La Simona ama Pasquino; sono
insieme in uno orto; Pasquino si frega a'denti una foglia di salvia e muorsi; è
presa la Simona, la quale, volendo mostrare al giudice come morisse Pasquino,
fregatasi una di quelle foglie a'denti, similmente si muore.
Panfilo era della sua novella
diliberato, quando il re, nulla compassion mostrando all'Andreuola, riguardando
Emilia, sembianti le fe'che a grado li fosse che essa a coloro che detto aveano,
dicendo, si continuasse. La quale, senza al cuna dimora fare, incominciò:
Care compagne, la novella detta da Panfilo mi tira a doverne dire una in niuna
altra cosa alla sua simile, se non che, come l'Andreuola nel giardino perdè
l'amante, e così colei di cui dir debbo; e similmente presa, come l'Andreuola
fu, non con forza né con virtù, ma con morte inoppinata si diliberò dalla corte.
E come altra volta tra noi è stato detto, quantunque Amor volentieri le case de'nobili
uomini abiti, esso per ciò non rifiuta lo 'mperio di quelle de'poveri, anzi in
quelle sì alcuna volta le sue forze dimostra, che come potentissimo signore
da'più ricchi si fa temere. Il che, ancora che non in tutto, in gran parte
apparirà nella mia novella, con la qual mi piace nella nostra città rientrare,
della quale questo dì, diverse cose diversamente parlando, per diverse parti del
mondo avvolgendoci, cotanto allontanati ci siamo.
Fu adunque, non è gran tempo, in
Firenze una giovane assai bella e leggiadra secondo la sua condizione, e di
povero padre figliuola, la quale ebbe nome Simona; e quantunque le convenisse
colle proprie braccia il pan che mangiar volea guadagnare e filando lana sua
vita reggesse, non fu per ciò di sì povero animo che ella non ardisse a ricevere
amore nella sua mente, il quale con gli atti e colle parole piacevoli d'un
giovinetto di non maggior peso di lei, che dando andava per un suo maestro
lanaiuolo lana a filare, buona pezza mostrato aveva di volervi entrare.
Ricevutolo adunque in sé col piacevole aspetto del giovane che l'amava, il cui
nome era Pasquino, forte disiderando e non attentando di far più avanti,
filando, ad ogni passo di lana filata che al fuso avvolgeva mille sospiri più
cocenti che fuoco gittava, di colui ricordandosi che a filar gliele aveva data.
Quegli dall'altra parte molto sollicito divenuto che ben si filasse la lana del
suo maestro, quasi quella sola che la Simona filava, e non alcuna altra, tutta
la tela dovesse compiere, più spesso che l'altra era sollicitata.
Per che, l'un sollicitando e
all'altra giovando d'esser sollicitata, avvenne che l'un più d'ardir prendendo
che aver non solea e l'altra molto della paura e della vergogna cacciando che
d'avere era usata, insieme a' piaceri comuni si congiunsono. Li quali tanto
all'una parte e all'altra aggradirono che, non che l'un dall'altro aspettasse
d'esser invitato a ciò, anzi a dovervi essere si faceva incontro l'uno all'altro
invitando. E così questo lor piacere continuando d'un giorno in uno altro e
sempre più nel continuare accendendosi, avvenne che Pasquino disse alla Simona
che del tutto egli voleva che ella trovasse modo di poter venire ad un giardino,
là dove egli menar la voleva, acciò che quivi più ad agio e con men sospetto
potessero essere insieme. La Simona disse che le piaceva; e, dato a vedere al
padre una domenica dopo mangiare che andar voleva alla perdonanza a San Gallo,
con una sua compagna chiamata la Lagina al giardino statole da Pasquino
insegnato se n'andò. Dove lui insieme con un suo compagno, che Puccino avea
nome, ma era chiamato lo Stramba, trovò; e quivi fatto uno amorazzo nuovo tra lo
Stramba e la Lagina, essi a far de' lor piaceri in una parte del giardin si
raccolsero, e lo Stramba e la Lagina lasciarono in un'altra.
Era in quella parte del giardino,
dove Pasquino e la Simona andati se ne erano, un grandissimo e bel cesto di
salvia; a piè della quale postisi a sedere e gran pezza sollazzatosi insieme, e
molto avendo ragionato d'una merenda che in quello orto ad animo riposato
intendevan di fare, Pasquino, al gran cesto della salvia rivolto, di quella
colse una foglia e con essa s'incominciò a stropicciare i denti e le gengie,
dicendo che la salvia molto bene gli nettava d'ogni cosa che sopr'essi rimasa
fosse dopo l'aver mangiato. E poi che così alquanto fregati gli ebbe, ritornò in
sul ragionamento della merenda, della qual prima diceva. Né guari di spazio
perseguì ragionando, che egli s'incominciò tutto nel viso a cambiare, e appresso
il cambiamento non istette guari che egli perde la vista e la parola, e in
brieve egli si morì.
Le quali cose la Simona veggendo,
cominciò a piagnere e a gridare e a chiamar lo Stramba e la Lagina. Li quali
prestamente là corsi, e veggendo Pasquino non solamente morto, ma già tutto
enfiato e pieno d'oscure macchie per lo viso e per lo corpo divenuto,
subitamente gridò lo Stramba: - Ahi malvagia femina, tu l'hai avvelenato.
E fatto il romor grande, fu da
molti, che vicini al giardino abitavano, sentito. Li quali, corsi al romore e
trovando costui morto ed enfiato, e udendo lo Stramba dolersi e accusare la
Simona che con inganno avvelenato l'avesse, ed ella, per lo dolore del subito
accidente che il suo amante tolto avesse, quasi di sé uscita, non sappiendosi
scusare, fu reputato da tutti che così fosse come lo Stramba diceva.
Per la qual cosa presala, piagnendo
ella sempre forte, al palagio del podestà ne fu menata. Quivi, prontando lo
Stramba e l'Atticciato e 'l Malagevole, compagni di Pasquino che sopravenuti
erano, un giudice, senza dare indugio alla cosa, si mise ad esaminarla del
fatto; e non potendo comprendere costei in questa cosa avere operata malizia né
esser colpevole, volle, lei presente, vedere il morto corpo e il luogo e 'l modo
da lei raccontatogli, per ciò che per le parole di lei nol comprendeva assai
bene.
Fattola adunque senza alcuno
tumulto colà menare dove ancora il corpo di Pasquino giaceva gonfiato come una
botte, ed egli appresso andatovi, maravigliatosi del morto, lei domandò come
stato era. Costei, al cesto della salvia accostatasi e ogni precedente istoria
avendo raccontata, per pienamente darli ad intendere il caso sopravenuto, così
fece come Pasquino aveva fatto, una di quelle foglie di salvia fregatasi a'
denti.
Le quali cose mentre che per lo
Stramba e per lo Atticciato e per gli altri amici e compagni di Pasquino sì come
frivole e vane in presenzia del giudice erano schernite, e con più istanzia la
sua malvagità accusata, niuna altra cosa per lor domandandosi se non che il
fuoco fosse di così fatta malvagità punitore, la cattivella, che dal dolore del
perduto amante e dalla paura della dimandata pena dallo Stramba ristretta stava,
per l'aversi la salvia fregata a'denti in quel medesimo accidente cadde che
prima caduto era Pasquino, non senza gran maraviglia di quanti eran presenti. O
felici anime, alle quali in un medesimo dì addivenne il fervente amore e la
mortal vita terminare! E più felici, se insieme ad un medesimo luogo n'andaste!
E felicissime, se nell'altra vita s'ama, e voi v'amate come di qua faceste! Ma
molto più felice l'anima della Simona innanzi tratto, quanto è al nostro
giudicio, che vivi dietro a lei rimasi siamo, la cui innocenzia non patì la
fortuna che sotto la testimonianza cadesse dello Stramba e dell'Atticciato e del
Malagevole, forse scardassieri o più vili uomini, più onesta via trovandole con
pari sorte di morte al suo amante a svilupparsi dalla loro infamia e a seguitar
l'anima tanto da lei amata del suo Pasquino.
Il giudice, quasi tutto stupefatto
dello accidente insieme con quanti ve n'erano, non sappiendo che dirsi,
lungamente soprastette; poi, in miglior senno rivenuto, disse: - Mostra che
questa salvia sia velenosa, il che della salvia non suole avvenire. Ma acciò che
ella alcuno altro offender non possa in simil modo, taglisi infino alle radici e
mettasi nel fuoco.
La qual cosa colui che del giardino
era guardiano in presenza del giudice faccendo, non prima abbattuto ebbe il gran
cesto in terra, che la cagione della morte de' due miseri amanti apparve.
Era sotto il cesto di quella salvia
una botta di maravigliosa grandezza, dal cui venenifero fiato avvisarono quella
salvia esser velenosa divenuta. Alla qual botta non avendo alcuno ardire
d'appressarsi, fattale d'intorno una stipa grandissima, quivi insieme colla
salvia l'arsero, e fu finito il processo di messer lo giudice sopra la morte di
Pasquino cattivello. Il quale insieme con la sua Simona, così enfiati come
erano, dallo Stramba e dallo Atticciato e da Guccio Imbratta e dal Malagevole
furono nella chiesa di San Paolo sepelliti, della quale per avventura eran
popolani.