LA CASA DEI BAMBINI
di

Paolo Accorsi

 

   Il sole filtrava dalle fessure come un folletto dispettoso. La sera precedente, Riccardo ed i suoi amici, erano entrati in discoteca a mezza notte per uscirne all’alba.

Ora erano le due del pomeriggio ed ancora la musica del locale gli stava torturando i timpani. Dopo aver aperto leggermente le persiane si affacciò su di una splendida giornata primaverile. Riccardo aveva venticinque anni, niente ragazza fissa, niente lavoro fisso, si poteva definire un ragazzo libero di vivere la vita, ma quale vita?

Gli capitava spesso, dopo un’inutile notte come quella appena trascorsa, di sentirsi così; un po’ malinconico. Il rimedio giusto, era lasciarsi tutto quanto alle spalle, saltare in macchina, e provare qualche strada nuova. Lo splendido pomeriggio soleggiato avrebbe contribuito a rimettergli a posto il morale. Guidò fino a raggiungere una località dai colli dolci e dai boschi ancora ben estesi ed ombrosi. Quella era una zona che non aveva mai visto, tutto sembrava così luminoso e sereno, non ci mise molto a recuperare il buon umore. Solo verso il tardo pomeriggio si rese conto d’aver perduto l’orientamento, stranamente non vi erano segnalazioni da quelle parti e le stradine che stava percorrendo sembravano tutte uguali. Continuando a guidare ammirando fiumi e colline, Riccardo si rese conto che non incrociava nessuno da diverso tempo, non una macchina, una persona, niente. Da quelle parti non vi erano case, cascinali, tutto ciò era molto strano. Si fermò in un piccolo piazzale per telefonare a casa ma il cellulare non aveva campo, era isolato. Sorrise di quella singolare situazione, risalì in macchina e decise di proseguire, avrebbe incontrato qualcuno prima o poi. Davanti a lui si apriva un labirinto di piccole stradine tutte uguali, alberi secolari le costeggiavano formando umide e lunghe gallerie naturali sulla sua testa. Il limpido tramonto si mise a colorare di rosso quei boschi e si trovò ad incrociare alcuni luoghi strani: un minuscolo cimitero senza alcuna recinzione, in cui, i pochi monumenti funebri, apparivano come persone straziate dal dolore, chinate al cospetto dei loro cari ormai defunti. Una fontana dalla quale l’acqua fuoriusciva dalle mani congiunte di un Santo. Il volto della statua era sfigurato, qualcuno gli aveva cavato gli occhi e pasticciato il volto con svastiche e scritte oscene. Continuava a non incontrare nessuno. Lungo un breve rettilineo sorprese un gruppo di cani randagi mentre si contendevano una preda. Alla vista dell’auto si dispersero lasciando sulla strada brandelli di carne sanguinante. Che animale poteva essere? Ora Riccardo iniziava ad essere teso, non riusciva ad uscire da quel posto. Dopo un breve tratto di strada, finalmente intravide tra gli alberi il tetto di una casa. Poco più avanti incrociò una stradina sterrata che sembrava portare in quella direzione, vi ci si buttò aggrappandosi ad essa come ad una boa in mezzo al mare. Arrivò alla casa quando ormai nel cielo iniziava ad indebolirsi la luce del giorno. Fermò la macchina in un piazzale ricoperto di rami e foglie trasportate dal vento. Altre cianfrusaglie varie, sparse ovunque, lo rendevano simile una discarica abusiva. Scese dalla macchina e riprovò a telefonare, il cellulare era ancora isolato. Allora si guardò intorno e fu invaso dallo sconforto, quel posto era evidentemente abbandonato da anni. Ma dove diavolo era finito? Aveva guidato per ore senza incontrare nessuno, era possibile?

- C’è nessuno? – Urlò. Poi vide un bambino; stava immobile ad una finestra e l’osservava. Si sentì sollevato.
- Dove sono i tuoi genitori? – Domandò avvicinandosi. - Sono in casa? 

Poco lontano dalla macchina vide un vecchio dondolo malandato ondeggiare come se qualcuno l’avesse spinto fino a quel momento, Riccardo gli si avvicinò confuso. Sulla stoffa inzuppata d’umidità trovò una piccola bambola di pezza con le braccia strappate. La raccolse, l’osservò, poi si guardò di nuovo intorno posandola. Sentì qualcuno camminare nel bosco poco più avanti, si voltò e sorprese un altro bambino correre al riparo dietro alcuni cespugli. Guardò di nuovo la finestra ma il bimbo era scomparso.

- Venite fuori, vi ho sentito! – Ordinò Riccardo ma udì i bambini correre verso l’interno del bosco. S’incamminò deciso verso la casa. Aveva bisogno di avvertire assolutamente i suoi genitori che avrebbe tardato, in quel posto doveva pur esserci un adulto. Quando fu a pochi metri dalla porta d’ingresso, uscì un uomo che indossava un camice bianco da medico, gli si avvicinò con aria severa.
- Che cosa vuole?
- Devo essermi perduto, non vengo spesso da queste parti e ho perso l’orientamento.
Il medico sembrò ignorarlo e si diresse verso il dondolo, Riccardo lo seguì immediatamente continuando a parlare.
- Ho bisogno di un telefono, il mio non ha campo qui.

Arrivati davanti al dondolo, l’uomo raccolse la bambola, se la mise nella tasca del camice, dopo di che si dedicò finalmente a lui.
- Ora mi ascolti bene giovanotto – Gli disse con fermezza. - Se torna indietro nella stessa direzione da cui è arrivato per circa quattro chilometri, poi svolta a sinistra ed all’incrocio successivo ancora a sinistra, si troverà sulla statale e potrà andare dove vorrà.
- Come fa a sapere da che parte sono arrivato? –
- Perché ho visto .

Al ragazzo non piaceva lo sguardo di quel tipo e tanto meno quel posto. Si rendeva conto che quelle indicazioni non potevano essere esatte, aveva impiegato tutto il pomeriggio per arrivare fin lì dalla statale, come poteva in così pochi chilometri tornare indietro. Mettersi a discutere con quello strano personaggio era in ogni modo l’ultima cosa che voleva. Ringraziò e sfrecciò via più veloce di un fulmine. Seguì le indicazioni con scetticismo ma incredibilmente si dimostrarono esatte e così si ritrovò sulla statale, in salvo. Quella sera mangiò in fretta per poi salire in camera sua ad esaminare alcune cartine stradali della zona. Essendo un vero appassionato del volante era ben attrezzato in proposito. Non riuscì però a ricostruire la strada percorsa. Gli sembrava d’avere un vuoto di memoria in merito. Ora che le osservava con calma, quelle stradine in evidenza sulla cartina stradale, gli apparivano così ordinate e la zona in cui si era perso davvero limitata. Non riusciva a togliersi dalla testa quella strana casa. Sembrava un posto deserto e invece era pieno di bambini, cosa ci facevano lì? Poi era apparso quel tale, gli metteva ancora adesso i brividi. Ricordava perfettamente gli occhi inespressivi di quell’uomo, la sua voce gelida ed il volto cadaverico, era tutto così strano…..

- Sapete cosa vi dico? - Esordì Mauro dopo un breve momento di silenzio.
- Per questa sera mi sono rotto abbastanza. Io me ne vado a casa .

   Erano passati giorni da quanto accaduto a Riccardo quel pomeriggio, ora se ne stava con due suoi amici al bar, era sabato sera e si stavano annoiando a morte, l’aria era densa di fumo e sul video gli U 2 suonavano "Elevation". Da giorni pensava di raccontare la sua avventura a Mauro e Luca, in pratica i migliori amici che aveva, ma ogni volta ci ripensava, temeva di fare la figura dell’idiota. Quella sera però, complice forse la noia, trovò il coraggio di raccontare.
- Un momento Mauro, avrei una proposta da farvi.
Raccontò l’accaduto e i due amici ascoltarono interessati facendosi coinvolgere sempre di più dalla strana storia. Terminato il racconto propose di tornare in quel luogo. Dopo tutto non era tardi e si stavano annoiando, avrebbero riacceso la serata. Ovviamente i due amici furono entusiasti di accettare e così partirono all’avventura.

Usciti dalla statale furono proiettati in quel labirinto di stradine identiche ed alberi giganteschi che assumevano, complice la notte, le forme più strane. I fari della macchina illuminavano quella moltitudine di boschi, cespugli, fossati, crocicchi e ponticelli. Dopo quasi un’ora e mezza di strada, della misteriosa casa non vi era ancora traccia, Mauro e Luca iniziavano a stancarsi.
- Ancora un po’ ragazzi! – L’incitava Riccardo. - Dovremmo esserci ormai…Mi sembrava da queste parti .

Ma purtroppo per i tre, della casa nemmeno l’ombra. Niente cimitero senza recinzione, niente statua del Santo. Riccardo si giustificò ricordandosi di aver visto la casa con difficoltà in pieno giorno, figuriamoci di notte. Per il cimitero e la strana fontana del Santo, le cose erano diverse, era impossibile non averli già incrociati, quella zona era minuscola ma in realtà, una volta che ci si era inoltrati sembrava non aver fine. Si fermarono su di un ponticello erboso, scesero e si sgranchirono le gambe, passeggiando, si misero a discutere dei loro piccoli problemi giornalieri. Osservarono la luna e le stelle lontane, respirarono l’aria frizzante della notte ed il buon umore tornò. Tutto sommato non era stata una brutta idea quella serata alternativa passata in mezzo ai boschi. Prima di risalire in macchina controllarono i cellulari, non avevano campo, evidentemente, quella era una zona sfortunata per telefonare. Ripartiti, ora dovevano affrontare il problema del ritorno. Ancora una volta avevano perduto l’orientamento. Lentamente il buon umore si placò ed iniziò a serpeggiare il nervosismo e la stanchezza. Tutti volevano dire la sua riguardo alla strada da seguire, ma ogni tentativo risultava vano. Un velo di paura calò su di loro quando, inaspettatamente, incrociarono la lugubre fontana. Di notte, illuminata dai fari dell’auto, non era un bello spettacolo da vedersi. Riccardo era soddisfatto di poter finalmente dimostrare agli amici che almeno parte della sua storia era vera. I tre scesero dalla macchina, sia Mauro che Luca poterono vedere gli occhi del Santo staccati con violenti colpi di scalpello, le scritte e le svastiche. Tutt’intorno l’erba alta ed incolta era calpestata come se molte persone se ne fossero appena andate. I tre non avevano troppa voglia di restare, saltarono in macchina e si allontanarono velocemente da quel posto. Al sicuro nell’auto, si rilassarono e risero dell’avventura ma, ad un tratto qualcosa li colpì sul fianco destro della macchina. Accadde in curva. Una curva a gomito che aveva costretto Riccardo a rallentare. Si fermarono ma ci misero del tempo prima di decidersi a scendere per controllare. Scese prima Luca, che stava seduto dietro. Non si vedeva un accidente.

- Nel cruscotto tengo una torcia elettrica.
Disse Riccardo. Mauro prese la torcia e puntò il debole fascio di luce prodotto nel punto in cui presumibilmente era avvenuto l’impatto. Vi era una strisciata viscida e scura, forse era fango, i tre si guardarono in viso.
- Deve essere stato un animale – Azzardò Mauro, che poi passò leggermente la mano sul punto dell’impatto.
- E’ sangue? – Chiese Luca.
- Non lo so, potrebbe anche essere, è qualcosa d’appiccicoso.

Poi udirono il rumore di una macchina sfrecciare poco distante da loro, ne udirono un’altra e poco dopo un’altra ancora. Erano vicinissimi alla statale e nemmeno se n’erano accorti. Saltarono in macchina, felici come tre miracolati accarezzati da angeli celesti ed al primo incrocio svoltarono trovandosi così in salvo, sulla strada a loro conosciuta.
- Ho provato un’emozione intensa! – Esclamò Mauro col fiatone ed eccitatissimo.
- Io per poco non ci resto secco – Gli fece eco Luca.
- Dite che è stato un animale? – Chiese Riccardo ancora preoccupato e scuro in viso.
- Mi dispiace Riccardo, in ogni modo, credo che qualsiasi animale sia stato non ti dovrebbe aver rovinato la macchina – Lo consolò Mauro.
- Appena arrivo a casa gli do una pulita e poi controllo bene –

   Nessuno parlò più della casa. La discussione riguardo l’animale investito era sicuramente più interessante. Riccardo accompagnò a casa i due amici e poi mise la macchina nel box. Una volta sceso, inzuppò immediatamente una spugna d’acqua e si apprestò a pulire la parte colpita. Osservandola bene però, rabbrividì.

Ora non vi erano più dubbi, quello era sangue. Rimase immobile, con la spugna gocciolante in mano. Cosa doveva fare ora? Adesso che la parte colpita era illuminata dalla luce del box, Riccardo sembrò intravedere nel suo interno la sagoma di una mano. Gli sembrava evidente l’impronta del pollice, quella delle altre dita, una cosa orribile. Era l’impronta di una mano ferita e quello era sangue non fango. Come poteva essergli sfuggita una cosa così palese. Iniziò finalmente a ripulire in modo svogliato. Non poteva fare altro. Non voleva invischiarsi ulteriormente in faccende poco chiare. Ripulito tutto quanto si avviò verso la porticina sul retro che collegava il box con la sua abitazione. Poco prima della porta notò una scatola di gessetti da disegno rovesciata sul pavimento. I gessetti erano sparsi ovunque. Era evidente che suo fratello " Tobi", così chiamava scherzosamente il fratellino, si era rimesso a giocare nel box contravvenendo ai suoi ordini. La rabbia che lo assalì lo aiutò a dimenticare l’inquietudine di poco prima. Si ripromise che ne avrebbe parlato ai genitori. Non voleva che "Tobi" andasse a giocare nel box in sua assenza perché temeva che potesse farsi del male. Davanti alla porta il fratello aveva tracciato una riga coi gessetti. Riccardo la oltrepassò scuotendo nervosamente la testa. Era troppo stanco per rimettersi a pulire, l’avrebbe sistemata il giorno seguente. Se ne andò a letto ma non chiuse occhio, anzi, piombò in uno strano stato di dormiveglia. Figure indefinite prendevano forma nella stanza, sentiva come un nodo alla gola e faticava a respirare, il sudore gli ricopriva il corpo. Un’infermiera stava seduta accanto a lui e gli rinfrescava la fronte con un panno gelido come ghiaccio.
- Non temere….Non temere – Ripeteva. - Ci sono qui io….Per accudirti….Intricati sono i labirinti che conducono all’inferno, ma tu hai percorso bene la tua strada .

Alzò una siringa, ma quando stava per infilare l’ago nel suo braccio ecco spuntare dal nulla l’uomo della villa. Non riusciva a distinguerlo chiaramente, era come se ne vedesse soltanto il volto diabolico.
- Non è necessario – Sussurrò. L’infermiera era scomparsa ed ora l’uomo era chinato su di lui. Lo fissava con quegli occhi senza vita.
- Perché sei tornato? – Lo rimproverò. - Cosa cerchi?….Vuoi forse unirti a noi? –

Riccardo voleva rispondergli ma sentiva la bocca bloccata, paralizzata.
- N….No – Riuscì a farfugliare nel sonno. Il volto del "medico" s’indurì ancor più.
- Lasciaci in pace!…Chi scherza col fuoco…..Si brucia! 

Nella stanza aleggiava una filastrocca, leggera, quasi impercettibile, cantata da bambini, era rilassante. L’uomo chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quella melodia infantile. Divenne sempre più nebuloso, sempre più vago, sembrò allontanarsi per perdersi in un cielo grigio e senza tempo. Agli occhi di Riccardo tutto divenne più scuro e rimase solo quel canto cadenzato. Sentì finalmente i muscoli rilassarsi, il sangue riprese a circolare regolarmente, era molto più calmo ora.

Un bimbo si avvicinò al letto. Teneva in mano un paio di forbici. Gli sorrise dolcemente prima di infilarsele con violenza nel polso ed iniziare a roteare la punta nella ferita. Portò poi il braccio sopra la bocca di Riccardo.
- Bevi….Ora sei dannato, giocherai con me per sempre .

Riccardo urlò con quanto fiato aveva in corpo e si svegliò. Era l’alba, si ritrovò ansimante come se avesse corso per ore. Che incubo orribile, così reale. Quell’avvertimento, quell’orribile personaggio, l’infermiera. Si ricordava tutto perfettamente. Non aveva mai avuto incubi di quel genere. Giurò a se stesso che mai e poi mai sarebbe tornato da quelle parti, per niente al mondo.
Prima di uscire scese nel box per ripulire il trambusto lasciato dal fratello. Trovò tutto in perfetto ordine e la riga era stata cancellata. Chiese ai genitori se erano stati loro a sistemare le cose ma non ne sapevano nulla.
- Ho pulito io – Intervenne "Tobi" mentre giocava ai video giochi.
- Avrei pulito ieri sera ma avevo paura delle ombre –
- Quali ombre tesoro? – Gli chiese la madre.
- Quelle che hanno tracciato la riga sul pavimento.
- Basta "Tobi"! – Lo sgridò Riccardo.
- Non voglio che vada a giocare nel box. E’ pericoloso! – Disse rivolto ai genitori.
- Non gli può capitare nulla Ricky…Non fare sempre il prepotente. - Lo rimproverò amorevolmente sua madre. Riccardo avrebbe voluto confidargli quanto accaduto la notte prima, parlargli dei suoi incubi, ma perfino lui stentava a crederci. Era stato invece colpito dalle parole del piccolo "Tobi". Dopo tutto quello che gli era capitato, perfino le bugie del fratellino gli mettevano i brividi.

Nel tardo pomeriggio vide Mauro, l’amico era ancora eccitato per quanto capitato la sera prima. Propose addirittura di andare a vedere il luogo dello scontro per cercare, alla luce del giorno, l’eventuale animale investito. Riccardo non ne voleva sapere, ma rivelò a Mauro la faccenda della mano e del sangue.
- Impossibile Riccardo!…Adesso stai esagerando, se fosse stata l’impronta di una mano ce ne saremmo accorti subito.
In effetti, non ne era più tanto convinto nemmeno lui.
- Ti prego Mauro, non parliamone più…Questa storia finisce adesso!.

Ma il tarlo della curiosità era stato ben seminato nel cuore di Riccardo. Ogni sera, dopo il lavoro, era impossibile per lui evitare di aprire una cartina stradale e ripercorrere mentalmente quel tragico tragitto. Troppe cose non quadravano, troppe domande erano rimaste senza risposta. Non ebbe più incubi ed i giorni che scorrevano lenti e monotoni, riportarono la normalità cancellando ogni paura.

Quella domenica, Riccardo aveva studiato ogni dettaglio nei minimi particolari, aveva messo in macchina le cartine giuste. Aveva sottolineato le strade secondo lui percorse e quelle da evitare, era impossibile perdersi di nuovo. Luca non ne volle sapere ma Mauro accettò di seguirlo e così, passato quasi un mese, tornarono in quei misteriosi luoghi per la terza volta, alla ricerca della fantomatica villa.

Lasciarono per l’ennesima volta la statale e s’infilarono in quel dedalo di stradine in una giornata limpida, dal cielo tanto azzurro da sembrare un oceano capovolto. Riccardo guidava e Mauro segnava sulla cartina il percorso che stavano seguendo, confrontandolo con quello evidenziato in precedenza. Tutto bene per la prima mezzora, dopo di che, ad un ennesimo incrocio, ecco spuntare una strada che non era indicata in nessuna cartina.
- Vedi che qualcosa non quadra! – Esclamò Riccardo soddisfatto.
- Sono stradine di campagna Riccardo, qualche errore ci può stare.

Decisero di proseguire ma da quel punto non ci capirono più nulla. Dopo pochi chilometri, Mauro si rese conto che effettivamente stava capitando qualcosa di strano. Propose all’amico di ritornare subito prima che finissero di nuovo nei guai.
- Cosa c’è? Hai cambiato idea adesso? –
- Effettivamente sto guardando queste cartine senza capirci un’accidenti. Qui rischiamo di perderci ancora.
- Sono quattro strade accidenti, è impossibile perdersi! Adesso sono stufo, se continuiamo ad andare dritti arriveremo pur da qualche parte!
- Giusto!

Invece accadde esattamente quanto capitato le volte precedenti. I cellulari non avevano campo, le stradine si ripetevano tutte uguali e stava calando la sera. Mauro se ne stava taciturno con le braccia incrociate, da tempo aveva ripiegato le inutili cartine preparate da Riccardo. La notte scese lenta ed inesorabile, scura come la morte. Il serbatoio calava a vista d’occhio e non incrociavano nessuno, la tensione era altissima. I due amici vivevano quei pazzeschi avvenimenti senza dire una sola parola. I fari dell’auto illuminarono, poco più avanti, una ragazza che stava attraversando goffamente. Quando si accorse della macchina fece debolmente cenno di fermarsi. Si fermarono a soccorrerla. Indossava una camicia da notte fatta a brandelli. Era ricoperta da lividi e graffi su tutto il corpo, sporca ed esausta. Tremava, ed il viso era una maschera di sangue e fango. La fecero stendere sui sedili posteriori della macchina.
- Bisogna portarla all’ospedale! – Ripeteva Mauro isterico.
- Prima dobbiamo uscire da qui!

Riccardo aveva una paura tremenda, faticò persino a riaccendere la macchina, gli tremavano le braccia, accanto a lui Mauro se ne stava immobile con lo sguardo fisso d’innanzi a lui. Filò via guidando come un pazzo che cercava di fuggire da un incubo. La ragazza alle loro spalle era in preda al delirio, sudava e ripeteva sussurrando:
- Il mio bambino…Per pietà..Il mio bambino – Riccardo guardò dal retrovisore come stava la fanciulla e così perse di vista, per un secondo fatale, la strada. Mauro urlò, ma lo fece troppo tardi, la curva fu saltata in pieno. La vettura superò sullo slancio il piccolo fossato che costeggiava la stradina ed atterrò pesantemente, rimbalzando, nel bosco. Si schiantò contro un albero terminando così la sua disperata corsa. In un attimo piombarono su Riccardo oscurità e silenzio. Non si era fatto un graffio ma né Mauro né la misteriosa ragazza sembravano, per ora, dare segni di vita. Cercò la piccola torcia elettrica e, appena trovata illuminò l’interno della macchina. La ragazza era caduta dai sedili ma respirava ancora. Respirava anche Mauro, che però aveva perduto i sensi, ed aveva un brutto taglio sulla fronte. Riccardo si sentiva disperato, cosa poteva fare adesso? Uscì con fatica dall’auto completamente sfasciata e la prima cosa che fece fu trascinare fuori di lì anche la ragazza e l’amico. Nessuno dei due sembrava in grado di riprendersi, anzi.
Aveva un nodo alla gola che lo soffocava ed il cuore sembrava esplodergli nel petto.

I suoi compagni avevano bisogno urgente di cure e di un medico. Illuminò la zona con la debole torcia in cerca di un riparo qualsiasi per la notte, lì avrebbe lasciato i due feriti e lui si sarebbe incamminato in cerca d’aiuto. non vi era altro da fare.

Incredibilmente la ragazza si riprese e ricominciò a sussurrare le sue frasi deliranti:
- Il mio bambino…
- Cosa ti è successo? - Si azzardò a chiedere Riccardo mentre la soccorreva.
- Hanno rapito il mio bambino….Sono dei mostri.
- Chi è stato? –
- Dobbiamo fuggire…Arriveranno e….- Perse di nuovo i sensi. Riccardo era terrorizzato. Fu in quel preciso istante che notò delle minuscole luci in lontananza. Erano piccole torce elettriche come la sua. Un brivido gli percorse la schiena, chi erano quelle persone? Erano ancora lontane ma si stavano avvicinando. Poco più avanti, il fossato che costeggiava la strada, vi passava sotto grazie ad un basso ponticello. Era stretto e buio, l’ideale per nascondersi. Nel fossato non vi era, per fortuna, molta acqua, così decise di portare con se la ragazza ancora svenuta. L’impresa fu più dura del previsto ed una volta al riparo, sotto il ponticello, udì le voci degli estranei avvicinarsi, non avrebbe fatto in tempo a mettere in salvo anche Mauro, così si accovacciò il più possibile nel buio del ponte ed attese tremando di freddo e di paura. Gli strani personaggi ora erano sulla strada poco più avanti ed avevano visto la macchina. Il gelido tocco della paura lo investì del tutto, quando dalle voci confuse che gli trasportava la notte, si rese conto che si trattava di bambini. I deboli fasci di luce delle loro torce illuminavano il bosco. Dalla posizione in cui era nascosto, Riccardo non riusciva a contarli, aveva però l’impressione che non fossero molti. Li vide avvicinarsi alla macchina. Parlottavano tra loro ma non riusciva a capire una parola, erano troppo lontani. Quando scoprirono il corpo di Mauro gli si arrestò il respiro. Alcuni bambini gli si misero intorno, uno di essi lo colpì con un calcio e poi si lasciò sfuggire un risolino sadico. Altri si aggiravano sul luogo dell’incidente cercando qualcosa, forse la ragazza, forse lui. Ma chi diavolo erano? Che fossero gli stessi di cui parlava la ragazza? Non resisteva più, il suo corpo era invaso dai tremori, non riusciva a stare fermo. Ora alcuni di loro stavano parlottando e probabilmente guardando verso di lui, che l’avessero scoperto? La risposta non tardò ad arrivare perché si misero a puntare le torce verso il ponte. Si schiacciò ancor di più contro le pareti umide e rimase così nascosto per diversi interminabili secondi. Poi si decise. Non poteva starsene nascosto in eterno. Infondo erano soltanto dei bambini. Sarebbe saltato fuori come una belva ferita mettendoli in fuga, almeno così sperava. Volle controllare la ragazza prima di uscire allo scoperto, si voltò ed il raggio della sua torcia illuminò il viso dell’infermiera. Stava accanto a lui, comparsa come il più terrificante degli spettri, pallida come la morte, gli occhi sbarrati ed iniettati di sangue. Sentì l’ago di una siringa penetragli nel collo con violenza e subito tutto si fece nero….Sempre più nero.

Mauro si ritrovò disteso sull’asfalto consumato di una delle tante stradine tutte uguali. Nel cielo vi era poca luce ma non riusciva a distinguere se fosse l’alba oppure il tramonto. La testa gli faceva malissimo, cercò di alzarsi e quando riuscì a mettersi seduto, vide l’infermiera poco più avanti, che gli tendeva la mano gocciolante di sangue. Davanti a lei un bambino stava tracciando con un gesso una riga sulla strada.

- Oltrepassa la riga…Raggiungici…Noi ti possiamo salvare – Gli stava dicendo dolcemente. La testa gli scoppiava dal male.
- Intricati sono i labirinti che conducono all’inferno….Tu stai percorrendo bene la tua strada…. Oltrepassa la riga. Se non lo farai… Non dovrai mai più pensare a noi. Comprendi?…Dimentica tutto ciò che hai visto! -

Mauro si sentiva sfinito. Non capiva il significato di quelle parole. Aveva bisogno di cure, di medicinali. Iniziò a trascinarsi verso la riga.
- Avanti… Puoi farcela –
Ad un tratto, quella terribile mano protesa sembrava essere l’ultimo appiglio alla vita per lui.
- Ancora uno sforzo…Ci sei quasi –
La riga era ormai vicinissima. Gli appoggiò una mano sopra quando una voce maschile s’intromise tra lui e l’infermiera.
- Svegliati Mauro!…Mi senti? – Mauro si svegliò nel letto di un ospedale e la prima cosa che vide furono i volti emozionati dei suoi genitori.
- Ho superato la riga? – Chiese ancora terrorizzato.
- Come dici tesoro? – Domandò ansiosa ma felice sua madre. Mauro si lasciò cadere nel letto sfinito ma finalmente rilassato, forse era in salvo…Forse.

Poco lontano da quei boschi sperduti scorreva il Tolomone, un grosso fiume che in quel periodo primaverile si caricava di una notevole massa d’acqua. Per la polizia, dopo il ritrovamento della macchina sfasciata, la dinamica dell’incidente era stata la seguente: la macchina di Riccardo, affrontata ad altissima velocità una curva pericolosa, aveva sfondato le protezioni ed era finita nel Tolomone gonfio per le piogge primaverili. Fu ritrovata molto più a valle, trascinata dalla furia della corrente. Mauro era stato trovato da un agente della guardia forestale, miracolosamente ancora vivo, su di una spiaggietta poco lontana dal luogo dell’incidente. Era stato operato d’urgenza alla testa e dichiarato fuori pericolo solo diversi giorni dopo. Il corpo di Riccardo non fu più ritrovato, le ricerche su vasta scala erano ancora in corso. Il Tolomone da quelle parti era considerato un fiume "cattivo", perché, complice la sbadataggine e soprattutto la velocità, ogni anno vi precipitava qualche auto e vi era sempre qualcuno che da lì non usciva più. Circa sei mesi prima ad esempio, la stessa sorte degli sventurati amici era capitata ad una copia di sposini.

Quando Mauro seppe la verità sull’accaduto, e della morte di Riccardo, desiderò essere morto anche lui. Gli sembrava impossibile che non l’avrebbe mai più rivisto. S’immaginò il dolore dei genitori, dei fratelli, di tutti gli amici. Una cosa terribile.

Poi gli raccontarono finalmente del Tolomone, vi erano in corso diverse indagini e appena venne considerato pronto fu raccolta la sua testimonianza. Mauro era confuso, non riusciva a distinguere i sogni dalla realtà. Quanto di quello che si ricordava era accaduto veramente e quanto invece era frutto della sua immaginazione? Gli fu spiegata tutta la dinamica dell’incidente così com’era stata ricostruita dalla polizia, ma niente di quello che dicevano sembrava concordare con ciò che si ricordava. Nel luogo dell’incidente non aveva visto fiumi. Non erano usciti di strada in quella zona. Poi non sapevano della ragazza, della casa sperduta, delle stranezze capitate a Riccardo. Cosa doveva fare adesso? Raccontare ogni cosa e rischiare di fare la figura del pazzo? Confermò invece tutto quanto gli era stato detto dichiarandosi ancora stordito ed insicuro, nessuno trovò niente da obiettare e così lo lasciarono in pace. Alcuni giorni dopo fu dimesso, finalmente guarito. Una delle prime cose che fece, tornato a casa, fu andare a trovare l’amico perduto. Trovandosi davanti quella gelida, triste lapide, non poté fare a meno di sentirsi un vigliacco. Nessuno al di fuori di lui sapeva la verità. Il corpo di Riccardo non era stato trovato e per quanto ne sapeva lui poteva anche essere ancora vivo, nascosto oppure prigioniero da qualche parte in quei boschi. Con chi poteva confidarsi, dove poteva andare per liberarsi di quel peso, e poi era accaduto davvero tutto ciò che si ricordava, oppure era stato un incubo, come quello dell’infermiera che gli chiedeva di attraversare la riga sulla strada. Luca era stato uno dei pochi amici che non era andato a trovarlo in ospedale. Qualche giorno dopo andò a casa sua. Si rese subito conto che non era molto contento di vederlo. Forse perché s’immaginava che Mauro avrebbe inevitabilmente parlato di Riccardo e di tutto ciò che era accaduto negli ultimi tempi. Infatti, tra un bicchiere d’aranciata e cioccolatini vari, Mauro iniziò a raccontare la sua versione. Luca lo azzittì quasi subito.
- Basta con questa storia….Siete finiti nel fiume e Riccardo è annegato. Accetta le cose come sono!
- Tu non capisci!..Tu non eri in macchina con noi quella notte. Non puoi sapere quello che è successo.
- E nemmeno m’interessa saperlo….Io vi avevo avvertiti…Mi dispiace dirlo ma ve la siete cercata! Non voglio più sapere niente di questa storia, lasciami in pace.

Mauro provò un profondo odio verso l’amico, lo spinse via e se ne andò. Non poteva più tenersi per se quella storia. Aveva visto coi suoi occhi quella povera ragazza sanguinante. In quel luogo c’era qualcosa che non andava e l’avrebbe raccontato a qualcuno che poteva e doveva fare qualcosa. Quella sera capitò l’incredibile. Restò alzato come al solito fino a notte fonda passando da un canale televisivo all’altro, quando capitò su di un canale regionale in cui parlavano del Tolomone e degli incidenti di cui il fiume era stato silenzioso testimone. Fu fatto il suo nome e quello del povero Riccardo. Una giornalista stava intervistando il capo della "Guardia Forestale" dislocata in quella zona, che aveva la sua sede a Vecchio Borgo, una minuscola frazione sorta negli ultimi anni sulle rive del fiume. L’uomo si chiamava Donizetti e rispondeva con tranquillità e precisione alle domande della giovane giornalista. Era evidente che aveva seguito quegli avvenimenti con grande scrupolosità. Mauro iniziò a pensare che quell’uomo dall’aria severa ed autoritaria potesse fare al caso suo. Poi furono mostrate le foto dei due sposini coinvolti nell’incidente precedente. Mauro rabbrividì sulla poltrona. Riconobbe immediatamente la ragazza. Non vi erano dubbi, era lei la fanciulla delirante che avevano soccorso quella notte. Nel servizio la davano per dispersa proprio come Riccardo. Il giovane marito si era spezzato la colonna vertebrale, ora era ricoverato in un centro di riabilitazione ma aveva perduto la volontà di vivere. Proprio in quel momento udì un rumore stridulo, come quello del gesso che scricchiola sulla lavagna. Un bambino stava tra lui e la porta ed aveva tracciato di nuovo la riga.
- Oltrepassala…Gioca con noi!
Mauro urlò con tutto il fiato che aveva in gola e si svegliò nel suo letto. Sua madre accorse subito, era ricoperto di sudore ed il cuore sembrava impazzito.
- Cosa succede Mauro?
- Non posso più continuare così mamma.
- Allora vieni con noi!

Al posto della madre vi era l’infermiera con la siringa alzata, stava per colpire quando Mauro gli si scaraventò contro buttandola a terra, sentì nitido il contatto del corpo, non era un fantasma, era presente fisicamente, fece per aprire la porta ma questa era sbarrata. L’infermiera si rialzò, quegli occhi bianchi, senza vita, erano terribili, le mani cadaveriche, affusolate, il corpo asciutto e gelido come la morte.

- Non possiamo lasciarti andare…Lo capisci vero? –
Qualcuno bussò alla porta.
- Mauro tutto bene? 
Era suo padre che probabilmente aveva sentito il trambusto provocato dallo scontro.

Mauro riprese ad urlare come un pazzo, diede un nuovo strattone all’infermiera e si gettò dalla finestra infrangendo i vetri, rotolando sul tetto del porticato e finendo nel prato sottostante. Fu soccorso dai genitori e da alcuni vicini attirati dal rumore.

Non si era fatto nemmeno un graffio ma tutti erano tremendamente preoccupati. Suo padre telefonò immediatamente al professor Ghirardi, il medico che seguiva la sua riabilitazione dopo l’intervento. Fissò un appuntamento prima possibile ma Mauro aveva ben altre intenzioni. Convinse suo padre ad accompagnarlo a Vecchio Borgo. Doveva parlare assolutamente con Donizetti, non gli importava l’opinione che si sarebbe fatto la guardia nei suoi confronti. Doveva liberarsi la coscienza e Donizetti era la persona giusta. Vecchio Borgo, oltre ad essersi sviluppato sulle rive del misterioso Tolomone, aveva anche lo spiacevole privilegio di essere il paese più vicino agli oscuri boschi dove si celava la famelica casa descritta da Riccardo.

Mauro e suo padre vi arrivarono di primo pomeriggio. Non avevano molto tempo perché il ragazzo aveva l’appuntamento col medico che incombeva. Trovarono con facilità la sede della Guardia Forestale. Donizetti era nel suo ufficio e li ricevette con molta cordialità e disponibilità. Riconobbe subito Mauro e si preoccupò immediatamente di chiedere come andava la sua riabilitazione. Mauro rispose che procedeva tutto benissimo ma suo padre non era dello stesso parere. Terminati i convenevoli, il ragazzo raccontò la sua storia a Donizetti che seguiva molto concentrato. Ad un tratto la porta dell’ufficio si spalancò ed entrò una bambina. Teneva tra le mani una piccola bambola di pezza dalle braccia staccate. Con lo sguardo fulminò Mauro che smise di parlare, dopo di che si arrampicò sulle ginocchia della guardia.
- Questa è mia nipote Paula.
La bambina l’ignorò, posò la bambola che teneva in mano e si mise a colorare un disegno che aveva iniziato probabilmente prima del loro arrivo. Mauro era giunto al termine del suo racconto, non aveva tralasciato nessun particolare. Aveva parlato perfino dei suoi incubi, dell’infermiera e della terribile riga tracciata col gesso. Il "Capo", come chiamavano da quelle parti la guardia, estrasse da un cassetto della sua sovraccarica scrivania la foto della ragazza scomparsa.

- Osserva di nuovo il suo viso, sei certo che fosse lei? 
- Sono sicurissimo, è la stessa persona! 
Donizetti ed il padre di Mauro si scambiarono un’occhiata d’intesa, nessuno dei due aveva creduto al racconto del ragazzo. Il "Capo" sospirò profondamente poi si rivolse a Mauro con fare paterno.
- Credo che tu sia venuto dalla persona sbagliata figliuolo –
Il ragazzo ne rimase profondamente deluso.
- Ieri sera ho visto uno speciale sugli incidenti in questa zona, lei è stato intervistato e sembrava conoscere ogni particolare….
- La polizia e gli avvocati si occupano di queste cose ormai… Noi della Guardia Forestale di solito segnaliamo gli incidenti e quindi, avvolte, ci tengono informati, ma niente di più.
- Ma lei cosa ne pensa?
- Degli incidenti?….La mia opinione è che non sia colpa né del fiume, né dei boschi e nemmeno dei fantasmi. La colpa è della velocità ragazzo mio. Voi giovani siete avvolte troppo imprudenti….In ogni modo io non sono qui nemmeno per fare la morale. Ti auguro di guarire e di riuscire a dimenticare questa triste vicenda .

Mauro e suo padre si alzarono dalle scomode poltrone e salutarono Donizetti. Il ragazzo notò il disegno infantile che stava colorando Paula: una casa isolata in mezzo al bosco. Alla finestra del piano superiore vi era affacciato un bambino che salutava. Si capiva che era un bimbo dal grembiulino da scolaretto che indossava e che era sproporzionata rispetto al resto del disegno. I rami spogli degli alberi attorno alla casa, sembravano collegare il cielo alla terra come lingue di fuoco spuntate dall’inferno.
- Che bel disegno - Commentò.
- L’ ha dipinto Paula…E’ una vera artista…Non è vero bambina mia?! –
Donizetti accarezzò fiero la nipote.
- Ha un titolo? – Chiese Mauro alla bambina. Paula lo fissò intensamente senza pronunciare una sola parola.
- Non ti può rispondere – Intervenne Donizetti. - Paula è muta.
Il padre di Mauro diede un colpetto sulla spalla del figlio.
- Dobbiamo andare ora.

Prima che i due uscissero dall’ufficio la bambina balzò dalle ginocchia del nonno e corse alla lavagna dove Donizetti annotava i suoi impegni. Mauro udì lo stridere del gesso e si voltò: sulla lavagna Paula aveva tracciato la riga.

Il padre di Mauro volle parlare col dottor Ghirardi da solo. Raccontò al professore quanto accaduto nelle ultime ore ed il medico sembrò abbastanza preoccupato. Mauro fu ricoverato per qualche giorno. Avrebbe dovuto sostenere nuovi esami, alcuni previsti, altri aggiunti dopo gli ultimi sviluppi. Come il ragazzo temeva, raccontare la verità era stato un vero fallimento.

Ghirardi si era raccomandato nel modo più assoluto, col personale dell’ospedale, che qualcuno fosse sempre presente nella stanza di Mauro. Il ragazzo soffriva d’incubi e crisi depressive, specialmente durante la notte non doveva restare solo. La prima notte Mauro non ebbe di che lamentarsi perché accanto a lui, per vegliare sul suo riposo, era stata scelta una giovane e carina infermiera, altro che quella che compariva nei suoi incubi.

I due chiacchierarono per ore svariando su ogni argomento. Poi, senza nemmeno rendersene conto Mauro s’addormentò. La giovane controllò l’orologio, aveva ancora poco più di un’ora alla fine del suo turno. Sul comodino accanto al letto di Mauro vi erano alcuni romanzi. Ne raccolse uno ed iniziò a leggere svogliatamente. Parlava di eredità e di avvocati, una vera noia. Lo ripose quasi subito. Mentre sceglieva un’altra lettura, udì uno strano rumore. Nella penombra della stanza non vi era nulla di strano. Gli era parso come il rumore di un gesso che scricchiolava sulla lavagna. Si alzò, udì di nuovo il rumore, fece solo un passo e notò una riga tracciata sul pavimento della stanza.
- Che scherzi idioti! – Esclamò impaurita. - Sei tu "Zack"? - Chiese, pensando che si trattasse di un suo amico, non rispose nessuno. Poi udì il rumore del vetro che andava in frantumi, si voltò di scatto e vide Mauro. Stava in piedi sul letto, gli occhi ancora chiusi, uno sguardo diabolico dipinto in viso. Le saltò addosso colpendola più volte con quello che restava di una bottiglia. Colpiva con una furia sfrenata. La poveretta cercò di difendersi fino all’ultimo, chiamò aiuto ma non ci fu niente da fare. Mauro si alzò dal corpo straziato, ricoperto dal sangue della vittima e dai graffi, che la poveretta gli aveva inferto nel tentativo disperato di difendersi. Barcollante oltrepassò la riga e poi si tagliò la gola con un colpo netto della micidiale arma improvvisata.

I due corpi furono ritrovati subito dopo. La logica conseguenza fu dolore e stupore.

Scattarono indagini varie, tra la sofferenza delle famiglie spezzate. Come sempre si cercò un colpevole, qualcuno che pagasse per quanto accaduto. Finirono sotto inchiesta l’ospedale, i medici che avevano operato Mauro dopo l’incidente, perfino il professor Ghirardi. Logicamente non se ne fece nulla. Tutti avevano svolto il loro dovere, non vi erano macchie. Ma due persone erano morte, e poteva la pazzia essere il solo ed unico vero movente?

Quella notte la luna appariva molto più grande e luminosa. Le serate iniziavano ad essere più tiepide ed il "Capo" amava passeggiare tra quei boschi silenziosi ed assaporare la tranquillità di quelle notti pacifiche. Aveva parcheggiato l’auto poco più lontano ed ora stava ripensando alle parole di Mauro. Quel ragazzo non cera più. Era morto nel modo più atroce. Che assurda crudeltà gli aveva riservato il destino. Ripensava e soppesava ogni parola che ricordava di quella storia, poteva essere solo follia? Ad un tratto si fermò e scrutò attentamente la strada, davanti a lui vi era qualcosa. Tornò alla macchina, prese una torcia elettrica per illuminare il luogo. Sull’asfalto vi era una riga tracciata col gesso. L’osservò attentamente, poi si guardò intorno, non vi era altro rumore se non quello della brezza notturna e delle foglie sugli alberi. Si chinò e vi passò sopra la mano, sembrava che fosse stata appena tracciata ed iniziò a sentirsi inquieto. Quella riga poteva avere centinaia di significati ma adesso gli rammentava soltanto le parole del ragazzo. Saltò in macchina e tornò verso il paese. Per la prima volta in tanti anni si sentiva a disagio in quei boschi, non gli era mai capitato.

Poco lontano da Vecchio Borgo vi era la baracca di "Tomas", un vecchio boscaiolo che era nato su quelle colline e di lì non si era mai mosso. Non aveva cultura, sapeva a malapena leggere e scrivere, ma tanto a cosa gli poteva servire, sosteneva lui.

Era un tipo strano, avvolte se ne usciva con frasi sconnesse e senza senso, dipendeva dai giorni o dai momenti. Conosceva però quei posti come le sue tasche, non c’era un ruscello, persino un sasso che Tomas non potesse trovare o identificare. Quella notte, mentre Donizetti rientrava verso il paese, vide che la luce della baracca era ancora accesa, così decise di andarlo a trovare. Poco prima della baracca, Tomas aveva costruito un piccolo altare dedicato alla Madonna. Decine di candele luccicavano in modo tetro dinnanzi all’altarino. In paese si mormorava che lo strano individuo passasse ore di notte, parlando con la statua. Donizetti non era tipo da badare ai pettegolezzi e non aveva in pratica mai notato quello spazio di preghiera e di raccoglimento. Quella sera però, scosso da tutti quegli strani eventi, si fermò, si tolse il cappello, ed accese una candela in memoria di Mauro.

Entrato in casa l’uomo lo accolse con gioia, in paese era nota la sua ospitalità e generosità. Tomas gli offrì da bere e lo invitò a sedersi accanto al caminetto acceso.

I due parlarono del lavoro, di pesca e del tempo particolarmente favorevole in quei giorni. Donizetti si rallegrò nel costatare che quella sera Tomas era estremamente razionale e d’ottima compagnia.
- Hai saputo dell’ennesimo incidente? – Si azzardò a chiedergli ad un certo punto.
- Quel dannato fiume sta facendo più vittime della seconda guerra mondiale – Commentò il boscaiolo.
- Già!…L’altra notte è morto uno dei ragazzi coinvolti.
- In paese non si parla d’altro. Quello è un fiume cattivo…Ti resta dentro.
- Il giorno prima di morire è venuto nel mio ufficio e mi ha raccontato una storia incredibile. Mi ha molto colpito.
- Come mai è venuto da te?
- Avrà pensato che potevo aiutarlo.
- Le persone sono strane.
- Che tu sappia…Tomas..Ci sono ville isolate nei boschi su a nord?
- No!
- Neanche vecchie case in rovina?
- Impossibile Capo, su a nord la natura è intatta.
- Ma!..Quel ragazzo mi ha parlato di una misteriosa casa che….
- Come sta la mia dolce Paula? – Chiese il vecchio cambiando discorso. Donizetti si rese conto che era un pazzo se sperava di avere delle risposte da Tomas. Si trattenne col boscaiolo per un’altra piacevole ora dopo di che si congedò. Aveva già aperto la porta e stava per uscire quando notò uno strano movimento in un angolo ombroso. Si rese conto che si trattava di un cagnolino che se ne stava acquattato con le orecchie abbassate ed il terrore scolpito negli occhi.
- Non sapevo che avessi un cane –
- Infatti non è il mio. Gli sto solo dando riparo per la notte…E protezione.
- Donizetti fece per avvicinarsi ma il cane ringhiò.
- Questo cagnolino è spaventato a morte! – Esclamò rivolto al vecchio.
- Ha paura della luna piena.
- Ma che sciocchezze!…
Donizzetti, d’istinto guardò dalla finestra rendendosi conto che il cielo si era coperto di nubi
- ….Ecco! Ora la luna non c’è più. Il cielo si è annuvolato -
- Ti sbagli Capo, si è solo nascosta e quindi non la puoi vedere….Al momento opportuno riapparirà.
Tomas scoppiò in una vibrante risata, Donizetti scosse la testa contrariato ed uscì. Se ne tornò finalmente alla macchina. Quando si allontanò, dal retrovisore vide Tomas che si avvicinava al suo altarino con un’ennesima candela nella mano.

Qualche mese dopo, a sera inoltrata, una macchina si fermò nel piazzale della villa. I fari illuminarono le cianfrusaglie varie e tutto il disordine che regnava in quel luogo.

- Sei sicura che siamo nel posto giusto? – Chiese Stefano, il ragazzo che guidava a Chicca, la sua fidanzatina che gli stava seduta accanto.
- Non hai visto il simbolo sul cartello che abbiamo appena oltrepassato? – Gli rispose la ragazza in modo sgarbato.
- Si!..Ma questa è una casa disabitata, cade a pezzi.
- Cosa ti aspettavi? Un indirizzo e un’insegna al neon? Qui si fanno aborti illegali. Questo non è un ospedale e neppure un cinema all’aperto!
La ragazza aprì decisa la portiera e fece per scendere.
- Un momento!…Io non sono più così sicuro di farlo!
- Io si!
- Voglio sapere il nome della persona che ti ha consigliato questo posto
- Ti ho già detto di no!

La ragazza sbatté la portiera con forza e si avviò verso la casa. Scese anche Stefano che si sbrigò a raggiungerla.
- Questo posto mi mette i brividi -Disse il ragazzo ora che erano più vicini alla casa.
- Se non ti piace stare qui ti rammento che potevi stare più attento prima –
- Sei tu che ti sei messa in testa questa cosa, per me il bambino si può anche tenere. Io ti voglio bene sul serio ed il bambino non cambia niente..Anzi!
La ragazza si bloccò incollerita.
- Ma sei scemo o cosa?! Ti rendi conto che ho solo ventidue anni?… Io non ho ancora deciso cosa farò da grande bello mio e metterò al modo un figlio quando sarà una mia decisione! 
- Ma almeno andiamo a farlo in un posto sicuro.
- Nessuno deve sapere di questa storia hai capito?!…Nessuno!
Una lacrima di disperazione gli rigava il viso mentre inveiva contro Stefano.
Quando furono a pochi passi dalla casa il ragazzo si bloccò.
- Non se ne parla…Torniamo a casa! – Chicca non l’ascoltò nemmeno, si diresse decisa verso la porta diroccata e la spalancò senza nemmeno bussare. Si trovò di fronte l’infermiera, alta, pallida, con quegli occhi senza vita.
- Intricati sono i labirinti che conducono all’inferno…

La porta si richiuse con violenza inghiottendo per sempre la ragazza. Tutto avvenne con una velocità spaventosa lasciando Stefano sbigottito. Reagì con qualche secondo di ritardo, si scaraventò sulla porta ma questa era bloccata. Tentò di sfondarla a spallate ma non ci riuscì. Decise di trovare un altro ingresso ma quando si voltò si ritrovò circondato. Vi era il dottore, teneva in mano un’accetta e lo fissava con un diabolico sorriso. Intorno all’infernale medico vi erano una ventina di bambini. Tutti erano immobili. Stefano sentiva le gambe cedergli dal terrore quando si udì il miracoloso rumore di una macchina che si stava avvicinando. Il giovane balzò sorprendentemente su alcuni bambini facendoli cadere, fu così libero di fuggire verso la strada. Quella macchina era la sua unica salvezza, sentiva il medico guadagnare terreno dietro di lui, era sempre più vicino. Ora era sulla strada, vedeva i fari della macchina avvicinarsi, contemporaneamente sentiva il respiro affannoso del mostro che lo rincorreva. La macchina era dietro l’ultima curva, il dottore si allungò e colpì con l’accetta ma lo mancò, sullo slancio cadde e per Stefano la salvezza fu una realtà. L’autista lo vide e frenò bruscamente.
- Cosa succede qui? - Chiese Donizetti scendendo dalla macchina per prestare soccorso al giovane.
- Per favore signore, la mia ragazza e prigioniera in quella casa, dobbiamo salvarla!
Il ragazzo si alzò sfinito e si diresse verso l’auto di Donizetti.
- Presto! - Lo supplicò. Anche Donizetti salì in macchina. Imboccarono il sentiero sterrato poco più avanti e finirono in un enorme piazzale erboso.
- Non vedo case qui! - Esclamo il Capo squadrando Stefano. Il ragazzo scoppiò in un pianto disperato.
- Ora ti porto a casa mia figliuolo, hai bisogno di calmarti e di bere qualcosa di caldo.
Ma il motore della macchina si spense. Donizetti vide la portiera posteriore aprirsi e Paula sgattaiolare all’interno della vettura, si sedette comodamente dietro di loro. Donizetti era stupefatto.
- Paula tesoro, cosa ci fai qui? – Chiese non credendo ai propri occhi.
- Io ci sono sempre stata, nonno.
La bambina aveva parlato. Gli occhi di Donizetti si spalancarono dal terrore. Sollevando la piccola manina gli mostrò il gesso.
- Non dovevi aiutarlo…Lui è dannato!

I vetri della macchina esplosero ed entrarono decine di minuscole braccia. Un grido disperato spezzò il silenzio di quella notte. Poco dopo ritornò la pace.

All’alba del giorno seguente scoppiò un terribile incendio nella sede della Guardia Forestale. Il "Capo" fu trovato nel suo ufficio. Probabilmente si era addormentato durante la notte e non si era reso conto di niente. Fu un terribile lutto per tutto il paese. La sua nipotina Paula seguiva il corteo funebre in braccio alla madre con gli occhi gonfi dal pianto. Spezzava il cuore di tutti vedere una bimba così piccina soffrire in quel modo per la perdita del nonno. Un’ennesima tragica sciagura che colpiva lo sventurato paesino. I due fidanzatini furono dati per dispersi e cercati lontanissimo da quelle zone. Non si seppe più nulla di loro.

Una sera, tornando dal lavoro, Tomas arrivò al piazzale della villa contemporaneamente all’auto di un giovane che si era smarrito. Il ragazzo scese dalla macchina e gli si rivolse preoccupato.
- Signore mi scusi…Mi sono perduto. E’ abitata quella casa, mi serve un telefono, dovrei…..
- Vai via subito di qui figliuolo….Questa è la casa dei bambini! –

Il ragazzo non chiese altro, si guardò intorno, poi fissò lo sguardo impaurito del vecchio. Saltò in macchina e sfrecciò via come il vento, non tornò mai più lì.

Tomas sputò per terra, si fece un paio di volte il segno della croce, dopo di che s’incamminò verso casa.

Epilogo

 

Circa un anno dopo, la piccola Paula scomparve misteriosamente. Le indagini in quella zona si quadruplicarono. Troppe morti misteriose. Troppi corpi scomparsi. In tre anni gli inquirenti raccolsero tutto il materiale da cui è tratto questo breve racconto. La casa dei bambini non fu mai trovata. Nessuno riuscì a sopravvivere ai suoi orrori…Tranne Tomas.

 

 

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Paolo ACCORSI
Coautore del ciclo di racconti BILLY BON con Fabrizio TESINI

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