CAPE HATTERAS LIGHTHOUSE

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CAPE   HATTERAS LIGHTHOUSE MAKES TRACKS - Traduzione dal NATIONAL GEOGRAPHIC MAGAZINE del MAGGIO 2000

Spostato di un chilometro per sfuggire all'avanzata dell'Atlantico un faro storico torna in vita

Testo di Angus Phillips
Foto di Karen Kasmauski

La carta nautica parla chiaro. "Non ci sono segnalazioni idrografiche per l'area delle secche di Diamond  (i famigerati Diamond Shoals) a causa della mutevolezza della zona. La navigazione..... è estremamente pericolosa per ogni tipo di imbarcazione". Eppure eccoci qui dentro a un guscio di scafo  di  peschereccio a mezzo miglio dal promontorio, sotto il profilarsi del  più famoso faro d'America, nel bel mezzo dei frangenti e delle insidiose secche che ha dato a questo luogo il suo lugubre soprannome di "Cimitero dell'Atlantico".
"Fila la lenza laggiù", dice John Robert Hooper che, in piedi in mezzo alla spuma pilota la sua barca costruita nel cortile di  casa del peso di 160 chili, dà gas al motore fuoribordo per aprirsi la strada tra le onde. "Vedi se riesci a far abboccare quello squalo". A Ovest, si solleva al di sopra delle onde  il faro di Capo Hatteras, a strisce nere e bianche come i dolci di zucchero, che  con i suoi quasi 64 metri è il faro in mattoni più alto del mondo, e con i suoi 130 anni di vita è una vecchia gloria della tradizione marinara americana. Il che non sembra impressionare più di tanto Hooper, che brontola: "Sta nel posto sbagliato". Il suo tono è polemico, ma la discussione si ferma lì perché un'albacora abbocca e la battaglia comincia.
Verso sera (siamo in agosto) abbiamo catturato una buona quantità di sgombri. Da poche settimane è stata portata a termine una delle operazioni di ingegneria più complicate e meglio riuscite del XX secolo. Il faro di Capo Hatteras, 4,4 milioni di chilogrammi di granito, mattoni, marmo, acciaio, ottone e bronzo, è stato spostato di 800 metri rispetto alla posizione in cui è sempre stato dai tempi della sua costruzione, subito dopo la fine della Guerra Civile americana.
Ora, l'implacabile risacca che minacciava di abbatterlo è più lontana di 500 metri. Il faro è al sicuro fra le querce nane e i pini, e in questa posizione, prima che il mare torni a insidiarlo, passerà almeno un secolo. Hooper possiede un motel accanto al vecchio insediamento del faro (il "Lighthouse View") e avrebbe preferito che il National Park Service continuasse nella sua opera di protezione della spiaggia, contrastandone l'erosione come ha sempre fatto negli ultimi decenni, con frangiflutti, sacchi di sabbia e sabbia di riporto. Molti dei suoi vicini sono d'accordo. Queste misure avrebbero protetto non solo il faro ma anche le altre strutture che si trovano sulla punta delle isole di barriera della Carolina del Sud, esposte all'azione del mare.
Invece è stata scelta la strada indicata già dieci anni fa dall'Accademia nazionale delle Scienze: impacchettare il faro e spostarlo più indietro facendolo scorrere su dei binari. In appena 23 giorni (e con una spesa di 11,8 milioni di dollari, pari a più di 23 miliardi di lire), nello stupore generale il lavoro era bello che finito. Raggiunto l'obiettivo con due settimane di anticipo sul previsto e senza il minimo incidente, alla fine dell'operazione lo spiazzo antistante il faro sembrava lo spogliatoio di una squadra che ha vinto la coppa del mondo, con una piccola folla di operai ben piazzati che sfoderavano sorrisi più larghi dei loro elmetti protettivi.
Nessuno era più felice di Pete Friesen, 78 anni, il progettista del sistema di sollevamento (un centinaio di sensibilissimi martinetti idraulici collegati a un computer) che ha tenuto dritta la torre mentre, spinta da cinque enormi pistoni idraulici, scorreva per 885 metri lungo binari d'acciaio posati sulla sabbia.
I tecnici della International Chimney Corporation di Buffalo (nello Stato di New York) e di una ditta specializzata in trasporti, la Expert Housemovers di Sharptown (Maryland) hanno spostato il faro su rulli d'acciaio lubrificati col sapone. E' andato tutto liscio. Tanto che Jerry Stockbridge, l'esperto che all'interno dell'edificio, col suo computer, controllava le oscillazioni, è dovuto uscire per verificare che fosse davvero in movimento.

Ma perché spostare il faro di Capo Hatteras ?  Se lo sono chiesto in molti. Di fatto, come aiuto alla navigazione non serve più a nulla. Oggi ci sono i sofisticati Gps (Globai positioning system) e le stazioni Loran. C'è anche un altro fanale, collocato 13 miglia al largo, che segnala l'inizio delle terribili secche. Un faro di mattoni sulla spiaggia non serve più a nessun navigatore. Rob Bolling, lo storico locale del National Park Service, prevede che fra pochi anni la costruzione sarà soltanto un museo e un monumento nazionale.
Per comprendere il significato di questo monumento, dice lo storico David Stick che vive a Kitty Hawk, bisogna fare un passo indietro al XIX secolo. Prima dell'esistenza delle ferrovie e delle autostrade, le navi da trasporto a vela avevano il loro bel da fare, con il buono o con il cattivo tempo, per doppiare Capo Hatteras, il promontorio più pericoloso di tutta la costa orientale, dove gli uragani scoppiano improvvisi e, d'inverno, i venti di Nord Est trasformano il mare in una tempesta di spuma, e le secche si allungano verso il largo come trappole mobili sottomarine.
A Capo Hatteras, la Corrente del Golfo corre verso Nord lungo la costa e sfiora l'estremità delle secche di Diamond per poi dirigersi verso l'Europa a una velocità di 4 nodi. Col vento in prua, le navi dirette a Sud, sfruttavano la spinta della corrente costiera del Labrador e bordeggiavano lungo la costa fino a Hatteras. Lì aspettavano, anche per giorni e giorni, che il vento girasse per poter evitare la Corrente del Golfo e quindi le secche.
I comandanti in attesa, di notte trovavano conforto nella luce intermittente del faro di Hatteras, e di giorno lanciavano volentieri un'occhiata alle sue strisce oblique, che lo distinguevano dal faro di Bodie Island a Nord (a strisce orizzontali) o dai rombi bianchi e neri del faro di Capo Lookout a Sud. Hatteras segnalava ai navigatori l'arrivo in prossimità delle secche di Diamond, dove i banchi di sabbia appena sotto la superficie si estendono anche per miglia dalla costa.
Con il cattivo tempo le navi erano investite da terribili frangenti. Dall'epoca della colonizzazione dell'America da parte degli inglesi, secondo la documentazione in possesso di Stick, sono andate perdute sugli "Outer Banks" almeno 600 navi. Altre stime, altrettanto fondate, porterebbero il totale a oltre 1000. I naufragi erano così frequenti che alla fine dell'Ottocento il Servizio di soccorso in mare degli Stati Uniti (predecessore dell'attuale guardia costiera) istituì presidi di controllo lungo gli Outer Banks ogni sei o sette miglia per avere sempre il controllo dell'area.
Subito dopo la Guerra Civile, un bravo capomastro del New England di nome Dexter Stetson venne mandato a sovrintendere alla costruzione del faro più importante d'America. "E chiaro che non si può costruire un edificio di mattoni sulla sabbia", dice Stick. "Eppure lui ci riuscì".
Dopo 130 anni il faro ha trovato una nuova sistemazione: ha ripreso il periodo di 7,5 secondi che lo distingue da altri fari. Ora si trova parecchio più all'interno, ma un po' più in alto, e il suo fascio di luce è visibile sul mare alla stessa distanza di prima (24 miglia nautiche). La gente viaggia per migliaia di chilometri per venire a visitarlo. Secondo i dati del Park Service, nei sei anni che hanno preceduto il trasferimento, i 257 gradini che conducono alla sua terrazza sono stati calpestati da oltre un milione di persone.
Nel 2000, il faro di Hatteras, tutto restaurato e di nuovo in funzione, accoglie gli ammiratori del nuovo millennio. Che arrivino via terra, come la maggior parte dei visitatori, o che lo guardino dal mare attraverso la spuma delle secche di Diamond, come fanno pochi coraggiosi che si avventurano sulle onde, potranno osservare un monumento che appartiene alla storia dell'America.
 

 

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