COSTELLAZIONI
E MITI 1.
IL CIELO AD OCCHIO NUDO
Il primo problema che incontra chi desidera
rintracciare in cielo, senza far uso di strumenti ottici, le costellazioni e gli
astri di cui ha letto le favolose descrizioni è quello di orientarsi stabilendo
innanzitutto la posizione dei punti cardinali: in pratica è sufficiente trovare
uno solo dei quattro fondamentali (Nord, Est, Sud, Ovest) perché gli altri,
come si sa, si susseguono distanziati di 90° lungo l’orizzonte. La cosa più
semplice da fare per centrare l’obiettivo è quella di individuare la Stella
Polare un astro abbastanza luminoso (ma non il più luminoso di tutti come
qualcuno crede: nella graduatoria della luminosità esso occupa appena il 49°
posto) che si trova isolato in una zona del cielo eccezionalmente priva di altre
stelle luminose. Questa stella va ricercata in direzione Nord ossia dalla parte
del cielo opposta a quella in cui si trova il Sole a mezzogiorno, ad una altezza
in gradi pari alla latitudine del luogo da cui si fa l’osservazione: alle
nostre latitudini essa si rinviene pertanto circa a metà strada fra la linea
dell’orizzonte e lo zenit (il punto della volta celeste che si trova
esattamente sopra la nostra testa).
Vicino alla Stella Polare vi è un raggruppamento di stelle molto
luminose e facili da individuare (soprattutto in primavera quando si trovano
alte sull’orizzonte) per la loro particolare disposizione che riproduce una
specie di pentolino. Si tratta di sette stelle in cui i Greci antichi avevano
individuato un’orsa (in greco arctos, da cui il nome di “artico”
attribuito all’emisfero di Nord) e i latini un carro le cui stelle con il
loro lento ruotare intorno alla Polare ricordavano sette buoi da lavoro, ossia septem
triones (da cui il termine “settentrione”): si tratta appunto della
costellazione dell’Orsa Maggiore o Gran Carro.
Questa costellazione è un ottimo punto di partenza per rintracciare
molte altre stelle grazie a pochi e semplici allineamenti. Ad esempio, unendo
con una linea immaginaria le due stelle del bordo del pentolino più lontano dal
manico e prolungando di quattro volte e mezza la distanza che intercorre fra
questi due astri (detti “puntatori” o “guardie”) si raggiunge proprio la
Stella Polare la quale è l’ultima del timone di una costellazione simile al
Gran Carro ma di dimensioni più ridotte e formata anch’essa da sette stelle
però molto meno luminose di quelle della costellazione maggiore, tanto che la
sua identificazione non appare agevole. Quasi opposto all’Orsa Maggiore
rispetto alla Polare si trova un raggruppamento di cinque stelle dalla
caratteristica forma a “W” o “M” (un po’ distorta): è Cassiopea una
costellazione molto evidente ma che non offre punti di riferimento per altre
stelle.
Partendo sempre dal Gran Carro è facile invece individuare altre
costellazioni e stelle molto luminose. Prolungando ad esempio il bordo superiore
del pentolino e proseguendo nella direzione opposta a quella del manico si
incontra Capella (la “capretta”) la stella più luminosa della costellazione
dell’Auriga; dirigendosi invece dalla parte opposta a quella in cui si trova
la Stella Polare si arriva a Regolo (dal latino regulus = reuccio) nella
costellazione del Leone. Seguendo poi la diagonale del nostro recipiente, sempre
nella direzione opposta a quella del manico, si arriva a due stelle molto
brillanti (Castore e Polluce) che formano la costellazione dei Gemelli. Ancora,
una linea curva che prolunghi le tre stelle del manico porta ad Arturo, la
stella più brillante della costellazione di Boote (o Bifolco) e quindi,
proseguendo nella stessa direzione verso il basso, proprio vicino
all’orizzonte, si raggiunge Spica nella Vergine.
Infine, alte nel cielo estivo, appaiono tre stelle molto luminose che
formano un grande triangolo: sono Vega (in piena estate proprio sopra la nostra
testa) nella Costellazione della Lira, Deneb in quella del Cigno con la sua
caratteristica forma a croce e Altair nell’Aquila: esse formano il cosiddetto
“triangolo estivo” che balza subito all’occhio se nella bella stagione si
guarda in alto e verso Sud.
L’altra Costellazione che serve per individuare stelle e costellazioni,
però solo nel cielo invernale, è Orione. A differenza del Gran Carro che è
visibile per tutto l’anno in quanto fa parte di quel gruppo di stelle che non
tramontano mai ma si limitano a girare intorno alla Polare (unica stella
veramente fissa di tutto il “firmamento”) Orione in estate scende sotto
l’orizzonte per cui è visibile solo per sei mesi all’anno, da ottobre a
marzo. Nota a tutti è la descrizione che di questa costellazione fa il Parini
ne “La Caduta”, la più famosa delle sue odi: “Quando Orïon dal cielo
declinando imperversa, e pioggia e nevi e gelo sopra la terra ottenebrata versa,
…”
Orione è una costellazione molto grande, dalla forma complessiva a
“clessidra”, impossibile da non vedere rivolgendo, nelle notti invernali, lo
sguardo a metà del cielo verso Sud. Le due stelle più luminose del
raggruppamento sono Betelgeuse in alto a sinistra di colore rosso-arancio e
Rigel in basso a destra di colore bianco-azzurro. A metà distanza fra questi
due astri di prima grandezza si notano tre stelle ugualmente luminose e
allineate in posizione un po’ inclinata: sono gli astri che costituiscono la
cosiddetta “cintura” di Orione note anche secondo la tradizione popolare
come i “Tre Magi” o il “Bastone di Giacobbe”. Prolungando la linea che
unisce le tre stelle della cintura si giunge verso il basso a Sirio, la stella
più luminosa del cielo sita nella costellazione del Cane Maggiore e verso
l’alto ad Aldebaran, l’occhio sanguigno del Toro. Un po’ più in alto di
Aldebaran si incontra l’ammasso aperto più noto: quello delle Pleiadi (da plein
= navigare o da pleios = molte). Si tratta di un piccolo raggruppamento
di stelle che rappresenta un buon test per la vista: normalmente se ne
distinguono sei o sette, ma c’è chi ne ha contate 14. Prolungando quindi il
lato superiore della Costellazione si intercetta alla sinistra Procione nel Cane
Minore e alla destra Menkar nella Costellazione della Balena. Sulla diagonale
Rigel Betelgeuse si rincontrano guardando a sinistra i Gemelli, mentre sulla
verticale, quindi un po’ più a destra di Castore e Polluce, Capella
nell’Auriga.
2.
MITI E LEGGENDE
Tracciamo ora un quadro sintetico relativo ai miti e alle leggende legate
alle stelle e alle costellazioni derivate dalla tradizione greca la quale,
attraverso i Romani e gli Arabi ha poi influenzato tutta la cultura europea. È
bene premettere che i raggruppamenti di stelle in costellazioni sono
un’operazione del tutto casuale: ciascuna cultura infatti ha composto le sue
figure a cui ha dato un nome secondo la propria fantasia. L’orsa dei Greci ad
esempio era un carro per i Romani, una pentola per i Cinesi, un ippopotamo per
gli Egizi e un ventilabro, lo strumento usato per la monda del grano, per gli
Ebrei.
Cominciamo quindi dalle quattro stelle sistemate a formare un
inconfondibile quadrilatero con un’appendice di altre tre che presso gli
antichi Greci, come detto, ha guadagnato il nome di Orsa Maggiore. Secondo la
leggenda essa era la ninfa Callisto che ebbe l’onore di essere amata da Zeus
di cui rimase anche incinta. Però Artemide, la legittima consorte, gelosa della
bellezza della rivale, per vendicarsi dapprima la trasformò in un’orsa e poi
le aizzò contro i cani (Boote, il bovaro, viene spesso rappresentato con due
cani al guinzaglio, che corrispondono alla vicina costellazione dei Cani da
caccia, sistemata proprio sotto la coda dell’Orsa Maggiore, mentre insegue
quest’ultima che corre intorno al Polo Nord). Intervenne allora Zeus che per
sottrarre l’amante a un così triste destino la trasferì in cielo dove la si
può ammirare nelle sembianze di una bella e fulgida figura.
Cassiopea la vanitosa regina di Etiopia e moglie di Cefeo si vantava di
essere più bella delle Nereidi, le ninfe del mare che, offese, si rivolsero a
Poseidone (il dio che i Romani identificarono in Nettuno) il quale per punirla
inviò un mostro marino con la testa di rettile, le zampe munite di artigli e la
coda di pesce affinché esso devastasse le coste del regno. Cassiopea e suo
marito per placare le ire del dio del mare decisero quindi di sacrificare la
figlia Andromeda incatenandola ad uno scoglio dove il mostro marino
(rappresentato dalla Balena, una figura che come abbiamo detto ha ben poco a
vedere con i comuni cetacei) l’avrebbe potuta divorare. Sennonché
sopraggiunse dal cielo Perseo l’eroe greco figlio di Zeus che salvato dalle
acque dove era stato gettato, non si sa bene per quale motivo, fu poi mandato ad
uccidere Medusa, l’unica mortale delle tre Gorgoni, alla quale tagliò la
testa nel sonno guardando la sua immagine riflessa nello scudo per evitare di
incrociarne lo sguardo che trasformava gli uomini in pietra. Dal collo
sanguinante della sua testa anguicrinita (cioè con serpi al posto dei capelli)
uscì il cavallo alato Pegaso, in groppa al quale Perseo si diresse prima a
liberare Andromeda e poi a trasformare in pietra il mostro marino mandato da
Poseidone. Poco più lontano Cefeo, pallido e smarrito, assiste silenzioso a
tutta la vicenda.
Tutte queste costellazioni sistemate nelle vicinanze di Cassiopea non
sono di facile individuazione, tranne l’ampio quadrilatero di Pegaso dal quale
tuttavia è possibile partire, se le condizioni atmosferiche sono favorevoli ed
aiutandosi eventualmente con una mappa, per rintracciare anche le altre.
Per quanto riguarda Orione la leggenda narra di un famoso cacciatore noto
per la sua abilità, che si vantava di riuscire a sottomettere qualsiasi
animale. In cielo sta insidiando le Pleiadi le belle sette sorelle figlie del
gigante Atlante. Tutte queste ragazze furono spose di dei esclusa una, quella
rappresentata dalla stella meno luminosa per la vergogna di essersi unita ad un
comune mortale. Orione se ne era innamorato e le inseguì per cinque anni fino a
quando Zeus, impietositosi, le trasformò prima in colombe e poi in stelle.
Gli dei alla fine vollero punire il bel gigante cacciatore per la sua
presunzione facendolo uccidere da uno scorpione, ma poi egli venne resuscitato
da Asclepio (il corrispondente greco del latino Esculapio, dio della medicina);
lo eliminerà definitivamente Diana, la dea della caccia, gelosa del rivale.
Alla fine Artemide, dea della natura selvaggia, lo porterà in cielo
sistemandolo dalla parte opposta a quella dell’animale che era riuscito ad
ucciderlo in modo che i due non si possano più incontrare. La bellissima
costellazione dello Scorpione appare molto bassa all’orizzonte nelle sere
estive e mostra fra le sue chele una stella dall’evidentissimo colore rosso
che fu battezzata Antares (ossia Anti-Ares, la rivale di Marte, il
pianeta rosso). fine |