Tratto da "Un francescano tra
gli arabi - Padre Maurizio da Lucca" di
F. Battistini "IL DIALOGO" - febbraio-marzo 1991
"Nell'ultimo numero dell'Archivio Storico Italiano, la più antica rivista di
storia del nostro Paese, è apparsa, a cura di Mario Lenci, storico
viareggino, una breve biografia di Padre Maurizio da Lucca, un missionario
francescano della seconda metà del '600.
Questo
frate, il cui nome era
VANNI FRANCESCO, nacque a
Brandeglio il 28 ottobre 1642, da una famiglia di modeste condizioni
sociali: il padre Giovanni era probabilmente un uomo d'armi con una numerosa
famiglia da mantenere. Il futuro missionario era infatti il più giovane dei
sei fratelli.
Sui motivi dell'ingresso di Francesco tra i Padri francescani riformati (uno
degli ordini che si rifanno alla regola del Santo di Assisi) non c'è bisogno
di interrogarsi molto. All'epoca infatti le vocazioni religiose erano
all'ordine del giorno, dato il particolare clima culturale.
Nel paese
di Brandeglio esisteva poi una favorevole tradizione in questo senso, dato
che tra i nati tra il 1630 e il 1660 ben 10 entrarono in diverse
congregazioni religiose, fra cui
Padre Antonio
nato a Brandeglio nel 1652, teologo ed autore della "Vita di San Cerbone" e
Padre Francesco
da Brandeglio (nipote di padre Maurizio) nato nel 1653, entrato a Roma nei
Padri Riformati vi percorse una folgorante carriera fino alla carica di
Procuratore Generale delle Riforme Francescane.
Sembra che il desiderio di diventare missionario tra gli Arabi sia venuto al
giovane lucchese sentendo i racconti degli uomini della sua valle, la Val di
Lima, molti dei quali avevano prestato servizio come soldati per sfuggire
alla povertà. Non era infrequente ascoltare questi ex-mercenari che
ricordavano le loro esperienze contro i Turchi e i pirati barbareschi del
Nordafrica, e che descrivevano l'infelice condizione dei cristiani tenuti
schiavi in quelle regioni.
Fu proprio il desiderio di assistere spiritualmente e materialmente gli
schiavi cristiani che spinse il giovane Francesco a entrare nel 1662 tra i
Padri Riformati e a trasferirsi dopo alcuni anni nel collegio di San Pietro
in Montorio a Roma per studiarvi l'arabo.
L'organizzazione missionaria dei Francescani era in quell' epoca infatti già
efficientissima, con una rete di scuole in cui i futuri missionari venivano
preparati ad operare in specifiche aree geografiche e culturali.
Il corso di studi a Roma durò circa un anno, e subito dopo al frate lucchese
fu assegnata la prima destinazione. Con grande delusione di Padre Maurizio,
però, il primo luogo di missione non fu l'Africa settentrionale ma le valli
del Piemonte in cui dimoravano i Valdesi, una congregazione protestante di
indirizzo calvinista. Il soggiorno del nostro nelle Alpi durò circa cinque
anni e terminò per l'interessamento di un influente protettore e conterraneo
di Padre Maurizio, ovvero padre Marco da Lucca, insegnante di lingua araba
al collegio di San Pietro in Montorio.
Tornato a Roma, il frate di Brandeglio, ormai trentaseienne, chiese
ufficialmente di essere inviato in Egitto, non venendo però accontentato dai
suoi superiori. Durante l'insoddisfacente permanenza in Piemonte il lato
peggiore del carattere di Padre Maurizio, ovvero un certo spirito ribelle,
non aveva tardato a manifestarsi. L'eccessivo zelo missionario e il forte
desiderio di recarsi nelle zone per le quali si era preparato lo avevano
reso insofferente alla gerarchia e lo avevano portato più volte a litigare
con i confratelli.
Fu anche per punizione quindi che la nuova destinazione assegnatagli fu
Costantinopoli, seguita da Smirne e da Nicosia, nell'Isola di Cipro.
Nel 1685 Maurizio riuscì nuovamente a tornare in Italia, e soggiornò per sei
anni in un convento presso Roma, convinto di non riuscire più ad andare tra
gli Arabi.
Nel 1691, invece, la missione francescana di Tripoli fu decimata dalla
peste, e fu necessario inviare dei rincalzi da Roma. Data la sua età (era
ormai quasi cinquantenne) e la sua preparazione, la direzione della missione
fu affidata proprio a Padre Maurizio.
E'
interessante notare il fatto che in un periodo come quello, in cui il
concetto di tolleranza religiosa ancora non esisteva, fosse consentito a dei
religiosi cristiani di operare in un paese musulmano. La presenza dei frati
non era infatti ritenuta pericolosa dalle autorità tripoline e serviva anche
a mantenere buoni rapporti con i rappresentanti locali delle grandi potenze
(ossia Francia e Inghilterra).
Naturalmente ai frati non era permesso operare conversioni tra i musulmani
(i quali, abbandonando l'Islam, venivano immediatamente condannati a morte),
ma soltanto assistere l'esigua comunità cattolica locale. Un altro compito
interessante era quello di tenere i contatti tra gli schiavi europei di
Tripoli e le loro famiglie, in modo che queste potessero pagare il riscatto
e farli tornare in patria.
Nei sette anni di permanenza a Tripoli il frate lucchese divenne un profondo
conoscitore della realtà locale, da lui descritta in una lunga Relatione.
Nel 1698 ci fu il definitivo rientro a Roma, dove per alcuni anni Padre
Maurizio si occupò della raccolta di elemosine per riscattare gli schiavi
del Nordafrica. Un altro progetto del nostro fu quello di inviare una
spedizione missionaria nella valle del Niger, al di là del Sahara, cosa che
fu realizzata solo alcuni anni dopo.
La carriera di padre Maurizio si concluse con la nomina nel 1706 a
Procuratore Generale delle missioni dei Padri Riformati, che mantenne fino
alla morte avvenuta nel 1708. Con quest'ultima importante carica Padre
Maurizio iscrisse definitivamente il suo nome nella plurisecolare storia
delle missioni francescane." |