OMBRE |
Lorenzo De Marco |
Ombre. Le vedo apparire dal nulla, appena accennate alla base di vecchi edifici, di grigie inferriate, di scatole vuote gettate per strada; negli angoli antichi e incollate alle ruote di file di auto infinite, infinite; rotolare per strada, sospinte da un vento che sperde i rumori, insieme a barattoli vuoti di latta rigando di un giallo serpente di birra rimasta, l'asfalto. Le vedo spuntare macchiando le foglie, i lastroni di marmo a orgogliosi portoni, alle spalle ed al fianco di oscuri signori, di grigi impiegati; di bimbi mocciosi e piangenti e di quelli con neri grembiuli e ben pettinati; le vedo, persino, al di sotto di piccoli insetti, di fogli di carta, in ogni fessura leggere, sottili le vedo strisciare pian piano, passando le ore, per strada, per casa; le vedo di fuori, di dentro ingrandire, macchiare di scuro e di freddo le cose. Mi perdo a pensare e la luce scompare e nel sangue del rosso tramonto di un giorno, di una guerra perduta, di un fulgido sogno, si lascian coprire la terra ed il cielo, lo stesso pensiero, di nero. Ombre. Le vedo danzare nel vento che muove i lampioni appesi ad un filo per strada, le sento agitare le ali e gridare sottili lamenti sospesi nel cuore, nel petto e nel fiato che appanna di bianco il tenue spessore del vetro. Di danze e di canti ne è piena la notte: l'antico non viene sepolto ma torna a destare le vecchie paure le streghe e i fantasmi. Esistono ancora. Gli spiriti aleggiano intorno e di dentro, respirano piano vicino al tuo collo e li senti, le senti le ombre salire e coprire, strisciare e nel freddo respiro del vuoto le ascolti parlare, gridare, cercare di vincere infine la vita, e di darti alla loro padrona: la morte. Fantastico gioco di folli paure. Mi perdo di nuovo. Neanche per sempre. Ombre. Ombre. Ombre. |
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Lorenzo De
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