LA CASA DEI BAMBINI |
Il sole filtrava dalle fessure come un
folletto dispettoso. La sera precedente, Riccardo ed i suoi amici,
erano entrati in discoteca a mezza notte per uscirne all’alba. Gli capitava spesso, dopo un’inutile notte come quella appena trascorsa, di sentirsi così; un po’ malinconico. Il rimedio giusto, era lasciarsi tutto quanto alle spalle, saltare in macchina, e provare qualche strada nuova. Lo splendido pomeriggio soleggiato avrebbe contribuito a rimettergli a posto il morale. Guidò fino a raggiungere una località dai colli dolci e dai boschi ancora ben estesi ed ombrosi. Quella era una zona che non aveva mai visto, tutto sembrava così luminoso e sereno, non ci mise molto a recuperare il buon umore. Solo verso il tardo pomeriggio si rese conto d’aver perduto l’orientamento, stranamente non vi erano segnalazioni da quelle parti e le stradine che stava percorrendo sembravano tutte uguali. Continuando a guidare ammirando fiumi e colline, Riccardo si rese conto che non incrociava nessuno da diverso tempo, non una macchina, una persona, niente. Da quelle parti non vi erano case, cascinali, tutto ciò era molto strano. Si fermò in un piccolo piazzale per telefonare a casa ma il cellulare non aveva campo, era isolato. Sorrise di quella singolare situazione, risalì in macchina e decise di proseguire, avrebbe incontrato qualcuno prima o poi. Davanti a lui si apriva un labirinto di piccole stradine tutte uguali, alberi secolari le costeggiavano formando umide e lunghe gallerie naturali sulla sua testa. Il limpido tramonto si mise a colorare di rosso quei boschi e si trovò ad incrociare alcuni luoghi strani: un minuscolo cimitero senza alcuna recinzione, in cui, i pochi monumenti funebri, apparivano come persone straziate dal dolore, chinate al cospetto dei loro cari ormai defunti. Una fontana dalla quale l’acqua fuoriusciva dalle mani congiunte di un Santo. Il volto della statua era sfigurato, qualcuno gli aveva cavato gli occhi e pasticciato il volto con svastiche e scritte oscene. Continuava a non incontrare nessuno. Lungo un breve rettilineo sorprese un gruppo di cani randagi mentre si contendevano una preda. Alla vista dell’auto si dispersero lasciando sulla strada brandelli di carne sanguinante. Che animale poteva essere? Ora Riccardo iniziava ad essere teso, non riusciva ad uscire da quel posto. Dopo un breve tratto di strada, finalmente intravide tra gli alberi il tetto di una casa. Poco più avanti incrociò una stradina sterrata che sembrava portare in quella direzione, vi ci si buttò aggrappandosi ad essa come ad una boa in mezzo al mare. Arrivò alla casa quando ormai nel cielo iniziava ad indebolirsi la luce del giorno. Fermò la macchina in un piazzale ricoperto di rami e foglie trasportate dal vento. Altre cianfrusaglie varie, sparse ovunque, lo rendevano simile una discarica abusiva. Scese dalla macchina e riprovò a telefonare, il cellulare era ancora isolato. Allora si guardò intorno e fu invaso dallo sconforto, quel posto era evidentemente abbandonato da anni. Ma dove diavolo era finito? Aveva guidato per ore senza incontrare nessuno, era possibile? - C’è nessuno? – Urlò. Poi vide un bambino;
stava immobile ad una finestra e l’osservava. Si sentì sollevato. Poco lontano dalla macchina vide un vecchio dondolo malandato ondeggiare come se qualcuno l’avesse spinto fino a quel momento, Riccardo gli si avvicinò confuso. Sulla stoffa inzuppata d’umidità trovò una piccola bambola di pezza con le braccia strappate. La raccolse, l’osservò, poi si guardò di nuovo intorno posandola. Sentì qualcuno camminare nel bosco poco più avanti, si voltò e sorprese un altro bambino correre al riparo dietro alcuni cespugli. Guardò di nuovo la finestra ma il bimbo era scomparso. - Venite fuori, vi ho sentito! – Ordinò Riccardo
ma udì i bambini correre verso l’interno del bosco. S’incamminò
deciso verso la casa. Aveva bisogno di avvertire assolutamente i suoi
genitori che avrebbe tardato, in quel posto doveva pur esserci un
adulto. Quando fu a pochi metri dalla porta d’ingresso, uscì un
uomo che indossava un camice bianco da medico, gli si avvicinò con
aria severa. Arrivati davanti al dondolo, l’uomo raccolse la
bambola, se la mise nella tasca del camice, dopo di che si dedicò
finalmente a lui. Al ragazzo non piaceva lo sguardo di quel tipo e tanto meno quel posto. Si rendeva conto che quelle indicazioni non potevano essere esatte, aveva impiegato tutto il pomeriggio per arrivare fin lì dalla statale, come poteva in così pochi chilometri tornare indietro. Mettersi a discutere con quello strano personaggio era in ogni modo l’ultima cosa che voleva. Ringraziò e sfrecciò via più veloce di un fulmine. Seguì le indicazioni con scetticismo ma incredibilmente si dimostrarono esatte e così si ritrovò sulla statale, in salvo. Quella sera mangiò in fretta per poi salire in camera sua ad esaminare alcune cartine stradali della zona. Essendo un vero appassionato del volante era ben attrezzato in proposito. Non riuscì però a ricostruire la strada percorsa. Gli sembrava d’avere un vuoto di memoria in merito. Ora che le osservava con calma, quelle stradine in evidenza sulla cartina stradale, gli apparivano così ordinate e la zona in cui si era perso davvero limitata. Non riusciva a togliersi dalla testa quella strana casa. Sembrava un posto deserto e invece era pieno di bambini, cosa ci facevano lì? Poi era apparso quel tale, gli metteva ancora adesso i brividi. Ricordava perfettamente gli occhi inespressivi di quell’uomo, la sua voce gelida ed il volto cadaverico, era tutto così strano….. - Sapete cosa vi dico? - Esordì Mauro dopo un
breve momento di silenzio. Erano passati giorni da quanto
accaduto a Riccardo quel pomeriggio, ora se ne stava con due suoi
amici al bar, era sabato sera e si stavano annoiando a morte, l’aria
era densa di fumo e sul video gli U 2 suonavano "Elevation".
Da giorni pensava di raccontare la sua avventura a Mauro e Luca, in
pratica i migliori amici che aveva, ma ogni volta ci ripensava, temeva
di fare la figura dell’idiota. Quella sera però, complice forse la
noia, trovò il coraggio di raccontare. Usciti dalla statale furono proiettati in quel
labirinto di stradine identiche ed alberi giganteschi che assumevano,
complice la notte, le forme più strane. I fari della macchina
illuminavano quella moltitudine di boschi, cespugli, fossati,
crocicchi e ponticelli. Dopo quasi un’ora e mezza di strada, della
misteriosa casa non vi era ancora traccia, Mauro e Luca iniziavano a
stancarsi. Ma purtroppo per i tre, della casa nemmeno l’ombra. Niente cimitero senza recinzione, niente statua del Santo. Riccardo si giustificò ricordandosi di aver visto la casa con difficoltà in pieno giorno, figuriamoci di notte. Per il cimitero e la strana fontana del Santo, le cose erano diverse, era impossibile non averli già incrociati, quella zona era minuscola ma in realtà, una volta che ci si era inoltrati sembrava non aver fine. Si fermarono su di un ponticello erboso, scesero e si sgranchirono le gambe, passeggiando, si misero a discutere dei loro piccoli problemi giornalieri. Osservarono la luna e le stelle lontane, respirarono l’aria frizzante della notte ed il buon umore tornò. Tutto sommato non era stata una brutta idea quella serata alternativa passata in mezzo ai boschi. Prima di risalire in macchina controllarono i cellulari, non avevano campo, evidentemente, quella era una zona sfortunata per telefonare. Ripartiti, ora dovevano affrontare il problema del ritorno. Ancora una volta avevano perduto l’orientamento. Lentamente il buon umore si placò ed iniziò a serpeggiare il nervosismo e la stanchezza. Tutti volevano dire la sua riguardo alla strada da seguire, ma ogni tentativo risultava vano. Un velo di paura calò su di loro quando, inaspettatamente, incrociarono la lugubre fontana. Di notte, illuminata dai fari dell’auto, non era un bello spettacolo da vedersi. Riccardo era soddisfatto di poter finalmente dimostrare agli amici che almeno parte della sua storia era vera. I tre scesero dalla macchina, sia Mauro che Luca poterono vedere gli occhi del Santo staccati con violenti colpi di scalpello, le scritte e le svastiche. Tutt’intorno l’erba alta ed incolta era calpestata come se molte persone se ne fossero appena andate. I tre non avevano troppa voglia di restare, saltarono in macchina e si allontanarono velocemente da quel posto. Al sicuro nell’auto, si rilassarono e risero dell’avventura ma, ad un tratto qualcosa li colpì sul fianco destro della macchina. Accadde in curva. Una curva a gomito che aveva costretto Riccardo a rallentare. Si fermarono ma ci misero del tempo prima di decidersi a scendere per controllare. Scese prima Luca, che stava seduto dietro. Non si vedeva un accidente. - Nel cruscotto tengo una torcia elettrica. Poi udirono il rumore di una macchina sfrecciare
poco distante da loro, ne udirono un’altra e poco dopo un’altra
ancora. Erano vicinissimi alla statale e nemmeno se n’erano accorti.
Saltarono in macchina, felici come tre miracolati accarezzati da
angeli celesti ed al primo incrocio svoltarono trovandosi così in
salvo, sulla strada a loro conosciuta. Nessuno parlò più della casa. La discussione riguardo l’animale investito era sicuramente più interessante. Riccardo accompagnò a casa i due amici e poi mise la macchina nel box. Una volta sceso, inzuppò immediatamente una spugna d’acqua e si apprestò a pulire la parte colpita. Osservandola bene però, rabbrividì. Ora non vi erano più dubbi, quello era sangue.
Rimase immobile, con la spugna gocciolante in mano. Cosa doveva fare
ora? Adesso che la parte colpita era illuminata dalla luce del box,
Riccardo sembrò intravedere nel suo interno la sagoma di una mano.
Gli sembrava evidente l’impronta del pollice, quella delle altre
dita, una cosa orribile. Era l’impronta di una mano ferita e quello
era sangue non fango. Come poteva essergli sfuggita una cosa così
palese. Iniziò finalmente a ripulire in modo svogliato. Non poteva
fare altro. Non voleva invischiarsi ulteriormente in faccende poco
chiare. Ripulito tutto quanto si avviò verso la porticina sul retro
che collegava il box con la sua abitazione. Poco prima della porta
notò una scatola di gessetti da disegno rovesciata sul pavimento. I
gessetti erano sparsi ovunque. Era evidente che suo fratello "
Tobi", così chiamava scherzosamente il fratellino, si era
rimesso a giocare nel box contravvenendo ai suoi ordini. La rabbia che
lo assalì lo aiutò a dimenticare l’inquietudine di poco prima. Si
ripromise che ne avrebbe parlato ai genitori. Non voleva che "Tobi"
andasse a giocare nel box in sua assenza perché temeva che potesse
farsi del male. Davanti alla porta il fratello aveva tracciato una
riga coi gessetti. Riccardo la oltrepassò scuotendo nervosamente la
testa. Era troppo stanco per rimettersi a pulire, l’avrebbe
sistemata il giorno seguente. Se ne andò a letto ma non chiuse
occhio, anzi, piombò in uno strano stato di dormiveglia. Figure
indefinite prendevano forma nella stanza, sentiva come un nodo alla
gola e faticava a respirare, il sudore gli ricopriva il corpo. Un’infermiera
stava seduta accanto a lui e gli rinfrescava la fronte con un panno
gelido come ghiaccio. Alzò una siringa, ma quando stava per infilare l’ago
nel suo braccio ecco spuntare dal nulla l’uomo della villa. Non
riusciva a distinguerlo chiaramente, era come se ne vedesse soltanto
il volto diabolico. Riccardo voleva rispondergli ma sentiva la bocca
bloccata, paralizzata. Nella stanza aleggiava una filastrocca, leggera, quasi impercettibile, cantata da bambini, era rilassante. L’uomo chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quella melodia infantile. Divenne sempre più nebuloso, sempre più vago, sembrò allontanarsi per perdersi in un cielo grigio e senza tempo. Agli occhi di Riccardo tutto divenne più scuro e rimase solo quel canto cadenzato. Sentì finalmente i muscoli rilassarsi, il sangue riprese a circolare regolarmente, era molto più calmo ora. Un bimbo si avvicinò al letto. Teneva in mano un
paio di forbici. Gli sorrise dolcemente prima di infilarsele con
violenza nel polso ed iniziare a roteare la punta nella ferita. Portò
poi il braccio sopra la bocca di Riccardo. Riccardo urlò con quanto fiato aveva in corpo e si
svegliò. Era l’alba, si ritrovò ansimante come se avesse corso per
ore. Che incubo orribile, così reale. Quell’avvertimento, quell’orribile
personaggio, l’infermiera. Si ricordava tutto perfettamente. Non
aveva mai avuto incubi di quel genere. Giurò a se stesso che mai e
poi mai sarebbe tornato da quelle parti, per niente al mondo. Nel tardo pomeriggio vide Mauro, l’amico era
ancora eccitato per quanto capitato la sera prima. Propose addirittura
di andare a vedere il luogo dello scontro per cercare, alla luce del
giorno, l’eventuale animale investito. Riccardo non ne voleva
sapere, ma rivelò a Mauro la faccenda della mano e del sangue. Ma il tarlo della curiosità era stato ben seminato nel cuore di Riccardo. Ogni sera, dopo il lavoro, era impossibile per lui evitare di aprire una cartina stradale e ripercorrere mentalmente quel tragico tragitto. Troppe cose non quadravano, troppe domande erano rimaste senza risposta. Non ebbe più incubi ed i giorni che scorrevano lenti e monotoni, riportarono la normalità cancellando ogni paura. Quella domenica, Riccardo aveva studiato ogni dettaglio nei minimi particolari, aveva messo in macchina le cartine giuste. Aveva sottolineato le strade secondo lui percorse e quelle da evitare, era impossibile perdersi di nuovo. Luca non ne volle sapere ma Mauro accettò di seguirlo e così, passato quasi un mese, tornarono in quei misteriosi luoghi per la terza volta, alla ricerca della fantomatica villa. Lasciarono per l’ennesima volta la statale e s’infilarono
in quel dedalo di stradine in una giornata limpida, dal cielo tanto
azzurro da sembrare un oceano capovolto. Riccardo guidava e Mauro
segnava sulla cartina il percorso che stavano seguendo, confrontandolo
con quello evidenziato in precedenza. Tutto bene per la prima mezzora,
dopo di che, ad un ennesimo incrocio, ecco spuntare una strada che non
era indicata in nessuna cartina. Decisero di proseguire ma da quel punto non ci
capirono più nulla. Dopo pochi chilometri, Mauro si rese conto che
effettivamente stava capitando qualcosa di strano. Propose all’amico
di ritornare subito prima che finissero di nuovo nei guai. Invece accadde esattamente quanto capitato le volte
precedenti. I cellulari non avevano campo, le stradine si ripetevano
tutte uguali e stava calando la sera. Mauro se ne stava taciturno con
le braccia incrociate, da tempo aveva ripiegato le inutili cartine
preparate da Riccardo. La notte scese lenta ed inesorabile, scura come
la morte. Il serbatoio calava a vista d’occhio e non incrociavano
nessuno, la tensione era altissima. I due amici vivevano quei
pazzeschi avvenimenti senza dire una sola parola. I fari dell’auto
illuminarono, poco più avanti, una ragazza che stava attraversando
goffamente. Quando si accorse della macchina fece debolmente cenno di
fermarsi. Si fermarono a soccorrerla. Indossava una camicia da notte
fatta a brandelli. Era ricoperta da lividi e graffi su tutto il corpo,
sporca ed esausta. Tremava, ed il viso era una maschera di sangue e
fango. La fecero stendere sui sedili posteriori della macchina. Riccardo aveva una paura tremenda, faticò persino
a riaccendere la macchina, gli tremavano le braccia, accanto a lui
Mauro se ne stava immobile con lo sguardo fisso d’innanzi a lui.
Filò via guidando come un pazzo che cercava di fuggire da un incubo.
La ragazza alle loro spalle era in preda al delirio, sudava e ripeteva
sussurrando: I suoi compagni avevano bisogno urgente di cure e di un medico. Illuminò la zona con la debole torcia in cerca di un riparo qualsiasi per la notte, lì avrebbe lasciato i due feriti e lui si sarebbe incamminato in cerca d’aiuto. non vi era altro da fare. Incredibilmente la ragazza si riprese e ricominciò
a sussurrare le sue frasi deliranti: Mauro si ritrovò disteso sull’asfalto consumato di una delle tante stradine tutte uguali. Nel cielo vi era poca luce ma non riusciva a distinguere se fosse l’alba oppure il tramonto. La testa gli faceva malissimo, cercò di alzarsi e quando riuscì a mettersi seduto, vide l’infermiera poco più avanti, che gli tendeva la mano gocciolante di sangue. Davanti a lei un bambino stava tracciando con un gesso una riga sulla strada. - Oltrepassa la riga…Raggiungici…Noi ti
possiamo salvare – Gli stava dicendo dolcemente. La testa gli
scoppiava dal male. Mauro si sentiva sfinito. Non capiva il significato
di quelle parole. Aveva bisogno di cure, di medicinali. Iniziò a
trascinarsi verso la riga. Poco lontano da quei boschi sperduti scorreva il Tolomone, un grosso fiume che in quel periodo primaverile si caricava di una notevole massa d’acqua. Per la polizia, dopo il ritrovamento della macchina sfasciata, la dinamica dell’incidente era stata la seguente: la macchina di Riccardo, affrontata ad altissima velocità una curva pericolosa, aveva sfondato le protezioni ed era finita nel Tolomone gonfio per le piogge primaverili. Fu ritrovata molto più a valle, trascinata dalla furia della corrente. Mauro era stato trovato da un agente della guardia forestale, miracolosamente ancora vivo, su di una spiaggietta poco lontana dal luogo dell’incidente. Era stato operato d’urgenza alla testa e dichiarato fuori pericolo solo diversi giorni dopo. Il corpo di Riccardo non fu più ritrovato, le ricerche su vasta scala erano ancora in corso. Il Tolomone da quelle parti era considerato un fiume "cattivo", perché, complice la sbadataggine e soprattutto la velocità, ogni anno vi precipitava qualche auto e vi era sempre qualcuno che da lì non usciva più. Circa sei mesi prima ad esempio, la stessa sorte degli sventurati amici era capitata ad una copia di sposini. Quando Mauro seppe la verità sull’accaduto, e della morte di Riccardo, desiderò essere morto anche lui. Gli sembrava impossibile che non l’avrebbe mai più rivisto. S’immaginò il dolore dei genitori, dei fratelli, di tutti gli amici. Una cosa terribile. Poi gli raccontarono finalmente del Tolomone, vi
erano in corso diverse indagini e appena venne considerato pronto fu
raccolta la sua testimonianza. Mauro era confuso, non riusciva a
distinguere i sogni dalla realtà. Quanto di quello che si ricordava
era accaduto veramente e quanto invece era frutto della sua
immaginazione? Gli fu spiegata tutta la dinamica dell’incidente
così com’era stata ricostruita dalla polizia, ma niente di quello
che dicevano sembrava concordare con ciò che si ricordava. Nel luogo
dell’incidente non aveva visto fiumi. Non erano usciti di strada in
quella zona. Poi non sapevano della ragazza, della casa sperduta,
delle stranezze capitate a Riccardo. Cosa doveva fare adesso?
Raccontare ogni cosa e rischiare di fare la figura del pazzo?
Confermò invece tutto quanto gli era stato detto dichiarandosi ancora
stordito ed insicuro, nessuno trovò niente da obiettare e così lo
lasciarono in pace. Alcuni giorni dopo fu dimesso, finalmente guarito.
Una delle prime cose che fece, tornato a casa, fu andare a trovare l’amico
perduto. Trovandosi davanti quella gelida, triste lapide, non poté
fare a meno di sentirsi un vigliacco. Nessuno al di fuori di lui
sapeva la verità. Il corpo di Riccardo non era stato trovato e per
quanto ne sapeva lui poteva anche essere ancora vivo, nascosto oppure
prigioniero da qualche parte in quei boschi. Con chi poteva
confidarsi, dove poteva andare per liberarsi di quel peso, e poi era
accaduto davvero tutto ciò che si ricordava, oppure era stato un
incubo, come quello dell’infermiera che gli chiedeva di attraversare
la riga sulla strada. Luca era stato uno dei pochi amici che non era
andato a trovarlo in ospedale. Qualche giorno dopo andò a casa sua.
Si rese subito conto che non era molto contento di vederlo. Forse
perché s’immaginava che Mauro avrebbe inevitabilmente parlato di
Riccardo e di tutto ciò che era accaduto negli ultimi tempi. Infatti,
tra un bicchiere d’aranciata e cioccolatini vari, Mauro iniziò a
raccontare la sua versione. Luca lo azzittì quasi subito. Mauro provò un profondo odio verso l’amico, lo
spinse via e se ne andò. Non poteva più tenersi per se quella
storia. Aveva visto coi suoi occhi quella povera ragazza sanguinante.
In quel luogo c’era qualcosa che non andava e l’avrebbe raccontato
a qualcuno che poteva e doveva fare qualcosa. Quella sera capitò l’incredibile.
Restò alzato come al solito fino a notte fonda passando da un canale
televisivo all’altro, quando capitò su di un canale regionale in
cui parlavano del Tolomone e degli incidenti di cui il fiume era stato
silenzioso testimone. Fu fatto il suo nome e quello del povero
Riccardo. Una giornalista stava intervistando il capo della
"Guardia Forestale" dislocata in quella zona, che aveva la
sua sede a Vecchio Borgo, una minuscola frazione sorta negli ultimi
anni sulle rive del fiume. L’uomo si chiamava Donizetti e rispondeva
con tranquillità e precisione alle domande della giovane giornalista.
Era evidente che aveva seguito quegli avvenimenti con grande
scrupolosità. Mauro iniziò a pensare che quell’uomo dall’aria
severa ed autoritaria potesse fare al caso suo. Poi furono mostrate le
foto dei due sposini coinvolti nell’incidente precedente. Mauro
rabbrividì sulla poltrona. Riconobbe immediatamente la ragazza. Non
vi erano dubbi, era lei la fanciulla delirante che avevano soccorso
quella notte. Nel servizio la davano per dispersa proprio come
Riccardo. Il giovane marito si era spezzato la colonna vertebrale, ora
era ricoverato in un centro di riabilitazione ma aveva perduto la
volontà di vivere. Proprio in quel momento udì un rumore stridulo,
come quello del gesso che scricchiola sulla lavagna. Un bambino stava
tra lui e la porta ed aveva tracciato di nuovo la riga. Al posto della madre vi era l’infermiera con la siringa alzata, stava per colpire quando Mauro gli si scaraventò contro buttandola a terra, sentì nitido il contatto del corpo, non era un fantasma, era presente fisicamente, fece per aprire la porta ma questa era sbarrata. L’infermiera si rialzò, quegli occhi bianchi, senza vita, erano terribili, le mani cadaveriche, affusolate, il corpo asciutto e gelido come la morte. - Non possiamo lasciarti andare…Lo capisci vero?
– Mauro riprese ad urlare come un pazzo, diede un nuovo strattone all’infermiera e si gettò dalla finestra infrangendo i vetri, rotolando sul tetto del porticato e finendo nel prato sottostante. Fu soccorso dai genitori e da alcuni vicini attirati dal rumore. Non si era fatto nemmeno un graffio ma tutti erano tremendamente preoccupati. Suo padre telefonò immediatamente al professor Ghirardi, il medico che seguiva la sua riabilitazione dopo l’intervento. Fissò un appuntamento prima possibile ma Mauro aveva ben altre intenzioni. Convinse suo padre ad accompagnarlo a Vecchio Borgo. Doveva parlare assolutamente con Donizetti, non gli importava l’opinione che si sarebbe fatto la guardia nei suoi confronti. Doveva liberarsi la coscienza e Donizetti era la persona giusta. Vecchio Borgo, oltre ad essersi sviluppato sulle rive del misterioso Tolomone, aveva anche lo spiacevole privilegio di essere il paese più vicino agli oscuri boschi dove si celava la famelica casa descritta da Riccardo. Mauro e suo padre vi arrivarono di primo
pomeriggio. Non avevano molto tempo perché il ragazzo aveva l’appuntamento
col medico che incombeva. Trovarono con facilità la sede della
Guardia Forestale. Donizetti era nel suo ufficio e li ricevette con
molta cordialità e disponibilità. Riconobbe subito Mauro e si
preoccupò immediatamente di chiedere come andava la sua
riabilitazione. Mauro rispose che procedeva tutto benissimo ma suo
padre non era dello stesso parere. Terminati i convenevoli, il ragazzo
raccontò la sua storia a Donizetti che seguiva molto concentrato. Ad
un tratto la porta dell’ufficio si spalancò ed entrò una bambina.
Teneva tra le mani una piccola bambola di pezza dalle braccia
staccate. Con lo sguardo fulminò Mauro che smise di parlare, dopo di
che si arrampicò sulle ginocchia della guardia. - Osserva di nuovo il suo viso, sei certo che fosse
lei? Mauro e suo padre si alzarono dalle scomode
poltrone e salutarono Donizetti. Il ragazzo notò il disegno infantile
che stava colorando Paula: una casa isolata in mezzo al bosco. Alla
finestra del piano superiore vi era affacciato un bambino che
salutava. Si capiva che era un bimbo dal grembiulino da scolaretto che
indossava e che era sproporzionata rispetto al resto del disegno. I
rami spogli degli alberi attorno alla casa, sembravano collegare il
cielo alla terra come lingue di fuoco spuntate dall’inferno. Prima che i due uscissero dall’ufficio la bambina balzò dalle ginocchia del nonno e corse alla lavagna dove Donizetti annotava i suoi impegni. Mauro udì lo stridere del gesso e si voltò: sulla lavagna Paula aveva tracciato la riga. Il padre di Mauro volle parlare col dottor Ghirardi da solo. Raccontò al professore quanto accaduto nelle ultime ore ed il medico sembrò abbastanza preoccupato. Mauro fu ricoverato per qualche giorno. Avrebbe dovuto sostenere nuovi esami, alcuni previsti, altri aggiunti dopo gli ultimi sviluppi. Come il ragazzo temeva, raccontare la verità era stato un vero fallimento. Ghirardi si era raccomandato nel modo più assoluto, col personale dell’ospedale, che qualcuno fosse sempre presente nella stanza di Mauro. Il ragazzo soffriva d’incubi e crisi depressive, specialmente durante la notte non doveva restare solo. La prima notte Mauro non ebbe di che lamentarsi perché accanto a lui, per vegliare sul suo riposo, era stata scelta una giovane e carina infermiera, altro che quella che compariva nei suoi incubi. I due chiacchierarono per ore svariando su ogni
argomento. Poi, senza nemmeno rendersene conto Mauro s’addormentò.
La giovane controllò l’orologio, aveva ancora poco più di un’ora
alla fine del suo turno. Sul comodino accanto al letto di Mauro vi
erano alcuni romanzi. Ne raccolse uno ed iniziò a leggere
svogliatamente. Parlava di eredità e di avvocati, una vera noia. Lo
ripose quasi subito. Mentre sceglieva un’altra lettura, udì uno
strano rumore. Nella penombra della stanza non vi era nulla di strano.
Gli era parso come il rumore di un gesso che scricchiolava sulla
lavagna. Si alzò, udì di nuovo il rumore, fece solo un passo e notò
una riga tracciata sul pavimento della stanza. I due corpi furono ritrovati subito dopo. La logica conseguenza fu dolore e stupore. Scattarono indagini varie, tra la sofferenza delle famiglie spezzate. Come sempre si cercò un colpevole, qualcuno che pagasse per quanto accaduto. Finirono sotto inchiesta l’ospedale, i medici che avevano operato Mauro dopo l’incidente, perfino il professor Ghirardi. Logicamente non se ne fece nulla. Tutti avevano svolto il loro dovere, non vi erano macchie. Ma due persone erano morte, e poteva la pazzia essere il solo ed unico vero movente? Quella notte la luna appariva molto più grande e luminosa. Le serate iniziavano ad essere più tiepide ed il "Capo" amava passeggiare tra quei boschi silenziosi ed assaporare la tranquillità di quelle notti pacifiche. Aveva parcheggiato l’auto poco più lontano ed ora stava ripensando alle parole di Mauro. Quel ragazzo non cera più. Era morto nel modo più atroce. Che assurda crudeltà gli aveva riservato il destino. Ripensava e soppesava ogni parola che ricordava di quella storia, poteva essere solo follia? Ad un tratto si fermò e scrutò attentamente la strada, davanti a lui vi era qualcosa. Tornò alla macchina, prese una torcia elettrica per illuminare il luogo. Sull’asfalto vi era una riga tracciata col gesso. L’osservò attentamente, poi si guardò intorno, non vi era altro rumore se non quello della brezza notturna e delle foglie sugli alberi. Si chinò e vi passò sopra la mano, sembrava che fosse stata appena tracciata ed iniziò a sentirsi inquieto. Quella riga poteva avere centinaia di significati ma adesso gli rammentava soltanto le parole del ragazzo. Saltò in macchina e tornò verso il paese. Per la prima volta in tanti anni si sentiva a disagio in quei boschi, non gli era mai capitato. Poco lontano da Vecchio Borgo vi era la baracca di "Tomas", un vecchio boscaiolo che era nato su quelle colline e di lì non si era mai mosso. Non aveva cultura, sapeva a malapena leggere e scrivere, ma tanto a cosa gli poteva servire, sosteneva lui. Era un tipo strano, avvolte se ne usciva con frasi sconnesse e senza senso, dipendeva dai giorni o dai momenti. Conosceva però quei posti come le sue tasche, non c’era un ruscello, persino un sasso che Tomas non potesse trovare o identificare. Quella notte, mentre Donizetti rientrava verso il paese, vide che la luce della baracca era ancora accesa, così decise di andarlo a trovare. Poco prima della baracca, Tomas aveva costruito un piccolo altare dedicato alla Madonna. Decine di candele luccicavano in modo tetro dinnanzi all’altarino. In paese si mormorava che lo strano individuo passasse ore di notte, parlando con la statua. Donizetti non era tipo da badare ai pettegolezzi e non aveva in pratica mai notato quello spazio di preghiera e di raccoglimento. Quella sera però, scosso da tutti quegli strani eventi, si fermò, si tolse il cappello, ed accese una candela in memoria di Mauro. Entrato in casa l’uomo lo accolse con gioia, in paese era nota la sua ospitalità e generosità. Tomas gli offrì da bere e lo invitò a sedersi accanto al caminetto acceso. I due parlarono del lavoro, di pesca e del tempo
particolarmente favorevole in quei giorni. Donizetti si rallegrò nel
costatare che quella sera Tomas era estremamente razionale e d’ottima
compagnia. Qualche mese dopo, a sera inoltrata, una macchina si fermò nel piazzale della villa. I fari illuminarono le cianfrusaglie varie e tutto il disordine che regnava in quel luogo. - Sei sicura che siamo nel posto giusto? – Chiese
Stefano, il ragazzo che guidava a Chicca, la sua fidanzatina che gli
stava seduta accanto. La ragazza sbatté la portiera con forza e si
avviò verso la casa. Scese anche Stefano che si sbrigò a
raggiungerla. La porta si richiuse con violenza inghiottendo per
sempre la ragazza. Tutto avvenne con una velocità spaventosa
lasciando Stefano sbigottito. Reagì con qualche secondo di ritardo,
si scaraventò sulla porta ma questa era bloccata. Tentò di sfondarla
a spallate ma non ci riuscì. Decise di trovare un altro ingresso ma
quando si voltò si ritrovò circondato. Vi era il dottore, teneva in
mano un’accetta e lo fissava con un diabolico sorriso. Intorno all’infernale
medico vi erano una ventina di bambini. Tutti erano immobili. Stefano
sentiva le gambe cedergli dal terrore quando si udì il miracoloso
rumore di una macchina che si stava avvicinando. Il giovane balzò
sorprendentemente su alcuni bambini facendoli cadere, fu così libero
di fuggire verso la strada. Quella macchina era la sua unica salvezza,
sentiva il medico guadagnare terreno dietro di lui, era sempre più
vicino. Ora era sulla strada, vedeva i fari della macchina
avvicinarsi, contemporaneamente sentiva il respiro affannoso del
mostro che lo rincorreva. La macchina era dietro l’ultima curva, il
dottore si allungò e colpì con l’accetta ma lo mancò, sullo
slancio cadde e per Stefano la salvezza fu una realtà. L’autista lo
vide e frenò bruscamente. I vetri della macchina esplosero ed entrarono decine di minuscole braccia. Un grido disperato spezzò il silenzio di quella notte. Poco dopo ritornò la pace. All’alba del giorno seguente scoppiò un terribile incendio nella sede della Guardia Forestale. Il "Capo" fu trovato nel suo ufficio. Probabilmente si era addormentato durante la notte e non si era reso conto di niente. Fu un terribile lutto per tutto il paese. La sua nipotina Paula seguiva il corteo funebre in braccio alla madre con gli occhi gonfi dal pianto. Spezzava il cuore di tutti vedere una bimba così piccina soffrire in quel modo per la perdita del nonno. Un’ennesima tragica sciagura che colpiva lo sventurato paesino. I due fidanzatini furono dati per dispersi e cercati lontanissimo da quelle zone. Non si seppe più nulla di loro. Una sera, tornando dal lavoro, Tomas arrivò al
piazzale della villa contemporaneamente all’auto di un giovane che
si era smarrito. Il ragazzo scese dalla macchina e gli si rivolse
preoccupato. Il ragazzo non chiese altro, si guardò intorno, poi fissò lo sguardo impaurito del vecchio. Saltò in macchina e sfrecciò via come il vento, non tornò mai più lì. Tomas sputò per terra, si fece un paio di volte il segno della croce, dopo di che s’incamminò verso casa. Epilogo
Circa un anno dopo, la piccola Paula scomparve misteriosamente. Le indagini in quella zona si quadruplicarono. Troppe morti misteriose. Troppi corpi scomparsi. In tre anni gli inquirenti raccolsero tutto il materiale da cui è tratto questo breve racconto. La casa dei bambini non fu mai trovata. Nessuno riuscì a sopravvivere ai suoi orrori…Tranne Tomas. |
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Paolo
ACCORSI Coautore del ciclo di racconti BILLY BON con Fabrizio TESINI satok@tiscali.it |