Narrativa
contemporanea nel segno del Bersagliere
PICCOLE STORIE - DIARI MINIMI
ROMMEL E GLI ITALIANI
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Da "La pista della Volpe/ The trail of the fox" (1977) di David Irving
pag 112 e segg .... |
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Il
5 marzo 1941 Rommel scriveva nel suo primo rapporto a Berlino
"L’antiaerea è costituita da vecchissimi Skoda da 75 mm. che risalgono
alla guerra 1914-18 (poteva aggiungere anche in mano a deficienti dopo
l'abbattimento di Balbo). Ho visto perfino dei mortai di bronzo,
antiquati già nell’esercito austro-ungarico (che lui conosceva bene dai
tempi di Caporetto). Gli apparecchi da ricognizione sono vecchi Caproni,
inermi e lenti, micidiali solo per chi ci vola… L’unica cosa viva è il
valore e il coraggio dei piloti; un nostro aviatore rifiuterebbe di
volare con certi apparecchi che qui, a ragione, chiamano “casse da
morto”. [...] I fucili italiani si chiamano “modello 91” perché
rimontano all’anno 1891. Gli italiani non possiedono mitra; i carri
armati da 3 tonnellate sono semplicemente ridicoli"
On May 22,
he takes this road in his Mammut to visit Herff and his troops. Hermann
Aldinger, his aide, writes that day a portrait of life in the Afrika
Korps: |
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versione originale in Inglese -
il testo completo in Pdf
- The trail of the fox"
http://www.fpp.co.uk/books/Rommel/Rommel_2005_web.pdf
traduzione a fianco
Un generale Inglese “ Quando noi davamo un ordine ai nostri reparti
poteva succedere qualche cosa o non succedeva niente. Quando Rommel
dava un ordine ai suoi reparti qualche cosa succedeva sempre, e
soprattutto succedeva subito “ |
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By
DAVID IRVING
Dopo giorni di duri combattimenti nel settore Sollum-Capuzzo, il generale quest'oggi si è recato nella zona, visitando
le truppe. Partiamo dal quartier generale all'alba,affrontando oltre 75
km di deserto senza strade né piste, passando tra macigni e cespugli
spinosi. Il veicolo comando rolla come se fossimo in alto mare e, per
quanto saldamente ci si aggrappi, si è sbattuti qua e là. Il generale e
io saliamo sul tetto del veicolo in cui si aprono tre botole, vigilando
tutt'attorno perché i velivoli nemici rappresentano una continua
minaccia. Convogli di camion, avvolti in nubi di polvere, si muovono
avanti e indietro; giorno e notte, i conducenti devono compiere il loro
dovere difficile e sempre rischioso: Il fronte è tutt'altro che
impermeabile, e qua e là s'aggirano veicoli corazzati e drappelli di
sabotatori nemici. Gli uomini scattano sull'attenti e poi acclamano il
generale, ben felici di udirlo parlare. Raggiungiamo la Via Balbia, che
dobbiamo percorrere per altri chilometri verso est. L'asfalto è pieno di
buche, alcune delle quali tanto profonde che una macchina potrebbe
affondarvi per metà. Ben presto, eccoci nel settore di Sollum, dove
abbiamo una conferenza dopo l'altra. Poi, però, il generale sente il
desiderio di incontrarsi con gli uomini che stanno faccia a faccia con
il nemico: deve parlare con loro, trascinarsi carponi fino alle loro
buche, trascorrere qualche istante con essi. E sul volto degli uomini si
dipinge una gioia genuina: finalmente questi soldati semplici hanno modo
di parlare con il loro generale e di riferirgli in merito ai duri
combattimenti che si sono svolti nel settore negli ultimi giorni. Il
terreno è di dura roccia, nella quale è impossibile scavare; i ripari
sono costituiti da mucchi di pietre sui quali viene disteso un telo da
tenda che assicura parziale riparo dal sole ardente. È per questo che i
soldati portano ben poco addosso, sovente null'altro che un paio di
calzoncini. l ragazzi sono neri come africani. Ci spostiamo da una
posizione all'altra: fanteria, artiglieria, reparti corazzati,
osservatori e via dicendo. Le vittorie difensive che abbiamo riportato
negli ultimi giorni sono fonte di grandi speranze per tutti i
combattenti. Pochi giorni prima della visita di Rommel, il colonnello
von Herff aveva inflitto una dura sconfitta agli inglesi. |
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After
days of tough fighting on the Sollum/Capuzzo front the general has today
paid a visit to this sector and called on the troops. We leave his
headquarters at dawn and set out over forty-five miles of roadless,
pathless desert across boulders and camel thorn shrubs. The ACV rolls
about as though we are on the high seas, and we are thrown about inside
however tight we hold on. The general and I climb up and sit on the roof
there are three exit
hatches on topand
keep a lookout on all sides, because enemy aircraft can be a real
menace. Convoys of trucks, swathed in clouds of dust, are moving hither
and thither. Day and night the drivers have to go about their arduous
and not unrisky duty, because the front is by no means closed and the
enemy’s armoured cars and sabotage units are also moving about. The
troops stand to attention and salute, and are delighted when the general
speaks to them. We reach the Via Balbia and have to go on more miles to
the east. The road is badly worn and there are potholes big enough to
swallow half a car. Soon we reach the Sollum front and we have one
conference after another. But then the general feels the urge to meet
the men actually face to face with the enemy, he has to speak with them,
crawl right forward to them in their foxholes and have a chat with them.
You can see the real pleasure on their faces, when these ordinary
soldiers are allowed to speak in person to their general and tell him
about the hard fighting here over the last few days. The ground is hard
rock, impossible to dig in; cover can only be made by heaping up rocks,
and a canvas sheet is stretched out over them to provide some shelter
from the scorching sun. This is why the soldiers don’t wear much eitheroften
just a pair of shorts. The lads are as brown as Negroes. And so we move
from position to position infantry, artillery, tanks, observers, etc.
Our victories over the last few days, and defensive successes, give them
all great hope.
When Rommel saw this front on May
22,
Colonel von Herff had just inflicted a crushing rebuff to the British. |
Scrisse Herff che, « quando Rommel venne a visitarci, mi disse che aveva
avuto una grande paura per noi e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per
aiutarci ». Un mese prima: Rommel gli aveva ordinato di adottare una
tattica « difensiva aggressiva e fluida», basata sull'infiltrazione di
reparti incursori molto alle spalle delle linee nemiche. Il colonnello
aveva rivelato grande iniziativa, sfruttando la prima tempesta di sabbia
per attaccare gli inglesi e impadronirsi di molti loro camion, aveva
fortificato le sue posizioni e addestrato accuratamente le sue forze
congiunte italo - tedesche di circa 6000 uomini. Per gli italiani non aveva che lodi: « Con la pazienza e l'energia, »
scrisse qualche settimana dopo « sono riuscito a far di loro utili e
valorosi soldati, capaci di resistere fino all'ultimo e di morire
impavidamente ». Era una vera fortuna, perché gli inglesi decisero di
sferrare un 'attacco appunto in quel settore con 55 carri della 7a
divisione corazzata (topi del deserto) e della 22a brigata delle Guardie
prima che la nuova Panzerdivision di Rommel, la 15a, potesse giungere
sul posto. Il colpo di maglio piombò sulle difese italo-tedesche il 15
maggio; almeno una decina dei carri inglesi
erano i temuti Matilda, invulnerabili ai cannoni anticarro tedeschi.
Sulla scorta delle radiointercettazioni, Rommel si era persuaso che si
trattasse di un tentativo britannico in grande stile per rompere
l'assedio di Tobruk, e pochi giorni dopo ammise che « la situazione era
sospesa a un filo ». Herff però prese la decisione opportuna, quella di
arretrare sotto la spinta iniziale dell'avversario, anche se questo
significava perdere terreno, per eseguire poi uno spostamento laterale
con ,il favore delle tenebre e sferrare un attacco improvviso contro il
fianco nemico il mattino successivo. Riferisce Herff: «Nel pomeriggio
del 15 maggio, avevo ripreso il controllo della situazione. Quella notte
mi ritirai con tutte de truppe tedesche e nelle prime ore del 16 lanciai
un attacco contro il fianco nemico con otto carri. La sera avevo
riconquistato tutto il terreno perduto, a eccezione del passo di Halfaya
» (ndr: i tedeschi quando perdono come nel caso dell’Halfaya fanno
ritirate strategiche). La prima battaglia di Sollum era stata molto dura
per Rommel, il quale inviò a Berlino una serie di nervosi messaggi, a
due o tre ore di intervallo l'uno dall'altro, che a seconda
dell'andamento dei combattimenti erano di tono adulatorio, implorante,
rassicurante, ammonitore, ansioso e infine trionfante quando Herff, con
l'aiuto di un battaglione dell'8° Panzerregiment, ebbe ristabilito la
situazione. Il nervosismo di Rommel per poco non significò la brusca
fine della sua carriera africana, già aduggiata dalle lettere di
protesta piovute a Berlino in seguito al massacro di Tobruk. Il
feldmaresciallo von Brauchitsch in persona gli inviò il 25 maggio un
radiomessaggio di sei pagine chiedendogli che d'ora in poi i suoi
fossero più « sobri» e « meno discontinui »: Rommel non doveva cadere in
preda allo sgomento quando il nemico lo prendeva di sorpresa. « Lei deve
evitare rapporti troppo ottimistici o troppo pessimistici sotto
l"influsso immediato degli eventi» ordinava Brauchitsch, e Rommel,
indispettito, dichiarò che il messaggio del comandante supremo era « un
enorme fuoco d'artificio, le cui ragioni mi restano del tutto oscure ». |
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(“Rommel told me when he visited us,” wrote Herff, “that he was scared
stiff for us as there wasn’t anything he could have done to help us.”)
Rommel had ordered Herff one month earlier to adopt an aggressive and
fluid defense, sending raiding parties far behind the enemy lines. The
colonel showed great initiative. He exploited the first sandstorm to
attack the British and steal their trucks. He dug positions. He trained
his joint German/ Italian force of some
6000
men.
For the Italians he had high praise: “With patience and energy,” he
recorded some weeks later, “I succeeded in making useful and brave
soldiers out of them; they held out to the end against the enemy and
knew how to die without fear.” This was just as well, because the
British decided to strike here with fifty-five tanks of the Seventh
Armoured Division and the Twenty-second Guards Brigade before Rommel’s
new panzer division, the Fifteenth, could arrive. The blow fell at dawn
on May 15. At least ten of the enemy’s tanks were the dreaded Matildas,
all but
impervious to the German antitank guns. It was obvious to Rommel from
the radio intercepts obtained by his intelligence staff that this was a
major enemy attempt at relieving Tobruk from the rear. He admitted a few
days later: “It hung by a thread.” However, Herff made the right
decision, to roll with the enemy’s initial punch although this meant
abandoning ground and then sidestep after dark to strike unexpectedly on
the enemy flank the next morning. Herff’s narrative continues: “By
afternoon [May 15 ) I had things under control again. I withdrew that
night with all the German troops and early on the sixteenth I struck
back with eight tanks into the enemy’s flank. By evening I had
recaptured all the lost ground except the Halfaya Pass.” This first
battle of Sollum had given Rommel a nasty fight, and he sent a string of
jumpy signals to Berlin at two- or three-hour intervals as it ebbed and
flowed, cajoling, beseeching, reassuring, warning, appealing and then
triumphing as Herff-aided by a battalion of the Eighth Panzer Regiment
restored the situation. Rommel’s nervousness nearly brought an abrupt
end to his African career, already under a cloud because of protest
letters reaching Berlin over the slaughter in Tobruk. Field Marshal von
Brauchitsch himself sent a six-page signal to him on May 25 demanding
that in the future the general’s signals be “sober” and show a “certain
continuity”: he was not to get rattled when the enemy threw surprises at
him. “You are to avoid reporting too optimistically or too
pessimistically under the immediate influence of events,” Brauchitsch
directed. Rommel petulantly dismissed the commander in chief ’s telegram
as “a colossal rocket, the reason for which is completely beyond me.” |
Fortunatamente per lui e per il suo prestigio il comandante del settore
di Sollum lanciò un contrattacco che si concluse con una cocente
sconfitta per gli inglesi. Questi avevano affidato la difesa del passo
di Halfaya alla 22a brigata delle Guardie; la sera del 26 maggio, Herff,
che poteva sempre contare sull'appoggio dell'8° Panzerregiment, decise a
favore di un attacco di sorpresa contro quella guarnigione per il
mattino successivo. «Entrammo in azione alle 4.30 [cioè alle prime luci]
del 27 maggio» riferì Herff « e alle 6.15 il passo era nelle nostre
mani. Gli inglesi fuggirono lungo la piana costiera, in direzione di
Sidi Barrani. Ci impadronimmo di un notevole bottino, soprattutto
artiglieria [nove pezzi], carri armati [sette Matilda, di cui tre in
perfetta efficienza] e i camion di cui avevamo tanto bisogno» Per la
reputazione di Rommel fu quel che ci voleva. Il comandante dell'Afrika
Korps compilò una risposta baldanzosa e tagliente al telegramma di
Brauchitsch: il testo non si trova negli archivi, ma con ogni
probabilità conteneva la minaccia di lavarsi le mani dell' Africa. Il 29
maggio, scrisse a Lucie (la moglie) con tono ironico: « Ho avuto una
grossa lavata di capo dal comando supremo dell'esercito, a mio giudizio
del tutto ingiustificata: questo è il ringraziamento per quanto ho fatto
finora! Non ho certo l'intenzione di lasciar perdere, e una lettera
diretta a von B. è già partita ». Qualche giorno dopo tornò
sull'argomento: «La mia discussione con il comando supremo è ancora
aperta. O hanno fiducia in me, o non l'hanno. E in questo secondo caso,
ho chiesto loro di tirare le debite conclusioni. Sono curioso di vedere
che cosa ne verrà fuori. È facile far la voce grossa per chi non si
trovi quaggiù a sudar sangue ». Nel Reich, la fama di Rommel stava
rapidamente crescendo, assiduamente alimentata dalla folla di
giornalisti e operatori cinematografici che egli aveva aggregato al
proprio Stato Maggiore. Non era affatto una mera coincidenza il fatto
che il suo primo aiutante, come il predecessore Karl Hanke, fosse il
tenente Alfred Berndt, alto funzionario del ministero della Propaganda
nazista. Trentaseienne, massiccio, i capelli ondulati e il colorito
olivastro, Berndt aveva l'andatura dondolante di un orso e un'anomalia
anatomica, un piede con sei dita. Colto e simpatico, cacciava il naso
dappertutto e aveva l'incarico di tenere il diario di Rommel. Anche
prima di essere aggregato allo Stato Maggiore dell'Afrika Korps come una
specie di « commissario» del Partito nazionalsocialista, si era rivelato
un hitleriano tenace e zelante. Aveva una franchezza addirittura
imbarazzante, che Rommel accettava senza proteste temendo altrimenti di
ferirne i sentimenti. In aprile, ad esempio, Berndt gli aveva scodellato
questo consiglio accompagnato da un sorriso sfacciato: «Mein lieber, se
fossi in lei non avanzerei troppo! ». In compenso, Berndt provvedeva ad
alimentare la leggenda di Rommel, e se bisognava dire ad AdoIf Hitler
qualcosa di poco piacevole, Rommel spediva a farlo Alfred Berndt, che
era un uomo coraggioso, come provò nel 1945, quando cadde in Ungheria.
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Fortunately
for his prestige, Rommel’s Sollum front commander now launched a
counterattack that proved a stinging blow to the enemy. The British had
left the Twenty-second Guards Brigade to garrison the Halfaya Pass. Late
on May 26 Herff, again supported by the Eighth Panzer Regiment, decided
to spring a surprise attack on this garrison next morning. “We rolled
into action at 4,30 [first light] on May 27,” Herff said, “and by 6,15
the pass was in our hands. The British took to their heels along the
coastal plain toward Sidi Barrani. We picked up a lot of booty, above
all artillery [nine guns], tanks [seven Matildas, including three in
working order] and the trucks we so badly need.” This was a useful boost
to Rommel’s reputation. He wrote a jaunty and aggressive reply to
Brauchitsch’s telegramthe reply is not in the files but it was clearly
a threat to shake the dust of Africa off his feet. He wrote Lucie
ironically on May 29: “I had a big rocket from the Army High Command to
my mind quite unjustified in gratitude for all we have achieved so far.
I’m not going to take it lying down, and a letter is already on its way
to von B.” A few days later he amplified on this: “My affair with the
High Command is still extant. Either they do have confidence in me, or
they don’t. And if they don’t, then I have asked them to draw the
appropriate conclusions. I’m curious to see what will come of that. . .
. Bellyaching is so easy if you’re not having to sweat things out here.”
In the Reich, Rommel’s fame was spreading assiduously fanned by the
corps of news- and cameramen he had attached to his staff. It was no
coincidence that his chief aide was, like his predecessor Karl Hanke,
one of the senior officials of the Nazi propaganda ministry: the
thirty-six-year-old Lieutenant Alfred Berndt. Burly, wavy-haired and
dark-skinned, Berndt had the lumbering gait of a bear and a
physiological odditysix toes on one foot. He was literate and
personable, poked his nose in everywhere, and was put in charge of
keeping the Rommel diary. Before joining Rommel’s staff as a kind of
Party “commissar,” he was already a tough, ambitious Nazi zealot. Berndt
had a brash frankness that Rommel readily accepted, fearing otherwise to
slight his feelings. In April, for instance, Berndt had advised him with
a cheeky grin: “Mein Lieber, I would not advance too far if I were you!”
In return, Berndt skillfully nourished the Rommel legend. And when
anything unpleasant needed saying to Adolf Hitler, then Rommel sent
Alfred Berndt, because he was a brave man. Berndt died proving it in
Hungary in 1945. |
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La relazione dello
stesso col. Von Herff, al gen. Rommel sui combattimenti del 15 maggio,
così riportava:
«Desidero rilevare in modo speciale il magnifico comportamento di tutti
i reparti della colonna Montemurro (8° Bersaglieri). Da quando questo reggimento si trova
ai miei ordini, mi sono formato una buona impressione di questa truppa,
come del resto anche del reparto italiano Frongia (artiglieria). Tutti e
due i reparti si sono battuti meravigliosamente nei gravi combattimenti
del 15 maggio. Il reggimento Montemurro il 15 maggio era dislocato con
una compagnia a q. 191 (posizione Halfaya superiore), la quale era messa
agli ordini della 2' compagnia motofucilieri tedesca ivi impiegata; una
compagnia teneva con metà una posizione della depressione costiera
presso il passo Halfaya e con l'altra metà Sollum alta e bassa. Il
comando di reggimento ed il resto delle truppe erano impiegati al
confine ad ovest di Capuzzo. La compagnia dislocata a q. 191 ha
combattuto unitamente alla 2' compagnia motofucilieri fino ad essere
completamente accerchiata da carri armati inglesi. La compagnia, che
teneva Sollum e la posizione della depressione costiera, ha combattuto
dalle ore 5.3o del mattino sino alle ore 18 della sera e, solo quando
erano caduti gli ufficiali italiani ed esaurite tutte le munizioni e le
bombe a mano, è cessato il combattimento. Parte della compagnia, a
Sollum, completamente circondata, tenne duro fino al sopraggiungere
dell'oscurità, riuscendo poi a forzare l'accerchiamento verso nord. Le
parti del reggimento schierate presso Capuzzo, sotto la guida personale
del sig. Colonnello (Montemurro), respinsero due attacchi di carri
armati sostenuti da fanteria inglese appiedata, facendo uso, in
combattimento corpo a corpo, anche di bombe a mano e resistettero per
diverse ore fino ad essere liberati dalla pressione nemica da un attacco
di carri inviati in loro soccorso, ripiegando poi, per ordine ricevuto,
in direzione di Bardia. Il reggimento ha subito gravi e sanguinose
perdite ed ha lamentato numerosi morti, ma ciò nonostante il Colonnello
ha chiesto. non appena riordinato il suo reparto - ridotto ormai a
qualche frammento - di essere subito impiegato nuovamente in
combattimento. Anche il pezzo del reparto di artiglieria Frongia,
dislocato nella posizione della 2' compagnia motofucilieri del passo
Halfaya, ha fatto fuoco fino a che un colpo messo a segno da un carro
inglese pesante Mark II lo ha distrutto. I serventi continuarono a
combattere con il moschetto. Ritengo doveroso segnalare al Corpo Tedesco
Africa l'eccellente comportamento tenuto da questi due reparti di truppa
italiani. Ho proposto il Colonnello per la concessione della Croce di
ferro di l' classe. “Col. von Herff” |
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Nuovamente il gen. Rommel, in una lettera del 4 luglio, indirizzata al
Col. Montemurro dell'8°: «... Sarei felice di avere ancora alle mie dipendenze,
nei prossimi combattimenti, il vostro coraggioso reggimento».
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Dal gen. Rommel
perveniva poi alla div. Ariete la seguente lettera (Abt. 11 a.), datata
25/5/1941:
«È stata per me una soddisfazione leggere la relazione sul combattimento
della colonna Montemurro inviata al Corpo Tedesco Africa. Ringrazio per
la comunicazione fattami. Già mediante un dettagliato rapporto del
Gruppo von Herff ero stato messo al corrente dell'eccellente
comportamento della colonna, del coraggio eroico di tutti i suoi
componenti e dell'intervento personale e del valore del comandante di
reggimento. Come ho già espresso nell'ordine del giorno n. 10 del Corpo,
data 19 maggio, a tutti i componenti del Gruppo von Herff il massimo
elogio e il ringraziamento per l'eccezionale prova di bravura, così
prego di rivolgere ancora una volta il mio particolare e pieno
apprezzamento al Colonnello Montemurro, per la sua elevata capacità nel
comando del Reggimento e a tutti i suoi valorosi soldati. Questi
risultati, che hanno permesso il successo, sono stati possibili solo per
lo spirito di abnegazione di ognuno, per la fredda e tenace fermezza in
combattimento contro un nemico largamente superiore in forze e, non da
ultimo, per l'eccellente disciplina e per l'elevato spirito che regnano
nella colonna. Mi rallegro con la Divisione (Ariete) per questo
straordinario successo. La Divisione può essere fiera di avere alle sue
dipendenze la colonna Montemurro. “F.to Rommel”
Ancora il col. von
Herff al col. Montemurro, con lettere rispettivamente del 11 e 26 luglio
1941:
« ... Se ho ottenuto la più alta decorazione tedesca, lo debbo al
comportamento del suo bellissimo e valoroso reggimento (8°) ed al suo
magnifico personale intervento» « La settimana scorsa ho ricevuto dal
gen. Gariboldi la medaglia d'Arg. al V.M. Questa bella decorazione
italiana la debbo a voi e la porterò sempre a ricordo delle battaglie
combattute insieme sul confine egiziano» .
http://www.afrikakorps.org/rommel.htm
Colonel von Herff
praised the Bersaglieri, who he said had defended Halfaya. (August 5,
1941) "Italians' Bravery Praised By Nazi Chief in Africa". Quoted in the
New York Times
Colonel von Herff, impressed with the Bersaglieri motorcycle company, in
an order of the day addressed to the Axis forces under his command on
the Halfaya Pass, reported: “The detachment which defended the plains of
the Halfaya Pass resisted with lionlike courage until the last man
against stronger enemy forces. The greater (o greatest) part of them
died faithful to the flag”. Il comandante tedesco Colonnello von
Herff testimoniò quindi l'ardire dei Bersaglieri motociclisti, che
avevano combattuto con un "coraggio da leoni", fino all'ultimo uomo,
contro forze nemiche soverchianti e che erano morti quasi tutti, fedeli
alla bandiera. |
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Il metodo difensivo italiano non è migliore delle sue tattiche di
offensiva. O formano una serie di
piazzeforti scaglionate a scarsa profondità, in cui ammassano quanti più
uomini e mitragliatrici possibile, oppure formano un fronte di unità
ammassate senza alcuna riserva. Il primo metodo è stato adottato nel
deserto occidentale dove furono organizzate aree fortificate, in sé
forti, ma incapaci di sostenersi a vicenda. A Kassala squadre di uomini
sono state spinte avanti e quando si sono accorti che i loro fianchi
erano stati aggirati, hanno mandato altre masse sulle ali, privandosi di
ogni riserva. E’ evidente che il nemico ha ben poco riflettuto al
problema della ritirata, e quando è costretto a farlo, non è capace di
disimpegnarsi rapidamente per ritirarsi».
L’uso del contrattacco sembra sconosciuto al nemico. Non ha mai compiuto
un contrattacco su nessun teatro di guerra, benchè nel deserto
occidentale e specialmente a Bardia avesse ogni mezzo per farlo. - Non è
difficile trovare le ragioni di questi errori tattici. Anzitutto, gli
elementi più giovani dell’armata italiana sono stati educati a sentirsi
invincibili solo perché sono italiani e fascisti (…). In secondo luogo,
il sistema di avanzamento di carriera per motivi politici produce
comandanti e ufficiali che sono incapaci, il che provoca sospetto e
gelosie.
In conclusione, la teoria e la pratica militare italiana sono molto
antiquate, e la loro gerarchia militare, basata sul formalismo e sul
carrierismo politico, non sanno adattarsi alla guerra moderna. Ma allo
stesso tempo sarebbe un errore sottovalutare le capacità combattive del
soldato italiano. Oggi, provato dai rovesci, inquieto per il prolungarsi
di una guerra che gli era stata promessa breve, demoralizzato dalla
mancanza di equipaggiamenti e materiali, che egli attribuisce a
favoritismi tra i capi del partito, l’italiano non ha alcun desiderio di
combattere in condizioni di tensione e di avversità.
Fra i più "acuti" strateghi non va dimenticato il generale conte Ugo
Cavallero, l’artefice del disastro in Albania. «L’offensiva della valle
di Sesniza, il cui valore è stato negato da strateghi da tavolino
(inglesi), aveva lo scopo di alleviare la pressione sulla difesa nel
settore di Valona, non già facendo il massimo sforzo nel punto più
debole del nemico, che è lo scopo classico di ogni operazione offensiva,
bensì colpendolo dov’era più forte in modo da logorare la sua forza».
L’esercito italiano si logorò, disgraziatamente, prima. Chissà perché,
il maresciallo Rommel continuò a usare la tecnica che l’aveva reso
famoso nella grande guerra: identificare il punto debole dello
schieramento nemico, sfondarlo a sorpresa e aggirarlo con velocissimi
movimenti di piccoli gruppi motorizzati.
Né si può annoverare Rommel tra gli strateghi da tavolino: la sua strana
tecnica consisteva nel dirigere la battaglia in mezzo ai suoi carri
armati o anche avanti a loro, al contrario di Cavallero. Forse per
questo, quella truppa italiana male armata, appiedata e demoralizzata
come dicevano gli inglesi, seguì Rommel fino ad El Alamein, resistendo
fino all’ultimo uomo. Scrisse Rommel: «Particolarmente ammirevole, in
quella battaglia, il coraggio che le truppe tedesche, e gran parte di
quelle italiane, dimostrarono anche nell’ora del disastro. I combattenti
avevano davanti a sé un anno e mezzo di combattimenti: un glorioso stato
di servizio che pochi altri eserciti possono vantare. Ciascun soldato
difendeva non solo la sua patria, ma anche la tradizione della
Panzerarmee Afrika. La lotta sostenuta dalle mie truppe resterà,
nonostante la sconfitta, una pagina gloriosa nella storia dei popoli di
Germania e Italia».
A suo figlio Manfred, l’ammiraglio Rommel confidò sugli italiani:
«Certamente non sono fatti per la guerra. Ma non bisogna giudicare gli
uomini solo dal punto di vista delle qualità militari: altrimenti la
civiltà non esisterebbe».
(Fonte: maggiore Eric Hansen, «The Italian military enigma», Marine
Corps Development Command, Quantico, 1988)
http://digilander.libero.it/trombealvento/indicecuriosi/fazi.htm
http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/cova.htm
4 capitoli
http://digilander.libero.it/freetime1836/libri/libri65.htm
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