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Il punto di vista

La narrazione di Boccaccio non conosce ancora l'arte della focalizzazione interna o restrizione di campo, che si affermerà pienamente solo con la narrativa ottocentesca. Ma nelle novelle è egualmente ravvisabile qualche embrione di tale procedimento. In certi punti noi vediamo con il personaggio, cioè il punto di vista coincide con la sua percezione del reale, soggettiva e ristretta, soprattutto nei momenti di maggior tensione narrativa.

Nella finzione letteraria il ruolo del narratore è affidato ad Emilia, che, pur essendo esterna alla vicenda e onnisciente, lascia tuttavia trasparire il suo punto di vista in alcuni momenti della narrazione, come ad esempio nel passo: "O felici anime..". Nel racconto, pur toccando ai protagonisti la medesima sorte, quella di Simona è una presenza più significativa e drammatica in quanto al lutto, all'accusa e alla necessità della difesa si aggiunge la scelta obbligata del suicidio come unica prova di innocenza. Si tratta di un gesto che implica la consapevolezza della sua impotenza di fronte a un giudizio immotivato, frutto dell'accanimento dei personaggi che si mostrano in tutta la loro aggressività. Emilia (ovvero Boccaccio) partecipa al dramma di Simona sottolineandone l'innocenza e mettendo in cattive luce i personaggi maschili grossolani e impulsivi.

Questa scelta narrativa è congruente alle convinzioni del Boccaccio che non a caso dedica la sua opera alle donne, e che, erede di una tradizione culturale di derivazione cortese, privilegia la figura femminile dotata della capacità di amare, anche quando, come in questo caso, la inserisce in un contesto basso e popolare.

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Note

1. focalizzazione interna: si ha quando in una narrazione viene adottata la prospettiva di un dato personaggio

 Tempi e luoghi

Boccaccio sa fare uso sapiente del tempo narrativo. Di norma l'ordine dei fatti del discorso rispetta quello della storia, cioè fabula e intreccio coincidono, senza anacronie non è quindi su questo aspetto che egli punta, a differenza degli autori moderni.

Più significativo è invece il gioco sulla durata. Tra le varie novelle o anche all'interno della stessa novella, possono alternarsi narrazioni di tipo riassuntivo, in cui il tempo del discorso è minore del tempo della storia, e vere e proprie scene, in cui il tempo del discorso coincide sostanzialmente con quello della storia.

Anche gli ambienti e i paesaggi non sono oggetto di una descrizione fine a se stessa: Boccaccio ne richiama solo quel tanto che serve allo svolgimento dell'azione narrativa. Ma il più delle volte ambienti e paesaggi non sono affatto descritti: essi si costruiscono nella fantasia del lettore solo attraverso le azioni che vi compiono i personaggi. E' questo il caso della nostra novella, in cui il giardino teatro della tragedia non viene minimamente descritto. Queste scelte narrative di Boccaccio sono indicative della sua visione del mondo. Tale visione determina non solo la scelta della realtà da rappresentare, ma anche il modo di rappresentarla: al centro della concezione del Boccaccio vi è l'agire dell'uomo, la fiducia nella sua energia e nella sua capacità di istituire un dominio sul mondo esterno; per questo ogni aspetto della realtà interessa lo scrittore solo nella misura in cui entra nel raggio di questo agire umano.

Tempi

Siamo nella Firenze del Trecento dove era molto sviluppata la manifattura tessile: si fa riferimento infatti all'attività di filatura della lana. Pasquino, per conto di un maestro lanaiuolo, distribuisce la lana da filare a diverse ragazze, tra cui Simona. Non compaiono altre precisazione se non quella che si tratti di un giorno di festa: è citata esplicitamente "una Domenica dopo mangiare" e pertanto i protagonisti possono liberamente allontanarsi dalla città per stare insieme. La stagione non è indicata, ma è facilmente identificabile nella primavera o nell'estate dalle modalità della vicenda.

Per quanto riguarda la durata, l'azione sembra svolgersi nell'arco di una giornata, e senza interruzione, escludendo i tempi dell’ innamoramento descritti da Emilia all'inizio della novella, e quelli della sepoltura dei protagonisti cui si fa cenno alla fine.

Luoghi

Non troviamo una vera e propria descrizione della città, ma il fermento della vita quotidiana attraverso concreti riferimenti all'economia e alla società del tempo. La città è anche il luogo dei riti sociali: amministrazione della giustizia (palagio del potestà) e celebrazione del funerale (chiesa di San Paolo).

Al mondo cittadino dei doveri e dei riti si oppone quello extraurbano del riposo e del piacere: il giardino fuori porta San Gallo. Qui si danno appuntamento i protagonisti per il loro incontro d'amore. La scena si è trasformata dal "locus amoenus" delle novelle cortesi in un luogo concreto, sobriamente descritto, funzionale alle esigenze dei personaggi umili che voglioni qui consumare un momento d'intimità e una semplice merenda. Ad evitare il tono idilliaco intervengono diversi fattori: la tresca amorosa (amorazzo nuovo) tra lo Stramba e la Lagina e soprattutto il cesto di salvia che, da elemento di protezione per gli innamorati, si trasforma in strumento di morte.

Oggetti

Se nel Decameron si accumula una molteplicità di aspetti reali, non si riscontra però mai l'indugio gratuito a descrivere oggetti, per il puro gusto di rappresentare o di dipingere. Gli oggetti della realtà esterna non ricevono da Boccaccio un interesse per se stessi: hanno rilievo solo in quanto sono funzionali all'azione umana. Così è per il vino, le tovaglie bianchissime, i bicchieri "che d'ariento pareano" di Cisti fornaio, per la cassa di Landolfo Rufolo, per la penna di pappagallo di Frate Cipolla, ecc.. Così è anche per i pochissimi oggetti che s'incontrano nella nostra novella: la lana e il fuso, attrezzi del mestiere dei due giovani amanti, e il "grandissimo e bel cesto di salvia", le cui foglie provocheranno la morte dei due giovani. A questi possiamo forse aggiungere qualcosa che oggetto propriamente non è, cioè la "botta di maravigliosa grandezza" che, secondo la diceria di allora, avrebbe avvelenato il cespuglio con il suo fiato pestifero e che viene arsa in una "stipa grandissima" di legna.

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Note

1. durata: l'insieme dei fenomeni che si riferiscono alla relazione fra tempo della storia e tempo del discorso. Il primo può essere uguale al secondo, oppure maggiore o minore

2. locus amoenus: luogo naturale, riposante, protettivo, pieno di delizie

 I personaggi

Oltre ai protagonisti, Simona e Pasquino, compaiono sulla scena gli amici di Pasquino, Puccino detto lo Stramba, l'Atticciato, il Malagevole, Guccio Imbratta, la compagna di Simona, detta la Lagina, e il giudice.

L'ambientazione della novella ha caratteri inconsueti, perché per la prima volta Boccaccio rappresenta il "proletariato" urbano (i due protagonisti sono lavoratori salariati, dell'arte della lana); inoltre, questi protagonisti "bassi", totalmente estranei al modello cortese, vivono tuttavia una storia tragica. E' questo il modo scelto dall'autore per dimostrare che la forza naturale dell'amore può agire in qualsiasi ambiente.

La novità è segnalata e giustificata nelle considerazioni che la narratrice, Emilia, premette al racconto, e cioè che "Amor volentieri le case de' nobili uomini abiti", ma "non rifiuta lo 'mperio di quelle de' poveri"; Boccaccio ammette che la qualità dell'amore di Simona e Pasquino non sia inferiore a quella dell'amore tra personaggi socialmente elevati: tuttavia anch'egli propone il loro esempio come insolito, sottintendendo tacitamente che la povertà impedisce quella piena disponibilità di ogni energia fisica e morale che è condizione necessaria della passione.

L'amore e il destino tragico sottraggono i due giovani, e soprattutto Simona che è il personaggio di maggior rilievo, alla loro condizione sociale, esaltandone la vitalità e i sentimenti e quindi "nobilitandoli"; Boccaccio mette così in atto uno dei principi più importanti della sua dottrina d'amore: l'eguaglianza degli esseri umani in ciò che è bisogno naturale

Questo principio egualitario nelle cose d'amore non modifica tuttavia la sua valutazione della gerarchia sociale: per il ceto a cui Simona e Pasquino appartengono Boccaccio non ha alcuna simpatia, e lo dimostra rappresentando i loro amici e compagni in modo da metterne in luce la rozzezza, la volgarità, la potenziale violenza.

La distinzione introdotta fra la giovane innamorata e la sua classe sociale si manifesta anche nel linguaggio della novella: manca quasi del tutto il discorso diretto, con cui Boccaccio è solito caratterizzare socialmente e culturalmente i personaggi e che impiega spesso per riprodurre realtà comiche e popolaresche. L'unica battuta di discorso diretto attribuita allo Stramba, vuole soprattutto sottolonearne l'impulsività incontrollata e la grossolanità.

Perché l'opposizione sia più evidente, alla storia d'amore di Simona e Pasquino, si contrappone l'amorazzo dello Stramba e della Lagina. L'inferiorità morale e sociale del gruppo è messa in risalto non da connotati fisici, praticamente assenti e d'altronde abbastanza inusuali nel Boccaccio, ma dai nomignoli, dai comportamenti, e dalle allusioni alla loro condizione che l'autore fa durante la narrazione (scardassieri o più vili uomioni).

Il personaggio di Simona è introdotto con un generico accenno alla sua bellezza e leggiadria, in rapporto alla sua condizione di operaia, e con un più significativo cenno alla sua capacità d'amare (la capacità d'amare è il segno che distingue le donne "dilicate", per le quali l'autore dichiara di scrivere, dalle altre di cui non vale la pena di occuparsi).

Ma se Boccaccio attribuisce Simona una tale superiorità rispetto al suo ceto, perché ella non riesce a rendere la propria versione dei fatti in maniera comprensibile? Perché è costratta a ricorrere ad un gesto che le costerà la vita? "Inferiore socialmente e culturalmente all'interlocutore, non riesce a produrre il discorso formale che ci si attende da lei; in altre parole, il linguaggio fallisce nella sua funzione di sostituto simbolico dell'esperienza. Condotta sul luogo della disgrazia, Simona riproduce i gesti che non è capace di significare verbalmente, e muore come Pasquino: il Boccaccio ha colto in atto quello che oggi i linguisti chiamano codice ristretto, e ne ha fatto il motivo della morte della protagonista femminile, perché i limiti della comunicazione verbale di Simona sono la causa diretta della sua morte". (Bruni, 1990, pag.387)

Meno rilevato è il personaggio di Pasquino: di lui sappiamo solo il nome, il mestiere, e che doveva essere avvenente, se aveva risvegliato il desiderio di Simona. I due giovani, peraltro, si abbandonano alla passione non in modo animalesco e brutale, ma con grande naturalezza, discrezione e riserbo.

Nella novella in esame, come si è già detto, nessuno dei personaggi è descritto, e neppure parla in prima persona, ma tutti acquistano rilievo e connotati dalle loro azioni e dai loro stessi nomi, che, secondo un costume popolare sembrano riferirsi a caratteristiche fisiche o caratteriali (cfr. ad es. gli amici di Pasquino, lo Stramba, l 'Atticciato, il Malagevole).

Neppure il personaggio del giudice viene descritto fisicamente o parla in prima persona (escluso il momento in cui ingiunge di distruggere la pianta di salvia), ma è caratterizzato anch'egli dal suo modo di agire, che appare saggio e discreto.

Nella novella di Simona e Pasquino, poiché sarebbe fuorviante farli parlare nel loro linguaggio "basso", inadatto alla tragicità della vicenda, Boccaccio opta per il discorso indiretto, dando voce alla narratrice Emilia, interprete della vicenda dei due giovani.

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Note

1. Sono stati utilizzati liberamente inserti tratti da: Ceserani - De Federicis, Il materiale e l'immaginario, ed. rossa, vol. I, Loescher, Torino, 1995; Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, vol. I, Paravia, Torino, 1993

 La suspense

Questa ricerca si propone di individuare gli elementi della suspance nella novella di Simona e Pasquino, partendo dal presupposto che il fattore suspensepossa trovarsi in molte forme di narrativa, anche di alto livello letterario e storicamente anteriori al giallo, al thriller, all'horror, cioè ai generi istituzionalmente votati a perseguire gli effetti della suspense. "Concetti teorici avvicinabili a quelli moderni di suspense sono rintracciabili nella stessa Poetica di Aristotele". I meccanismi della suspense possono infatti essere considerati fondamenti di ogni narrazione che si ponga l'obiettivo primario di suscitare nel lettore il piacere della lettura; e questo, come sappiamo dal Proemio del Decameron, è lo scopo dichiarato del Boccaccio, confermato dalle parole della “reina” Pampinea nell'Introduzione.

Anche nella novella di Simona e Pasquino sono riconoscibili gli elementi della suspense, la cui presenza leggera è dovuta al fatto che, rispetto ai moderni scrittori del genere che privilegiano su ogni altro il fattore suspense, il Boccaccio si propone numerose altre finalità di scrittura, che investono varie e complesse.

Presenza "leggera", ma presenza. Infatti ritroviamo la sequenza tipica del testo di suspense:

Ma di quali enigmi si può parlare se l'intreccio è noto fin dall'inizio? Ci è infatti anticipata la tragica morte dei due giovani protagonisti sia, in parte, dalle parole introduttive di Emilia, sia, e con più precisione, dalla rubrica riassuntiva che il Boccaccio premette alla novella. Sappiamo anche che la morte verrà quando i giovani si sfregheranno una foglia di salvia sui denti. L'accusa infondata di un innocente (tipico elemento ritardante), l'inchiesta svolta dal detective - giudice, il sopralluogo, la morte di Simona e quindi la dimostrazione della sua innocenza, sono indubbiamente elementi riconducibili ai meccanismi del giallo, anche se è senz'altro anacronistico aspettarsi che il Boccaccio ne abbia fatto un uso consapevole. Questo effetto di curiosità e di sorpresa non è del tutto annullato dalla rubrica perché il lettore ignora in che modo si realizzeranno gli eventi preannunciati: quello che ignoriamo, e che quindi attendiamo con curiosità, è la definizione dei particolari.

Ci chiediamo inoltre:

  • qual è la causa del potere letale della salvia, all'origine delle due morti annunciate?

  • quale orribile maleficio è toccato al cespuglio da trasformarlo da protettiva fonte di riposo (salvia - salvezza) ad elemento di morte?

Nessun elemento, nel testo e neppure nella rubrica, ha preannunciato al lettore la scoperta di "una botta di maravigliosa grandezza" di cui si dice che, col "venenifero fiato", aveva avvelenato la pianta di salvia. L’effetto sorpresa è innegabile, ed è accresciuto da intenzionali scelte narrative, quali ad es. la descrizione dei preparativi e dei dettagli dell'incontro, leggibili come elementi ritardanti. Ma lo scioglimento dell'enigma non è per noi lettori moderni del tutto risolutore. Un altro enigma subentra al precedente: ma di che razza di rospo si tratta? I più informati di noi sanno che il rospo è fornito di ghiandole che in parte secernono un veleno contenente bufonina dall'azione fortemente irritante sulla pelle e sulle mucose. Niente di più. Ma in età medievale sul rospo correvano numerose credenze, determinate dalla sua azione velenosa e dal fatto di essere un animale prevalentemente notturno; si arrivò perfino a definirlo animale mortifero. A noi non rimane che constatare la distanza che ci divide dall'età dei bestiari e dei lapidari.

Queste credenze, altrove (Calandrino e l'elitropia) messe in dubbio dallo stesso Boccaccio, sono qui assunte per vere e contribuiscono a quella sensazione di eccesso e di surreale così diffusa nel realistico Decameron.

In questo caso l'effetto sorpresa è determinato dalla diversità dei codici culturali, quello dell'autore da un lato, e quello nostro, di moderni lettori, dall'altro.

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Note:

1. opera didattica medievale, in cui alla descrizione degli animali (spesso ricche di particolari strani o fantastici ma riportati con una certa vivacità) fa seguito un commento moralizzante. (Dizionario della lingua italiana Devoto Oli)

2. repertorio medievale, appartenente alla letteratura didascalica, in cui sono descritte le pietre preziose e le loro presunte proprietà curative. (Dizionario della lingua italiana Devoto Oli)