LA
STRUTTURA ATOMICA - PARTE III 14. L'ATOMO DI BOHR
Applicando, come già si è detto, le leggi dell'elettromagnetismo al
modello planetario di Rutherford, l'elettrone, movendosi di moto non rettilineo
ed uniforme, avrebbe dovuto irradiare energia e, seguendo un percorso a spirale,
cadere sul nucleo. L'atomo quindi, in teoria, non solo avrebbe dovuto essere
instabile, ma anche emettere radiazioni di tutte le lunghezze d'onda (quindi
formare uno spettro continuo), corrispondenti a tutte le posizioni occupate
dall'elettrone nella sua traiettoria a spirale verso il nucleo.
L'atomo invece, nella realtà, è stabile ed emette solo alcune
radiazioni di determinate lunghezze d'onda, come si può osservare dallo spettro
di emissione a righe. Il modello di Rutherford era quindi in contrasto sia con
le leggi della fisica note a quel tempo (quelle che in seguito verranno chiamate
"classiche"), sia con i dati sperimentali.
Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr si prefisse l'obiettivo di
modificare il modello atomico di Rutherford per eliminarne l'aspetto
contraddittorio. Egli inizialmente accettò per buona l'idea del nucleo centrale
con gli elettroni esterni, proposto da Rutherford, anche perché quel modello
era il risultato di un fatto sperimentale inconfutabile. Poi però vi apportò
delle modifiche sostanziali avvalendosi della teoria dei quanti di Planck.
Bohr affrontò il problema nella sua forma più elementare: la
costruzione del modello dell'atomo dell'idrogeno. Scelse l'idrogeno sia perché
si trattava dell'atomo più semplice di tutti (un nucleo centrale con carica
positiva con un unico elettrone che gli gira intorno), sia perché lo spettro di
quell'elemento si presentava anch'esso in forma molto semplice, con pochissime
righe ben distanziate fra loro.
Bohr ragionò nel modo seguente: se la materia assorbe ed emette energia
in modo discontinuo significa che l'atomo, che è il suo
costituente fondamentale, può esistere solo in determinate configurazioni
ciascuna con un proprio contenuto energetico. Quando l'atomo passa da una
configurazione con un certo contenuto energetico ad un'altra con contenuto
energetico diverso, esso assorbe o emette energia sotto forma di fotoni e per
tale motivo lo spettro appare con una linea scura o con una linea colorata in
corrispondenza di quel determinato valore dell'energia. Lo spettro dell'idrogeno
pertanto, non è altro che la rappresentazione visiva del passaggio da atomi con
un certo contenuto energetico ad altri con diverso contenuto energetico.
Bohr riuscì a dimostrare matematicamente che per ottenere configurazioni
dell'atomo di idrogeno a contenuto energetico diverso bisognava ipotizzare che
il momento angolare dell'elettrone che gira intorno al nucleo, fosse
quantizzato. Più precisamente, egli suppose che la quantità di moto (m×v) dell'elettrone in rotazione
intorno al nucleo, moltiplicata per la lunghezza dell'orbita (2p×r)
dovesse essere un multiplo intero del quanto di azione (h) di Planck. Ossia: m×v×2×p×r
= n×h
con n = 1, 2, 3, ...
Raggruppando le costanti, l'equazione diventa:
h
Il prodotto mvr (massa dell'elettrone per la sua velocità e per il
raggio dell'orbita circolare da esso percorsa) rappresenta il momento angolare
dell'elettrone. Esso è quantizzato in quanto non può assumere valori
qualsiasi, ma solo valori che sono multipli interi di h/2p;
cioè ad esempio il valore h/2p stesso, oppure il valore
2(h/2p), oppure
3(h/2p), e così
via. Il numero intero n venne chiamato da Bohr “numero quantico
dell'elettrone”.
La conseguenza dell'ipotesi avanzata da Bohr era che l'elettrone
dell'atomo di idrogeno poteva muoversi solo su orbite preferenziali, dette
orbite stazionarie, e che movendosi su tali orbite non emetteva energia. Questa
limitazione corrispondeva, in un certo senso, a considerare l'elettrone come
qualche cosa di speciale e comunque qualche cosa di diverso da un corpo carico
di elettricità che, girando su un'orbita circolare, è tenuto a rispettare le
leggi dell'elettromagnetismo.
L'elettrone emetteva energia solo quando passava spontaneamente da
un'orbita più esterna verso una più interna. Viceversa l'elettrone poteva
passare da un'orbita più interna (a minore contenuto energetico) ad una più
esterna solo se assorbiva dall'ambiente l'energia necessaria.
La quantizzazione del momento angolare permise di determinare, in
funzione di n, i raggi delle orbite permesse, nonché i valori
dell'energia posseduta dall'elettrone in movimento su dette orbite. L'elettrone
poteva quindi venirsi a trovare solo a determinate distanze dal nucleo (fra
l'altro mai al di sotto di una distanza minima rappresentata da quella che viene
chiamata “orbita fondamentale”), e poteva inoltre assumere solo determinati
valori dell'energia, il cui minimo era, per l'appunto, quello relativo
all'orbita fondamentale.
Senza entrare nei dettagli della teoria, ed evitando i calcoli che
comunque esulerebbero dalla nostra trattazione, possiamo
farci un'idea del modello atomico di Bohr ricorrendo ad un esempio macroscopico.
Consideriamo allora un piano inclinato perfettamente liscio, con a fianco un
altro simile, ma a gradini. Immaginiamo ora di far rotolare sul piano inclinato
liscio una pallina. Essa, nel suo moto, potrà assumere tutte le posizioni
possibili lungo il piano e quindi anche tutti i valori possibili di energia
potenziale. Se invece facessimo rotolare la pallina lungo il piano a scale,
questa non potrebbe fermarsi in tutte le possibili quote rispetto al livello di
riferimento (livello 0), ma solo in corrispondenza dei vari scalini; anche
l'energia potenziale che la pallina potrà assumere lungo la strada avrà solo
determinati valori e precisamente quelli corrispondenti all'altezza dei diversi
scalini.
Il raggio della prima orbita percorsa dall'elettrone dell'atomo
d'idrogeno, quella corrispondente al valore n=1, calcolata utilizzando i
postulati imposti da Bohr, è pari a: r = 0,53×10-10 m = 0,53 Å mentre
la corrispondente energia risulta: E
= - 5,21·10-19 cal
L'elettrone con n=1 percorre quindi l'orbita che
si trova più vicina al nucleo (orbita fondamentale) e possiede il valore minimo
di energia (il valore più negativo). Sostituendo ad n i successivi
valori interi (2, 3, 4, ecc.), si ottengono i raggi e le energie dei livelli più
esterni.
Il valore riportato sopra (ma con segno cambiato) rappresenta l'energia
necessaria per allontanare l'elettrone dalla prima orbita e portarlo a distanza
infinita (praticamente fuori dall'influenza del nucleo). L'atomo, privato di uno
o più elettroni, come già sappiamo, è un sistema con carica positiva che
prende il nome di ione; l'energia spesa per l'allontanamento degli elettroni
viene detta energia di ionizzazione.
Se moltiplichiamo per il numero di Avogadro (6,022·1023) il
valore dell'energia necessaria per allontanare l'elettrone dalla prima orbita
dell'atomo di idrogeno e portarlo all'infinito, otteniamo il valore dell'energia
necessaria per allontanare tutti gli elettroni di una mole di atomi di idrogeno
(cioè per allontanare una mole di elettroni), dalla prima orbita all'infinito.
Tale valore risulta di 313,6 Kcal. Pertanto possiamo dire che l'energia
corrispondente alla prima orbita dell'atomo di idrogeno è -313,6 Kcal/mol.
I valori dell'energia relativi alle orbite più esterne percorse
dall'elettrone, possono essere calcolati con la seguente formula:
1
L'energia della seconda orbita (n=2) vale quindi 1/4 di quella
della prima, quella della terza (n=3), vale 1/9 della prima, e così via.
I valori dell'energia relativa ad alcuni livelli dell'atomo di idrogeno crescono
all'aumentare del numero quantico n, cioè a mano a mano che gli
elettroni occupano orbite più lontane dal nucleo. Il valore massimo (cioè il
valore zero) si ha quando la distanza dal nucleo è infinita.
I valori dell'energia relativi alle orbite più esterne percorse
dall'elettrone, possono essere calcolati con la seguente formula:
1
L'energia della seconda orbita (n=2) vale quindi 1/4 di quella
della prima, quella della terza (n=3), vale 1/9 della prima, e così via.
I valori dell'energia relativa ad alcuni livelli dell'atomo di idrogeno crescono
all'aumentare del numero quantico n, cioè a mano a mano che gli
elettroni occupano orbite più lontane dal nucleo. Il valore massimo (cioè il
valore zero) si ha quando la distanza dal nucleo è infinita.
Il modello atomico di Bohr permette di dare un'interpretazione chiara e
convincente dello spettro a righe dell'idrogeno. Possiamo infatti immaginare che
quando all'idrogeno viene fornita energia, ad esempio all'interno di un tubo di
scarica, gli elettroni, dal livello fondamentale, passino ai livelli energetici
più esterni; dalle orbite più elevate gli elettroni ritornano quindi
immediatamente (e spontaneamente) a quelle più basse.
Nella caduta spontanea degli elettroni vengono emessi fotoni. L'energia
posseduta da questi fotoni corrisponde alla differenza energetica degli stati
stazionari tra i quali è avvenuta la transizione. Quando gli elettroni, dalle
orbite più elevate, ritornano a quella fondamentale (la più bassa di tutte),
si ha emissione di fotoni molto energetici, corrispondenti alle righe
dell'ultravioletto (serie di Lyman). Quando gli elettroni ricadono, dalle orbite
periferiche, sulla seconda orbita stazionaria, si ha emissione di fotoni la cui
energia corrisponde alle righe dello spettro visibile (serie di Balmer). Un
discorso analogo vale per gli spostamenti sulla terza, sulla quarta orbita, e
così via. Gli spettri che si ottengono in questi casi sono spettri di
emissione. Gli spettri di assorbimento si ottengono invece quando gli atomi di idrogeno vengono illuminati con luce di tutte le lunghezze d'onda. Tutti i fotoni in questo caso passano indisturbati, tranne alcuni. Non passano quei fotoni che, possedendo una quantità di energia esattamente uguale a quella necessaria per far saltare l'elettrone su un'orbita più esterna, vengono utilizzati per questa operazione. Questi fotoni scompaiono quindi dalla scena e pertanto avremo uno spettro continuo di luce di tutti i colori, solcato da alcune linee scure.
15. L'ATOMO DI SOMMERFELD
Con l'aiuto di spettroscopi molto perfezionati, si era potuto osservare
che molte delle righe dello spettro dell'idrogeno erano in realtà costituite da
un certo numero di altre righe molto vicine fra loro, corrispondenti a
piccolissime variazioni dell'energia. Il modello di Bohr non era in grado di
giustificare questa struttura fine dello spettro dell'idrogeno.
D'altra parte, anche il fatto di prendere in considerazione, per il moto
dell'elettrone, solo orbite circolari, veniva considerata una limitazione
artificiosa. L'orbita circolare di un corpo che si muove intorno ad un altro è
infatti un caso particolare delle più generali orbite ellittiche (si pensi ad
esempio ai pianeti che girano intorno al Sole). L'elettrone quindi, girando
intorno al nucleo, avrebbe dovuto percorrere, oltre all'orbita circolare,
un'infinità di altre orbite ellittiche.
Nel 1916, il fisico tedesco Arnold Sommerfeld, tentò di dare un
significato alla struttura fine dell'idrogeno introducendo anche le traiettorie
ellittiche per il moto degli elettroni. Innanzitutto egli ipotizzò che, poiché
i fatti sperimentali mostravano che le righe della struttura fine erano in
numero limitato, anche il numero delle orbite possibili sarebbe dovuto essere
limitato: l'obiettivo di limitare questo numero poteva essere raggiunto
applicando le stesse condizioni di quantizzazione introdotte da Bohr.
Sommerfeld dimostrò che per ciascun valore del numero quantico n
doveva esistere un numero determinato di orbite ellittiche (oltre a quella
circolare), di eccentricità variabile (cioè più o meno schiacciate), ma
aventi tutte l'asse maggiore uguale al diametro della circonferenza presente in
quel determinato livello energetico.
Per descrivere il momento angolare dell'elettrone che viaggia su orbite
ellittiche, Sommerfeld introdusse un nuovo numero quantico, ℓ,
detto numero quantico azimutale.
Il numero quantico n, di conseguenza, veniva a perdere la sua funzione
originaria di individuare esso stesso il momento angolare dell'elettrone; ad n,
nel modello ad orbite ellittiche, venne quindi riservato il compito di
determinare semplicemente l'energia di uno stato stazionario, ed assunse la
denominazione di numero quantico principale.
Si potrebbe dimostrare che, anche ammettendo la presenza di una serie di
orbite ellittiche per ogni stato stazionario, la struttura fine dello spettro
dell'idrogeno, non troverebbe comunque spiegazione. Queste orbite infatti, pur
di eccentricità diversa, presentano tutte la stessa energia perché posseggono
tutte la stessa lunghezza dell'asse maggiore. Pertanto non si potrà avere
emissione o assorbimento di energia nel passaggio dell'elettrone dall'una
all'altra di esse.
Sommerfeld pensò allora che la soluzione del problema risiedesse
nell'alta velocità posseduta dagli elettroni. Ai corpi che si muovono a
grandissima velocità diventa infatti indispensabile, per descriverne
correttamente il movimento, applicare le leggi della relatività. Queste leggi
prevedono che quando un corpo viaggia a velocità elevatissima la sua massa
debba variare in modo significativo.
Se un elettrone si muove a notevole velocità su un'orbita circolare,
esso conserva, lungo tutto il percorso, la stessa velocità e quindi anche la
stessa massa; se l'elettrone però si muove, sempre a velocità elevatissima,
lungo un'orbita ellittica molto eccentrica, nel tempo in cui percorre il tratto
più vicino al nucleo (perielio) viaggia più velocemente e, per effetto di
questa accelerazione, aumenta di massa. (Naturalmente, quando si trova a
viaggiare in prossimità del punto più lontano, decelera e quindi perde massa.)
Se ora noi ammettiamo che per un certo valore del numero quantico
principale n possano esistere, oltre all'orbita circolare, anche alcune
orbite ellittiche più o meno eccentriche, l'elettrone che le percorre,
cambiando massa lungo il percorso, dovrà cambiare anche contenuto energetico.
Pertanto gli elettroni che percorrono l'una o l'altra orbita avranno energia
diversa (ma non di molto), e il passaggio da un'orbita all'altra comporterà
l'apparire di una serie di righe, anche se molto vicine fra loro, e non di una
sola. In questo modo veniva spiegato il fatto che una riga dello spettro era in
realtà composta da un insieme di altre righe.
La teoria di Sommerfeld prevedeva che, al crescere di n,
aumentasse il numero delle orbite ellittiche possibili e quindi aumentasse anche
il numero delle suddivisioni delle righe spettrali. Si dimostra che ℓ
può assumere tutti i valori interi positivi compresi fra 0 ed n-1.
Questo numero oggi viene anche detto numero
quantico secondario e determina, come abbiamo spiegato sopra, la
forma dell'orbita.
Frattanto, un nuovo fatto sperimentale metteva in evidenza un'ulteriore
possibilità di alterazione energetica in seno alle varie orbite. Si era
osservato infatti che sottoponendo alcuni elementi all'azione di un campo
magnetico, si verificava lo sdoppiamento di alcune righe spettrali. Il fenomeno
è detto, dal nome del suo scopritore, “effetto Zeeman”.
Per comprendere il meccanismo di questo fenomeno, dobbiamo considerare
che l'elettrone, oltre ad una massa, possiede anche una carica elettrica. Ora,
secondo le leggi dell'elettromagnetismo, una carica elettrica che percorre un
circuito chiuso, genera un campo magnetico, come qualsiasi corrente elettrica
che percorre una spira. Si viene così a creare, all'interno dell'atomo, per
effetto del moto dell'elettrone, un minuscolo magnete, il quale, tuttavia, non
produce alcun effetto, così come un ago magnetico, da solo, non subisce alcuna
forza.
Quando però si applica un campo magnetico all'esterno, questo
interagisce con il "magnetino" (elettrone in rotazione) presente
nell'atomo costringendolo a sistemarsi secondo determinate posizioni, così come
un ago calamitato subisce uno spostamento per l'azione di una calamita.
Si rese quindi necessario imporre, anche in questo caso, delle
limitazioni alle posizioni che l'orbita percorsa dall'elettrone poteva assumere
nello spazio. Si introdusse infatti un terzo numero quantico, detto numero
quantico magnetico e simboleggiato con la lettera m. Il numero
m può assumere tutti i valori interi compresi fra -ℓ e +ℓ,
incluso lo zero. Pertanto, quando ℓ vale zero, m può
assumere solo il valore zero; quando ℓ vale 1, i possibili valori
di m sono -1, 0, +1: sul secondo livello energetico esistono quindi tre
orbite ellittiche possibili con la stessa energia, ma orientate diversamente
nello spazio. Quando ℓ
vale 2 i possibili valori di m sono
5, rispondenti a cinque posizioni diverse nello spazio delle cinque orbite
ellittiche con la stessa energia; e quando ℓ
vale 3 i possibili
valori di m sono 7.
Oltre all'effetto Zeeman, che come abbiamo visto si è potuto
giustificare con la quantizzazione spaziale, rimaneva ancora da spiegare il
fatto che nella struttura fine di alcuni metalli si osservava un numero di righe
ancora superiore a quello previsto dalla teoria delle orbite ellittiche di
Sommerfeld. Si trattava di una particolare "struttura a doppietti" che
si riscontrava per esempio nel sodio, nel magnesio e nel mercurio.
Nel 1926 due fisici statunitensi di origine olandese, George Eugene
Uhlenbeck e Samuel Abraham Goudsmit seppero dare una spiegazione teorica anche
alle nuove righe spettrali. Essi immaginarono che l'elettrone, oltre che girare
intorno al nucleo, potesse girare anche su sé stesso come fosse una trottola.
In questo modo l'elettrone, dotato di carica, creerebbe un suo proprio campo
magnetico del tutto distinto da quello che lo stesso produce girando intorno al
nucleo.
Anche in questo caso fu necessario quantizzare la rotazione attraverso
l'introduzione di un quarto numero quantico, s (o ms),
detto numero quantico (magnetico) di spin ("to spin", in inglese,
significa girare). Poiché possiamo immaginare l'elettrone girare su sé stesso,
o in senso orario, o in senso antiorario, i valori che s può assumere
sono solo due: +½ e -½. 16. IL PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI
Il modello originario di Bohr, come abbiamo visto, si adattava bene solo
all'atomo dell'idrogeno. Successivamente, però, prima Sommerfeld e poi Goudsmit
e Uhlenbeck vi apportarono una serie di perfezionamenti e di aggiustamenti che
avrebbero consentito di adattarlo anche ad atomi più complessi. Questo modello,
tuttavia, non soddisfaceva per nulla i fisici perché appariva come uno strano
ibrido costruito per metà utilizzando le leggi della fisica classica e per metà
le strane regole di quantizzazione di Planck. Potremmo definire il modello
atomico di Bohr e Sommerfeld un modello semiclassico e semiquantistico.
La cosa sorprendente tuttavia era che il nuovo modello atomico,
nonostante tutte le imperfezioni e le contraddizioni che conteneva, riusciva
tuttavia a dare giustificazione coerente dei fatti sperimentali. Si era infatti
riusciti a stabilire che ogni orbita o, per meglio dire, ogni elettrone, poteva
essere individuato da una quaterna di numeri quantici che definivano la forma
dell'orbita su cui lo stesso girava, e la sua energia.
Riportiamo, per maggior chiarezza, le relazioni che legano fra loro i
quattro numeri quantici.
Il numero quantico principale, n, identifica le dimensioni
dell'orbita percorsa dall'elettrone, cioè in pratica indica la distanza a cui
si trova l'elettrone dal nucleo. I valori di n possono variare
teoricamente da n=1 a n=∞, tuttavia solo i primi sette
valori descrivono orbite effettivamente presenti negli atomi degli elementi
noti.
E' da notare che le orbite, essendo individuate solo dal valore del
raggio che le contraddistingue, sono in realtà delle superfici di una sfera.
Queste superfici vengono quindi a rappresentare livelli energetici (o strati)
percorsi dall'elettrone. Tutti gli elettroni di un dato strato hanno la stessa
energia e all'aumentare di n aumenta l'energia dello strato. Gli strati,
oltre che con i numeri 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7, possono essere indicati anche con
le lettere maiuscole K, L, M, N, O, P e Q.
Il numero quantico secondario, ℓ, individua l'eccentricità
dell'orbita, ossia la sua forma. Per ogni valore di n, possono esistere n
orbite distinte di cui una
circolare e n-1 ellittiche. Quando gli elettroni percorrono le orbite di
forma diversa presenti sullo stesso livello possiedono energie leggermente
diverse. Ciò si esprime affermando che ogni livello possiede più sottolivelli. I
valori di
ℓ possono essere tutti quelli compresi fra 0 e n-1.
Per n=1, ℓ
può assumere un unico valore: zero; ciò
vuol dire che nel primo livello energetico esiste un'unica orbita (ovviamente
circolare) e quindi un unico sottolivello (livello e sottolivello pertanto
coincidono). Per n=2, ℓ può assumere i valori 0 e 1; il
secondo livello energetico è diviso quindi in due sottolivelli che differiscono
leggermente per l'energia. Per n=3, ℓ può assumere i valori
0, 1 e 2, corrispondenti a tre orbite percorribili dall'elettrone, cioè a tre
sottolivelli. E così di seguito per gli altri livelli.
Per specificare il valore di ℓ, invece che i numeri,
normalmente si usa un codice letterale: quindi, invece che ℓ=0 si
preferisce dire sottolivello s; invece che ℓ=1, sottolivello
p; invece che ℓ=2, sottolivello d; invece che ℓ=3,
sottolivello f. Le lettere derivano dallo studio spettroscopico dove
erano impiegate per indicare diverse serie di righe spettrali: s=sharp
(netta), p=principal (principale), d=diffuse (diffusa), f=fundamental
(fondamentale). Pertanto, per designare ad esempio il sottolivello
caratterizzato dai numeri quantici n=2 e ℓ=1, si usa,
preferibilmente, l'espressione "sottolivello 2p". Per indicare
il sottolivello con n=4 e ℓ=0, si usa l'espressione
"sottolivello 4s", e così via.
Il numero quantico magnetico, m, definisce l'orientazione
dell'orbita nello spazio, e può assumere, per un dato valore di ℓ,
tutti i valori interi da -ℓ
e +ℓ, zero compreso.
Quindi, per ogni valore di ℓ, m può assumere un totale di 2ℓ
+ 1 valori.
Per ℓ=0, m può avere soltanto il valore zero;
quindi, su un sottolivello di tipo s, vi è un'unica orbita a
disposizione degli elettroni. Per ℓ=1, il numero quantico magnetico
può assumere i valori +1, 0 e -1, e quindi, per ogni sottolivello di tipo p,
gli elettroni hanno a disposizione 3 orbite, tutte con la stessa forma, ma
orientate nello spazio in modo diverso. In assenza di un campo magnetico esterno
queste tre orbite sono identiche dal punto di vista energetico, ma, in presenza
di un campo magnetico, cambiano in funzione del valore che assume m. Per ℓ=2,
m assume 5 valori e quindi esistono 5 orbite sul sottolivello di tipo d.
Per ℓ=3, m assume 7 valori, corrispondenti a sette orbite
sul sottolivello di tipo f.
Il numero quantico magnetico di spin, s, è collegato al senso
della rotazione dell'elettrone su sé stesso e può assumere solo i valori +½ o
-½. Se due elettroni hanno lo stesso valore di s si dice che hanno spin
paralleli, se hanno valori di segno opposto, si dice che hanno spin
antiparalleli, o opposti.
Come abbiamo già detto, Sommerfeld, in collaborazione con altri,
inserendo un maggior numero di orbite e di livelli energetici su cui far muovere
gli elettroni, era riuscito ad ampliare il modello originario di Bohr. I fisici
non erano in grado, tuttavia, di adattare questo modello ad atomi con molti
elettroni, perché non riuscivano a capire quale dovesse essere la distribuzione
degli elettroni sulle diverse orbite disponibili.
Con la presenza di più elettroni intorno al nucleo non poteva infatti
essere trascurata la loro interazione. Se, ad esempio, gli elettroni di un atomo
non interagissero reciprocamente, e risentissero solo dell'attrazione del
nucleo, essi sarebbero tutti equivalenti e tutti si andrebbero a sistemare
spontaneamente sul livello a minor contenuto energetico, cioè su quello più
vicino al nucleo.
L'idea di sistemare tutti gli elettroni di un atomo sull'orbita a più
basso contenuto energetico fu però immediatamente scartata anche perché
contraria ai fatti sperimentali. Lo studio degli spettri atomici mostrava
infatti chiaramente che gli elettroni, nello stato fondamentale (cioè a minimo
contenuto di energia), erano distribuiti su vari livelli energetici.
La soluzione del problema, semplice ed elegante, alla fine fu trovata dal
fisico austriaco Wolfgang Pauli nel 1925. Egli partì dalla considerazione che
due elettroni, per poter stare vicini, dovevano avere spin opposti: gli
elettroni che girano su sé stessi, si comportano infatti come magneti, e
l'esperienza insegna che due magneti, orientati nello stesso senso, si
respingono, mentre, se sono orientati in senso opposto, si attraggono. Allo
stesso modo, due elettroni con lo stesso spin producono campi magnetici di segno
uguale e si respingono, mentre se hanno spin opposti il campo magnetico dell'uno
annulla quello dell'altro e si attraggono. Ora, poiché per gli elettroni stare
vicini vuol dire occupare la stessa orbita, Pauli concluse che su una stessa
orbita non potevano stare più di due elettroni (con spin opposto). Questa
limitazione è espressa dal cosiddetto "principio di esclusione"
che può essere enunciato nel modo seguente: "In un medesimo atomo non
possono esistere due elettroni con identici valori di tutti e quattro i numeri
quantici".
Per comprendere il significato di questo principio proviamo ad immaginare
due elettroni con i primi tre numeri quantici uguali: per esempio, n=1, ℓ=0
e m=0. In questo caso i nostri due elettroni si troveranno entrambi sul
primo livello energetico e sull'unica orbita (circolare) presente in quel
livello. Ora, affinché i due elettroni possano stazionare su quell'orbita essi
dovranno necessariamente avere spin opposti (+½ l'uno e -½ l'altro), ecco
allora dimostrato che questi due elettroni dovranno avere almeno uno dei quattro
numeri quantici diverso. Si potrebbero fare altri esempi che dimostrano che due
elettroni non possono avere tutti i quattro i numeri quantici uguali perché, se
così fosse, rappresenterebbero lo stesso elettrone.
Il principio di esclusione di Pauli consente anche di stabilire quanti
elettroni possono stare, al massimo, su ciascun livello energetico. Il numero
massimo di elettroni per livello si ricava semplicemente dalla espressione 2n².
Pertanto, il primo livello energetico, n=1, potrà contenere al massimo
due soli elettroni (2·1²);
il secondo livello, n=2, potrà contenere al massimo 2∙2²= 8
elettroni, il terzo livello energetico conterrà, al massimo 2·3²=18
elettroni, e così di seguito per gli altri.
Anche se oggi il modello di atomo è concettualmente diverso da quello
che abbiamo descritto, quest'ultimo può essere lo stesso utilizzato
efficacemente per rappresentare la configurazione elettronica dei vari tipi di
atomi esistenti in natura. Lo stato di un elettrone, cioè la sua posizione
all'interno di un atomo, nel modello di Bohr e Sommerfeld, come nel più moderno
modello che descriveremo in seguito, rimane in ogni caso determinato da quattro
numeri quantici: n, ℓ, m, s. 17.
LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ATOMI Le proprietà chimiche degli
elementi sono determinate dal numero degli elettroni presenti nei
rispettivi atomi. Tale numero, detto numero atomico ed indicato con
la lettera Z, viene riportato a volte al piede del simbolo dell'elemento.
Di tale numero si è già fatto cenno, parlando degli isotopi, in modo
generico, come valore caratterizzante la specie chimica. Ora sappiamo che
le proprietà chimiche (e anche molte proprietà fisiche) degli elementi
sono determinate da una progressione regolare del numero degli elettroni
dei loro atomi, da 1 a 112, quanti sono i 112 elementi (naturali e
artificiali) attualmente noti. Il modo in cui sono disposti
gli elettroni intorno al nucleo viene detto "struttura elettronica"
dell'atomo. La distribuzione degli elettroni nei singoli atomi segue un
criterio preciso che noi esporremo nel corso della costruzione grafica
degli atomi più semplici esistenti in natura. La scrittura sintetica,
usata convenzionalmente, è la seguente:
Inoltre, con una
scrittura, ad esempio, del tipo 2 s1 si indica che 1
elettrone (indice di s) si trova sul secondo livello energetico
(coefficiente di s), su un'orbita circolare, cioè con ℓ=0. 1. Cominciamo allora col
rappresentare la struttura elettronica dell'atomo più semplice di tutti,
quello dell'idrogeno. Essa viene indicata con la seguente simbologia:
Con tale scrittura sintetica
si vuol significare che l'atomo di idrogeno possiede un solo elettrone
(l'indice posto al piede del simbolo rappresenta il numero atomico Z).
Tale elettrone trova sistemazione nel livello energetico più basso:
n=1, o strato K. Inoltre, poiché in questo caso n è uguale a
1, dovrà essere necessariamente ℓ=0
e m=0; pertanto l'elettrone viaggerà su un'orbita circolare (di
tipo s) e lo spin assumerà uno dei due valori possibili, ad esempio
-½. 2. L'atomo dell'elio
possiede due elettroni. Entrambi questi elettroni trovano sistemazione sul
primo livello energetico dove esiste un'unica orbita disponibile. I due
elettroni percorreranno quindi la stessa orbita, con spin antiparallelo.
Le quaterne dei numeri quantici che individuano i due elettroni saranno
quindi le seguenti: n=1, ℓ=0,
m=0 e s=-½, per il primo elettrone e, n=1, ℓ=0, m=0 e s=+½ per il secondo. Come si può osservare
i due elettroni hanno solo tre numeri quantici uguali, il quarto è diverso
nel rispetto del principio di esclusione. La scrittura sintetica è la
seguente:
3. L'atomo che possiede tre
elettroni (Z=3) è l'atomo del litio. Due di questi elettroni troveranno
sistemazione sull'unica orbita disponibile del primo livello energetico
dove ruoteranno con spin opposto, mentre il terzo, sarà costretto a
sistemarsi sul livello superiore (strato L). Quest'ultimo elettrone sarà
allora caratterizzato dalla seguente quaterna di numeri quantici:
n=2, ℓ=0, m=0 e s=-½. In sintesi:
4.
Il berillio ha numero atomico 4 e possiede pertanto un elettrone in più
del litio. Questo quarto elettrone girerà sulla stessa orbita circolare
(strato L) in cui già si trova a girare il terzo. I due elettroni avranno
spin opposto. In
sintesi:
5.
Il boro (Z=5) possiede 5 elettroni. Di questi, i primi due trovano
sistemazione sul primo livello energetico dove percorrono, con spin
antiparallelo, l'unica orbita disponibile; gli altri tre si sistemano sul
secondo livello energetico (strato L). Due di questi ultimi percorreranno
l'unica orbita circolare presente sul sottolivello s, il terzo si
sistemerà su una delle tre orbite ellittiche del sottolivello p. I
quattro numeri quantici che individuano il quinto elettrone del boro
(quello più esterno), sono: n=2, ℓ=1, m con uno
qualsiasi dei seguenti valori: -1, 0, +1, e infine s con -½ o +½. Con
scrittura sintetica:
6.
Approfittiamo infine della descrizione dell'atomo con sei elettroni, per
ricordare la regola di Hund. Si tratta di una legge che stabilisce la
distribuzione degli elettroni su orbite ad uguale energia. Essa dice:
"Entro un gruppo di orbite aventi gli stessi valori di n e di ℓ
(quindi la stessa energia), gli elettroni tendono a distribuirsi in modo
tale da occupare quante più orbite possibili, piuttosto che raggrupparsi a
due a due in un numero più ristretto di esse". La regola è detta anche
"della massima disponibilità", e significa in pratica che, se in un atomo,
oltre agli elettroni più interni, ve ne sono ad esempio due sul
sottolivello p, questi andranno a sistemarsi su due orbite
ellittiche distinte e non entrambi sulla stessa. Pertanto nell'atomo di
carbonio, dei sei elettroni presenti, i primi quattro troveranno
sistemazione sulle orbite circolari del primo e del secondo livello,
mentre gli ultimi due andranno ad occupare due distinte orbite ellittiche
del secondo livello, per esempio quelle corrispondenti ai valori
m=-1 e m=0. Gli spin di questi due ultimi elettroni avranno
invece lo stesso valore, ad esempio -½ per entrambi. La configurazione che
abbiamo descritto è quella a minore contenuto energetico, quindi la più
favorita. In sintesi:
Con
l'aumentare del numero degli elettroni, l'ordine di riempimento delle
orbite non è più quello indicato dal valore crescente dei numeri quantici
principale e secondario, cioè: 1s, 2s, 2p, 3s,
3p, 3d, 4s, 4p, 4d, 4f,
5s, ecc., ma il seguente: 1s, 2s, 2p,
3s, 3p, 4s, 3d, 4p, 5s, 4d,
5p, ecc. Capita quindi che un'orbita di un certo livello energetico
(ad esempio 4s) possieda meno energia di un'orbita di un livello
energetico con numero quantico principale più piccolo (cioè 3d).
Senza dover ricordare a memoria l'ordine di riempimento delle orbite è possibile far riferimento alla seguente regola: "L'ordine crescente dell'energia delle orbite è dato dall'ordine crescente della somma del numero quantico principale n e del numero quantico secondario ℓ". Ad esempio: l'orbita 1s (cioè 1+0=1) precede 2s (cioè 2+0=2); e questa a sua volta precede 2p (cioè 2+1=3). Nel caso di parità di valori della somma, come ad esempio per 5p (5+1=6) e 6s (6+0=6), precede l'orbita con il numero quantico principale più piccolo, cioè, nel caso del nostro esempio, 5p precede 6s. 3. continua |