A prua parte dell'equipaggio prende il sole sorseggiando coca cola o whiskv scambiando a tratti battute con le altre prue che servono da prendisole.

Lo skipper emerge armato di enormi cesoie o della chiave numero 18 o del flacone del lubrificante spray.

Scompare, riappare, scompare di nuovo, poi riappare a prua a bersi un bicchierino sudato e soddisfatto: per salpare ormai e' tardi, anche solo per andare a Ponza. Domani, se il tempo regge: e tutti si voltano verso occidente per scrutare il cielo e trarne l’augurio metereologico.

Ma cirri e rosso di sera lasciano presto il posto a interrogativi più gustosi: dove si va a mangiare stassera? E magari salta su Peppe che si offre per una spaghettata gigante con due chili di peperoncino e qualche filo di spaghetti e l’aggiunta di due pescetti che il ragazzo di fatica è riuscito a tirar su dall'acqua del porto.

Si mangia, si beve e si fa tardi. Certo il meteo delle 0é.24 domattina non lo sente nessuno.

Così in fondo ad ogni skipper di banchina si annida un complesso segreto di colpa che gli impedisce di stendersi semplicemente anche lui a prendere il sole con gli altri, ecco perché domattina brandirà il cacciavite e insisterà per farsi issare in testa d'albero.

Di lassù la colpa é più lieve: chi va in testa d'albero marinaio deve esserlo per forza.

Io sono un neofita di tutto, anche della banchina. E la mia primogenita mi offre un alibi coi fiocchi: un bel braccio ingessato per quaranta giorni. Portare fuori una bambina col braccio ingessato e' segno di imprudenza e l’imprudenza é proprio il contrario del saper navigare.

Ma Alfredo al quinto giorno ci coglie senza visitatori. Siamo io, la Sgnuffi morbida, primogenita e secondogenito.

- Noi si va a Ponza. Venite anche voi! -

- Beh... sì... si potrebbe, però noi andiamo piano. Sette nodi col motore. Il tuo Bagatelle quanto fa? -

- Sedici, anche diciotto. -

- Pensa un po'.

- Ci si vede a Cala Inferno. Vi aspettiarno lì. - e il Bagatelle salpa.

Decido di lasciarmi incastrare. Poso la chiave inglese che avevo appena impugnato per stringere quel bullone sulla testata del motore e decido che si parte.

Amarilli, l’ingessata, verrà legata sulla cuccetta pullman in modo che non sbatta il braccio rotto.

Peppe, dubbioso, ci scioglie a poppa. Io avvio iE’motore e sfilo con cautela oltre la prua delle altre barche. Bella manovra.

Un colpetto di ruota e piego sulla destra verso l’imboccatura del porto. Giro un sguardo compiaduto sull'equipaggio in cerca di ammirazione e consensi.

La Sgnuffi sventola il pareo a prua tirando i parabordi, Costantino sta facendo correre una macchinetta sui cuscini della tuga tutto intento alla sua manovra, Amarilli sta fissando romanticamente la punta dei suoi piedi dove deve avere un'unghia spezzata.

Ma perché Peppe corre e si sbraccia sulla punta delta banchina?

Diminuisco i giri del motore per sentire meglio:

- Dottò! Per Ponza la rotta e' centonovanta graaaaaadi!!!! -

No, Peppe, questo non me lo dovevi fare. Centonovanta gradi sulla carta e duecento sulla mia bussola di rotta, rotta. Dieci gradi di deviazione: non mi sembra più, tanto rotta e comincio a fidarmi: ad aver fede nella sua linea di fede.

Mare perfetto di blu tintura. Cielo azzurro laziale. E l’ombra di Ponza abbastanza chiara all'orizzonte e la piramide di Zannone perfettamente stagliata a delimitare qualunque impossibile errore di rotta.

Cedo la ruota alla Sgnqffi dribblando Costantino che chiede se puo' guidare lui. Pero' mi fa piacere che si interessi.

Alzo la randa. C’é una brezza che me la tiene tesa e anche se non spinge e non stabilizza fa però moltissima scena e rende più bello il giocattolo.

Anche Costantino arriccia iE’naso e gli occhi per guardare ammirato quella grande ala bianca che ho alzato contro il cielo.

Mi rimetto al timone e fischietto: rieccomi sul mare. Dopotutto Cardea e soci la fanno molto più difficile di quanto non sia e comincio a pensare che un po' tutti i marinai si divertano a parlare di coraggio e pericoli per rendersi più interessanti e magari anche per limitare l'affollamento.

Un timore che mi appare prematuro perché a un miglio dal porto anche oggi non si vede anima sul mare. Il Bagatelle è scomparso lontano e sarà già quasi a Ponza: il mare e' nostrum.

Cala Inferno é una spettacolare insenatura di Ponza, la prima dopo l’isolotto di Gavi, con una costa strapiombante su cui si leggono gli strati della, terra.

Ma per arrivarci bisogna superare la fila di dentini neri che unisce Zannone a Gavi. Dentini neri che spuntano dal mare come dalla mandibola di un gigantesco pescecane sommerso. Dentini neri che da almeno mezz'ora sono la mia preoccupazione. Dove sarà meglio passare? Rasentare Gavi? Oppur passare tra il primo e secondo, dente, o tra il secondo e il terzo? 0 addirittura allargare per Zannone?

L'ecoscandaglio non serve perché adesso il fondo è ancora ben oltre i novanta metri che sono il suo massimo. Le carte disegnano batometriche rassicuranti tra un dente e l’altro, ma quello che ha fatto quelle righe che ne sa se qualche nuovo roccione é caduto in mare o uno dei denti si è spaccato sotto i colpi delle onde dell'ultima burrasca?

Risolve il problema il traghetto di Ponza che mi viene incontro a tutta velocità e che passa con la sua mole gigantesca rasente a Gavi. Passa lui ci passo anch'io.

- Attento agli scogliii! - urla la Sgnuffi da prua indicandomi le maligne cuspidi nere che ormai abbiamo quasi al traverso.

L'ecoscandaglio segna trenta metri. Proprio come dice la batometrica. Mi devo convincere che queste carte nautiche italiane sono una delle poche cose serie che ci sono rimaste.

A Cala Inferno ci sono due puntolini vagamente sagomati in forma di barche, ma sono talmente vicini alla scogliera da sembrarmi in secco. Metto al minimo e mi avvicino, timoroso: le rocce strapiombanti sono a ducento metri e già mi levano il sole! Come sarà il fondo? Chi le segna le rocce che contornano le rive? Rallento ancora: quelle due barche sono certamente in secca, troppo a riva per galleggiare. E io, in secca non ci voglio andare. Un bel giro di ruota e prua al largo.

Dalle due barche che tengono la poppa contro la scogliera si leva un furibondo ululare di sirene.

Porca miseria, ma allora uno é il Bagatelle! Rigiro la ruota e ritnetto la prua contro la scogliera: a destra una frana ciclopica che finisce in mare mi parla di fondo, martoriato e pericoloso, a sinistra lo strapiombo quasi negativo, parla di crolli titanici possibili da un momento all'altro.

Proprio al centro c'é forse un orlino di sabbia: speriamo che andando dritti dritti...

Dalla prua del Bagatelle c'é gente che si sbraccia e grida qualcosa. In folle, per sentire. Alfredo col megafono mi urla di non avere paura e di andare verso la sua barca: c'è fondo.

Fiducia nei nuovi amici: prua su quelle barche che sembrano sugli scogli e gas.

Adesso vedo bene Alfredo e gli altri. Alfredo mi fa segno di girare a cerchio. Megafona:

- Mettiti con la prua parallela alla mia e accosta senza paura! -

Io guido dalla timoneria interna e rispondo come posso dal finestrino. Comodo il megafono però, un accessorio che ancora mi manca.

Calcolare il cerchio per affiancarmi al Bagatelle col rischio di speronarlo non é per me una manovra tranquilla e in fondo non so se stupirmi o compiacermi della fiducia di Alfredo: io, a uno come me una manovra d'accosto alla mia barca non gliela farei fare.

Ma Alfredo insiste alla voce e ormai siamo a cinquanta metri e non c'é più bisogno di megafono. C'e' bisogno di sangue freddo e sicurezza.

- Vira! - urla Alfredo ad un certo punto e io faccio fare i tre giri che la ruota mi consente: la Sgnuffi dalla bianca poppa evoluisce superba e si affianca al Bagatelle, subito afferrata da mani esperte e volenterose.

- Spegni il motore! -

E’ sempre con sollievo che indirizzo il dito al bottone nero che comanda lo stop al motore. Lo pigio. Poi lo pigio di nuovo. E infine lo schiaccio terrorizzato: non succede, nulla. Il motore continua a rombare come se niente fosse.

Controllo che la leva sia in folle. Sì, lo é. Posso lasciare e saltare fuori nel pozzetto per dire:

- Il motore non si spegne. -

Alfredo mi fissa corrucciato, indagatore:

- Come non si spegne. -

Punto l’indice verso di lui e rifaccio il gesto di pigiare il bottone e ripeto:

- Non si spegne. -

Alfredo esista un attimo e poi grida a qualcuno che sta sull'altra barca:

- Ehi, ingegnere, qui il motore non si spegne! Vieni un po' a dare un'occhiata!-

Io intanto torno dentro a pigiare quel vigliacco di bottone nero che si fa pigiare ma non reagisce in nessun modo.

L'ingegnere e' un giovanotto fresco di laurea che salta a bordo con aria efficiente. Viene anche lui a pigiare il bottone nero, con lo stesso risultato già ottenuto da me. Gonfia le gote perplesso e poi sentenzia:

- Manca corrente. Il solenoide non funziona e non spegne. Da dove si arriva al motore? -

Vado ad alzare gli enormi paglioloni in plastica sul fondo del pozzetto dopo aver convinto, la morbida bionda Sgnuffi a spostarsi. Cosa che fa passando dal pagliolo di destra a quello, di sinistra.

- Devi levarti anche da lì.-

Sopporta e torna su quello, di destra.

- Via! - ringhio e la Sgnuffi mi guarda offesa, poi getta indietro i bei capelli biondi e si arrampica verso, prua nell'atteggiamento classico di una papera aristocratica costretta a passare fra un branco di oche.

Il motore, anche vedendosi scoperto, continua a battere.

L'ingegnere cala la mano verso il mistero delle intricate condutture di metallo giallo verniciato, verso il blocco caldo del motore irto di incomprensibili spuntoni terminanti a volte in anelli, a volte in grossi dadi, a volte in incomprensibili cappuccetti di gomma.

E’ come una mano calata per uccidere qualcosa, per spegnere.

- Se lo spegne poi... - Troppo tardi. Ha tirato la leva fatale. Un singhiozzo sordo e il silenzio. L'ingegnere mi guarda sorridendo interrogativo e io posso con calma finire la mia frase, anche a bassa voce. Ormai lo sfondo é solo il sciabordare dell'ondina sulla scogliera:

- ...non lo posso riaccendere se manca la corrente.-

L'ingegnere non si drizza subito. Resta lì inginocchiato sul buco del motore e rigonfia le gote, perplesso. Poi annuisce: é d'accordo.

Provo da avviare la chiavetta e nulla si degna di rispondere. Neppure un rumorino ino ino, una scorreggetta, un vaff vaff vaff. Niente.

- Batterie a terra - é la voce condolente dell'ingegnere. Sta volta annuisco io e lo sguardo mi corre al mare: visto mai che si mette a fare i capricci proprio adesso?

L'ingegnere scompare e mi ritrovo davanti Alfredo sorridente: niente di male. Adesso mi darà uno strappo Ifino al porto di Ponza e lì troverò un meccanico.

Mi abbandono all'efficienza di Alfredo, poi dicono dei napoletani!

In un baleno la Sgnuffi si trova imbrigliata, presa per il naso, e trascinata dal Bagatelle verso l’ampia rada antistante il porto dell'isola.

Posso anche accompagnare la manovra con un po' di timone.

Ma che succederà quando Bagatelle butterà l’ancora? Non gli andrò addosso per l’abbrivio? Sempre la mancanza di questi maledetti freni.

La mia prima entrata nella favolosa rada di Ponza avviene al guinzaglio, eppure la scenografia é cosi impensabilmente perfetta che non può non sollevare l'animo dall'oppressione.

- Giù l’ancoraaa! – E’ Alfredo, il salvatore della patria.

Quella maledetta frizione! E’ sempre stata docile e adesso... La frizione dell'argano dell'ancora che non molla! Ma giro nel verso, giusto? Ma sì, accidenti!

Trac!

Urto con le nocche in coperta proprio sulla crosta dell'altra volta, ma la frizione ha mollato e la Danforth piomba nelle acque limacciose della rada.

- Dai catena per trenta metri! - Ancora lui, il salvatore. Obbedisco. Come Garibaldi.

Siamo ancorati. Il Bagatelle si ancora trenta metri più a terra.

Come ringraziare? Come scusarsi? Come sottrarsi all'etichetta di rompiballe marino dopo aver rovinato uno splendido pomeriggio a gente che per mare ci sa andare e che si apprestava ad una battuta di caccia subacquea in una pittoresca

baia?

Meglio occuparsi delle batterie. E gonfiare il canotto per andare a terra.

Bruum! Un rombo allegro e il naso di gomma del canotto del Bagatelle si struscia amichevole sui fianchi vergini della Sgnuffi. Il sorriso divertito di Corrado, figlio undicenne di Alfredo, incrocia il mio sguardo avvilito:

- L'accompagno io. Facciamo prima. –

Facciamo prima sì.

Costantino saltella di gioia:

- Posso venire anch'io? -

La mia autorità di skipper é molto compromessa e annuisco.

La Sgnuffi in bikini, becco in aria e fianchi dondolanti, chiede con distacco quello che deve fare lei.

- Stai di guardia - le rispondo calandomi sul canotto mentre sento le proteste di Amarilli levarsi dalla cuccetta a pullman: chiede se può essere slegata, la poveretta.

Può.

Le banchine di Ponza sembrano la via Veneto di felliniana memoria.

C’è di tutto e il tutto tiene a sottolinearsi. Vanno e vengono senza parlare di Michelangelo le donne dalle passerelle lunghe cinque metri tese come leggiadri ponti levatoi dai sogni di Sonny Levi, Harrauer, Caliari, Baglietto e C. che spostano le loro brave tonnellate d'acqua nera galleggiando con le terrazze di poppa volte alle botteghe che si susseguono, volutamente anguste, scavate nel muraglione rosato che sembra sostenere il paese appeso nel cielo e nel verde come un vecchio scenario. Vanno e vengono anche giovanottoni abbronzati, giovanottoni canuti, hippy panciuti come otri infilati in bluejeans fatti su misura, ciabattanti miliardarie mimetizzate in camicette stinte e sdrucite da Mary Quant, marinai azzimati ed elegantissimi e le donnette vestite di nero sedute davanti alle botteghe fanno la parte dei vecchi indiani di legno immobili davanti agli "stores" di una certa America.

Di tanto in tanto l’acqua del porto si muove per un'onda e le passerelle arano i piedi della folla scorrendo sulla banchina in un moto perpetuo di avanti e indrè.

Abili scooter slalomeggiano tra la gente e le ruote delle passerelle, tamburellando continuamente sugli afoni clacson.

A tratti la folla si apre, gli obesi hippies commendatoriali tirano disperatamente indietro la pancia addossandosi alle antiche mura e i giovanottoni canuti e non, saltellano sul bordo della banchina tirandosi dietro le sdrucite miliardarie per lasciar passare un'auto che avanza testardamente sempre sul punto di far scoppiare un ciccione o scaraventare qualcuno nell'acqua nera del porto.

E’ uno zoccolìo continuo, un incrociarsi di saluti e di inviti per "un whisky in barca stasera" e tutti sembrano conoscersi ed essere felici

I barconi dei pescatori, emarginati, grossolanamente marini, stanno pazientemente a guardare ostentando puzza di pesce.

Un ragazzino corre abbracciato ad una stecca di ghiaccio per qualche barchino miserabile senza frigo o per gli invitati di quel sogno di goletta che vogliono farsi una grattachecca supplementare.

C’è di tutto, ma uno che carichi le mie povere batterie, no.

Davanti alla spelonca del meccanico, certamente arredata a grotta da qualche grande arredatore, c'é ressa.

Il meccanico é un gigante bruno dalla tuta meravigliosamente unta che ostenta davanti alla caverna magica grossi bidoni dove gruppi di fuoribordo fanno il pediluvio.

Corteggiato da gruppi di aspiranti clienti, da leggiadre signore che vogliono farsi controllare le aspirazioni, da servi di commendatori che vorrebbero fargli dare un'occhiata alle condutture di scarico degli odiati padroni, ammirato in silenzio da torme di miserabili possessori di barchini che non osano avanzare i loro problemi da cinque cavalli, il meccanico di Ponza decide delle vacanze di moltitudini con brevi cenni del capo:

- Vengo - e il sole torna a splendere.

- Non vengo - ed é notte.

Un'ora e mezza dopo essere entrato nel gruppo degli aspiranti al colloquio, riesco a piazzare due parole sulle mie povere batterie.

Mi guarda corrusco per tre secondi e poi il verdetto:

- Ci vuole l’elettrauto. Non é il mio campo - e già é sommerso dai seicento cavalli Cumminghans di un milanese.

L'elettrauto c'é ma non c'é. C’é la bottega ma lui no.

- E’ in giro, aspettate che viene. -

Fortuna che il passeggio é molto vario. Trascorrendo con gli occhi dalle poppe delle signore a quelle delle barche, entrambe scoperte, ecco quella bianca della Sgnuffi. Trasalisco: la Sgnuffi non é sola!

La Sgnuffi é circondata da marinai! Laggiù, in mezzo all’abbacinante baia che ora si sta incendiando al sole del tramonto, due, tre, quattro marinai in divisa stanno montando sulla Sgnuffi!

Scorgo a poppa Amarilli col braccio teso come la statua della libertà e la mia bionda in bikini che discute coi marinai.

Poi la Sgnuffi di vetroresina viene legata ad un barchino della capitaneria e trascinata più a terra.

Guardo impotente la manovra col cuore in tumulto. Corrado mi tira per un braccio:

- E’ arrivato l’elettrauto. -

I marinai ancorano di nuovo la Sgnuffi e se ne vanno. Sospiro di sollievo. Amarilli sembra salutarli romanamente ma io so che é solo il gesso.

L'elettrauto ascolta distrattamente i sintomi che gli descrivo da profano, ascolta con una piega di incredulità: sono venuto dal Circeo a motore e l’alternatore carica o almeno la spia non si é accesa, eppure le batterie sono a zero. Talmente a zero che non hanno avuto la forza di spegnere il motore. Fa spallucce e poi la diagnosi:

- Allora c'é un guasto. Ma io al massimo posso venire più tardi a darle una scossa. - E si infila nel suo antro, assalito da una turba vociante amperora.

La bravura di Corrado con quel motorino: avanti, indietro, a zig zag, sopra il cavo, sotto la cima, fa guizzare il canotto nel mare di barche e mi riporta in rada contro i fianchi dondolanti della Sgnuffi.

Alfredo, stoico, ci invita a cena. Ma dobbiamo aspettare l’elettrauto. Fa niente, fa un giro e poi tornerà a prenderci.

La Sgnuffi si veste per la sera annodandosi il pareo sullo slip del bikini e mi narra della sua avventura coi marinai della Capitaneria che hanno spostato la barca per far spazio alla manovra del grosso traghetto in arrivo.

Sta calando la sera e la cupa disperazione quando urta riguardi i fianchi candidi della mia barca un rozzo barcone che ha una terrazza di batterie per paglioli. A poppa siede l’elettrauto: due ragazzi in tuta balzano a bordo con due cavi e morsetti. Scoprono le mie batterie senza alcun riguardo e collegano i morsetti.

Con ampio gesto, senza neppure alzarsi, l’elettrauto, pieno di dignità senatoriale ordina di avviare il motore.

Balzo in cabina per precedere i due unti ragazzotti e il mio alluce bacia con violenza per la terza volta quel maledetto bordo, che ho fatto rialzare per sicurezza. Le stelle splendono doppie nel cielo già scuro di Ponza ma arrivo primo alla chiavetta e la ruoto. Il motore singhiozza disperato e si avvia.

Già il barcone si sta discostando. Mi aggrappo alla battagliola e:

- Ci sarà qualcosa a massa. Quello gira ma non carica. Non può dare un'occhiata?-

Il senatore a poppa dice dignitosamente di no con la testa.

Uno dei ragazzotti stacca i morsetti e mi chiede:

- E’ amico di Pigna, vero?-

Ammetto.

- Vabbeh, allora mi dia ventimila. –

Non ho mai avuto il coraggio di chiedere ad Alfredo cosa diavolo avesse fatto a quel pover'uomo per essere tanto malvisto.

In ogni modo adesso, il motore ronfa e il velo della disperazione é meno denso.

Consulto il mio equipaggio: forse sarà meglio tornare subito al Circeo.

La Sgnuffi é incerta e osserva con encomiabile realismo che si sta facendo buio. Costantino, sbuffa: siamo appena arrivati! Amarilli dichiara che vuole fare un giro col canotto di Corrado.

Mai cercare di dividere le proprie responsabilità.

Alfredo torna col canotto, ma come si fa a lasciare la mia Sgnuffi accesa in mezzo alla rada e andare a cena?

Amarilli da sopra il gesso, fagli occhi dolci a Corrado che non resiste al suo fascino e le offre un giro in canotto. Si siede col braccio teso sulla prua e solca la rada come Cleopatra.

Alfredo mi sconsiglia di partire. Mi ricorda quei dentini neri che di notte sono ancora più neri e non si vedono. Mi ricorda che senza elettricità sono anche senza luci di via.

- Senti a me. Tieni acceso tutta la notte e te ne vai domani. -

E pensate, che la barca più vicina era la sua!

Accetto il consiglio cercando di dimenticare gli innumeri articoli letti sulle riviste circa il galateo nei porti, là dove si dice sempre di non rompere caricando le batterie.

Ma io non sto caricando un bel niente. Però credo proprio di rompere.

Cena a bordo alla luce fioca fioca che a tratti riesce ad animare la lampada della dinette. E il ronfare del diesel come accompagnamento.

Così per tutta la notte e io che a tratti rompo la monotonia del concerto cambiando il numero dei giri perché mi ricordo un altro articolo dove si dice che il diesel in rodaggio non deve girare molto in folle e soprattutto non troppo a lungo al minimo.

La prima notte della mia vita nella romantica rada di Ponza con la famiglia al completo passa con l'Aifo che mi parla in un orecchio, orecchio a cui di tanto in tanto dò il cambio girandomi ora su un fianco e ora sull'altro.

A prua i pargoli riescono a dormire. La Sgnuffi sonnecchia nella cuccetta a pullman e io aspetto l’alba.

Sono le 04.30 quando la nebbia umida della notte si imperla di grigio ad est subito mi muovo.

Esco nella guazza del pozzetto: che bella Ponza!

Il mio ron ron si stempera nella nebbiolina che si sta sollevando scoprendo via via giri di case sempre più in alto sugli scalini perfetti del grande anfiteatro.

Le barche dormono. Si sente proprio che dormono, non solo chi c'è dentro, ma proprio loro, le barche. Un barchino con un uomo e un ragazzo avanza sotto la spinta molle dei remi, vanno, certo a pescare.

Metto in acqua il mio gommone e cerco un foglio bianco per lasciare un messaggio ad Alfredo che dorme col Bagatelle poco lontano.

Almeno spero che sia riuscito a dormire. Remo anch'io senza rumore, sospeso nell'ovatta dell'alba immobile.

Arrivo alla poppa del Bagatelle e appendo il mio messaggio: grazie di tutto, arrivederci a presto, firmato Ernesto il Molesto.

Tutti dormono anche sul Bagatelle, meno male. La Sgnuffi si sta stiracchiando in pozzetto e mi dà una mano all'ancora.

Ho ancora attimi di paura al momento in cui l’ancora sale e la barca é in folle, ma comincio a farci l’abitudine.

Metto un giro di timone e innesto il Morse. La Sgnuffi docile rimette prua al largo e prende la strada del ritorno.

La luce sulla dinette splende vivida. Le batterie sembrano cariche!

E chi ci capisce niente?

Ma adesso ho solo un pensiero ficcato in testa: se si spegne il motore siamo fregati. Chi me la da' una scossa da ventimila lire in mezzo al mare? E anche Sant'Alfredo é lontano...

Oh dio, ho le vele. Ma non ho mai provato solo con le vele e sarebbe proprio brutto provare per forza.

Ma il motore cammina allegramente e benedico il signor Diesel che con questo motore ha evitato le scintille e tutto l’armamentario elettrico. Questo motore, una volta partito, se ne fa un baffo delle batterie!

La bussola cerca di convincermi che sto facendo rotta per 75° ma io non le bado e ascolto quella di rilevamento che continua a ripetermi che sto facendo rotta per 10°, come vuole la carta nautica e dopo un'ora, nella luce del primo sole, scorgo a prua il promontorio del Circeo. Casa dolce casa!

Sono quasi le nove tempo locale quando entro, nel porto del Circeo.

La solita manovra confusa per costringere la Sgnuffi a infilare la poppa in spazi angusti, patemi, traumi, tremarelle e poi la cima salvatrice di Peppe.

Pigio il bottone nero. Niente. Ci risiamo. Il motore non si spegne.

Il problema mi si presenta sempre più curioso: in folle il motore carica, in moto scarica. Ma non c'é differenza, alcuna per il motore tra i due stati!

Eppure una differenza ci deve essere. Anche stavolta bisognerà cercare un elettrauto.

Tremo all'idea delle prossime ventimila: se avere una barca significa, questo dovrò venderla subito.

Possibile che sia proprio vera la storiella che paragona il gusto dello yachting a quello di strappare biglietti da diecimila stando vestiti d'inverno sotto una doccia gelata?

Peppe ascolta le mie traversie e scuote la testa: é che .1avorano, coi piedi, ecco, cos'è, coi piedi! E io penso ai piedi dell'ingegnere della Multimare.

L'elettrauto del Circeo é più simile ai normali elettrauto, di città. Si incolla le batterie scariche e me le restituisce cariche l’indomani.

Ho passato la notte rigirandomi nel mio letto: non l’ho mai trovato tanto scomodo con quella rete ondaflex e dodici centimetri di permaflex. Laggiù nelle calme acque del porto c'é la mia barca malata.

Malata di una misteriosa malattia: come se a navigare le venisse l'esaurimento nervoso.

Percorro con la mente l’intrico dei suoi nervi elettrici liberamente tirati senza schema da quel mezzo artista toscano. Ma sono bei cavoni neri. I morsetti sulle batterie bene ingrassati e con perfetti contatti, i fusibili che non fondono nella scatoletta della Fiat inchiodata sul retro dell'armadio sotto il cruscotto, poi tutti quei fili colorati più sottili che si innestano sicuri nei misteriosi buchi di tanti strumenti.

Alle tre di mattina arrivo ad una conclusione: per scaricare una batteria qualche filo deve essere a massa.

E qualche filo di puttana, che deve essere a massa solo quando il motore e' in moto. Però il motore é un diesel e non usa la corrente dopo essere stato avviato, e allora non può entrarci un accidente. Eppure...

Alle quattro di mattina mi alzo per vedere l’alba. La notte non porta consiglio, porta stanchezza se la si passa a pensare.

Scoramento: la natura si sveglia, gli uccelli cinguettano nel loro mondo semplice fatto, di rami e di cielo. Sant'Agostino voleva capire Dio e quel bambino voleva mettere tutto il mare nel suo buchetto sulla spiaggia.

Come posso io capire la Sgnuffi nella sua complicata sconosciuta essenza? E’ più lei che ha comprato me che viceversa.

Poi i santoni di Ponza e del Circeo hanno, scosso il capo. Nessuno, azzarda una diagnosi qualsiasi per il suo male. In fondo sono, certo che pensano che il suo male sia io.

Per la decima volta mi processo: che ho potuto f are alla mia barca per farle venire 1'esaurimento nervoso dopo così poco tempo? Niente. Candido come un agnello: la voce della coscienza. Ma tanto lei é là, sola, panciuta e bianca e malata.

E qui si dorme .

Beh io no. Mi vesto e filo al Porto. Ci sono solo le barche. Gli skipper dormono tutti nelle loro ville con l’aria condizionata e i guardiani dormono nelle loro baracche con l’aria di chi si guadagna il faticato pane.

Meglio: voglio essere solo con lei. Dondola umida di rugiada ben legata alle sue briglie.

Salto nel pozzetto, deciso. Magari la sventro ma devo operarla e salvarla.

Allora cominciamo: le batterie...

Alle undici fa un caldo boia e ormai. Il porto é in piena animazione: le barche del giretto quotidiano stanno mettendo alla vela, i poderosi mille cavalli di chi va a fare il bagno dall'altra parte del molo rombano possenti.

Le prue cominciano, a popolarsi di aspiranti alla tintarella e dal fondo dei paglioli si sentono i colpi di martello degli skipper.

Io sono ficcato nell'armadio, seduto su filo di un compensato da un centimetro che mi sta dividendo il sedere in quattro, spicchi: deve ormai sembrare una torta pronta per quattro. Con la doppia contorsione necessaria e sufficiente per ficcare la testa sotto il cruscotto sto analizzando ogni contatto.

Di là sotto non capisco un tubo, ma posso tirare dolcemente un filo alla volta per vedere se é bene innestato anche se non so se é al posto giusto. Tutto a regola d'arte, maledetto toscano!

Che fare?

Oso. Comincio a spostare qualche contatto con cautela: che vampate la corrente continua a 24 volt! E certamente fusibili fanno il loro dovere perché saltano uno dopo l'altro e io pazientemente li sostituisco.

La dentro si soffoca ma ho giurato che non ne uscirò prima di essermi chiarito almeno l’impianto. La possente vite senza fine della ruota del timone ingrana perfettamente col telecomando.

Posso vederne chiaramente il funzionamento. Sfffffrggg!

Gente! Qualcosa sfrigola! Qualcosa sfrigola!

Batto una capocciata memorabile sul bordo interno del Morse che spunta tagliente sulla sinistra ma ecco il suono ripetersi: sffffrgg!

Trattengo il fiato. Adesso forse girerò il foglio e troverò l’assassino... Che sia quel maledetto, topo di Civitavecchia? Vengono in mente tutte in certi momenti.

Ed ecco, la scintilla, il maledetto benedetto lampetto azzurro! Ecco il punto incriminato! Un morsettino, di ottone che spunta da un indecifrabile strumento fa l’amore elettrico con la vite senza fine della ruota!

Si vede bene sulla ruota il buchetto di fusione del metallo con l’alone nero.

Elementare Watson! Le batterie si scaricavano non QUANDO c'era il motore in moto ma QUANDO si girava la ruota del timone! E io non ho ancora MAI girato quella ruota senza accendere anche il motore!

Là, in quel mezzo sarcofago in compensato marino ho vissuto un grande momento. Penso che sia un momento che debba venire per tutti i neofiti della nautica: il momento in cui da passeggeri si diventa qualcos'altro: per carità, non marinai , ma qualcos'altro. La meravigliosa sensazione di poter capire!

Non grido la mia gioia, non sorrido neppure. Me la gusto per dieci minuti buoni col culo fatto a spicchi dal compensato a cui sono costretto perché fa da bordo inferiore all’antro della tecnica.

Quando emergo sono proprio un altro. Fischietto, mi dò una rinfrescata pompando un po' d'acqua con l’autoclave: tanto adesso so che le batterie non si scaricheranno più. Poi esamino il cruscotto dal suo punto naturale: é la spia dell'accensione, quella rossa accanto alla chiavetta del comando motore.

Probabilmente l'artista falegname toscano si e' sbizzarrito col mio mobiletto porta cruscotto e l'ha fatto un mezzo centimetro più basso della norma. Quelle piccole imperfezioni che danno pregio all'opera artigianale, si sarà detto. D'altra parte un falegname perché dovrebbe pensare a qualcosa di elettrico?

E l'artista elettrico deve aver montato COME SEMPRE i suoi bravi strumenti allo stesso posto: che ne sapeva lui che 1'estro del falegname aveva abbassato di mezzo centimetro il piano del cruscotto?

E il morsetto elettrico della spia si é messa a far l'amore con la vite senza fine della ruota del timone.

Scendo sul. pontile con aria indifferente. Peppe mi sorride a titolo di incoraggiamento. Corrispondo. Poi come colpito da un pensiero passeggero, e di nessuna importanza:

- Devo spostare un paio di strumenti sul cruscotto, visto che qua di elettricità capisce niente nessuno, c'è qualcuno che sa fare un buco come si deve? -

Sono le piccole soddisfazioni dello yachting: la sorpresa sul volto del tecnico quando gli spiego l'arcano. L'incredulità sui volti del mio equipaggio quando dico d'un fiato e senza dar peso una frase come "niente, un piccolo arco voltaico tra il polo positivo della spia dell'accensione e il controdado della vite senza fine un dito più in la' del telecomando...".

Spostati gli strumenti, tutto sembra definitivamente a posto. Il forzato rodaggio barca-skipper sembra superato.

 

Posso azzardare una gitarella con madre, sorella e cognato e bambini. All'ultimo la Sgnuffi mette muso e non partecipa. Chi si ricorda più il perché. Forse perché a lei qualche piccolo arco voltaico non l'ho ancora trovato.

Punta Rossa e ritorno per provare che tutto va bene. L'unica cosa che va male sono i passeggeri, a parte il cognato che non soffre il mare ma che si lamenta che al Circeo ci siano tutte "quelle buche" la genitrice é costretta dalle onde a intonare " Tu come una rosa dell'April..." nel tentativo di ignorare la schiuma che sale dallo stomaco, mentre la sorella aggrappata allo strallo di prua spera nel vento in faccia e fa le boccacce quando le ricordo di raccare sottovento.

Rientro al porto soddisfatto. Il motore é docile, le batterie ben cariche, la Sgnuffi infila la poppa con aria più sicura. Peppe salta a bordo e avviene l'inevitabile equivoco: per pescare il traversino dice:

- Non c'è il mezzo marinaio? -

E la genitrice alpina di Graglia (oh qua siamo sui milletré eh??!) sorride e sentenzia:

- No, oggi non e' venuta. -

Peppe si gonfia ma non vuole ridere per rispetto ai capelli grigi.

Ma io, come faccio? Me l'hanno raccontata tante volte questa storia del mezzo marinaio che nel risentirla vera vera sembra ancora più buffa e più incredibile.

La Sgnuffi dalle doppie poppe quando l'ha saputa l'ha presa con spirito: chi ha domato quella burrasca al largo di Anzio quando arrivò quell'onda alta così, può permettersi di sorridere se un'alpina immagina che l’ormeggiatore alluda a lei col termine di " mezzo marinaio".

- Domani si esce a vela. -

Adesso che mi sento la Sgnuffi in pugno voglio provarne tutti i suoi limiti. Il motore tacerà e inizierà la poesia del vento.

L'indomani calma piatta. Quello che é detto é detto e per la prima uscita a vela la mancanza di vento é proprio quello che ci vuole.

Su la randa!. E adesso il sacco del fiocco!

Per la randa ormai non ci sono problemi, sta sempre là e basta tirarla su e giù che va a posto. Per il fiocco la cosa é un po' diversa. La bugna. Il punto di mura. Il punto di penna. Porca miseria, già che c'é il punto di penna! Sarà questo o questo?

Zaf!

Ti pareva che il vento non dava adesso la sua prima soffiata? Proprio quando avvolto nel fiocco come un antico romano sto cercando di capire da che parte devo tirarlo su? Una breve battaglia per bontà del vento. Due o tre bracciate e il lenzuolone é domato e messo sotto il sedere.

Sono tredici metri quadrati di fiocco, roba da vergognarsi al pensiero che ho letto sempre di fiocchi da cento metri in su! E come mi riuscivano bene le manovre a letto col libro in mano! Tutto semplice e chiaro. Lapalissiano.

Comunque questi sono i garrocci. Sapere dare alle cose il loro nome dà un gran senso di sicurezza. I garrocci si ingarrocciano. Se questo mi sembra il punto di penna allora sarà certamente quello di mura ... o quello di scotta? Ma no, quello si riconosce dalla scotta ... A già qui però devo attaccarcela io. In ogni modo è più alto che largo, motivo per cui, se Pitagora non é uno stronzo, un cateto va sullo strallo e il catetino mi deve restare in mano.

Non c'é niente da fare: la cultura é un tutt'uno! Metti per esempio che non avevo studiato Pitagora. Eh, già, perché se il catetino mi deve restare in mano tutto va a posto da solo: la mura, la penna e la scotta. No, per mettere a posto la scotta bisogna farci un nodo.

E allora la notte di Capodanno che l’ho passata a fare con la stringhetta verde regalata da Quattro Ruote Mare con sottile perfidia affinché le burbe del mare imparassero i gruppi e anche a disgrupparsi? La gassa d'amante la facevo sia guardando la stringhetta verde che guardando gli amici che brindavano alla mezzanotte. Anche doppia me la sono fatta quella sera. Ma non si vive di sole gasse e soprattutto si dimentica. Ho dimenticato il mio primo amore figuratevi la gassa, ha voglia a chiamarsi d'amante.

Là, seduto sul bordo di caduta del fiocco (beccatevi questa!), ingarrocciato ma non issato, sarei stato molto amante di fare una gassa. Occhiello alla scotta, poi una volta alla cima che passa prima dentro, poi sotto e poi di nuovo dentro. Si tira e... il polso resta strozzato in un nodo da boia.

- Papa perché stai seduto sulle vele? Così la barca non va avanti! - la voce tremenda e pura del figlioletto.

Quand'é così la cosa più facile è prendere quell'aria di paziente benevola tolleranza, lasciando l’impressione che egli non afferri la cosa nella sua complessità e quindi venga scusato.

Nodo, boia. E boia sia! Il mio fiocco, non morirò per questo! Si issa!

Si issa sì, ma la scotta l’ho fatta passare fuori dalle sartie. Ovvio, che invece va dentro, perché il fiocco, e' piccolo e il carrello di scotta è ben dentro le sartie.

Tanto, sono solo col mi equipaggio che ne capisce meno di me e posso, far finta di pensare e poi assumere l’aria di chi vuol sofisticare, impreziosire la manovra. Così ordino:

- Prua al vento! -

La Sgnuffi che sta alla ruota si storce fuori dal finestrino e annusa l’aria come un cagnolino:

Ma il vento, dov’è?!

Ecco le domande che odio. Uno dice " prua al vento" e prua al vento deve essere. Se il vento non c'è qualunque prua va bene e non c'è bisogno di fare domande irritanti.

Via il nodo boia e dentro la scotta e poi via col boia! Zac!

La gassa! Il polso, esce indenne dalla stretta: é proprio una gassa!

Visto? M'è venuta così, come se fosse Capodanno! Macchine a zerooo!

Certo che é bello, comandare una nave.

Il dito incerto della Sgnuffi sfiora il fatal pulsante nero ma non osa schiacciarlo e mi fissa interrogativa attraverso il vetro della guida. Annuisco e giro il pollice alla maniera antica: pollice verso! Peccato che il fiocco in qualche modo, sia gonfiato d'aria e non mi faccia più da toga. Ma per il motore è la fine.

Silenzio.

Splasc! Splasc! Portata da un vento forza Lazio la Sgnuffi sciaborda e fende. Fende, fende! Capace che farà un quarto di nodo ma lo fa con grande grazia.

Non c'è più niente da fare a bordo, all'improvviso. Il sole, il silenzio, si sentono le cicale dai rosmarini della grande rupe del Circello.

Caliamo una lenza. Quel mio amico che va a Vaurien davanti a Torre Astura mi ha telefonato un giorno giurando che pesca come un Matto.

Una lenta lunga estenuante estatica traina. Le ore si infilano nelle ore rotte solo dai panini che infilano i forni dentati dei pargoli e dei soddisfatti genitori.

Saran quasi le cinque che si alza il ponentino. Un'occhiata esperta alle vele: che convenga prendere i terzaroli?

A parte che non conviene prenderli a chi non li sa prendere, ma non mi pare che il vento sia pericoloso. E’ appena una fresca carezza che farà sbandare la Sgnuffi di un paio di gradi, forse tre?

Per quanto navigare significhi prudenza, mi ricordo benissimo di avere letto di alberi in acqua e perfino di giri a campana.

0 dio, questo e un motorsailer, e magari se mette gli alberi in acqua capace che gli spuntano i germogli, ma ho fiducia nelle mie Sgnuffi. E come non mi sono mai dovuto pentire della fiducia data alla prima, sono sicuro che lo stesso accadrà con la seconda.

In fondo finora si è comportata da amica: con quel po’ po’ di peritonite elettrica che aveva come ha fatto a reggere per la grande traversata da Baratti al Circeo? Che succedeva se ci avesse piantato in mezzo al Tirreno?

Le dò una pacca sulla tuga: brava Sgnuffi, grazie! Se proprio devi guastarti fallo, sempre in un porto amico, se devi ammalarti tieni duro fino ad un ridosso sicuro!

Costantino sbadiglia. Ha calato una sua lenza personale e fa ondeggiare il braccio come gli ha detto il genitore (al quale lo ha detto l'amico di Torre Astura) e con fede incrollabile continua nel suo movimento anche se neppure una vecchia ciabatta sembra voler cadere nella sua fiduciosa trappola.

Il sole arrossa e forse sarà bene dare un colpo di motore e tornare verso il porto.

Sperando , che il motore si accenda. Uno lo spegne, c'é quel bel silenzio e la poesia, ma poi... be’ se poi non si riaccende é un casino! Naturalmente ognuno parla per il proprio livello...

Il fiocco mi viene fra le braccia come un pannolino Lines e ne approfitto per ficcarlo, a tradimento nel sacco e infilarlo nei gavoni di prua.

Poi giro la chiavetta: splendido! Partenza immediata! Lascio il motore in folle e vado a levare le stecche alla randa e ad ammainare.

La Sgnuffi si stiracchia e poi va alla guida: ma. si, mentre la mia morbida donna del destino mi conduce verso gli affollati moli perché non mostrarsi negli antichi meravigliosi gesti dei navigatori che ammainavano la tela davanti alle verdissime magiche pendici di Circe?

Ogni gesto misurato, con quella lentezza che é esperienza e poesia.

La vela trattata con amore, ben piegata sul boma, stretta nel suo ragno elastico, la drizza richiamata e tesa, data volta con precisa cura sulla galloccia, il mantiglio messo in lieve tensione e poi raccolto anch’esso al suo posto.

Ed eccoci, ammirati e guardati, alle piccole colonne d'Ercole del porto gremite di pescatori con la lenza.

Un urlo rompe la quiete!

- Mammola! Mammola! Mammola! Hai pescato!!!!! -

Costantino saltella e indica l’estremità della lenza che ora la Sgnuffi stava raccogliendo dopo avermi passato il timone.

E qualcosa saltella stancamente là, dopo A cucchiaino. Costantino guarda la genitrice con incredula ammirazione: lei sa pescare! Lei ha pescato! Una povera aguglia sfinita quella che viene a bordo, lunga quaranta centimetri, presa con l’amo per il becco. Forse ce la tiriamo appresso dal primo pomeriggio: roba che con un po' di fortuna faceva da esca a qualche bestione del mare!

Ma cosa si può desiderare di meglio che rientrare in un porto amico in un tramonto perfetto, ammainando le vele della propria barca e recuperando un bel pesce proprio sotto il naso degli invidiosi banchinari? In fondo potrebbe essere l'ultimo pesce e non il primo.

Potremmo avere i gavoni colmi di pesce. Ma le grida gioiose di Costantino sono insieme pubblicità e denuncia: ormai è chiaro a tutti che noi, mai e poi mai, abbiamo pescato una qualunque cosa prima di quella povera affaticata aguglia.

L'aguglia muore subito nel secchio e Costantino ha una luce nuova negli occhi quando, guarda la madre: la madre, gente, pesca!

Si avvicina Ferragosto e il tempo volge al brutto. Peccato, si era deciso di arrivare alle famose acque limpide di Palmarola per constatare di persona.

Più o meno allo scadere delle ferie della massa, scade anche il vento e il mare spiana. Fortuna che io posso lavorare un po' quando voglio e così durante la lunga mareggiata mi sono invischiato in una storia di polizia che non può sparare con Milano che odia chissà perché. Credo perché fa aumentare gli incassi e tutti tornano contenti.

In ogni modo il giorno 25 si annuncia perfetto e 1'equipaggio sfila, sacchi in spalla, sulla banchina di buon mattino. Il buon mattino diventa un cattivo mattino appena appuro che non solo Peppe si è dimenticato di fare il pieno di nafta come detto ma che la nafta deve arrivare col camioncino e chissà quando arriva.

Tentiamo, solo a vela?

Uno sguardo al cielo, uno alla faccia dell'equipaggio. Il braccio teso nel gesso della primogenita sembra un monito divino: Vae Pater!

Non andare contro il Fato!

E il "fato" è che la nafta arriva solo verso le dieci e così partiamo col solito rombo in diesel sì-bemolle e tiro su la randa tanto per salvare la faccia.

Ormai Circeo-Ponza sta per me diventando una specie di autostrada e non fa più storia. Passata la fascia di traffico costiero sulle due miglia dal porto, c'é quasi il deserto fino, a Zannone. Quasi perché raramente si incrociano pescherecci o all'orizzonte sfilano, le sagome possenti delle navi della Tirrenia in rotta da Napoli per chissà dove.

Con sicurezza passo tra i denti di Zannone, costeggio la costa orientale di Ponza, scapolo il faro ed eccomi davanti alla decantata Palmarola! Una specie di cappello da marmittone di quelli del Corrierino dei Piccoli quando i grandi erano piccoli, una o due eternità fa. Coste ripide, ben scogliose, di color ocra con strane sfumature dal bianco al rosa. Sarà un quattro, quattro miglia e mezzo da noi, come posata sul presepe blu del mare.

Il pareo della Sgnuffi sventola a prua scoprendo e ricoprendo come un segnale le sue parti più rotonde, perso in atri pensieri non giro la testa alla mia destra finché le grida di stupore e di ammirazione dell'equipaggio non mi costringono a farlo: Chiaia di Luna! Vale certo un colpetto, di timone, gente! E così la mia brava prua entra ad andatura ridotta nella fantastica rada orlata di sabbia e piena di gente per colpa di quel buco che ci fecero i romani mettendo in comunicazione il porto con la spiaggia.

Ma ormai visto che siamo tre miliardi e rotti, siamo dappertutto e se c'è qualcosa di bello, ci siamo di più.

Ma Chiaia di Luna sopporta bene: il candore delle sue incredibili pareti, l’ampiezza affettuosa della rada che sembra abbracciare la barca che entra, il gioco della luce sulle sue grandi rughe di roccia sono, tutti elementi che paiono inviolabili, vergini. Lentamente faccio compiere alla Sgnuffi il periplo della rada e poi di nuovo verso Palmarola.

Accostare ad un'isola sconosciuta é per me motivo di apprensione. Le carte servono fino a che si gira al largo dalle 'coste, ma se si deve proprio andarci sotto, allora non servono più a nulla.

E chi te lo segnala il sassone a cento metri dallo scoglio? 0 la crepa nella roccia che ti permette di accostare con la poppa fin sulla scogliera? Fare quello che fanno gli altri, e che gli altri siano più grossi e con maggior pescaggio.

E se uno é fortunato e arriva sotto, ad un'isola sconosciuta e senza porti proprio mentre c'é un esperto che manovra con una barca più grande, molto é risolto, ma se la barca invece ha già manovrato allora il pericolo é massimo.

Quello é là, indubbio. Anche io vorrei andar là: che faccio? Vado dritto dritto? E se per arrivare là bisogna invece fare un sapiente zig zag fra. bassi fondali?

C’é lo scandaglio, anzi io ho perfino l’ecoscandaglio. Bene, non serve a niente al mio livello. Il lampeggio del Seafarer mi dice quello che c'é sotto quando ce l'ho sotto. E se ce l'ho sotto vuol dire che c'é passato e non c'é problema.

Lo scandaglio a corda. ancora peggio, tanto vale sdraiare la Sgnuffi a prua testa in fuori e farle fare da scandaglio ottico vivente.

Il tentativo di accostare sulla costa Est di Palmarola fallisce nonostante che un bel. due alberi sia ormeggiato in mezzo agli scogli proprio a pochi metri dal fianco della montagna.

La visione delle punte aguzze dei roccioni sommersi che mi passano a un. paio di metri sulla destra, le urla della Sgnuffi che annuncia sempre nuovi pinnacoli, le strilla di Costantino che si è messo con grande entusiasmo a fare l’avvistatore, mi convincono che una bella manovra allargante sia la più saggia. Secondo la carta la costa di ponente è meno impegnativa. Andiamo a Ponente.

Prendo molto alla larga i grandi scogli Cappello e il Faraglione e poi punto su una sassaia digradante con maggior dolcezza.

Qui l'avvicinamento sembra. meno tragico: qualche masso tondeggiante affiora. fino ad un metro sotto la chiglia, ma poi c'é sabbia.

Ecco, con la sabbia che sale dolcemente verso la battigia l’ecoscandaglio fa un ottimo lavoro perché dice di quanto sta diminuendo il fondo e la quantità di catena da buttare con l'ancora.

Prima sorpresa: a occhio avrei detto tre metri:l1'ecoscandaglio dice sei.

Tanto di catena non ne butto mai meno di venticinque metri perché da quel punto l'ho tinta per sapere che sono a metà, visto che la dotazione é di cinquanta metri.

Pinne, maschera e fucile mentre il mio sexy secondo si mette ai remi e porta i pargoli sulla scogliera. Sono sei metri, ma sei metri di niente, di qualcosa di così limpido da falsare tutta la mia esperienza subacquea più che decennale.

Sabbia e posidonie intorno a qualche masso isolato. Pescetti di taglia minima. Eppure in queste acque tutti dicono .che si pescano le cernie, ma certo bisogna sapere dove. Mi affido al mio istinto di cacciatore e spinneggio per un paio di orette lungo la costa rocciosa che però si insabbia a sette metri di profondità. Due ore e vedo un tordo di un chilotto che mi scappa pure.

Quando torno a bordo esausto e a retino vuoto mi sento urlare qualcosa da un motoscafo che si è ormeggiato cinquanta metri più in là:

- E che? Non guardi neanche? –

Mi giro e un uomo e una donna sventolano verso di me una cerniotta da cinque o sei chili, un polipo e un paio di saraghi rispettabilissimi.

Sono contento di sapere che il pesce c'é.

- Dove l’avete trovato? - urlo di rimando.

Sghignazzano gli impudenti:

- Al mercato di Latina! - mi sbraitano agitandosi buffi. Metto le mani ai lati della bocca e spero che la risposta arrivi ben chiara:

- Grazieee! Si vede che siete pescivendoli e non pescatori!-

Quelli rombano e schizzano, via con il loro ben di dio. Mi slaccio la muta: ho esplorato la costa di sinistra della rada, se fossi andato a destra forse...

Ecco a che serve l’istinto: è come il radiogoniometro e ha un'ambiguità di centottanta gradi.

Nei radiogoniometri dei miliardari l’hanno eliminata, speriamo che la eliminino anche negli istinti dei poveracci.

Non ho pescato ma sono stanco e contento lo stesso. L'acqua era stupenda, i panorami dei fondali belli. Non sono di quelli che se non prendono un pesce ci fanno una malattia.

Sara perché il posto dove mi sento meglio è in apnea sospeso fra quelle due acque, la dove non si va più né su né giù, e basta muovere una mano per fare una lenta capriola.

Stanco e contento vuol dire cuccetta mentre la guida viene ripresa dall'infaticabile e abbronzata donna del mio destino, che però si vede che infaticabile non è perché lascia guida e ruota alla giovane Amarilli che dispone di una sola mano valida e che ha l'altezza dell'occhio più o meno sul bordo del vetro in modo da godere di una splendida visione del cielo, ma di una assai più limitata del mare.

Chissà, mi ero appisolato. Ma nel dormiveglia sento la voce flautata della primogenita, con una nota di dolce stupore che esclama:

- Uh, vieni a vedere Mammola! -

Mammola per lei è quel gran pezzo di ragazza che io ho sposato. E quel gran pezzo di ragazza si sta addentando un panino in pozzetto voltando la schiena alla prua.

Il flebile ammirato richiamo della figlia la raggiunge ed entra. Davanti alla prua della Sgnuffi stanno sfilando le punte di alcuni altissimi pali. Tremendamente davanti.

Tutto Cardea irrompe nelle arterie del capitano in seconda che spalanca le braccia e urla:

- Rotta di collisioneeeeel - ma non tocca la ruota.

Salto dalla cuccetta tipo "topo di Civitavecchia", evito la capocciata per abitudine ormai acquisita ma non posso evitare la meniscata contro il bordo del tavolo pieghevole e poi, per contraccolpo, la gomitata sullo spigolo del frigorifero, ma niente mi può fermare perché sto vedendo gli incredibili pali nel cielo.

Salto sulla sedia del pilota ignorando il braccio teso nel gesso della primogenita: a dieci metri dieci dalla prua incosciente della Sgnuffi sta passando un peschereccio lungo almeno quaranta metri. Le punte dei picchi erano la sola cosa che Amarilli avesse potuto vedere.

Acchiappo la ruota e la giro tutta sulla dritta sbucciandomi tre volte le nocche nel solito spigolo del cruscotto: la Sgnuffi gira di trecentosessanta gradi passando a tre metri dal giardinetto del colosso di legno!

La visione del barcone stolido, immenso, che va dritto per la sua rotta portando di visibilmente vivente il gran culo di una donna piegata in due su una tinozza, intenta forse al bucatino, resterà sempre impressa nella mia mente facendomi sentenziare la PRIMA REGOLA per la sopravvivenza nel mare nostrum: "Se un peschereccio, vedi, giragli la poppa e poi va dove credi, perché di precedenze e di segnalazioni quelli se ne sbattono i coglioni".

Già, perché il peschereccio veniva da sinistra. Roba da colare a picco con la mano tesa nel gesto delle corna invece che salutando la bandiera.

Passato il pericolo, compiuta la piroetta, rimetto la Sgnuffi dalla grande elica in rotta e poi comincio a ridere. Mica .un riso nervoso, ma proprio un bel ridere sano sano.

- Rotta di collisione! Rotta di collisione! - il mio secondo mi guarda incurvando il becco e dimenando le piume:

- E allora? Era o non era rotta di collisione? Così ho studiato e così ho detto, che dovevo dire??? –

Costantino sentenzia saputo: - Dovevi dire: un pescheregioooo! -

Faccio un'espressione di circostanza stringendomi nelle spalle:

- Potevi dire: Annamo a sbatteeeeeee! E soprattutto potevi girare la ruota.-

Sgrana gli occhi: - Io l’ho girata. -

- Dai, che non l'hai neanche toccata perché hai spalancato le braccia come Giosué sperando nel miracolo.

- E invece l'ho girata, a sinistra, ma la barca continuava ad andar dritta dritta contro quella nave. -

Chi ha esperienza di matrimoni felici sa che la chiave della felicità è nel sapere sospendere le discussioni a questo punto.

Entrando in porto troviamo Peppe su un canotto. Sono arrivate altre barche e in banchina è un groviglio su tre file. Ormeggerà lui. Bene, c'é da imparare.

Gira e sgassa, sgassa e gira. Ruota e controruota. La Sgnuffi gli va storta. Stringe i denti, impreca e sgassa rabbioso. Marce e retromarce fumanti e finalmente la poppa si incastra nel punto voluto agguantata dall'aiutante. Peppe mi guarda di traverso e ammette:

- Manovra male di poppa, poi di là dentro non si vede un c... - si blocca per rispetto all'equipaggio femminile e minorenne, ma han capito tutti benissimo quel che non si vede di la dentro. Dice che dovrei far portare i comandi del motore anche in pozzetto. Forse dice bene, ma spero di farci l'abitudine a guidare da dentro.

Ma non ho tempo di pensarci perché c'è un gran movimento in banchina: Alfredo corre e mi fa un cenno verso il centro del porto. Corrado corre e mi fa lo stesso, cenno, c'é anche il mio amico della Lega, quello che non racca e corre anche lui.

Ma che succede?

Al centro del porto è tutto normale: le barche che dondolano ai corpi morti e i corpi vivi ma immobili di quelli che prendono il sole sulle prue. Un cabinato a motore manovra lento, verso, l'ormeggio e si ferma quasi esitante davanti ad uno spazio semilibero.

Eppure sulle banchine tutti si scambiano cenni, tutti sono pronti per qualche evento che mi sfugge.

L'animazione si propaga anche alle altre banchine: bocche aperte e braccia aperte. Ma che fanno?

Il cabinato lentamente gira la poppa e ronfando va al suo posto.

Appena il motore tace, il porto esplode in un solo urlo e battere di mani:

- Per l'Ammiraglio Von Palafitten, ip ip ip hurrà"".

Lo skipper del cabinato esce in pozzetto sorridendo e calma la folla con ampi gesti di ringraziamento. Sono un pivello della banchina ecco perché non avevo capito.

L'Ammiragfio Von Palafitten è un personaggio celebre del porto.

Mica perché un importante regista della TV (queste e cose sul mare contan poco) ma perché detiene il "primato banchina": due anni interi a bordo senza mollare le cime d'ormeggio con barbe verdi da mezzo metro in chiglia e ostriche attaccate all'elica. E ogni anno quattro mesi filati di intensa vita di bordo con pasti e pernottamenti anche lui solo col suo secondo che porta splendidamente il bikini.

Quindi "Ammiraglio Von Palafitten", titolo ad honorem coniato per lui da Alfredo ma guadagnato sul campo. E oggi, l’evento! L'Ammiraglio ha mollato gli ormeggi e si è spinto fino a Palmarola: ecco spiegata la degna accoglienza del rientro. Gita per altro piena di suspense come l'Ammiraglio più tardi racconta davanti alla spaghettata celebrativa, con tanto di marinaio "sbronzo per dimenticare" incastrato nel gavone di prua e solenne giuramento dell'Ammiraglio che mai più las

cerà la banchina e per nessuna ragione.

Difficile ricostruire con ordine tra seppie in nero e vino bianco ma mi pare di capire che è stato il marinaio a convincere l’Ammiraglio ad osare, assicurandogli immunità totale grazie alla sua esperta presenza a bordo.

Il sole era caldo, il mare una tavola, il cielo terso. Alte pressioni livellate dappertutto, alte pressioni anche dal secondo e l'Ammiraglio cede all'avventura: e Palmarola sia!

Viaggio regolare, a parte la strage di conchiglie fatta dall’elica ai suoi primi giri, ed ecco Palmarola la bella! Il marinaio alla guida con un sorriso sulle labbra e il fiasco del vino, fresco in pugno.

- Adesso passiamo tra i faraglioni - annuncia. L'Ammiraglio tace perplesso: a lui sernbra che non si possa, ma c'è il marinaio quindi... GRAAAAAAAAT!

La barca e' passata ma adesso in chiglia non ha più il mezzo metro di barba verde e neppure l’antivegetativa di tre anni fa e neppure il gel di dieci anni fa. Grazie se le è rimasta la chiglia.

L'Ammiraglio sta per dare il si salvi chi può ma si trattiene, la brava e buona barca galleggia nonostante tutto.

Il marinaio é diventato mezzo e se potesse metterebbe fuori anche il gancio, balbetta che lui di lì c'é sempre passato.

L'Ammiraglio lo guarda con dolcezza e poi annuisce rilevandolo dal timone:

- Certo caro, ma a piedi... -

Ecco perché non si riesce a convincere il marinaio ad uscire dal gavone di prua dove è andato a nascondersi e a finire il fiasco.

E dire che Cardea ce lo diceva sempre: non fidatevi dei vostri marinai.

E’ tardi quando con la Sgnuffi in pareo svolazzante alla brezza di terra trasciniamo gli stanchi piedi verso casa: i barcollamenti sono ovviamente dovuti al gran piede marino che ritoccando terra ferma stenta a tornare terragno.

Il giorno dopo ho una visita: Philip, il mio professore di inglese.

Professore perché insegna inglese per sbarcare il lunario approfittando del fatto che è nato in Inghilterra, mio nel senso che l'inverno passato facevo parte di una delle tante scolaresche di volenterosi che spendono inutili soldi cercando di imparare l'inglese con tre ore la settimana e infine Philip perché così volle sua madre un venticinque anni fa al massimo.

Bene, caro Philip, facciamo un bel giro in barca? Come te la cavi col mare? La reazione non è la tipica italiana, è la tipica inglese: well... e dopo la pausetta, in italiano perché lui lo ha imparato mentre noi l'inglese no, giù un entusiasmo da levare il fiato. Sembra che il mare gli piaccia e lo conosca sopra e sotto.

Okay, okay. Sacchi e fagotti e all'alba giù in banchina. Von Palafitten dorme il sonno del giusto ben ormeggiato e col gavone di prua aperto e vuoto. Alla fine quel marinaio deve essersi lasciato convincere...

Philip lancia fischi e urla di ammirazione davanti alla Sgnuffi che dondola sull'acqua del porto muovendo appena a candida poppa.

Che bella barca! Che bell'albero! Cbe bella linea! Che grande! Che bella tuga! Che bel timone.-.. Philip interrompe la dimostrazione che la frigidità inglese e' una grossa balla inventata dalla regina Vittoria & C. e resta a fissare.perplesso attraverso l’acqua, giù verso ]a pala del timone. Guardo anch'io, così di sfuggita, che bella pala! e mi rimetto a caricare i sacchi.

Philip non sembra convinto e insiste mostrando perfino col dito come un napoletano. Guardo di nuovo: porcaccio mondaccio infame!

Ma quella pala... ma quella porca pala... ma sì, è tutta piegata da una parte, alzata verso sinistra come se stesse ballando il cancan.

Ma è notorio anche a chi non ha frequentato i corsi della Lega Navale che le pale del timone non devono ballare il cancan. Le pale possono girare, fate girare le pale finché volete ma non piegatele a squadra.

E allora questa è una pala pervertita, matta o chissà cosa. Peppe vede il mio pallore di rabbia e si avvicina: indico, io col dito.

Si piega, guarda, soffia, si gratta i riccioli brizzolati e alla fine sentenzia:

- E’ che lavorano coi piedi, ecco cos 'è!-

E io rivedo i piedi dell'ingegnere della Multimare. E con quel pensiero fisso vado dritto al telefono, del bar e formo il prefisso che mi passerà il cantiere toscano.

- Oh 'ome la sta dottore! 0 che gli è qual'osina cbe non va per 'aso?! - e aspira le "c" proprio benino e quelle aspirate chissà perchè adesso mi sembran prese pel culo.

Anzi pel 'ulo.

Respirare profondamente e contare fino a dieci: ci si rimette in teleselezione ma poi alla fine ci si guadagna perché ditemi se c'è cosa più idiota che insultare qualcuno, a tanto minuto. Invece con un bel respiro, il più brutto esce con l'anidride e restano solo i fatti: il timone storto.

Sento che anche all'altro capo del filo adesso respirano profondamente, però la sua è una grande inspirata: io mi decarbonizzo e lui si ossigena.

- 0 che gli e' andato a sbattere, dottore? -

Non é una speranza ma una mezza certezza, anzi tre quarti almeno.

E io calmo a dire che no, non sono andato a sbattere, che e proprio il timone che si è messo, a pala in su senza che io gli abbia fatto niente.

Silenzio. Poi la decisione:

- Lo sa che si fa dottore? Noi si piglia la macchina e si vien giù a vedere! -

Non so se e' l'organizzazione del "dopo vendita" della Multimare o la curiosità suscitata dalle mie dichiarazioni sulla pala, fatto sta che bisogna dire che questa gente si muove. Anche dopo aver preso i soldi.

E questo già mi fa vedere il timone un po' meno storto. Certo la gita non sara' per oggi. E nemmeno, per domani. Così il professore d'inglese se ne va convinto di portare jella. E mi dispiace anche perché nella nautica l'inglese serve come il pane, come già vi ho detto.

Mica per ridere, avete mai dato un'occhiata a quelle stupende riviste inglesi con poche pagine a colori ma fitte fitte di testo e di interessanti annunci pubblicitari? Provare per credere: costano in Italia sulle sette ottocento lire stabilità monetaria permettendo.

E pensare che hanno attraversato un pezzo d'oceano per arrivare fin nelle nostre edicole. Comprate Practical Boat Owner, per esempio, oppure Yachting World o Yachting Monthly e studiate inglese quanto basta per scoprire che un metro di cima in terylene da 10 mm. costa meno di trecento lire e non cinquecento e fischia come in molti nostri negozi. Oppure che potete permettervi una strumentazione elettronica completa spendendo dalle 120 alle 200 sterline invece che sette od ottocentomila lire comprando da noi e vedrete se ho ragione di studiare l’inglese!

Su quelle dense riviste troverete anche gli indirizzi di ditte famose che vendono col. sistema postale "world wide" e che quindi vi spediscono a casa tutto, ma proprio tutto ciò che vi può servire ignorando esclusive da strozzo e addebitandovi una o due sterline di spese postali. Per pacchi di peso inferiore a undici chili la roba vi arriva direttamente a casa per posta senza altri problemi o spese. Una pacchia. Prima si scrive a queste ditte e gli si dice ciò che si vuole comprare, loro vi rispondono mandandovi una specie di fattura pro-forma con le spese di spedizione, voi andate in una banca e mandate il. denaro. Poi aspettate: in genere sulle tre settimane.

Un inconveniente c'è: se qualcosa non funziona bisogna rispedire in Inghilterra e aspettare di nuovo.

Per esempio sulla Sgnuffi ho il log della Midas con tanto di speedometer che non funziona. Ho reclamato e mi hanno telefonato (ma sì, telefonato!) e adesso devo smontare tutto e rispedire. Il tutto e' costato solo 42 sterline ma speriamo che non sia un bidone, non so come si dica in inglese ma certo di bidonisti ce ne sono dovunque.

Per esempio questo timone: é o non é un bidone? La faccia del tecnico arrivato dalla Toscana é perplessa. Guarda attraverso l'acqua, poi chiede se qualcuno può andare sotto con le bombole a dare un'occhiata precisa, un tecnico però.

Peppe chiama un biondo della CAM e subito il toscano è accontentato. Il responso è chiaro: bicchierino e perno passante sono scomparsi. La barra del timone è piegata a sessanta gradi.

Il toscano allunga il. labbro inferiore e se lo tira. Terminato 1'esercizio mi fissa con sguardo sincero:

- Le dico la verità, dottore, ero sicuro che avesse sbattuto. La barra del timone e' inox grosso così, come può piegarsi dopo neanche un mese di mare? -

Nessuno può rispondere. Bisogna tirar su e guardare meglio. Tirar su, cioè alare la barca. Ma l'ufficialmente inesistente porticciolo del Circeo è realmente inesistente sul. piano dei servizi. Niente gru, niente piano di alaggio, niente di niente. Bisogna andare a Terracina.

Peppe si stringe nelle spalle: sono, cinque o sei miglia, che ci vuole? E se il timone si staccasse?

Nessuno può rispondere. Decido io: si va a Terracina e si spera in dio.

Il toscano è d'accordo. Peppe guarda l’ora: è quasi la mezza, be’ lui va a mangiare e poi magari viene a Terracina con la macchina a dare un'occhiata. Il toscano dice:

- Vada, dottore, vada. Io vengo con la macchina. E’ più comodo, sulla macchina ho i ferri - e squaglia veloce lungo la banchina.

Salgo sulla Sgnuffi da solo. Gli amici si vedono nel pericolo. E io sono amico della Sgnuffi: non mi farà scherzi per cinque migliette.

E poi, strano, ma comincio a fidarmi di questa barca.. Magari alzerà il timone ma ha il buon gusto di farsene accorgere solo ben dentro il porto.

Dò motore e mollo le cime. Peppe mi saluta dalla banchina:

- Se per le due non é a Terracina, vengo a cercarla con un motoscafoooo! - questo per dare morale.

Provo il timone: girando la ruota a dritta la Sgnuffi obbedisce quasi normalmente, girando a sinistra risponde molto di malavoglia.

Adesso mi ricordo l'altra Sgnuffi, quella rimasta a casa coi pargoli: aveva detto di aver girato la ruota a sinistra davanti a quel peschereccio. Vuoi vedere che era vero? Eppure l’ho vista con le braccia alzate e la frase di Cardea, stentorea, in bocca.

Comunque la Sgnuffi monopoppica ronfando esce tranquilla dal porto e affronta il cosiddetto mare aperto. Tiene la rotta dritta senza che la tocchi, una volta trovata la posizione di equilibrio con la ruota. Mi permetto perfino una capatina a prua a raccogliere bene le cime e prepararle per l’accosto nel porto di Terracina, davanti ai cantieri Aprea.

Il porto di Terracina lo conosco bene da terra, ma non ci sono mai entrato dal mare. Il cielo si va annuvolando, ma non può esserci tempo per brutti scherzi. Vedo gia i massi del porto canale.

Sono le ore 13.30 quando imbocco il porto canale piegando a sinistra con una certa apprensione. La Sgnuffi gira superbamente. Il canale é pieno di barconi, la darsena ha un imbocco sulla sinistra risalendo il canale, un imbocco che mi appare tremendamente stretto. Devo suonare. Uno per virare a dritta, due per virare a sinistra? Speriamo che il ricordo sia giusto, è tardi per controllare. Due colpetti di sirena e via con la ruota. Imbocco? Imbocco.

Sulla banchina di Aprea si agita felice il mio amico venuto dalla terra di Dante. Attracco di prua senza manovre, con una dolcezza e una precisione che mi riempiono di gioia, naturalmente dissimulata perfettamente sotto l’aria marinara che vado via via indossando sempre di più'.

Il toscano é in banchina con i ferri. Già, una cassettina da soccorso automobilistico, che tiene con noncuranza con una mano.

Guardo la cassettina ironico ma non dico niente. Però bisognerebbe che chi fa le barche poi si fidasse ad andarci sopra, ma non si può avere tutto.

Avvolta in due sottopancia di cuoio la Sgnuffi vien fuori dall'acqua con tutta il suo ventre. La gru la deposita sul piazzale e viene puntellata alla meglio.

L'asse del timone é una barra di acciaio da cinque centimetri di diametro -e però all'attacco sulla pala si riduce a non più di due.

Una strozzatura cos! perfetta che la scambio per voluta. Lo chiedo al mio toscano, ma quello non dice nulla. Vecchi marmai curiosano e scuotono la testa: loro montano sui pescherecci dei comuni tubi di ferro verniciato per muovere i timoni e durano almeno sei mesi. Metto il dito sulla strozzatura: ma questa, è corrosione?

Il toscano tergiversa, chiede se al cantiere abbiano una morsa per drizzare l’asta. Peppe spunta da dietro e guarda: là non c'e' niente da raddrizzare ma solo da sostituire.

Finalmente qualcuno l’ha detto e anche l’amico toscano sembra sollevato. Forse non voleva prendersi da solo la responsabilità della decisione, ma adesso è d'accordo anche lui. Bisogna sostituire.

Naturalmente son d'accordo, anch'io ma vorrei anche sapere perché mai quella barra di inox si é corrosa in quel modo, perché metterne un'altra va bene ma e se dopo un mese me la ritrovo più corrotta di un deputato? La ricambiamo? Ma non posso caricare tutto sulle spalle del mio amico toscano che avvilito sta già facendo i suoi programmi: al cantiere c'é un altro Multi, adesso prende la macchina e torna su, smonta e torna giù.

Sei ore andare, tre a smontare e sei a tornare. Vado, smonto e torno. Non vuole nemmeno pranzare. Carica il timone svirgoglato sulla giardinetta e si allontana.

Il crocchio dei vecchi marinai é una sorgente di opinioni tecniche: intanto scopro che ci sono acciai inox e acciai inox. Bisogna vedere quale inox era quello. Un altro dice che certi inox reggono meno del ferraccio. Un terzo ricorda di certa ferramenta inox che dopo due mesi sembrava mangiata dai tarli. Peppe scuote la testa e sentenzia:

- E’ che lavorano coi piedi, ecco cos'é - e mi dà un passaggio perché la Sgnuffi resterà con la pancia al sole fino a domani.

Mi aspetta un'altra notte di ponzamento. Bisogna scoprire il dannato motivo di tanta corrosione. Scintilla. Scintilla! Ma certo, zuccone! Scintilla! La stessa azzurra scintilla che scaricava le batterie! Dove la scaricava? Sulla vite senza fine della ruota ma mica la corrente rimaneva lì! Quella viaggiava via cavo fino all'asta inox del timone immersa nel mare! Altro che corrosione galvanica! A quella povera asta, inox gli abbiamo dato qualche centinaio di ampere a 24 volt!

Il mattino dopo, pallido e con occhiaie, arriva il toscano, con il nuovo timone. Lo ficca su, forza un po' la scatola in chiglia, quella che deve reggere il bicchierino. Bisogna fare nuovi buchi, ma risultano troppo vicini ai vecchi. Si accrocchia in qualche modo con ribattini passanti. Sembra solido. Speriamo.

Giro la ruota e il timone sembra a posto. Forza Sgnuffi, si torna in acqua!

E gù il sole cala. nel cielo. Il toscano trascina i piedi fin negli uffici di Aprea e paga alaggio e varo. M fa quasi tenerezza. Lo ringrazio, sorride e si rimette al. volante: sei ore ed é a casa... La Sgnuffi dondola nel porto e io sono stanco. Quasi vengo a prenderla domattina. Un amico mi dà un passaggio e torno a casa in macchina.

Decisione sbagliatissima: il mattino seguente la Sgnuffi è sempre là ma. i suoi gavoni sono vuoti! Mi hanno fregato tutto quello che c'era dentro: il fucile sub nuovo di zecca, pinne, maschera, pugnale, piombi, estintore, un. rotolo di cavo (40.000 lire gente!!!) da 10 mm. che avevo comprato a Civitavecchia, mi hanno lasciato la CQR perché é così bene incastrata che io solo so come fare per drarla fuori. Ah no, anche il secondo ci riesce benissimo e se ne vanta spesso. Al cantiere Aprea nessuno sa niente e giurano che é la prima volta che succede una cosa simile a memoria d'uomo. Probabilmente a memoria d'uomo con memoria corta.

Che posso fare? Lo segnalo all'Istituto Idrografico della Marina: nel Portolano, li dove si parla del porto di Terracina, inserire: attenzione, ladracci zozzi!

Ho una rabbia che vado in giro per il porto: giuro se vedo un rotolo di cima come il mio lo rifrego. Ma non c'é. E’ d'uopo rassegnarsi e la voce "ladracci zozzi" figura solo sul mio portolano personale. Vieni, povera Sgnuffi violata da manacce ignobili, vieni che torniamo a casa.

Un'ora dopo ormeggio all'amica banchina accolto dal. sorriso di Peppe che mi incoraggia:

- A Terracina son tutti ladri. Qui non è mai sparito niente a memoria d'uomo –

Tocco alluminio anticorodal in mancanza di meglio.

Peppe oggi é allegro, si deve sentire buono perché ammette anche che quei toscani si sono comportati bene. Un timone cosl costa almeno un centone, più le quaranta di alaggio e varo e il viaggio e le giornate del tecnico. Brava gente dopotutto. Anch'io però.

Settembre avanza. Amarilli ha tolto il gesso. Ma dobbiamo andare tutti i giorni al Centro Traumatologico di Latina per farle fare fisioterapia. Addio povera Sgnuffi, le giornate scorciano, si sente già odore di fine vacanza e tra un po' scatta anche l’ora solare che ci porta perentoria davanti all'autunno e al dovere.

Una notte, verso la metà del mese, all'una si leva un gran vento da levante. Un vento raro in questa stagione, in fondo é ancora estate. Le cime degli eucaliptus schiaffeggiano ilcielo nero e quel1e dei miei pinetti menano colpi di frusta. Vento di levante e la Sgnuffi é ormeggiata alla pù abusiva delle banchine abusive nel porto ufficialmente non esistente e che ha come traversia proprio il levante. Infatti il pezzo di banchina di Peppe é proprio l’ultimo, ben aperto a levante.

Quasi quasi scendo, al porto. Ma la soffiata dura quindici minuti, tremenda e poi si placa. Certo non avrà sollevato gran mare. Il guaio é che domattina saprò che ha sollevato un porcone di motoryacht e lo ha sbattuto proprio sopra la povera Sgnuffi.

La mattina é grigia e ancora ventosa. La faccia di Peppe é scura come la mattina e come mi vede in banchina con maglione e faccia interrogativa scuote il capo, triste come il medico che esce da una stanza operatoria lasciando dentro il paziente morto.

Il mio sguardo corre sul filio delIa banchina: la Sgnuffi non c’è più! Ottima prova per le coronarie: reggono.

Peppe sospira e indica il molo di sottoflutto:

- La fine del mondo! L’ho portata di là, ma... - scuote di nuovo la testa.

Guardo ansioso dall'altra parte del porto: la Sgnuffi dondola in quarta andana, ormeggiata in un intrico di cime e vista da qui sembra indenne. Certo non lo è ma almeno galleggia.

Intanto Peppe continua il suo racconto come se la vittima fosse lui che proprio quando si é alzato quell'incredibile vento dell'una di notte si stava per infilare a letto. E’ saltato subito giù e via con la macchina al porto dove il ragazzo che dorme inel bugigattolo non ce la faceva a reggere le barche che saltavano sulla. banchina come cavalli impazziti.

- E quando ho visto quel motoscafone alzarsi di un metro e poi piombare sulla barca, mi son detto: ci siamo giocati la Sgnuffi! E invece macché! - e stupito adesso, e sorride giulivo al ricordo della sorpresa - La Sgnuffi si é fatta qualche sgraffio e al motoryacht é partito il. bottaccio, con tutto il trincarino.

Altro che collaudo del R.I.Na!

Faccio il giro del porto di corsa. Salto su una goletta, poi passo su un Benetti, poi attraverso un Karaté ed eccomi nel pozzetto: gli ormoni (stamponi dei piedoni) si sprecano, ma anche da qui tutto sembra ancora a posto. Mi sporgo: ecco dov’é il guaio! Tre graffioni che sembrano una zampata di tigre e il bottaccio di alluminio ammaccato e sgraffiato per quattro metri buoni. Sono quasi allegro: dopo !a faccia di Peppe quella roba là è allegria pura.

Ma visto che Peppe fa le facce bisogna che le faccia anch'io e così, scuro, come se, la Sgnuffi fosse affondata, torno da lui che mi dà un'occhiata e spalanca le braccia in un gesto di rassegnazione impotente o di rassegnata impotenza: il mare!

Ripeto il suo gesto e faccio eco: i porti! Grappoli di imbecilli discutono e lavorano intorno a questo porto da quasi vent'anni ma non riescono a finirlo.

Peppe infila subito l’argomento con foga liberatoria: e quando il molo di sopraflutto era basso e corto e l’architetto veniva. a vederselo nelle giornate d'inverno fregandosi le mani per la soddisfazione e chiedendo ai marinai:

- Come va il mio, moletto, come va, il mio moletto? –

Poi venne quel quattro novembre del sessantasei che si portò via quasi tutto il moletto ed evidentemente anche l’architetto perché non risulta che sia più tornato da quelle parti.

- Saranno almeno trecentomila di danni.

Una frase gelida e Peppe mi guarda storto:

- Io sono assicurato. Pago seicentomila lire ogni tre mesi di polizza. Mai denunciato un danno. Mi pagheranno senza fiatare. C'é pure quello del motoryacht che ne ha per più di un milione.

Mal comune mezzo Claudio, come diceva un amico mio dei bei tempi andati. Già, purtroppo i bei tempi son sempre andati.

Comunque rigata o no, la Sgnuffi continua a portarci a spasso mentre parte un messaggio per il cantiere toscano: stavolta loro non hanno responsabilità ma il bottaccio lo possono sostituire soltanto loro data la speciale sagomatura del profilato d'alluminio. Non é cosa urgente e stavolta nessuno, si precipita, meglio farlo con comodo durante l’inverno.

Si parla già d'inverno.

L'ultima gita stagionale é ancora a Zannone e Ponza. Proprio sotto il faro di Zannone c'é una bella frana di grandi massi che arriva fin sui quindici metri più o meno. L'acqua é la solita; limpida da bere. La Sgnuffi in bikini acchiappa i pargoli e li carica sul canotto, poi rema verso l'attracco del f aro. Io parto con muta e fucile e alzo la testa dopo una decina di minuti buoni: infatti lo spettacolo del fondale é di quelli che incatenano, ma anche quello che si sta svolgendo fuori non é male.

Sui massi della scogliera una gran bionda e due pargoli si scambiano tremendi schiaffoni dappertutto, saltellano, strillano, ululano come cuccioli in una notte di luna piena.

Devio verso la scogliera: adesso la Sgnuffi scuote il tornito fondo e se lo schiaffeggia con sonanti schiocchi. I pargoli levano alti lai e lacrimoni mentre tentano di buttarsi in acqua inseguiti da squadroni di moscerini in picchiata, anzi mosceroni. I mosceroni di Zannone fanno buona guardia sulle scogliere tenendole libere dai bagnanti, così l’habitat’subacqueo resta indisturbato e tordi, spigole, gronghi e saraghi assumono dimensioni sconosdute alle scogliere del Circeo.

Però bisogna andar fondi o avere la fortuna di infilarsi in certe spaccature e sorprendere i saraghi aquiloni a primo botto; se c'é gia passato un altro o se spadellate tutto si vuota fino al giorno dopo.

Naturalmente questo é senno di poi. Senno che viene dopo le spadellate che ho fatto io. E di fatti emergo a retino vuoto e occhi pieni di pesce.

Il capitano in seconda ha ordinato la ritirata dalle scogliere e scruta il cielo nel terrore che i mosceroni organizzino l’assalto anche sul mare, ma tutto sembra tranquillo.

E tutto l'equipaggio, narrerà per sere e sere dell'assalto subito e le torme di moscerini promossi mosceroni sul campo diventano sempre più sanguinarie.

La Sgnuffi dalla pelle setosa mostrera i ponfi a tutti coloro che han voglia di vederli per il resto dell'estate: e son sempre tanti quelli che han voglia di vederli. Ho cercato di spiegare al secondo che non si tratta di un grande improvviso interesse entomologico che ha investito le coste dell'Italia centrale ma del solito papagallismo occhiereccio che non perde occasione per guardare due belle coscie.

Il secondo si indigna in superficie, lusingato nel profondo della sua femminilità. Fortuna che i ponfi poi se ne vanno e resterà solo il racconto col rombo degli stormi picchianti, proboscidi tese come baionette.

Notte nella rada di Ponza con la luna e lo scenario che non stanca mai di meravigliare per la sua bellezza. Dicono che ci sia lo zampino del Vanvitelli, se é così, viva Vanvitelli.

Nottata perfetta dopo una gran cena al ristorante "L'Ancora", scelto con cura fra quelli d'aspetto più dimesso, dopo aver appurato che una bottiglia d'acqua minerale da portare in barca costa nei bar quattrocento lire. Naturalmente quattrocento lire millenovecentosettantadue.

Sveglia alle otto, tanto il bollettino non serve dovendo tornare solo fino al Circeo. Piove. Un'acquerugiola fina fina, proprio da due novembre. Tutto spento, grigio.

- Che si fa?

Butto una lenza e a mezzo motore faccio il periplo di Ponza. L'isola è tutta bella anche se da una parte é deturpata dalle cave.

E’ solo dopo un paio d'ore di traina che scopro che il secondo ha fatto rintorcinare tutta la lenza e non si é mai preoccupata di badarci.

Il cielo ha uno squarcio blu e Zannone é là davanti, oltre la punta di Gavi. Manca ancora un bel po' a mezzogiorno, quasi quasi torno a far visita a quei saragoni.

Sulla sinistra appare un peschereccio, di una quindicina di metri al massimo, che va a tutta birra, tagliandoci la rotta. Ammaestrato dai precedenti rallento e tengo gli occhi bene aperti: sulla sommità del picco sventola una bandiera rossa. Peschereccio di sinistra? No, ma un momento! una bandiera rossa vuol dire "nave in pericolo" o sbaglio? Come sempre quando serve non c'é tempo per controllare. Il peschereccio viene dritto come una spada, motori al massimo. C'é un uomo con la coppola che si sbraccia. Amarilli risponde al saluto. Ma non e' un saluto: muove tutte e due le braccia e anche quello, l’ho studiato, é un modo per dire " pericolo".

Il peschereccio ci passa di prua, almeno a dieci nodi diretto verso il porto di Ponza. L'uomo continua a sbracciarsi e un altro tiene in mano un tubo nel pozzetto che butta acqua come la fontana dell'Eur.

Ho capito, ho capito: hanno un buco. Ma io che posso fare se vanno il doppio più veloce di me? Mistero. Li seguo per un po' ma quelli filano verso il porto troppo veloci. Rimarrà un mistero.

Un colpo di ruota ed eccoci a Zarmone. Lo squarcio di azzurro Mi é rimarginato e l'acqua ha un'aria poco invitante riflettendo quella luce livida. Ma io so quel che c'é sotto e non mi lascio ingannare. Prendo il fucile e giù.

Quando uno, é sotto (ed é sempre sotto anche se viene su a respirare perché resta sotto, psicologicamente) il tempo ha una dimensione diversa. Inseguo un tordo che gioca a rimpiattino tra i grandi massi: il tordo é facile ma bisogna pur arrivarci a tiro. Decido di giocare d'astuzia, una bella ossigenata e poi gùi puntando dieci metri sulla sinistra, lento fin sul fondo. Il tordo mi ha visto e ha scodettato un poco per allontarsi tra due ciuffi di posidonie, ma senza fretta giudicandomi dalla mia lentezza: e qui sta l’astuzia, perché appena fuori vista pinneggio rasente il fondo come un disperato e disegno un bel mezzocerchio di cinque o sei metri di raggio: il tordo, pigro, sbuca tra le posidonie proprio davanti la punta della mia freccia. Mi dispiace quasi premere il grilletto.

Quando emergo col mio pescione sento un gran rombo scuotere il mare. L'idea dell'elica omicida é sempre impressa nel cervello del sub e subito giro intorno la maschera terrorizzato. Ma il mare é deserto.

Emergo sbuffando: un altro rombo violento. E’ un tuono! Nuvoloni neri hanno sostituito quel grigio, da altostrato e questi sono nemboni con le frange! Ma come é stato possibile in pochi minuti quel po' po' cambiamento?

Nuoto verso la Sgnuffi che dondola sul mare che si sta alzando. Da bordo segnali di aperto rimprovero, quando mi attacco alla scaletta un coro a tre voci gareggia in esclamazioni rimbrottanti. Dicono che sono due ore che son sparito e che il tempo sta diventando proprio brutto.

Due ore dietro il mio tordone, gente! Non mi sembra possibile ma gli orologi sono orologi e devo arrendermi buttando la bestia a pagliolo. Adesso non pensate a gigantismi tipo Folco Quilici, ma pensate alla realtà dei nostri fondali entro i quindici metri, ecco, adesso converrete che un tordo da 44 cm. fuori tutto e oltre i due chili di peso é rispettabilissimo. Comunque se non lo rispettate, beati voi. Io sì.

- Via l’ancora! - La catena é dura! Non si sara' impigliata!!!? Il tuono scuote l’universo. I lampi cominciano a spaccare il cielo e poi di nuovo botti da capodanno napoletano.

- Macchine avanti piano!- L'ancora speda. Su la catena e adesso ragazzi eliche!!!!

Il mare monta, subito duro, corto, con schiumette sempre più decise. Ma il carnevale é tutto dei lampi: sospesa tra due infinità piatte, la punta dell'albero d'alluminio sembra chiamare a gran voce quelle saette che guizzano dovunque. Mai visto una cosa simile: l’aria puzza d'aglio e deve essere ozono. A tratti i lampi sembrano salire dal mare anziché scendere dal cielo e una colonna di fuoco piomba a mezzo miglio dai nostri occhi atterriti.

Dovevo mettere il parafulmine, micragna porca! Avevo anche scritto a quelli della Protector, poi all'ultimo momento costava troppo. Dalla poltrona di casa sembrava proprio un po' caro: ma adesso, qui in mezzo a questi fuochi d'artificio si rivela micragna porca. Adesso c'é pure il nebbione. Ci entriamo all'improvviso, una nuvola bassa più che nebbia. Costantino viene dislocato all'oblò di sinistra tenuto socchiuso, il secondo va in pozzetto, Amarilli all'oblò della.cabina di prua e io mi bagno l’orecchio e la spalla a quello di dritta. La Sgnuffi é tutta orecchi nella disperata speranza di captare qualche segnale se qualcun altro si sta godendo il nebbione.

Io pigio sulla sirena a intervalli costanti. Vedo appena, la punta della mia prua. Impressionante. Ho il motore al minimo e avanziamo a tre nodi, ma anche così se quel maledetto peschereccio portatore di culi di donne ci dovesse riattraversare la rotta saremmo fregati. Chissà se con la nebbia guardano dove vanno, che suonino ci conto poco.

Tre ore così. Roba da farsi venire una borsa lunga fino alle caviglie, come diceva quell'amico mio dei bei tempi. Naturalmente alludeva ad una borsa fisiologica.

Ma come dio vuole l'ovatta si squarcia davanti alla prua della Sgnuffi e usciamo dalla nuvola trovandoci in pieno sole, proprio come se fossimo un DC-9.

L'onda un po' dura ci fa appena sorridere adesso che vediamo davanti a noi il grande verde Circello. Navigare bello, ma anche rientrare in porto non è male.

E’ arrivato il trenta di settembre. Fine dell'estate. Quella reale, quella meteo e' finita da un pezzo. Ho portato a Roma in macchina la Sgnuffi bipoppica e pargoli annessi, poi lasciati i pargoli alla buona sorveglianza di una nonna di emergenza arrivata da Napoli su richiesta, io e il mio inseparabile secondo abbiamo preso la corriera Roma-Circeo che in appena tre ore e mezza, facendoci visitare tutti i paesetti ameni dei Castelli, ci riporta a San Felice.

Cenetta intima in un piccolo ristorante ormai semideserto e invaso dall'aria frizzantina della sera e poi a piedi fino al porto e a nanna nel ventre della Sgnuffi di vetroresina. Pronti per salpare all'alba alla volta del Tevere dove la nostra grande piccola barca passerà l’inverno cullandosi mollemente sulle dolci bionde acque reduci dai cessi e dai bidè di tre milioni di persone.

L'alba e' quella delle otto e fa freschetto. Peppe saltella arzillo fregandosi le mani, forse per scaldarsi, forse perché incassa quarantamila lire quarantamila per un mesetto di guardanìa.

Dice che è un prezzo di favore. Inutile indagare a favore di chi. Strette di mano e arrivederci alla prossima estate. Via il traversino, motore e acqua sotto la chiglia!

E’ una dolce traversata senza storia. Il mare si mantiene discreto, un po' di vento che poi cala, nuvole che si rincorrono e delfini che saltellano sull'onda davand ad Anzio.

Sei ore dopo eccoci davanti la foce di Fiumara. Foce misteriosa e nauticamente inesistente come il porto da cui veniamo. Non un segnale, un palloncino, un conetto, niente. La barra di sabbia si sposta e sale. Dove sara' oggi? Scandagliare. Tre metri, due. Forse di qui si passa. Le catapecchie del villaggio marinaro ci sfilano a tre o quattro metri. Un metro e mezzo. Se di qui non si passa che si fa? L'onda frange incontrando la corrente, di mettermi al traverso per virare e tentare più al centro non ho proprio voglia.

Oltre la grande bocca insabbiata barche in doppia fila per chilometri: questo é il più gran marina d'Italia, forse il più gran marina del Mediterraneo. Ci saranno tremila barche mal contate, mal contate sopratutto dal Comune di Roma soffocato dai debiti e disperatamente teso a tappezzare tutte le strade di divieti di sosta per incrementare le casse esauste.

Si passa. Lo schiaffone del frangente ci dà un calcio in poppa e siamo dentro. Adesso l’eco segna di nuovo due metri e poi tre. E il Centro Petrini dov'è?

Il Tevere si divide in due bracci: destra o sinistra? Devo cercare di ricordare i giri della strada percorsa tante volte in macchina e maledirmi per la poca attenzione fatta durante quell'uscita con l'ingegnere della Multimare.

Sinistra sicuro, su quello di destra c'é un retone e passare é difficile.

Rimontiamo il Tevere mentre cala la sera. CBS, A già il simpatico Bulleri. Ma Petrini non era subito dopo? No, subito dopo c'e' una draga morta e arrugginita.

Ah già, la storia della draga me l'aveva raccontata il barbetta che dirigeva il cantiere da Petrini, prima era una draga che dragava la foce, dragava gratis per conto di un'impresa che aveva bisogno di sabbia, poi i proprietari delle casette abusive del cosiddetto borgo marinaro avevano protestato perché sembra facesse abbassare il livello del terreno. Qualche assessore deve avere una di quelle casette abusive perchè veloce come una multa arrivò il divieto di dragare. Ora la foce sta tornando come ai bei tempi del paleolitico, con una gran barra di sabbia che quando il fiume va in piena fa rifluire l'acqua fin sotto ponte Milvio e restituisce a Fiumicino la sua sana palude. Il fatto che nel paleolitico non ci fosse ponte Milvio è di scarsa consolazione.

Dopo la draga morta ci appare la grossa gru di Petrini. Accostiamo alla comoda e ampia banchina vuota con tutto il fianco di dritta. Fine della prima estate navigata.

Per meglio farci capire che la vacanza è finita e che si torna in pieno alla lotta per il pane, il taxi chiamato per telefono dall'aeroporto di Fiumicino ci informa delle regole del servizio: il taxi si paga sia per l’andata che per il ritorno a vuoto, il taxi ci lascerà alla periferia di Roma dove potremo trasbordare su un altro taxi perché se non torna entro un certo tempo perde una corsa (che dovremmo pagare noi, quadruplicando il tassametro!).

Così da un taxi all'altro, benedicendo l’organizzazione dei servizi comunali che fa di noi cittadini della Capitale dei privilegiati, io e la Sgnuffi dalle dolci curve torniamo gloriosi alla nostra magione

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