LA STRUTTURA ATOMICA - PARTE III

  

14. L'ATOMO DI BOHR

    Applicando, come già si è detto, le leggi dell'elettromagnetismo al modello planetario di Rutherford, l'elettrone, movendosi di moto non rettilineo ed uniforme, avrebbe dovuto irradiare energia e, seguendo un percorso a spirale, cadere sul nucleo. L'atomo quindi, in teoria, non solo avrebbe dovuto essere instabile, ma anche emettere radiazioni di tutte le lunghezze d'onda (quindi formare uno spettro continuo), corrispondenti a tutte le posizioni occupate dall'elettrone nella sua traiettoria a spirale verso il nucleo.

    L'atomo invece, nella realtà, è stabile ed emette solo alcune radiazioni di determinate lunghezze d'onda, come si può osservare dallo spettro di emissione a righe. Il modello di Rutherford era quindi in contrasto sia con le leggi della fisica note a quel tempo (quelle che in seguito verranno chiamate "classiche"), sia con i dati sperimentali.

    Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr si prefisse l'obiettivo di modificare il modello atomico di Rutherford per eliminarne l'aspetto contraddittorio. Egli inizialmente accettò per buona l'idea del nucleo centrale con gli elettroni esterni, proposto da Rutherford, anche perché quel modello era il risultato di un fatto sperimentale inconfutabile. Poi però vi apportò delle modifiche sostanziali avvalendosi della teoria dei quanti di Planck.

    Bohr affrontò il problema nella sua forma più elementare: la costruzione del modello dell'atomo dell'idrogeno. Scelse l'idrogeno sia perché si trattava dell'atomo più semplice di tutti (un nucleo centrale con carica positiva con un unico elettrone che gli gira intorno), sia perché lo spettro di quell'elemento si presentava anch'esso in forma molto semplice, con pochissime righe ben distanziate fra loro.

    Bohr ragionò nel modo seguente: se la materia assorbe ed emette energia in modo discontinuo significa che l'atomo, che è il suo costituente fondamentale, può esistere solo in determinate configurazioni ciascuna con un proprio contenuto energetico. Quando l'atomo passa da una configurazione con un certo contenuto energetico ad un'altra con contenuto energetico diverso, esso assorbe o emette energia sotto forma di fotoni e per tale motivo lo spettro appare con una linea scura o con una linea colorata in corrispondenza di quel determinato valore dell'energia. Lo spettro dell'idrogeno pertanto, non è altro che la rappresentazione visiva del passaggio da atomi con un certo contenuto energetico ad altri con diverso contenuto energetico.

    Bohr riuscì a dimostrare matematicamente che per ottenere configurazioni dell'atomo di idrogeno a contenuto energetico diverso bisognava ipotizzare che il momento angolare dell'elettrone che gira intorno al nucleo, fosse quantizzato. Più precisamente, egli suppose che la quantità di moto (m×v) dell'elettrone in rotazione intorno al nucleo, moltiplicata per la lunghezza dell'orbita (2r) dovesse essere un multiplo intero del quanto di azione (h) di Planck. Ossia: 

m×v×2×p×r = n×h     con n = 1, 2, 3, ...

     Raggruppando le costanti, l'equazione diventa: 

                h
m
×v×r = n × ¾¾¾
                2
p

     Il prodotto mvr (massa dell'elettrone per la sua velocità e per il raggio dell'orbita circolare da esso percorsa) rappresenta il momento angolare dell'elettrone. Esso è quantizzato in quanto non può assumere valori qualsiasi, ma solo valori che sono multipli interi di h/2p; cioè ad esempio il valore h/2p stesso, oppure il valore 2(h/2p), oppure 3(h/2p), e così via. Il numero intero n venne chiamato da Bohr “numero quantico dell'elettrone”.

    La conseguenza dell'ipotesi avanzata da Bohr era che l'elettrone dell'atomo di idrogeno poteva muoversi solo su orbite preferenziali, dette orbite stazionarie, e che movendosi su tali orbite non emetteva energia. Questa limitazione corrispondeva, in un certo senso, a considerare l'elettrone come qualche cosa di speciale e comunque qualche cosa di diverso da un corpo carico di elettricità che, girando su un'orbita circolare, è tenuto a rispettare le leggi dell'elettromagnetismo.

    L'elettrone emetteva energia solo quando passava spontaneamente da un'orbita più esterna verso una più interna. Viceversa l'elettrone poteva passare da un'orbita più interna (a minore contenuto energetico) ad una più esterna solo se assorbiva dall'ambiente l'energia necessaria.

    La quantizzazione del momento angolare permise di determinare, in funzione di n, i raggi delle orbite permesse, nonché i valori dell'energia posseduta dall'elettrone in movimento su dette orbite. L'elettrone poteva quindi venirsi a trovare solo a determinate distanze dal nucleo (fra l'altro mai al di sotto di una distanza minima rappresentata da quella che viene chiamata “orbita fondamentale”), e poteva inoltre assumere solo determinati valori dell'energia, il cui minimo era, per l'appunto, quello relativo all'orbita fondamentale.

    Senza entrare nei dettagli della teoria, ed evitando i calcoli che comunque esulerebbero dalla nostra trattazione, possiamo farci un'idea del modello atomico di Bohr ricorrendo ad un esempio macroscopico. Consideriamo allora un piano inclinato perfettamente liscio, con a fianco un altro simile, ma a gradini. Immaginiamo ora di far rotolare sul piano inclinato liscio una pallina. Essa, nel suo moto, potrà assumere tutte le posizioni possibili lungo il piano e quindi anche tutti i valori possibili di energia potenziale. Se invece facessimo rotolare la pallina lungo il piano a scale, questa non potrebbe fermarsi in tutte le possibili quote rispetto al livello di riferimento (livello 0), ma solo in corrispondenza dei vari scalini; anche l'energia potenziale che la pallina potrà assumere lungo la strada avrà solo determinati valori e precisamente quelli corrispondenti all'altezza dei diversi scalini.

    Il raggio della prima orbita percorsa dall'elettrone dell'atomo d'idrogeno, quella corrispondente al  valore n=1, calcolata utilizzando i postulati imposti da Bohr, è pari a: 

r = 0,53×10-10 m = 0,53 Å

 mentre la corrispondente energia risulta: 

E  = - 5,21·10-19 cal

     L'elettrone con n=1 percorre quindi l'orbita che si trova più vicina al nucleo (orbita fondamentale) e possiede il valore minimo di energia (il valore più negativo). Sostituendo ad n i successivi valori interi (2, 3, 4, ecc.), si ottengono i raggi e le energie dei livelli più esterni.

    Il valore riportato sopra (ma con segno cambiato) rappresenta l'energia necessaria per allontanare l'elettrone dalla prima orbita e portarlo a distanza infinita (praticamente fuori dall'influenza del nucleo). L'atomo, privato di uno o più elettroni, come già sappiamo, è un sistema con carica positiva che prende il nome di ione; l'energia spesa per l'allontanamento degli elettroni viene detta energia di ionizzazione.

    Se moltiplichiamo per il numero di Avogadro (6,022·1023) il valore dell'energia necessaria per allontanare l'elettrone dalla prima orbita dell'atomo di idrogeno e portarlo all'infinito, otteniamo il valore dell'energia necessaria per allontanare tutti gli elettroni di una mole di atomi di idrogeno (cioè per allontanare una mole di elettroni), dalla prima orbita all'infinito. Tale valore risulta di 313,6 Kcal. Pertanto possiamo dire che l'energia corrispondente alla prima orbita dell'atomo di idrogeno è -313,6 Kcal/mol.

    I valori dell'energia relativi alle orbite più esterne percorse dall'elettrone, possono essere calcolati con la seguente formula: 

                                                                         1
                                                                            E  = - ¾¾ × 313,6 Kcal/mol
                                                                                        n²

     L'energia della seconda orbita (n=2) vale quindi 1/4 di quella della prima, quella della terza (n=3), vale 1/9 della prima, e così via. I valori dell'energia relativa ad alcuni livelli dell'atomo di idrogeno crescono all'aumentare del numero quantico n, cioè a mano a mano che gli elettroni occupano orbite più lontane dal nucleo. Il valore massimo (cioè il valore zero) si ha quando la distanza dal nucleo è infinita.

    I valori dell'energia relativi alle orbite più esterne percorse dall'elettrone, possono essere calcolati con la seguente formula: 

                                                                         1
                                                                            E  = - ¾¾ × 313,6 Kcal/mol
                                                                                        n²

     L'energia della seconda orbita (n=2) vale quindi 1/4 di quella della prima, quella della terza (n=3), vale 1/9 della prima, e così via. I valori dell'energia relativa ad alcuni livelli dell'atomo di idrogeno crescono all'aumentare del numero quantico n, cioè a mano a mano che gli elettroni occupano orbite più lontane dal nucleo. Il valore massimo (cioè il valore zero) si ha quando la distanza dal nucleo è infinita.

    Il modello atomico di Bohr permette di dare un'interpretazione chiara e convincente dello spettro a righe dell'idrogeno. Possiamo infatti immaginare che quando all'idrogeno viene fornita energia, ad esempio all'interno di un tubo di scarica, gli elettroni, dal livello fondamentale, passino ai livelli energetici più esterni; dalle orbite più elevate gli elettroni ritornano quindi immediatamente (e spontaneamente) a quelle più basse.

    Nella caduta spontanea degli elettroni vengono emessi fotoni. L'energia posseduta da questi fotoni corrisponde alla differenza energetica degli stati stazionari tra i quali è avvenuta la transizione. Quando gli elettroni, dalle orbite più elevate, ritornano a quella fondamentale (la più bassa di tutte), si ha emissione di fotoni molto energetici, corrispondenti alle righe dell'ultravioletto (serie di Lyman). Quando gli elettroni ricadono, dalle orbite periferiche, sulla seconda orbita stazionaria, si ha emissione di fotoni la cui energia corrisponde alle righe dello spettro visibile (serie di Balmer). Un discorso analogo vale per gli spostamenti sulla terza, sulla quarta orbita, e così via. Gli spettri che si ottengono in questi casi sono spettri di emissione.

    Gli spettri di assorbimento si ottengono invece quando gli atomi di idrogeno vengono illuminati con luce di tutte le lunghezze d'onda. Tutti i fotoni in questo caso passano indisturbati, tranne alcuni. Non passano quei fotoni che, possedendo una quantità di energia esattamente uguale a quella necessaria per far saltare l'elettrone su un'orbita più esterna, vengono utilizzati per questa operazione. Questi fotoni scompaiono quindi dalla scena e pertanto avremo uno spettro continuo di luce di tutti i colori, solcato da alcune linee scure.

 

15. L'ATOMO DI SOMMERFELD

     Con l'aiuto di spettroscopi molto perfezionati, si era potuto osservare che molte delle righe dello spettro dell'idrogeno erano in realtà costituite da un certo numero di altre righe molto vicine fra loro, corrispondenti a piccolissime variazioni dell'energia. Il modello di Bohr non era in grado di giustificare questa struttura fine dello spettro dell'idrogeno.

    D'altra parte, anche il fatto di prendere in considerazione, per il moto dell'elettrone, solo orbite circolari, veniva considerata una limitazione artificiosa. L'orbita circolare di un corpo che si muove intorno ad un altro è infatti un caso particolare delle più generali orbite ellittiche (si pensi ad esempio ai pianeti che girano intorno al Sole). L'elettrone quindi, girando intorno al nucleo, avrebbe dovuto percorrere, oltre all'orbita circolare, un'infinità di altre orbite ellittiche.

    Nel 1916, il fisico tedesco Arnold Sommerfeld, tentò di dare un significato alla struttura fine dell'idrogeno introducendo anche le traiettorie ellittiche per il moto degli elettroni. Innanzitutto egli ipotizzò che, poiché i fatti sperimentali mostravano che le righe della struttura fine erano in numero limitato, anche il numero delle orbite possibili sarebbe dovuto essere limitato: l'obiettivo di limitare questo numero poteva essere raggiunto applicando le stesse condizioni di quantizzazione introdotte da Bohr.

    Sommerfeld dimostrò che per ciascun valore del numero quantico n doveva esistere un numero determinato di orbite ellittiche (oltre a quella circolare), di eccentricità variabile (cioè più o meno schiacciate), ma aventi tutte l'asse maggiore uguale al diametro della circonferenza presente in quel determinato livello energetico.

   Per descrivere il momento angolare dell'elettrone che viaggia su orbite ellittiche, Sommerfeld introdusse un nuovo numero quantico, , detto numero quantico azimutale. Il numero quantico n, di conseguenza, veniva a perdere la sua funzione originaria di individuare esso stesso il momento angolare dell'elettrone; ad n, nel modello ad orbite ellittiche, venne quindi riservato il compito di determinare semplicemente l'energia di uno stato stazionario, ed assunse la denominazione di numero quantico principale.

    Si potrebbe dimostrare che, anche ammettendo la presenza di una serie di orbite ellittiche per ogni stato stazionario, la struttura fine dello spettro dell'idrogeno, non troverebbe comunque spiegazione. Queste orbite infatti, pur di eccentricità diversa, presentano tutte la stessa energia perché posseggono tutte la stessa lunghezza dell'asse maggiore. Pertanto non si potrà avere emissione o assorbimento di energia nel passaggio dell'elettrone dall'una all'altra di esse.

    Sommerfeld pensò allora che la soluzione del problema risiedesse nell'alta velocità posseduta dagli elettroni. Ai corpi che si muovono a grandissima velocità diventa infatti indispensabile, per descriverne correttamente il movimento, applicare le leggi della relatività. Queste leggi prevedono che quando un corpo viaggia a velocità elevatissima la sua massa debba variare in modo significativo.

    Se un elettrone si muove a notevole velocità su un'orbita circolare, esso conserva, lungo tutto il percorso, la stessa velocità e quindi anche la stessa massa; se l'elettrone però si muove, sempre a velocità elevatissima, lungo un'orbita ellittica molto eccentrica, nel tempo in cui percorre il tratto più vicino al nucleo (perielio) viaggia più velocemente e, per effetto di questa accelerazione, aumenta di massa. (Naturalmente, quando si trova a viaggiare in prossimità del punto più lontano, decelera e quindi perde massa.)

    Se ora noi ammettiamo che per un certo valore del numero quantico principale n possano esistere, oltre all'orbita circolare, anche alcune orbite ellittiche più o meno eccentriche, l'elettrone che le percorre, cambiando massa lungo il percorso, dovrà cambiare anche contenuto energetico. Pertanto gli elettroni che percorrono l'una o l'altra orbita avranno energia diversa (ma non di molto), e il passaggio da un'orbita all'altra comporterà l'apparire di una serie di righe, anche se molto vicine fra loro, e non di una sola. In questo modo veniva spiegato il fatto che una riga dello spettro era in realtà composta da un insieme di altre righe.

    La teoria di Sommerfeld prevedeva che, al crescere di n, aumentasse il numero delle orbite ellittiche possibili e quindi aumentasse anche il numero delle suddivisioni delle righe spettrali. Si dimostra che può assumere tutti i valori interi positivi compresi fra 0 ed n-1. Questo numero oggi viene anche detto numero quantico secondario e determina, come abbiamo spiegato sopra, la forma dell'orbita.

    Frattanto, un nuovo fatto sperimentale metteva in evidenza un'ulteriore possibilità di alterazione energetica in seno alle varie orbite. Si era osservato infatti che sottoponendo alcuni elementi all'azione di un campo magnetico, si verificava lo sdoppiamento di alcune righe spettrali. Il fenomeno è detto, dal nome del suo scopritore, “effetto Zeeman”.

    Per comprendere il meccanismo di questo fenomeno, dobbiamo considerare che l'elettrone, oltre ad una massa, possiede anche una carica elettrica. Ora, secondo le leggi dell'elettromagnetismo, una carica elettrica che percorre un circuito chiuso, genera un campo magnetico, come qualsiasi corrente elettrica che percorre una spira. Si viene così a creare, all'interno dell'atomo, per effetto del moto dell'elettrone, un minuscolo magnete, il quale, tuttavia, non produce alcun effetto, così come un ago magnetico, da solo, non subisce alcuna forza.

    Quando però si applica un campo magnetico all'esterno, questo interagisce con il "magnetino" (elettrone in rotazione) presente nell'atomo costringendolo a sistemarsi secondo determinate posizioni, così come un ago calamitato subisce uno spostamento per l'azione di una calamita.

    Si rese quindi necessario imporre, anche in questo caso, delle limitazioni alle posizioni che l'orbita percorsa dall'elettrone poteva assumere nello spazio. Si introdusse infatti un terzo numero quantico, detto numero quantico magnetico e simboleggiato con la lettera m. Il numero m può assumere tutti i valori interi compresi fra - e +, incluso lo zero. Pertanto, quando vale zero, m può assumere solo il valore zero; quando vale 1, i possibili valori di m sono -1, 0, +1: sul secondo livello energetico esistono quindi tre orbite ellittiche possibili con la stessa energia, ma orientate diversamente nello spazio. Quando vale 2 i possibili valori di m sono 5, rispondenti a cinque posizioni diverse nello spazio delle cinque orbite ellittiche con la stessa energia; e quando vale 3 i possibili valori di m sono 7.

    Oltre all'effetto Zeeman, che come abbiamo visto si è potuto giustificare con la quantizzazione spaziale, rimaneva ancora da spiegare il fatto che nella struttura fine di alcuni metalli si osservava un numero di righe ancora superiore a quello previsto dalla teoria delle orbite ellittiche di Sommerfeld. Si trattava di una particolare "struttura a doppietti" che si riscontrava per esempio nel sodio, nel magnesio e nel mercurio.

    Nel 1926 due fisici statunitensi di origine olandese, George Eugene Uhlenbeck e Samuel Abraham Goudsmit seppero dare una spiegazione teorica anche alle nuove righe spettrali. Essi immaginarono che l'elettrone, oltre che girare intorno al nucleo, potesse girare anche su sé stesso come fosse una trottola. In questo modo l'elettrone, dotato di carica, creerebbe un suo proprio campo magnetico del tutto distinto da quello che lo stesso produce girando intorno al nucleo.

    Anche in questo caso fu necessario quantizzare la rotazione attraverso l'introduzione di un quarto numero quantico, s (o ms), detto numero quantico (magnetico) di spin ("to spin", in inglese, significa girare). Poiché possiamo immaginare l'elettrone girare su sé stesso, o in senso orario, o in senso antiorario, i valori che s può assumere sono solo due: +½ e -½.

  

16. IL PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI

     Il modello originario di Bohr, come abbiamo visto, si adattava bene solo all'atomo dell'idrogeno. Successivamente, però, prima Sommerfeld e poi Goudsmit e Uhlenbeck vi apportarono una serie di perfezionamenti e di aggiustamenti che avrebbero consentito di adattarlo anche ad atomi più complessi. Questo modello, tuttavia, non soddisfaceva per nulla i fisici perché appariva come uno strano ibrido costruito per metà utilizzando le leggi della fisica classica e per metà le strane regole di quantizzazione di Planck. Potremmo definire il modello atomico di Bohr e Sommerfeld un modello semiclassico e semiquantistico.

    La cosa sorprendente tuttavia era che il nuovo modello atomico, nonostante tutte le imperfezioni e le contraddizioni che conteneva, riusciva tuttavia a dare giustificazione coerente dei fatti sperimentali. Si era infatti riusciti a stabilire che ogni orbita o, per meglio dire, ogni elettrone, poteva essere individuato da una quaterna di numeri quantici che definivano la forma dell'orbita su cui lo stesso girava, e la sua energia.

    Riportiamo, per maggior chiarezza, le relazioni che legano fra loro i quattro numeri quantici.

    Il numero quantico principale, n, identifica le dimensioni dell'orbita percorsa dall'elettrone, cioè in pratica indica la distanza a cui si trova l'elettrone dal nucleo. I valori di n possono variare teoricamente da n=1 a n=∞, tuttavia solo i primi sette valori descrivono orbite effettivamente presenti negli atomi degli elementi noti.

    E' da notare che le orbite, essendo individuate solo dal valore del raggio che le contraddistingue, sono in realtà delle superfici di una sfera. Queste superfici vengono quindi a rappresentare livelli energetici (o strati) percorsi dall'elettrone. Tutti gli elettroni di un dato strato hanno la stessa energia e all'aumentare di n aumenta l'energia dello strato. Gli strati, oltre che con i numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, possono essere indicati anche con le lettere maiuscole K, L, M, N, O, P e Q. 

    Il numero quantico secondario, , individua l'eccentricità dell'orbita, ossia la sua forma. Per ogni valore di n, possono esistere n orbite distinte di cui una circolare e n-1 ellittiche. Quando gli elettroni percorrono le orbite di forma diversa presenti sullo stesso livello possiedono energie leggermente diverse. Ciò si esprime affermando che ogni livello possiede più sottolivelli. I valori di possono essere tutti quelli compresi fra 0 e n-1.

    Per n=1, può assumere un unico valore: zero; ciò vuol dire che nel primo livello energetico esiste un'unica orbita (ovviamente circolare) e quindi un unico sottolivello (livello e sottolivello pertanto coincidono). Per n=2, può assumere i valori 0 e 1; il secondo livello energetico è diviso quindi in due sottolivelli che differiscono leggermente per l'energia. Per n=3, può assumere i valori 0, 1 e 2, corrispondenti a tre orbite percorribili dall'elettrone, cioè a tre sottolivelli. E così di seguito per gli altri livelli.

    Per specificare il valore di , invece che i numeri, normalmente si usa un codice letterale: quindi, invece che =0 si preferisce dire sottolivello s; invece che =1, sottolivello p; invece che =2, sottolivello d; invece che =3, sottolivello f. Le lettere derivano dallo studio spettroscopico dove erano impiegate per indicare diverse serie di righe spettrali: s=sharp (netta), p=principal (principale), d=diffuse (diffusa), f=fundamental (fondamentale). Pertanto, per designare ad esempio il sottolivello caratterizzato dai numeri quantici n=2 e =1, si usa, preferibilmente, l'espressione "sottolivello 2p". Per indicare il sottolivello con n=4 e =0, si usa l'espressione "sottolivello 4s", e così via.

    Il numero quantico magnetico, m, definisce l'orientazione dell'orbita nello spazio, e può assumere, per un dato valore di , tutti i valori interi da - e +, zero compreso. Quindi, per ogni valore di , m può assumere un totale di 2 + 1 valori.

    Per =0, m può avere soltanto il valore zero; quindi, su un sottolivello di tipo s, vi è un'unica orbita a disposizione degli elettroni. Per =1, il numero quantico magnetico può assumere i valori +1, 0 e -1, e quindi, per ogni sottolivello di tipo p, gli elettroni hanno a disposizione 3 orbite, tutte con la stessa forma, ma orientate nello spazio in modo diverso. In assenza di un campo magnetico esterno queste tre orbite sono identiche dal punto di vista energetico, ma, in presenza di un campo magnetico, cambiano in funzione del valore che assume m. Per =2, m assume 5 valori e quindi esistono 5 orbite sul sottolivello di tipo d. Per =3, m assume 7 valori, corrispondenti a sette orbite sul sottolivello di tipo f.

    Il numero quantico magnetico di spin, s, è collegato al senso della rotazione dell'elettrone su sé stesso e può assumere solo i valori +½ o -½. Se due elettroni hanno lo stesso valore di s si dice che hanno spin paralleli, se hanno valori di segno opposto, si dice che hanno spin antiparalleli, o opposti.

    Come abbiamo già detto, Sommerfeld, in collaborazione con altri, inserendo un maggior numero di orbite e di livelli energetici su cui far muovere gli elettroni, era riuscito ad ampliare il modello originario di Bohr. I fisici non erano in grado, tuttavia, di adattare questo modello ad atomi con molti elettroni, perché non riuscivano a capire quale dovesse essere la distribuzione degli elettroni sulle diverse orbite disponibili.

    Con la presenza di più elettroni intorno al nucleo non poteva infatti essere trascurata la loro interazione. Se, ad esempio, gli elettroni di un atomo non interagissero reciprocamente, e risentissero solo dell'attrazione del nucleo, essi sarebbero tutti equivalenti e tutti si andrebbero a sistemare spontaneamente sul livello a minor contenuto energetico, cioè su quello più vicino al nucleo.

    L'idea di sistemare tutti gli elettroni di un atomo sull'orbita a più basso contenuto energetico fu però immediatamente scartata anche perché contraria ai fatti sperimentali. Lo studio degli spettri atomici mostrava infatti chiaramente che gli elettroni, nello stato fondamentale (cioè a minimo contenuto di energia), erano distribuiti su vari livelli energetici.

    La soluzione del problema, semplice ed elegante, alla fine fu trovata dal fisico austriaco Wolfgang Pauli nel 1925. Egli partì dalla considerazione che due elettroni, per poter stare vicini, dovevano avere spin opposti: gli elettroni che girano su sé stessi, si comportano infatti come magneti, e l'esperienza insegna che due magneti, orientati nello stesso senso, si respingono, mentre, se sono orientati in senso opposto, si attraggono. Allo stesso modo, due elettroni con lo stesso spin producono campi magnetici di segno uguale e si respingono, mentre se hanno spin opposti il campo magnetico dell'uno annulla quello dell'altro e si attraggono. Ora, poiché per gli elettroni stare vicini vuol dire occupare la stessa orbita, Pauli concluse che su una stessa orbita non potevano stare più di due elettroni (con spin opposto). Questa limitazione è espressa dal cosiddetto "principio di esclusione" che può essere enunciato nel modo seguente: "In un medesimo atomo non possono esistere due elettroni con identici valori di tutti e quattro i numeri quantici".

    Per comprendere il significato di questo principio proviamo ad immaginare due elettroni con i primi tre numeri quantici uguali: per esempio, n=1, =0 e m=0. In questo caso i nostri due elettroni si troveranno entrambi sul primo livello energetico e sull'unica orbita (circolare) presente in quel livello. Ora, affinché i due elettroni possano stazionare su quell'orbita essi dovranno necessariamente avere spin opposti (+½ l'uno e -½ l'altro), ecco allora dimostrato che questi due elettroni dovranno avere almeno uno dei quattro numeri quantici diverso. Si potrebbero fare altri esempi che dimostrano che due elettroni non possono avere tutti i quattro i numeri quantici uguali perché, se così fosse, rappresenterebbero lo stesso elettrone.

    Il principio di esclusione di Pauli consente anche di stabilire quanti elettroni possono stare, al massimo, su ciascun livello energetico. Il numero massimo di elettroni per livello si ricava semplicemente dalla espressione 2n². Pertanto, il primo livello energetico, n=1, potrà contenere al massimo due soli elettroni (2·1²); il secondo livello, n=2, potrà contenere al massimo 2∙2²= 8 elettroni, il terzo livello energetico conterrà, al massimo 2·3²=18 elettroni, e così di seguito per gli altri.

    Anche se oggi il modello di atomo è concettualmente diverso da quello che abbiamo descritto, quest'ultimo può essere lo stesso utilizzato efficacemente per rappresentare la configurazione elettronica dei vari tipi di atomi esistenti in natura. Lo stato di un elettrone, cioè la sua posizione all'interno di un atomo, nel modello di Bohr e Sommerfeld, come nel più moderno modello che descriveremo in seguito, rimane in ogni caso determinato da quattro numeri quantici: n, , m, s.

 

17. LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ATOMI

   Le proprietà chimiche degli elementi sono determinate dal numero degli elettroni presenti nei rispettivi atomi. Tale numero, detto numero atomico ed indicato con la lettera Z, viene riportato a volte al piede del simbolo dell'elemento. Di tale numero si è già fatto cenno, parlando degli isotopi, in modo generico, come valore caratterizzante la specie chimica. Ora sappiamo che le proprietà chimiche (e anche molte proprietà fisiche) degli elementi sono determinate da una progressione regolare del numero degli elettroni dei loro atomi, da 1 a 112, quanti sono i 112 elementi (naturali e artificiali) attualmente noti.

   Il modo in cui sono disposti gli elettroni intorno al nucleo viene detto "struttura elettronica" dell'atomo. La distribuzione degli elettroni nei singoli atomi segue un criterio preciso che noi esporremo nel corso della costruzione grafica degli atomi più semplici esistenti in natura.

   La scrittura sintetica, usata convenzionalmente, è la seguente:

a) l'orbita vuota è rappresentata da un quadratino    
 
b) un quadratino con una freccia all'interno, rivolta verso il basso o verso l'alto, a seconda dello spin, indica un'orbita percorsa da un elettrone  
$
c) un quadratino con due frecce contrapposte indica un'orbita con due elettroni  
E

    Inoltre, con una scrittura, ad esempio, del tipo 2 s1 si indica che 1 elettrone (indice di s) si trova sul secondo livello energetico (coefficiente di s), su un'orbita circolare, cioè con =0.

   1. Cominciamo allora col rappresentare la struttura elettronica dell'atomo più semplice di tutti, quello dell'idrogeno. Essa viene indicata con la seguente simbologia:

1H       1 s 1     
$

   Con tale scrittura sintetica si vuol significare che l'atomo di idrogeno possiede un solo elettrone (l'indice posto al piede del simbolo rappresenta il numero atomico Z). Tale elettrone trova sistemazione nel livello energetico più basso: n=1, o strato K. Inoltre, poiché in questo caso n è uguale a 1, dovrà essere necessariamente =0 e m=0; pertanto l'elettrone viaggerà su un'orbita circolare (di tipo s) e lo spin assumerà uno dei due valori possibili, ad esempio -½.

   2. L'atomo dell'elio possiede due elettroni. Entrambi questi elettroni trovano sistemazione sul primo livello energetico dove esiste un'unica orbita disponibile. I due elettroni percorreranno quindi la stessa orbita, con spin antiparallelo. Le quaterne dei numeri quantici che individuano i due elettroni saranno quindi le seguenti: n=1, =0, m=0 e s=-½, per il primo elettrone e, n=1, =0, m=0 e s=+½ per il secondo. Come si può osservare i due elettroni hanno solo tre numeri quantici uguali, il quarto è diverso nel rispetto del principio di esclusione. La scrittura sintetica è la seguente:  

2He      1 s 2      
E

   3. L'atomo che possiede tre elettroni (Z=3) è l'atomo del litio. Due di questi elettroni troveranno sistemazione sull'unica orbita disponibile del primo livello energetico dove ruoteranno con spin opposto, mentre il terzo, sarà costretto a sistemarsi sul livello superiore (strato L). Quest'ultimo elettrone sarà allora caratterizzato dalla seguente quaterna di numeri quantici: n=2, =0, m=0 e s=-½. In sintesi:  

             2 s 1
$
3Li         1 s 2    
E

   4. Il berillio ha numero atomico 4 e possiede pertanto un elettrone in più del litio. Questo quarto elettrone girerà sulla stessa orbita circolare (strato L) in cui già si trova a girare il terzo. I due elettroni avranno spin opposto. In sintesi:  

              2 s 2      
E
4Be         1 s 2   
E

   5. Il boro (Z=5) possiede 5 elettroni. Di questi, i primi due trovano sistemazione sul primo livello energetico dove percorrono, con spin antiparallelo, l'unica orbita disponibile; gli altri tre si sistemano sul secondo livello energetico (strato L). Due di questi ultimi percorreranno l'unica orbita circolare presente sul sottolivello s, il terzo si sistemerà su una delle tre orbite ellittiche del sottolivello p. I quattro numeri quantici che individuano il quinto elettrone del boro (quello più esterno), sono: n=2, =1, m con uno qualsiasi dei seguenti valori: -1, 0, +1, e infine s con -½ o +½. Con scrittura sintetica:

                          2 p 1       
$
 
 
                          2 s 2
E
             5B            1 s 2  
E

   6. Approfittiamo infine della descrizione dell'atomo con sei elettroni, per ricordare la regola di Hund. Si tratta di una legge che stabilisce la distribuzione degli elettroni su orbite ad uguale energia. Essa dice: "Entro un gruppo di orbite aventi gli stessi valori di n e di (quindi la stessa energia), gli elettroni tendono a distribuirsi in modo tale da occupare quante più orbite possibili, piuttosto che raggrupparsi a due a due in un numero più ristretto di esse". La regola è detta anche "della massima disponibilità", e significa in pratica che, se in un atomo, oltre agli elettroni più interni, ve ne sono ad esempio due sul sottolivello p, questi andranno a sistemarsi su due orbite ellittiche distinte e non entrambi sulla stessa.

   Pertanto nell'atomo di carbonio, dei sei elettroni presenti, i primi quattro troveranno sistemazione sulle orbite circolari del primo e del secondo livello, mentre gli ultimi due andranno ad occupare due distinte orbite ellittiche del secondo livello, per esempio quelle corrispondenti ai valori m=-1 e m=0. Gli spin di questi due ultimi elettroni avranno invece lo stesso valore, ad esempio -½ per entrambi. La configurazione che abbiamo descritto è quella a minore contenuto energetico, quindi la più favorita. In sintesi:      

                          2 p 2       

$
 
                          2 s 2
E
            6C             1 s 2  
E

    Con l'aumentare del numero degli elettroni, l'ordine di riempimento delle orbite non è più quello indicato dal valore crescente dei numeri quantici principale e secondario, cioè: 1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 3d, 4s, 4p, 4d, 4f, 5s, ecc., ma il seguente: 1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, ecc. Capita quindi che un'orbita di un certo livello energetico (ad esempio 4s) possieda meno energia di un'orbita di un livello energetico con numero quantico principale più piccolo (cioè 3d).

    Senza dover ricordare a memoria l'ordine di riempimento delle orbite è possibile far riferimento alla seguente regola: "L'ordine crescente dell'energia delle orbite è dato dall'ordine crescente della somma del numero quantico principale n e del numero quantico secondario ". Ad esempio: l'orbita 1s (cioè 1+0=1) precede 2s (cioè 2+0=2); e questa a sua volta precede 2p (cioè 2+1=3). Nel caso di parità di valori della somma, come ad esempio per 5p (5+1=6) e 6s (6+0=6), precede l'orbita con il numero quantico principale più piccolo, cioè, nel caso del nostro esempio, 5p precede 6s.

3. continua

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