LA MATERIA OSCURA FORSE NON ESISTE
1. QUANTA MATERIA NELL’UNIVERSO? La materia oscura è uno dei misteri più fitti
che da alcuni decenni tormenta gli astronomi di tutto il mondo. Esiste
veramente? E, se esiste, da cosa è costituita? L’idea che nell’Universo
debba esserci della materia non visibile nasce nei primi anni Trenta del secolo
scorso quando l’astronomo statunitense di origine svizzera Fritz Zwicky notò
che le galassie che formano il cosiddetto ammasso della Chioma di Berenice si
muovevano troppo in fretta per non disperdersi nello spazio. Le galassie facenti
parte di un ammasso, così come le stelle facenti parte di una galassia, possono
muoversi, ma non tanto da svincolarsi dalla forza gravitazionale che le
trattiene all’interno della struttura. Le leggi della fisica sono in grado di stabilire
quanta materia debba contenere un sistema per bilanciare i movimenti degli
elementi che lo compongono al fine di impedire la loro dispersione. Ebbene,
Zwicky calcolò che il materiale visibile nell’ammasso che stava studiando era
almeno 20 volte inferiore a quello che avrebbe dovuto essere per tenere il
gruppo compatto. Successivamente fu osservato un ammanco di
materia un po’ in tutte le grandi strutture che compongono il Cosmo: galassie,
ammassi e superammassi di galassie. Ciò convinse gli astronomi che
nell’Universo, nel suo complesso, dovesse esserci della materia non visibile
ma non si riuscì mai a capire di che tipo di materia potesse trattarsi. La
soluzione più semplice era quella di ritenere che ciò che non si vedeva fosse
materia comune semplicemente poco luminosa per poter essere osservata con gli
strumenti a disposizione, quindi avrebbe potuto trattarsi, ad esempio, di
pianeti, stelle nane, gas freddi, buchi neri e così via. Questi oggetti celesti
potrebbero effettivamente esistere ma non nella misura richiesta: si è
calcolato, utilizzando il modello cosmologico standard e alcune osservazioni di
dettaglio relative alla radiazione di fondo a 3K, che la materia ordinaria non
visibile potrebbe essere anche dieci volte superiore a quella visibile ma
tuttavia non ancora sufficiente per rappresentare la massa mancante. Al resto è
stato dato il nome di “materia oscura” sia per la natura ignota, sia per la
difficoltà che si incontrava nella sua individuazione. Essa avrebbe potuto
sussistere sotto forma di strutture subatomiche come quark e neutrini, o di
particelle esotiche, le cosiddette WIMPs (Weakly Interacting Massive
Particles), enti ad interazione debole previsti dalla teoria ma che i fisici
non sono mai riusciti ad individuare nella realtà. A peggiorare le cose di recente è stato avanzato
il sospetto che nell’Universo vi possa essere qualcos’altro oltre alla
materia ordinaria (luminosa e non) e a quella oscura a cui è stato assegnato il
nome provvisorio di “energia oscura” per gli effetti che sembra produrre
sulla massa complessiva dell’Universo. Il dubbio scaturisce dai dati raccolti
dalla cosiddetta missione BOOMERanG, acronimo di Balloon Observations Of
Millimetric Extragalactic Radiation and Geophysics. Si tratta di una
rappresentazione dello sfondo cosmico che mostra la distribuzione della materia
dell’Universo primordiale al momento della sua formazione, poco dopo il Big
Bang. Per ottenere questa immagine gli scienziati di vari paesi impegnati nella
ricerca si sono serviti di un telescopio sensibile alle microonde sistemato su
un pallone sonda in volo a 40 kilometri di quota nei cieli dell’Antartide. Il
risultato del loro lavoro suggerisce che nell’Universo dovrebbe esserci
materia in quantità tale da rendere lo spazio piatto. Vediamo di cosa si
tratta. L’espansione cosmica susseguente al Big Bang è
sempre decelerata a causa della attrazione gravitazionale fra gli oggetti
massicci che compongono l’Universo ma l’entità del rallentamento dipende
dalla quantità di materia in esso contenuta. Se la materia fosse molto
abbondante essa frenerebbe più o meno rapidamente la spinta espansiva fino a
costringere il Cosmo a contrarsi, mentre se fosse molto scarsa, il Cosmo stesso
sarebbe destinato ad un’espansione indefinita. Ebbene, i dati disponibili
indicano che la materia presente non è né troppa né troppo poca ma in quantità
adeguata da lasciare prevedere un rallentamento lento e graduale
dell’espansione fino a ridursi a zero. Per analogia, nel primo caso possiamo
pensare ad un razzo che dopo essere salito in cielo torni indietro attratto
dalla gravità terrestre, nel secondo caso ad un razzo molto veloce che,
insensibile al richiamo gravitativo, si allontani indefinitamente dalla Terra e
nel terzo caso ad un razzo che, raggiunta una certa altezza, si fermi. Ora, se lo spazio appare piatto ciò vuole dire
che nell’Universo è contenuta una precisa quantità di materia di cui quella
comune formata da atomi costituiti da protoni, neutroni ed elettroni è solo una
minima parte mentre l’insieme della materia oscura e dell’energia oscura
dovrebbe rappresentare addirittura il 96% del totale. Ricapitolando, nell’Universo la materia
visibile composta dai normali elementi chimici è appena lo 0,5% del totale; un
altro 3,5% sarebbe dato da materia dello stesso tipo ma non luminosa; a ciò si
deve aggiungere un 26% di materia oscura esotica e un altro 70% della cosiddetta
energia oscura. Prima di procedere vediamo di capire meglio cosa è l’energia
oscura. 2. ENERGIA OSCURA Negli ultimi anni del secolo scorso una serie di
osservazioni eseguite con strumenti molto sensibili ha convinto i cosmologi che
la materia normale e quella oscura corrispondono ad appena un terzo di tutto
quello che dovrebbe esserci nell’Universo. Quello che manca, come abbiamo
detto, è stato chiamato “energia oscura” e rappresenterebbe una forma di
energia, non si sa bene da cosa originata, ma con una proprietà piuttosto
originale: la sua gravità non attrae ma respinge, con la conseguenza che
l’Universo invece che rallentare, come dovrebbe, sta accelerando la sua
espansione. L’idea che possa esserci una forma di energia
che si oppone alla gravità non è nuova: nel 1917, dopo la formulazione della
sua teoria della relatività generale che prevedeva un modello di Universo in
contrazione a causa della mutua attrazione gravitazionale esercitata dalle masse
presenti in esso, nella convinzione (fra l’altro condivisa dalla maggior parte
degli scienziati del tempo) che fosse fisso e immutabile, Albert Einstein si
inventò una forza antagonista che chiamò costante cosmologica la quale
avrebbe avuto la funzione di opporsi alla gravità fino al punto di rendere
statico l’Universo. L’osservazione della fuga delle galassie (il famoso red
shift) osservata per la prima volta da Edwin Hubble nel 1929 costrinse
Einstein a ripudiare la sua idea definendo quell’artifizio il più grave
errore della sua vita. Forse però quell’intuizione non fu un errore
visto che i cosmologi non hanno mai smesso di pensare ad una qualche forma di
energia che si opponesse a quella gravitazionale. Ora, se il valore della
costante cosmologica ideata da Einstein fosse solo un po’ più grande di
quanto è necessario per fermare la naturale contrazione dell’Universo, esso
supererebbe quello conseguente all’attrazione della materia e l’Universo,
invece che immobile come cercava di rappresentarlo il fisico tedesco, sarebbe in
accelerazione come in effetti sembrano indicare le recenti misure eseguite su
particolari stelle presenti in galassie molto lontane. La repulsione
gravitazionale risolverebbe fra l’altro anche il problema dell’età
dell’Universo che in seguito ad alcuni calcoli fondati sulle misure della
velocità di espansione e sul suo graduale rallentamento sarebbe di soli 12
miliardi di anni mentre vi sono prove che alcune stelle sono vecchie di 15
miliardi di anni. Ammettendo un aumento della velocità di espansione, l’età
dell’Universo sarebbe in accordo con quella dei corpi celesti che contiene. Ma da che cosa potrebbe essere costituita questa
misteriosa energia oscura? Gli astrofisici all’inizio avevano pensato ad una
specie di energia del vuoto distribuita in modo uniforme nel tessuto stesso
dell’Universo e presente anche quando da esso fosse stata tolta ogni cosa.
Questa forma di energia è prevista dalla meccanica quantistica (la teoria che
spiega il comportamento delle particelle subatomiche) ed è la stessa invocata
dal principio di indeterminazione di Heisenberg per fare emergere dal nulla
coppie di particelle virtuali. Ogni forma di energia, come suggerisce la
celeberrima equazione di Einstein (E=mc²), ha massa e quindi ha un effetto
gravitazionale su ciò che le sta intorno solo che, nel caso dell’energia del
vuoto, questo effetto è opposto a quello della materia la quale, come si sa,
attrae e quindi rallenta l’espansione. Naturalmente l’attività di
accelerazione nell’Universo primordiale avrebbe dovuto essere minima per non
interferire con la formazione di stelle e galassie che in caso contrario non si
sarebbero potute formare ma in seguito, dopo il lungo periodo di rallentamento,
conseguente alla gravità prodotta dalla materia ordinaria ancora molto densa,
l’energia del vuoto avrebbe preso il sopravvento sull’altra e l’Universo
avrebbe cominciato ad accelerare l’espansione. Attualmente, oltre all’energia del vuoto, i
cosmologi pensano anche a qualche cosa di diverso che hanno chiamato
“quintessenza” con chiara allusione al quinto elemento di Aristotele:
quell’etere splendente ed eterno che avrebbe costituito i corpi celesti
perfetti (gli altri quattro elementi, quelli che costituivano il nostro pianeta
corrotto e imperfetto, erano terra, acqua, aria e fuoco). La quintessenza
sarebbe quindi una quinta forza da aggiungersi alla gravitazionale,
all’elettromagnetica, alla forte e alla debole che interagisce con la materia
ed evolve nel tempo aumentando gradualmente di intensità.
Non sappiamo esattamente di cosa si tratti ma
sappiamo che la quintessenza è un tipo di materia con proprietà radicalmente
opposte a quelle della materia ordinaria e anche di quella oscura le quali, se
ad esempio venissero immesse in un palloncino, tenderebbero a gonfiarlo; se
nello stesso palloncino venisse invece racchiusa la quintessenza, questa
tenderebbe a sgonfiarlo. La quintessenza è infatti caratterizzata da pressione
negativa la quale darebbe luogo, spiegano i fisici, a “gravità repulsiva”
ossia ad una forza che, come abbiamo detto, allontana i corpi invece che
avvicinarli. La quintessenza sembra essere favorita nel ruolo di
energia oscura perché evolve nel tempo accrescendo gradualmente la sua
efficacia mentre l’energia del vuoto è inerte e mantiene sempre la stessa
densità. Ora, poiché la quintessenza produce una diversa accelerazione cosmica
rispetto all’energia del vuoto, accurate misurazioni da effettuarsi con
rilevatori di recente costruzione sulla luminosità di alcune supernove
sistemate su galassie molto lontane potranno decidere in favore dell’una o
dell’altra. Per le osservazioni si è scelto un tipo particolare di supernove
estremamente brillanti (il loro splendore assoluto è 4 miliardi di volte
superiore a quello del Sole) proprio per poter essere osservate a grande
distanza da due osservatori di nuova concezione posti l’uno in orbita e
l’altro a terra. Le supernove sono corpi celesti che rappresentano
il residuo dell’esplosione di stelle gigantesche e gli astrofisici hanno le
prove che la luminosità intrinseca (luminosità assoluta) di un tipo
particolare di supernova, indicato con la sigla Ia, hanno tutte la stessa
luminosità al momento dell’esplosione. Quindi, dalla luce che si riesce a
captare (luminosità apparente) si può risalire alla distanza a cui si trova la
stella e di conseguenza al tempo in cui si è formata: in un Universo in
espansione uniforme da quelle lontane dovrebbe arrivare poca luce, mentre quelle
vicine dovrebbero apparire più luminose. Pochi anni fa gli astronomi avevano
invece osservato che alcune supernove di tipo Ia apparivano meno luminose di
quanto avrebbero dovuto essere in funzione della loro distanza non eccessiva. Al
contrario, la supernova 1997 ff, esplosa 11 miliardi di anni fa, e scoperta di
recente, appariva molto più luminosa del previsto. In pratica le osservazioni
mostravano che le supernove più vicine dovevano trovarsi più lontane del
dovuto e quella più lontana più vicina del dovuto.
Questa osservazione anomala si può spiegare ammettendo che l’Universo
nei suoi primi periodi di vita rallentò la sua espansione per effetto della
forza di gravità che doveva essere molto intensa a causa della presenza di
materia molto concentrata e densa, mentre successivamente diradandosi la materia
prese il sopravvento la gravità repulsiva che determinò una notevole
accelerazione dell’Universo. 3. IDEE ALTERNATIVE ALLA MATERIA OSCURA
Dopo tanti e inutili sforzi per il suo rilevamento infine gli astronomi
si sono convinti che la materia oscura potrebbe anche non esistere. La presenza
di questa enorme massa di materia non visibile si spiegherebbe infatti
ammettendo la validità delle attuali leggi della fisica ma se queste leggi non
fossero vere in ogni luogo o se non fossero state sempre le stesse nel corso
della lunga storia evolutiva dell’Universo, si potrebbero giustificare le
anomalie sul moto di stelle e galassie anche facendo a meno della materia
oscura.
Basterebbe ad esempio modificare in modo opportuno le leggi di Newton che
riguardano la gravitazione e la relazione che intercorre fra forza e
accelerazione (secondo principio della meccanica) e il problema della materia
oscura sarebbe eliminato. Non si tratterebbe di un cambiamento così
sconvolgente come si potrebbe pensare: in fondo non è la prima volta che i
fisici mettono le mani su alcune leggi fisiche fondamentali senza che qualcuno
si scandalizzi per questo. Una prima modifica delle leggi di Newton fu
necessaria quando ci si rese conto che per descrivere il movimento
dell’elettrone intorno al nucleo atomico serviva una nuova meccanica in quanto
quel movimento non poteva essere descritto utilizzando le stesse leggi che
spiegano il moto di un sasso lanciato con una fionda o quello dei pianeti
intorno al Sole. Successivamente Einstein adattò la dinamica newtoniana alle
sue teorie della relatività: in quella ristretta il fisico tedesco alterò la
seconda legge di Newton e in quella generale la legge di gravitazione
universale. Ora si ritiene che le stesse leggi di Newton
sarebbero ulteriormente modificabili perché si è scoperto che
l’accelerazione all’interno dei sistemi galattici è di molti ordini di
grandezza inferiore a quella che agisce sui corpi a noi più vicini. Questa
osservazione convinse il fisico israeliano Mordehai Milgrom che nel caso di
un’accelerazione molto ridotta rispetto al normale risultava alterata la
relazione che intercorre fra forza e accelerazione. La seconda legge di Newton
stabilisce che la forza F che agisce su un corpo di massa m è
direttamente proporzionale all’accelerazione a (F=m·a), ma
quando l’accelerazione è molto piccola la forza diventerebbe proporzionale al
quadrato dell’accelerazione. Ora, se la forza che agisce sui corpi materiali
è quella gravitazionale, l’accelerazione osservata nelle galassie e fra le
galassie dovrebbe essere prodotta da una minore quantità di materia. In questo
modo si verrebbe ad eliminare la necessità di una aggiunta di materia oscura
negli spazi cosmici. Vediamo di applicare questa ipotesi alla nostra
galassia. In essa il grosso della materia è concentrato al centro e quindi in
base alla dinamica newtoniana si dovrebbe osservare un movimento più lento
delle stelle sistemate alla periferia rispetto a quelle più interne in analogia
con quanto succede nel sistema solare dove i pianeti più esterni girano più
lentamente di quelli interni. Nella nostra, ma anche in tutte le altre galassie
a spirale, si nota invece un fatto anomalo e cioè che da una certa distanza dal
centro in poi invece che diminuire progressivamente, la velocità delle stelle
rimane costante. Per spiegare questa anomalia si è supposto che alla periferia
della galassia esista una significativa quantità di materia non luminosa in
grado di compensare la diminuzione della velocità osservata. Lo stesso
risultato si otterrebbe però accettando l’ipotesi che la forza necessaria per
impartire una certa velocità alle stelle sia inferiore a quanto richiesto dalla
dinamica newtoniana. Ma l’alternativa più promettente e audace alla
materia oscura potrebbe essere la teoria della variabilità della velocità
della luce. Le teorie cosmologiche più accreditate, a cominciare da quella
dell’inflazione, si basano sul convincimento che alcune grandezze fisiche
abbiano avuto sempre lo stesso valore. Fra queste vi è la velocità della luce
una costante che non è mai stata messa in dubbio anche perché sta alla base
della relatività ristretta, una teoria che ha resistito egregiamente a tutti i
tentativi di falsificazione. La teoria dell’inflazione incontrò subito il
favore degli astronomi perché risolveva una quantità di problemi che il
modello standard del Big Bang non riusciva a spiegare. Fra questi vi erano la
geometria piatta dell’Universo e la sua straordinaria omogeneità. Vediamo di
cosa si tratta. L’attuale ritmo di espansione ci consente di
determinare, estrapolando a ritroso, le dimensioni che doveva avere l’Universo
nel passato. Ad esempio si scopre che quando esso aveva un secondo di vita le
sue dimensioni erano quelle di una sfera con un raggio di un anno luce (10.000
miliardi di kilometri), ma la luce nello stesso lasso di tempo poteva percorrere
la distanza di solo un secondo luce cioè 300.000 km. In base a questi dati ci
si chiese come faceva quell’Universo del passato a risultare estremamente
omogeneo ed isotropo quindi ad esempio con la stessa temperatura e densità e
con la stessa composizione chimica in ogni luogo. La luce è infatti il modo più
veloce che esista per scambiare informazioni ma a quella velocità non poteva
avere avuto il tempo per mettere a contatto tutte le parti di quell’immenso
Universo e renderlo omogeneo. Il sistema escogitato per aggirare il problema era
quello di immaginare una forte espansione dello spazio. Se all’inizio della sua storia, mentre la
luce viaggiava alla velocità di 300.000 kilometri al secondo, l’Universo si
fosse espanso, dopo un secondo la luce avrebbe percorso più di 300.000 km. Per
analogia si può considerare un’automobile che viaggia a 100 kilometri
all’ora: dopo un ora avrà percorso 100 kilometri, ma se nel frattempo la
strada si fosse allungata come un elastico, è chiaro che dopo un’ora la
nostra automobile avrebbe percorso più di 100 kilometri. La teoria
inflazionaria postula proprio questo e cioè che l’Universo primordiale si sia
espanso in misura tale che regioni a prima vista disgiunte in realtà siano
state in connessione durante l’espansione inflazionaria in modo da raggiungere
tutte insieme la stessa temperatura, la stessa densità e la stessa
distribuzione della materia prima di trovarsi di nuovo separate alla fine
dell’espansione esponenziale.
Lo stesso risultato si otterrebbe però immaginando che in quei tempi
lontani la luce procedesse a velocità maggiore. Se infatti quando l’Universo
aveva un secondo di vita la luce avesse viaggiato alla velocità di 10.000
miliardi di kilometri al secondo invece che 300 mila, essa avrebbe potuto
percorrere l’Universo in lungo e in largo connettendo anche le parti più
lontane di esso e renderlo nel complesso uniforme.
La teoria della variabilità della luce presenta però un dettaglio non
trascurabile che è costituito dalla mancanza assoluta di prove. Per il momento
abbiamo solo la prova che nell’ultimo miliardo di anni la velocità della luce
non è cambiata. Cosa sia successo prima di quella data non solo non lo sappiamo
ma non sarà nemmeno facile individuare misure e osservazioni che ci possano
fornire qualche informazione affidabile. fine |