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Roma vista da grandi scrittori
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Alberto Moravia
 Autore: Carlo Levi
 Titolo: Ritratto di Alberto Moravia,1932

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"La ciociara"

Pierpaolo Pasolini
Lo scrittore di "Ragazzi di vita", il poeta delle periferie romane



2004: Ricordo di Elsa Morante; il comune di Roma ha posto questa targa ricordo a Via Vespucci,
a Testaccio, dove è vissuta la grande scrittrice



Elsa Morante LINKS:

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immagini tratte da Roma Virtuale 

TRILUSSA - poesie inviate da Mario Barelli (Roma)

LA NINNA-NANNA DE LA GUERRA (Trilussa, 1914)



Ninna nanna, nanna ninna,

er pupetto vò la zinna :
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
Che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
Che se regge co’ le zeppe,
co’ le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.

Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili…

Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza…
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.

Ché quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe’ li ladri de le Borse.


Fa’ la ninna, cocco bello,

finché dura ‘sto macello:
fa’ la ninna, ché domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So’ cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.

E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe’ quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

ottobre 1914

     note:
  zinna =  La poppa.
  Farfarello =  Il diavolo.
  Gujermone = Guglielmo II.
  Ceccopeppe=Francesco Giuseppe.



Maggio 2003 -
Piazza Trilussa (Trastevere, Roma)
 La statua del poeta e la bandiera della pace (segno dei tempi...)
 

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LA VIOLETTA E LA FARFALLA
(TRILUSSA)


Una vorta, ‘na Farfalla
mezza nera e mezza gialla,
se posò su la Viola
senza manco salutalla,
senza dije ‘na parola.
La Viola, dispiacente
d’esse tanto trascurata,
je lo disse chiaramente:
-Quanto sei maleducata!
M’hai pijato gnente gnente
Per un piede d’insalata?  
Io so’ er fiore più grazzioso,
più odoroso de ‘sto monno,
so’ ciumaca e nun ce poso,
so’ carina e m’annisconno.
Nun m’importa de ‘sta accanto
a l’ortica e a la cicoria:
nun me preme, io nun ciò boria:
so’ modesta e me ne vanto!
Se so’ fresca, per un sòrdo
vado in mano a le signore;
appassita, so’ un ricordo;
secca, curo er raffreddore…
Prima o poi so’ sempre quella,
sempre bella, sempre bona:
piacio all’ommini e a le donne,
a qualunque sia persona.
Tu, d’artronne, sei ‘na bestia,
nun capischi certe cose…-
La Farfalla j’arispose:
-Accidenti, che modestia!


NOTE:
piede=cesto
ciumaca=avvenente





L’ELEZZIONE DER PRESIDENTE
(TRILUSSA)


 Un giorno tutti quanti l’animali
sottomessi ar lavoro
decisero d’elegge un Presidente
che je guardasse l’interessi loro.
C’era la Società de li Majali,
la Società der Toro,
er Circolo der Basto e de la Soma,
la Lega indipendente
fra li Somari residenti a Roma;
e poi la Fratellanza
de li Gatti soriani, de li Cani,
de li Cavalli senza vetturini,
la Lega fra le Vacche, Bovi e affini…
Tutti pijorno parte all’adunanza.
Un Somarello, che pe’ l’ambizzione
de fasse elegge s’era messo addosso
la pelle d’un leone,
disse: - Bestie elettore, io so’ commosso:
la civirtà, la libbertà, er progresso…
ecco er vero programma che ciò io,
ch’è l’istesso der popolo! Per cui
voterete compatti er nome mio. -
Defatti venne eletto proprio lui.
Er Somaro, contento, fece un rajo,
e allora solo er popolo bestione
s’accorse de lo sbajo
d’avé pijato un ciuccio p’un leone!
-Miffarolo! - Imbrojone! - Buvattaro!
-Ho pijato possesso:
-disse allora er Somaro - e nu’ la pianto
nemmanco se morite d’accidente.
Peggio pe’ voi che me ciavete messo!
Silenzio! e rispettate er Presidente!

NOTE
miffarolo=bugiardo
buvattaro=chi inventa o spaccia fandonie
nu la pianto=non smetto

L’OMO E LA SCIMMIA
(TRILUSSA)


L’Omo disse a la Scimmia:
-Sei brutta, dispettosa:
ma come sei ridicola!
Ma quanto sei curiosa!

Quann’io te vedo, rido:
rido nun se sa quanto!…
La Scimmia disse: - Sfido!
T’arissomijo tanto!


NOTE:
curiosa=buffa



Maggio 2003 - Piazza Trilussa (Trastevere, Roma)


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Giuseppe Gioacchino Belli, Trilussa, Cesare Pascarella...

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Le poesie di Mario Filippi

"Pensieri su Roma"
(di Gilla -Germania- e Letizia)

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Caro Stefano , abbiamo scovato un simpatico signore che attraverso il dialetto romanesco riesce a distillare originali riflessioni filosofiche. Le poesie sono inedite. Ci faresti cosa gradita a pubblicarle. Scegli tu la sezione più adatta. L' autore è Massimo Loria, un giovanotto di 80 anni.

BRUNO & CLAUDIA


          Poesie di Massimo Loria

ASTRONOMIA
 
Penzate si la tera, senza gente
fusse stata 'na specie de priggione
indove l'artri monni, a punizzione
ce mannorno li peggio delinquenti !
 
Se spiegherebbe, senza vie traverse
e senza dubbi della verità
quello c'avvenne mijoni d'anni fa'
quanno vennero razze assai diverze.
 
Cusì ce so' li gialli, i bianchi, i neri ;
ce stanno quelli arti e quelli bassi,
quelli secchi arabbiati e quelli grassi,
quelli fasulli e quelli più sinceri.
 
Cambia er quozziente dell'intelligenza;
diverzi so' i colori de la pelle,
ma le molecole no, so' sempre quelle
co n'artissima dose de violenza.
                 ------
Semo l'unica specie intelligente
che fa le guere ; e manco se ne pente!!
 

              ER TEMPO...

 
...Si è passato, ormai svanì,
nun risponne più all'appello;
 
si è futuro, ha da venì
e nun sai si è brutto o bello;
 
si è presente, già sta qui
pe volà come n' ucello.
 
             Che d'è er tempo? E' 'na salita,
             un ricordo che svanisce,
             un momento che sparisce,
             'na speranza c'aricchisce
             l'illusione de la vita.-

 

ù

Le poesie di Zi' Checco
Franco Forte

                       ROMANITA'


                Nu'  esse  nato  a  Roma  nè  vergogna,
                è  solo  un  brutto  scherzo der  destino,
                è  come  a quello  che  je  viè  la  rogna,
                puro  si  s'è  lavato  l'intestino.

                Mi  padre  a  mè  nun  m'à  lassato  gnente,
                però, riposi  in  pace  in  sempiterno,
                quanno  ce  penso  l'aringrazzio  a mente,
                m'à  fatto  nasce  quì e sò  contento.

                E  tutti  l' artri ? e  tutti  l' artri, ciccia,
                vordì  che s'accontenteno  de  stacce,
                è  puro  troppo  facce  da  pelliccia,
                co  quelle  parlantine  e  quelle  facce.

                E'  già  'n  onore  de  potè  gustalla,
                puro  si  'n sò  capaci  de  capilla,
                je  sarta  all' occhi  quello  che  stà a galla,
                ma  tutt'er  mejo è  robba  da  sibilla.
 
                Vordì  che  quanno  serve  je  spiegamo,
                je  dimo  quello c'amo  respirato,
                come  se  stava, come  campavamo
                arimpiagnenno  quello  ch'è  passato.

                Però  mò  damo 'n  tajo a stì  lamenti,
                cianno  der  pianto  dell'incappucciati,
                de  esse  nati  quì  semo  contenti ?
                e  allora  abbasta !  semo  fortunati !
            
                  ZI  CHECCO
                    


         ER  CAVALLO  FILOSOFO

      Li  du  cavalli  neri  come  un  tizzo,
      co  li  pennacchi  in  testa  da  carubba,
          ar  passo  o  ar  trotto  vanno  via  in"pizzo",
                     li  vetturini  co'  lucerna  e  giubba.              
     
      La  messa  và  avanti  da  un  pochetto
      e  er  morto  stà  in  mezzo  a  la  navata.
      Quello  de  destra  all' antro: "di  a  moretto
      ma  a  chi  la  famo  fa  la  passeggiata"?

      Ma'...pare  che  se  tratti  de'  un  poretto
      che  pe'  na' donna  ha  preso  na'  sbandata,
      pare  che  pe'  ssquadraie  culo  e  petto
      sia  ito  dritto  drento  a  na' vetrata.

      Certo  però  che  l' ommini  s'ò  allocchi
      perchè  nun  fanno  come  famo  noi
          che  annamo  sempre  in  giro  coi  parocchi !     
      
                  ZI  CHECCO



POESIE DI PIPPO CASTORANI

Sono un lettore del Suo sito, e Le sottopongo le poesie qui sotto riportate. Sono di Pippo Castorani (deceduto alcuni anni or sono) e raccolte da una sua persona cara, Raffaello Rodati, che mi ha chiesto di occuparmi della loro pubblicazione gratuita, in memoria di Pippo. Confido nella Sua sensibilità ed in una Sua cortese risposta. Grazie infinite per l'attenzione dedicata a me, all'amico Rodati ed al suo parente Pippo Castorina, autore delle poesie in romanesco.
Francesco Giovannini
 si dichiara che le poesie sono inedite, non ledono diritti di terzi, e sono autenticamente opera del solo Pippo Castorani. Grazie.


DIO NON CREO’ GUERRE

Quattr’omeni. Li grandi de’la Terra
attorno an’gran tavolo rotondo
credennose padroni de ‘sto monno
tutt’an botto dichiareno ‘na guerra.
Dicheno: la fanno perché semo minacciati!
Sacrificano qualche fijo de madre!
A quarcun’artro je levano er padre…
…er Popolo: mentre vojartri state rintanati!
Nojartri semo er nerbo der Paese!
Er nostro è ‘no sforzo de cervello!
Lavoramo de penna e de… cortello.
Er popolo? Gnente! Pagherà le spese.
‘Na madre piagne d’un pianto lento lento.
Un fijo aspetta er Padre che nun vedrà mai più.
Abbracciati stretti guarderò lassù
mentre li “grandi” già fanno er “monumento”.
Cari signori, la guerra nun è ‘n gioco!
Nun è mai stata “santa” e “giusta”.
Er Popolo de penà da mo’ ch’è stanco.
Nun ne po’ più de morte e fòco.
Ve dice questo: voi siete quattro pazzi!
Volete finì sui libri de’la Storia?
Volete esse baciati da’la Gloria?
Fate come l’Orazzi e li Curiazzi!
Scegnete giù ner campo a viso franco.
Fate l’eroi come hanno fatto loro.
Arricchitevi la testa co’ l’alloro.
Ma lassate in pace er Popolo. E’ stanco!
Lassate vive er monno dell’Amore.
(dicembre 1981)

MORTE D’UN GIUSTO

“Pentite fijo!”, diceva un prete
e n’omo che stava pe’ morì.
Dio è bono! Dio te vede!
Pe’ mannatte in cielo, che io me trovo qui!
De che me devo fa’ perdona’?
Rispose er moribondo:
“Da quanno che sto’ ar monno
n’ho fatto artro che piagne e tribbola’!
E s’è vero ch’esiste er paradiso
io ce lo so’, è lì ch’ho da fenì’,
de li dolori altrui, nu n’ho mai riso,
a mai niuno ho detto: “Levate da lì”!
E’ vero, qualche vorta bestemmiavo,
quanno la vita me diceva zella
o quanno lavoranno un dito m’acciaccavo,
e quanno m’ha lassato Nunziatella.
Era mi moje. Porella, se n’è ita.
L’unico bene che c’avevo ar monno.
Perciò, che me ne faccio de ‘sta vita?
Lasseme ‘n pace. Famme fa’ ‘sto sonno!
(maggio 1975)

ROMA CHE SPARISCE

Nun piagne core mio
vie’ da mamma
viemme ‘n’braccio, sangue mio
che t’ariscallo pure senza fiamma
e poi speramo che ce pensi Iddio.
Vedrai che Tata quarcosa porterà
che so’ io… ‘n’po’ de cicoria, du’ patate.
Por’omo, nun fa che tribbolà
pe’ sfama’ ‘ste pore disgraziate.
Aspetta, mo’ t’accénno er zoccoletto
così te passa pure la paura…
Madonna santa…oddio…che d’è ‘sto botto.
Fate morì ‘sta pòra creatura…
S’opre la porta… chi è? E’ Totarello,
mamma mia, c’ha le mani insanguinate,
da’la panza je penne quer cortello.
Marì… me costa… un ciuffo de cicoria e du’ patate.
(dicembre 1977)