RAPPORTO ACCADEMIA SCIENZE USA SU PIANTE GENETICAMENTE MODIFICATE

L'Accademia delle scienze degli Stati Uniti in un suo recente rapporto afferma che servono regole piu' severe e controlli sul campo piu' rigorosi per analizzare le conseguenze dell'introduzione di piante geneticamente modificate nell' ambiente.

Gli esperti dell'Accademia invitano il Dipartimento americano dell'agricoltura a controlli piu' rigorosi sui potenziali effetti ambientali che derivano dall'introduzione di colture transgeniche prima di approvarne l'uso commerciale. Ritengono inoltre che il pubblico debba essere maggiormente coinvolto nei controlli e ritiene che i test debbano essere ripetuti piu' volte prima che i prodotti geneticamente modificati arrivino sul mercato. Il rapporto dell'Accademia elenca quindi tutte le verifiche che sono necessarie prima di commercializzare un alimento geneticamente modificato. Ogni anno negli Stati Uniti il servizio per le ispezioni di animali e piante Aphis (Animal and Plant Health Inspection Service) esamina circa 1.000 richieste di aziende biotecnologiche per testare sul campo nuove piante transgeniche. La maggior parte dei test viene approvata grazie a un processo di ''notificazione'', nel quale l'azienda dichiara che la pianta segue le linee generali tese a non provocare effetti ambientali indesiderati. Tuttavia, si osserva nel rapporto, questo sistema non offre sufficienti garanzie scientifiche. E' percio' necessario riesaminare i test cui devono essere sottoposte le piante transgeniche prima della commercializzazione.

Fonte: Ansa

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FERTILITA' DEI TERRENI, PROBLEMA GLOBALE

Sull'ultimo numero di Ecology and Farming (n. 29), la rivista dell ' IFOAM si puo' trovare un insieme di articoli sul tema della fertilita' del terreno e del suo mantenimento, sia in climi temperati che tropicali. Nell'ordine: il primo articolo (di Christine Watson, direttore del Land Management Dep. dello Scottish Agrixultural College) affronta il tema della fertilita' in climi temperati, segue il problema della lisciviazione (a cura dell' Elm Farm Research Centre), un'analisi del problema potassio (dell'israeliana Patricia Imas), l'esperienza dei sovesci su kiwi in Cina, la sostanza organica nei climi tropicali (Raymond Bokor, Gana) ed infine un estratto dal libro del Compost della fondazione Rodale.
Importante anche la proposta di una Convenzione delle Nazioni Unite sulla fertilita' del terreno che puo' essere letta anche sul sito www.okologienshus.dk/PDFs/Muldrap.doc

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IN AUTO SI RESPIRA PIU' BENZENE CHE IN BICICLETTA

 Il guidatore di automezzi chiuso nel suo abitacolo respira piu' smog che il ciclista, nonostante lo sforzo della pedalata, che questi fa.

Per quanto riguarda il benzene, un inquinante la cui cancerogenicita' e' dimostrata, la differenza e' addirittura sei a uno, a favore del ciclista. E' quanto rivela uno studio riportato dalla Direzione Ambiente della Commissione Europea, nel volume "Kids on the move", un manuale dedicato ai diritti dei piu' piccoli nel mondo della quattroruote. Sono infatti loro a essere le prime vittime di un sistema di mobilita' basato sull'auto: non solo come "esiliati" dalla libera agibilita' di strade e piazze, a grave scapito della loro indipendenza, ma anche in quanto prigionieri dell'auto di famiglia. In un'ora, secondo lo studio olandese che e' alla base della pubblicazione UE, un ciclista respira oltre la meta' in meno dell'ossido di carbonio inalato da un automobilista chiuso nell'abitacolo: 2.670 microgrammi per metro cubo d'aria contro 6.730. Meta' della dose in due ruote anche per il biossido di azoto: 277 microgrammi per chi va in auto, 156 per chi pedala.

Ma l'inquinante che si concentra maggiormente nel chiuso dell'auto e' il benzene. In media un ciclista ne inala in un'ora 23 microgrammi per metro cubo d'aria, mentre un autista ne respira 138 microgrammi: quasi sei volte in piu'. Anche gli altri inquinanti organici registrano concentrazioni altissime nell'abitacolo: 373 microgrammi di toluene e 193 di xilene (le sostanze chimiche che rendono dannosi i collanti, o i pennarelli, ad esempio) contro rispettivamente 72 e 46 microgrammi respirati da un ciclista. Queste sostanze, oltre a essere emesse dalle benzine, sono contenute nelle tappezzerie delle auto.

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"SEGRETI COMMERCIALI" DELL'INDUSTRIA CHIMICA

 Il rapporto di Bill Moyer, intitolato "Trade Secrets" denuncia i complotti delle industrie chimiche. Per anni queste hanno nascosto ai loro operai informazioni sulla tossicita' del PVC e del VC usati per produrre le loro merci. Tali complotti hanno sempre finito per provocare cancri tra i lavoratori e, in generale, tra gli ignari consumatori. La tattica delle industrie per nascondere le informazioni consiste nella manipolazione o nella soppressione dei dati sanitari e ambientali. La CMA, [Chemical Manufacturers Association] che riunisce le varie corporations del settore, e' la migliore nel sopprimere i dati. D'altronde l'unione fa la forza! Vediamo degli esempi:
Negli anni '60 la Dow Chemicals e la CMA nascosero i dati che rendevano evidente la tossicita' del VC, e negli anni '70 anche la sua cancerogenicita'. Basandosi su queste scoperte, la commissione dell'AAAS (American Association for the Advancement of Science) affermo' che: "a causa della soppressione di questi dati (da parte della CMA), decine di migliaia di lavoratori erano esposti a pericolo senza saperlo."
Sin dagli anni '30 la Johns-Manville e la Raybestos-Manhattan, con l'appoggio della Metropolitan Life Insurance Company nascosero il pericolo che l'amianto provocava l'abestosi e il cancro polmonare. Questa informazione era contenuta nel rapporto interno "Asbestos Pentagon Papers", pubblicato solo nel 1978.
La Rohm and Haas soppresse l'informazione sull'alta cancerogenicita' della resina biclorometilica. La notizia si conosceva gia' nel 1962, ma non fu resa pubblica fino al 1971. Infatti prima di quell'anno morirono 50 uomini non-fumatori per cancro polmonare.
Sin dal 1962 la Shell Chemical Company nascose i dati sulla cancerogenicita' dei pesticidi organoclorati: Aldrin/Dieldrin. E l'elenco e' lungo. Sin dagli anni '60 la Monsanto falsifico' e manipolo' i dati sulla diossina e sulla contaminazione dei prodotti come l'erbicida Agent Orange, per sfuggire ai parametri federali. Tale fatto si rese evidente quando l'EP (Agenzia per la protezione ambientale negli USA) accuso' la Monsanto di fornire false informazioni all'agenzia. Sin dal 1985 la Monsanto sostiene la sostanziale equivalenza del latte Geneticamente Modificato (rBGH) col latte naturale. Queste tesi persistono Sono ancora oggi nonostante le evidenze contrarie che hanno portato l'UE a vietare l'importazione di tale prodotto e l'ONU a dichiararlo non sicuro.
Nel 1976 la Monsanto mise in vendita le bottiglie di plastica per la Coca Cola prima che si testasse la loro cancerogenicita'. Esse erano fatte di acrilonitrile, una sostanza chimica strettamente legata al VC. Le bottiglie furono poi vietate dopo che si scopri' che l'acrilonitrile era cancerogeno e
contaminava la bevanda.
La Dow e la DuPont distrussero i dati epidemiologici sull'etile (ethyleneimine) e altre sostanze chimiche. Le due aziende ammisero cio' nel 1973, dopo che si chiese su che base affemavano la non cancerogenicita' di queste sostanze.
I Laboratori di test industriali ammisero nel 1977 di aver fatto sparire informazioni su additivi alimentari e pesticidi per conto delle industrie chimiche.
Le industrie non avvertono i consumatori degli ingredienti contenuti nei prodotti cosmetici e di igiene personale, che sono evitabili, inutili e cancerogeni.

Per maggiori info

Fonte: Cancer Prevention Coalition
Traduzione a cura di Fabio Quattrocchi

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L'ONU: LA GLOBALIZZAZIONE MINACCIA LE DIVERSITA' CULTURALI, LINGUISTICHE E BIOLOGICHE: L'UNEP PER LA TUTELA DELLA BIODIVERSITA' ATTRAVERSO LA DIFESA DELLE CULTURE INDIGENE

 Nairobi - Se la liberalizzazione dei mercati mondiali e' la soluzione per lo sviluppo economico dei paesi ricchi e poveri, essa non deve avanzare a spese delle culture indigene e della biodiversita' ad esse legata. Lo afferma uno studio dell'UNEP (il Programma Ambientale dell'ONU).

Le popolazioni indigene hanno il diritto di preservare i loro stili di vita; e sono depositarie di conoscenze preziose su come gestire gli habitat e le risorse naturali in maniera sostenibile. Gran parte di queste conoscenze e' passata oralmente da generazione in generazione, quindi la perdita delle loro lingue equivale alla perdita di intere enciclopedie e saperi.

Il rapporto dell'UNEP fa riferimento ad alcune tribu' della Tanzania che sanno incoraggiare la formazione dei termitai per accrescere la fertilita' del terreno. Un esempio lampante del valore di queste popolazioni. Il rapporto sostiene che molte lingue e culture indigene sono gia' sull'orlo dell'estinzione come effetto della globalizzazione.

Lo studio stima che sul pianeta sono parlate dalle 5.000 alle 7.000 lingue, 4.000/5.000 delle quali sono classificate come indigene. Ben 2.500 sono in
immediato pericolo di estinzione e molte altre stanno perdendo il contatto col mondo naturale.

Il 32% delle lingue parlate si trovano in Asia; il 30% in Africa; 19% nelle isole del Pacifico; 15% nelle Americhe e il 3% in Europa. Il paese piu' glottodiverso e' la Papua Nuova Guinea dove si parlano 847 lingue diverse. Seguita dall'Indonsia con 655 lingue; Nigeria 376; India 309; Australia 261; Messico 230; Cameroon 201; Brasile 185; Ex Zaire 158; Filippine 153.

Le lingue maggiormente in pericolo sono quelle parlate da meno di 1.000 persone la cui madre lingua originale e' parlata solo dai membri piu' anziani delle tribu'. Oltre 1.000 lingue sono parlate da 100-1000 persone. Altre 553 sono usate solo da meno di 100 persone. Invece 2.034 lingue sono gia' morte. Qualche ricercatore prevede che nell'arco dei prossimi 100 anni, il 90% delle lingue scomparira'. Molti popoli indigeni hanno anche l'interesse di mantenere un'ampia varieta' di piante e animali di cui si nutrono. Ma l'avanzata degli stili di vita occidentali e i metodi di coltivazione importati dal mondo industrializzato stanno velocemente portando alla scomparsa di queste varieta' e della loro diversita' genetica.

Crescono sempre piu' le piantagioni che non vanno a buon fine per l'unifomita' genetica delle varieta' piu' diffuse. Nel 1903 esistevano 13 varieta' di asparagi, nel 1983 si erano ridotte ad una, un declino del 97.8%. Esistevano 287 varieta' di carote, ridotte al numero di 21, un declino del 92.7%. Sempre nel 1903 c'erano 460 varieta' di ravanelli, diminuite a 27, un declino del 94.2%. Circa 500 varieta' lattuga furono catalogate nel 1903, oggi ne esistono solo 36.

La perdita delle culture indigene potrebbe significare anche la perdita di nuove fonti di medicine. Molti indigeni conoscono piante e animali il cui uso puo' guarire alcune malattie. Essi conoscono anche quali parti della pianta sono utili per la guarigione e in quale stagione raccogliere queste risorse in modo che abbiano la giusta quantita' di sostanza medicamentosa.

Queste conoscenze sono spesso nascoste in rituali religiosi e cerimonie. Il che dimostra come le lingue, le religioni, la psicologia e le credenze spirituali non possono mai essere separate dalla loro (degli indigeni) interpretazione del mondo naturale. I pigmei Aka della Repubblica Centro Africana mischiano magia, rituali e cerimonie con l'uso di erbe medicamentose.

La convenzione sulla Diversita' Biologica (CBD) fa esplicito riferimento al bisogno di proteggere le culture indigene nell'articolo VIII, affermando "la protezione delle comunita' indigene e dei loro stili di vita e' importante per la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversita'". Altre iniziative sono gestite dall'UNESCO che indica i siti di importanza culturale e ambientale in tutto il mondo. L'UNESCO sta rafforzando il suo ruolo per aiutare le comunita' indigene a conservare i siti sacri come i boschi. L'UNESCO riconosce anche l'interrelazione tra l'uomo e la natura nella formazione/evoluzione dei paesaggi. Il primo sito dichiarato Patrimonio dell'Umanita' per il paesaggio culturale e' il Tongariro Nartional Park in Nuova Zelanda. E' un sito sacro per i Maori.

Il WTO ha formulato proposte per permettere ai paesi di sviluppare i Diritti di Proprieta' Intellettuale che potrebbero fornire agli indigeni nuovi mezzi per proteggere le loro specie vegetali dalla biopirateria. Rimane da verificare l'efficacia di tale sistema. La Convenzione sulla Biodiversita' ha recentemente ideato un meccanismo che permette alle nazioni firmatarie di risolvere le inedeguatezze dei Diritti di Proprieta' Intellettuale e di sviluppare linee guida per proteggere le popolazioni indigene.

Ma l'UNEP crede che e' ancora piu' urgente salvaguardare le culture indigene e i loro saperi, percio' ha individuato 4 ragioni per cui e' necessario conservare le culture locali.

1. Gli indigeni hanno sistemi economici tradizionali che hanno un impatto sulla biodiversita' relativamente basso perche' tendono a utilizzare una grande varieta' di specie, e a coltivare una piccola quantita' di ognuna di esse. Al contrario gli agricoltori commerciali usano poche varieta' e le coltivano in grandi quantita'.

2. Gli indigeni tendono a incrementare la diversita' biologica dei territori in cui vivono, per avere a disposizione piu' varieta' riducendo il rischio delle fluttuazioni quantitative delle varie specie.

3. Gli indigeni lasciano sempre un largo 'margine d'errore' nelle previsioni stagionali dei raccolti per l'abbondanza di piante e animali. Sottostimando il surplus di ogni specie, essi minimizzano il rischio di compromettere le fonti di sostentamento.

4. Visto che i saperi degli indigeni sugli ecosistemi sono insegnati e "aggiornati" con dirette osservazioni della terra in cui abitano, rimuoverli dalle loro terre significa spezzare il ciclo generazionale di studio empirico. Il mantenimento dei loro saperi dipende dunque sull'uso continuo della stessa terra".

Fonte: UNEP (United Nations Environment Programme)

Traduzione a cura di Fabio Quattrocchi
http://www.ecquologia.it

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PESTICIDA 'DEMASCOLINIZZA' I RANOCCHI

L'esposizione anche a piccole dosi all'atrazina, erbicida largamente usato in agricoltura negli Usa (e anche per molti anni in Italia soprattutto nella coltivazione del riso), 'femminilizza' le rane di sesso maschile modificandone il comportamento sessuale. E' una nuova conferma degli effetti negativi dei pesticidi, considerati potenzialmente nefasti per la fecondita' nell'uomo. Lo studio sulle rane, pubblicato sulla rivista 'Procedings of the national academy of sciences' (Pnas), ha valutato l'effetto di una concentrazione molto bassa del prodotto: 30 volte inferiore rispetto a quella ammessa dell'Agenzia per la protezione ambientale.

Fonte : Adnkronos Salute.

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PESTICIDI: I PRINCIPI ATTIVI SONO 834, MA SOLO 31 SONO STATI TESTATI PER GLI EFFETTI SULLA SALUTE E SULL'AMBIENTE

Nel 1991, la Commissione Europea aveva deciso di valutare, entro il 2003, la tossicita' dei pesticidi autorizzati nell'Unione Europea (direttiva 91/414). Nel suo rapporto del 2002 sull'esecuzione di tale direttiva, l'europarlamentare Paul Lannoye precisa: ''Meno del 5% dei principi attivi dei pesticidi (per l'esattezza, 31 su 834) sono stati, a oggi, testati'' e, inoltre, ''con metodi criticati dallo stesso Parlamento Europeo''. La Commissione non e' stata in grado di attuare la direttiva, soprattutto per mancanza di volonta' politica. Essa ha consentito in tal modo la circolazione di prodotti altamente tossici, che hanno causato, secondo le statistiche ufficiali di mortalita', il decesso prematuro di milioni di cittadini europei.

L'AFRS, l'Alleanza per una Scienza Responsabile (Alliance For Responsible Science), nuova coalizione di associazioni scientifiche europee, in una conferenza stampa ha chiesto formalmente alla Commissione di far valutare d'urgenza i rischi, per l'uomo, di tossicita' dei pesticidi e, piu' generalmente, delle 100.000 sostanze chimiche in uso quotidiano intorno a noi, delle quali sono sconosciuti gli effetti sulla nostra salute per il 99,8% dei casi. AFRS esige che la valutazione di tali sostanze venga fatta usando solo i metodi tossicologici piu' efficaci, rigorosi e scientificamente affidabili, di cui e' stata dimostrata da AFRS la capacita' di valutare i rischi sull'uomo. AFRS denuncia in anticipo come siano altamente pericolosi i metodi di valutazione, preannunciati dalla Commissione Europea, che si basano sulle reazioni di modelli animali esposti alle sostanze tossiche. Queste reazioni sono infatti strettamente legate alla specie animale utilizzata e la loro estrapolazione all'uomo e' azzardata, non scientifica, e pertanto estremamente rischiosa.

Fonte: ASCA

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Piu' di 2.500 persone all'anno muoiono a causa del fumo passivo e migliaia si ammalano per lo stesso motivo

IL FUMO PASSIVO

di Maria Luisa Clementi


 Secondo un rapporto dell'OMS (Organizzazione mondiale della Sanita') sul tabagismo, reso pubblico lo scorso mese di maggio, il fumo passivo e' molto pericoloso. Si calcola che solo sul posto di lavoro un numero elevatissimo di persone respirano per il 75 per cento del loro tempo le sigarette degli altri.
Il rapporto elenca i seguenti rischi:

Rischio sanitario nell'adulto
cancro al polmone problemi coronarici minor peso nascituro se la madre fuma o e' esposta al fumo ritardo di crescita intrauterina nascituro se la madre fuma o e' esposta al fumo Il rischio di morte improvvisa del nascituro raddoppia
+26% +25% +17% +11% x 2

Rischio sanitario nel bambino

bronchite se la madre fuma bronchite se un familiare fuma crisi di asma se fuma la madre crisi di asma se fuma il padre crisi di asma se fumano entrambi otite recidivante se fuma il padre otite recidivante se fuma la madre otite recidivante se fumano padre e madre
+72% +29% 14% +38% +48% +21% +38% +48%

Nell'adulto e nel bambino si verifica il Sibilio: attacchi di tosse sibilante che evocano un'affezione bronchitica.

 

Oggi, grazie a un'altro studio, svolto da ricercatori italiani, si e' constatato che mai come in questi giorni le micropolveri insidiano i polmoni di chi si avventura a piedi o in bicicletta per le strade delle citta' europee. Ma forse non tutti sanno che quando si accende una sigaretta in casa o in un ufficio le concentrazioni di queste stesse polveri superano di gran lunga i limiti di legge stabiliti per l'inquinamento atmosferico.
Lo ha dimostrato Giovanni Invernizzi, membro della Task force contro il fumo, della Societa' italiana di medicina generale, che insieme ad alcuni collaboratori dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano e a un esperto di misurazioni di particelle, ha rilevato le polveri fini prodotte dal fumo di sigaretta in un ufficio e in un ristorante dotato di sale separate per fumatori e non fumatori.

Nel primo caso la rilevazione e' stata effettuata all'interno dell'Istituto tumori di Milano, in un ufficio di piccole dimensioni dotato di un buon impianto di aerazione. I risultati di questa misurazione sul campo, pubblicati nel primo fascicolo di Epidemiologia & prevenzione del 2002, mostrano che a locale vuoto il PM10, cioe' la frazione piu' sottile - e quindi piu' facilmente respirabile - delle polveri che ristagnano nell'aria, si aggirava attorno ai 100 microgrammi per metro cubo. Ma dopo l'accensione di una singola sigaretta raggiungeva all'istante i 2.000 µg/m3 con un picco che superava i 5.000. Cifre astronomiche, se confrontate con i limiti ammessi per l'aria di citta'. Per rendersene conto basta ricordare che "l'obiettivo di qualita'" stabilito per le polveri fini (come riportato nel decreto ministeriale del 25.11.1994) prevede una media annuale di 40 µg/m3 e che le misure antitraffico scattano dopo una settimana di superamento dei livelli di attenzione e di allarme, stabiliti rispettivamente a 50 e 75 µg/m3 (concentrazione media nelle 24 ore).
Questi limiti sono stati ampiamente superati anche nel ristorante che ha aperto le sue porte alla Task force. Il locale si trova nella zona centrale della citta' di Milano, ha una capacita' complessiva di circa 80 persone ed e' suddiviso in due sale, una per fumatori e una per non fumatori, dotate di impianti di aerazione indipendenti. Le misure sono iniziate con i locali vuoti, che si sono progressivamente riempiti fino alla loro capienza massima dopo un'ora dall'apertura. Il numero minimo di sigarette accese contemporaneamente nella sala fumatori variava da una a un massimo di 5-6. All'inizio la concentrazione delle polveri nel settore non fumatori rispecchiava la situazione esterna di una zona molto trafficata della citta', con valori di PM10 tra 50 e 100 µg/m3. Dopo circa 30 minuti si assisteva ad ampie fluttuazioni mentre il locale si riempiva e si registravano valori medi di PM10 attorno ai 120 microgrammi, con un picco a 150. Nella sala dedicata ai fumatori, invece, le polveri fini erano in media attorno ai 230 microgrammi con punte di oltre 300. Se poi si considerano anche le polveri ultrasottili (quelle formate da particelle con un diametro inferiore ai 2,5 micron) le concentrazioni risultavano ancora piu' alte.
"La separazione fisica del locale per non fumatori e il fatto che sia dotato di un impianto di aerazione indipendente sembra abbastanza efficace nel preservare l'ambiente dedicato a chi non fuma, ma questo e' forse l'unico dato positivo messo in luce dal nostro studio" dice Invernizzi. "Per il resto, abbiamo dovuto constatare che la presenza di impianti di aerazione e filtrazione - anche di ottima qualita' e potenza - non sono in grado di depurare le polveri fini e ultrafini, ossia quelle di dimensioni inferiori a 2,5 e 1 micron rispettivamente (PM2,5 e PM1) generate dal fumo di sigaretta. E in ogni caso le concentrazioni di PM10 superano sempre di alcuni ordini di grandezza i limiti stabiliti dalle normative per il controllo dell'inquinamento esterno".
Tenuto conto che in Italia il numero di ristoranti, bar e uffici dotati di aree separate per non fumatori con aerazione indipendente e' molto modesto, si deve dedurre che un gran numero di cittadini viene esposto ogni giorno ad alte concentrazioni di particolato fine per periodi di tempo anche prolungati. Cio' vale per gli avventori dei locali pubblici (che, almeno in alcuni casi, possono scegliere se stare o meno nelle sale fumatori), ma vale soprattutto per i dipendenti dei locali, a cui questa scelta non e' data. E vale ancora di piu' per chi lavora in uffici o, comunque, in ambienti chiusi dove non vige il divieto di fumo e non sono istallati sistemi di ventilazione efficaci.
Si potrebbe obiettare agli autori dello studio che i limiti di legge per il PM10 esterno si riferiscono alla concentrazione media nelle 24 ore, mentre i loro dati riguardano esposizioni acute. A questo proposito i ricercatori spiegano che la rilevazione delle polveri in ambienti chiusi e' una relativa novita', resa possibile dalla recente messa a punto di misuratori portatili, come quello utilizzato per questa rilevazione sul campo. Si prevede e si auspica, quindi, che in futuro vengano condotti studi prolungati. "Nel frattempo" sottolinea Invernizzi "bisogna ricordare che un'esposizione ad alte concentrazioni di particolato ambientale anche per periodi inferiori alle 12 ore e' in grado di provocare disturbi respiratori, e che e' sufficiente un'esposizione di 30 minuti al fumo di sigaretta per produrre alterazioni del flusso coronarico in un non fumatore".

Del resto, sulla nocivita' dell'esposizione al fumo passivo non esistono piu' dubbi. Nello stesso numero di Epidemiologia & prevenzione Francesco Forastiere, attuale presidente dell'Associazione italiana di epidemiologia, insieme ad alcuni ricercatori dell'Agenzia per la sanita' pubblica del Lazio, presenta una revisione sistematica degli studi disponibili e stima l'effetto sanitario del fumo ambientale in Italia: piu' di 2.500 persone all'anno muoiono a causa del fumo passivo e migliaia, specialmente bambini, si ammalano per lo stesso motivo.
La possibilita' di misurare l'esposizione attraverso studi come quello, pionieristico, condotto a Milano servira' a conoscere meglio il fenomeno e a documentare le responsabilita' di chi affumica (e impolvera) i suoi vicini. Gli effetti del fumo passivo in Italia, esposizione in ambito familiare:

 

Bambini con genitori fumatori:
Morte improvvisa del lattante Infezioni respiratorie acute (0-2 anni) Asma bronchiale (6-14 anni) Sintomi respiratori cronici (6-14 anni) Otite acuta (6-14 anni)
87 morti
76.954 casi

27.048 casi prevalenti
48.183 casi 64.130 casi

 

Adulti con coniuge fumatore
Tumore polmonare Malattie ischemiche del cuore
221 morti 1.896 mort

 

Esposizione in ambiente di lavoro

Basso peso (2.500 gr) nascituro per esposizione al fumo della madre gravida Tumore polmonare Malattie ischemiche del cuore
2.033 neonati 324 morti 235 morti

 

Secondo una ricerca olandese, tutti i fumatori che consumano molta frutta e verdura dimezzano il rischio di bronchiti, asma e enfisema. La frutta e la verdura contengono antiossidanti che fungono da fattore protettivo diminuendo e in certi casi evitando danni alle cellule. Lo stesso discorso vale per i fumatori passivi: coloro che fumano il fumo degli altri.
In tutti i casi, una cosa e' certa: non fumare ed evitare di fumare il fumo degli altri e' un fattore determinante per la salvaguardia della salute.

Fonte: www.ecplanet.net

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SMOG, LEGAMBIENTE LANCIA L'ALLARME: MESTRE CON LA TANGENZIALE E' LA TERZA CITTA' DEL VENETO PIU' INQUINATA.

In arrivo le targhe alterne. e le domeniche senza auto

 MESTRE. Un inverno con l'occhio al cielo. Perchè saranno le condizioni meteo, in particolare il numero di giornate di pioggia, a dettare, da novembre, il calendario delle targhe alterne nella terraferma mestrina. Se piove, tutto bene. Altrimenti si rischia di circolare un giorno sì e l'altro no. In attesa dei provvedimenti dell'amministrazione comunale, Legambiente lancia l'allarme sulla qualità dell'aria nella nostra regione. Se la maglia nera va a Padova, da oggi la città più inquinata del Veneto, Mestre con la sua tangenziale è al terzo posto nella classifica dello smog.
Nei primi sei mesi di quest'anno la Città del Santo ha superato 61 volte il limite giornaliero del Pm10, le famigerate polveri sottili. Meritando la maglia nera di città più inquinata del Veneto. Mestre è terza, ha sforato 31 volte, in pratica una volta ogni sei giorni. Con una concentrazione media di Pm10 che nel 2002 è già a 52 microgrammi per metro cubo contro i 41 calcolati nell'intero arco dello scorso anno. Segno che le cose vanno tutt'altro che bene, sul fronte ambientale.
La nuova legislazione prevede che nelle città non si possa superare i limiti più di 35 volte nell'arco di un anno. Altre quattro giornate con le polveri sottili sopra i 65 microgrammi per metro cubo e l'amministrazione comunale veneziana sarà costretta a prendere drastici provvedimenti anti-smog. E anche la media di benzo(a)pirene nell'aria è salita in questi mesi. Era stimata in 1,4 nanogrammi per metro cubo nell'arco del 2001. Nei primi sei mesi del 2002 è arrivata a 1,8. I dati di Legambiente confermano così i timori già espressi dall'amministrazione comunale.

«Oltre il 50% dell'inquinamento è conseguenza della tangenziale - spiega l'assessore all'ambiente, Paolo Cacciari - l'indagine con gli opacimetri ha confermato la gravità della situazione e la necessità di intervenire sul traffico di attraversamento, più efficace delle targhe alterne».

Fonte: La Nuova Venezia 6.10.2002 

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 AVVOLTOI INDISPENSABILI PER L'IGIENE DEL TERRITORIO IN INDIA

Ripuliscono città e campagne indiane dalle carcasse di vacche e esseri umani: gli avvoltoi, dunque, svolgono un ruolo fondamentale nel subcontinente indiano, evitando il diffondersi di malattie, ma negli ultimi
dieci anni il numero di questi "spazzini" speciali è crollato vertiginosamente. Sono decine di milioni i rapaci morti, pari, secondo le stime, al 99% delle tre principali specie asiatiche (Gyps bengalensis, Gyps indicus e Gyps tenuirostris).

Il punto, racconta un reportage del quotidiano britannico The Indipendent, è capire se è possibile tornare a popolare i cieli indiani oppure se bisogna arrendersi all'estinzione di questi animali. A preoccupare è la difficoltà
di immaginare un'alternativa agli avvoltoi. Per gli indiani, infatti, le vacche sono animali sacri e non possono essere seppelliti. Al massimo nei centri urbani le carcasse vengono ammassate in grandi spazi lontano dalle abitazioni, nell'attesa che gli avvoltoi facciano il loro mestiere, lasciando a terra solo mucchietti di ossa.

Stesso iter per il destino dei "Zoroastriani", ai quali la loro religione non consente nè la sepoltura nè la cremazione. Meno avvoltoi ci sono, più cadaveri e più a lungo restano a contatto con l'aria, preda dei cani selvaggi. Con il rischio che si sia prima o poi un'esplosione di virus, tra cui la vecchia, ma pericolosa rabbia.

Un primo passo è però stato fatto recentemente. Se infatti la causa della morte di un numero sempre crescente di avvoltoi è rimasta a lungo avvolta nel buio, oggi si sa che la responsabilitàè di un farmaco che dal 1991 è stato somministrato alle vacche. Si tratta della Dicoflenac, un antidolorifico innocuo per gli uomini e molti animali, ma letale per gli avvoltoi, che lo assumono tramite le loro "vittime".

Due mesi fa il governo indiano ha quindi deciso di proibire questa sostanza a scopi veterinari, ma è ormai troppo tardi per evitare il peggio, nonostante questa scelta. D'altro canto, siamo di fronte al «più grande collasso mai registrato per una specie di uccelli» ha sottolineato il responsabile di una ricerca internazionale ad hoc presso la Royal Society for the protection of Birds, Debbie Pain, secondo cui sarà forse possibile non arrivare all'estinzione totale, ma assai più difficile tornare ai livelli di un decennio fa.

Nel frattempo, però, gli scienziati non sono rimasti con le mani in mano e hanno creato un centro per la riproduzione in cattività degli avvoltoi.

L'obiettivo è quello di ottenere almeno 25 coppie di ciascuna delle tre specie, da rilasciare successivamente in libertà. Un'impresa impegnativa, sopratt utto considerando che questi rapaci impiegano fra tra i quattro e i cinque anni per raggiungere la maturità sessuale e che mettono al mondo un solo cucciolo alla volta.

Fonte: Il Secolo XIX . Roma 25/05/2005

 ITALIANI TROPPO ''AMERICANI'' A TAVOLA, CHE DISASTRO

Cinque italiani su dieci hanno valori del colesterolo alterati, quattro sono decisamente in sovrappeso, uno tracima oltre la soglia dell’obesità, 'mezzo' naviga in zona prediabetica. Ecco i dati allarmanti contenuti in un doppio studio sugli italiani a tavola presentato alla stampa dal CeRA, il Centro Interdipartimentale di Ricerca per la Valorizzazione degli Alimenti che fa capo all’Università di Firenze e che in questi giorni celebra il suo primo convegno. Il nutrizionista Alessandro Casini e l’internista  Rosanna Abbate hanno indagato sulle abitudini alimentari degli italiani e sulle conseguenze sul loro stato di salute. Condotta nel corso di tre anni (dal 2002 alla fine del 2004), la ricerca ha preso come campione 1000 persone, per lo più residenti a Firenze, sane, scelte a caso, analizzandone sia il comportamento a tavola che lo stato di salute.

Ed ecco i risultati: 1) si mangiano troppa carne e troppi formaggi, salumi, biscotti, dolci, olio cotto; 2) si fa dunque uso eccessivo di grassi saturi; 3) si mangiano invece poca frutta, pochi ortaggi, fibre, legumi, latticini; 4) mangiando pochissimo pesce si ha soprattutto un consumo di grassi polinsaturi del tutto insufficiente. In altre parole, gli italiani hanno voluto 'fare gli americani'. Hanno abbandonato la semplicità e la leggerezza della dieta mediterranea, bilanciata da verdure, pasta, pesce e grassi vegetali, a favore di un regime ipercalorico e iperproteico. Eccone quindi le conseguenze: 1) il 40 per cento del campione è sovrappeso, con una quota di obesi del 10 per cento circa; 2) il 48 per cento presenta valori alterati del colesterolo totale, mentre nel 6 per cento dei casi il colesterolo HDL (quello buono) è inferiore alla norma; 3) il 5 per cento ha ridotta tolleranza agli zuccheri, con un 2,2 per cento di soggetti diabetici; 4) il 10 per cento circa ha alterati i valori delle transaminasi e il 13,5 per cento quelli della gamma GT, questi ultimi enzimi epatici suggeriscono la presenza di fegato grasso e il possibile rischio di cirrosi.

Fonte: Bioagricoltura notizie

OGM - ONLINE: IL REGISTRO SULLE CONTAMINAZIONI

Lo trovate all’indirizzo www.gmcontaminationregister.org ed è il primo sito, creato dalle associazioni Greenpeace e GeneWatch, che informa l’utente su tutti i casi noti di contaminazione da Ogm di cibo, mangimi, semi e piante selvatiche nel mondo «Nessun governo o agenzia internazionale ha creato un registro pubblico degli incidenti o degli altri problemi associati alle colture Ogm. Non si può chiudere un occhio quando si ha a che fare con il biotech che implica un rilascio incontrollato di organismi viventi nell'ambiente», afferma Federica Ferrario, della campagna Ogm di Greenpeace. Dalla loro introduzione nel 1996, gli Ogm hanno causato 62 incidenti legati alla contaminazione da Ogm illegali o senza etichettatura in 27 Paesi e in 5 continenti. E questi sono solo gli incidenti di cui si è venuti a conoscenza. «Lanciamo oggi questo registro mentre i governi si incontrano a Montreal per decidere sul regime di responsabilità internazionale per le colture Ogm. Se non si prendono delle misure concrete in questo senso, gli Ogm saranno completamente fuori controllo», sostiene ancora Ferrario. Scorrendo il registro, si scopre che il maggior numero di casi di contaminazione da Ogm si è registrato negli Stati Uniti (11 incidenti) e che la contaminazione da mais «Starlink» si è verificata in sette Paesi: Stati Uniti, Canada, Egitto; Bolivia, Nicaragua, Giappone e Corea del Sud. Inoltre, il rilascio illegale di Ogm nell'ambiente o nella catena alimentare è avvenuto in India (cotone), Brasile (cotone e soia), Cina (riso), Croazia (mais), Germania (papaia) e Tailandia (cotone e papaia). Infine, sei casi di effetti collaterali negativi in agricoltura sono stati riportati, inclusa la diffusione di erbe infestanti resistenti agli erbicidi.

Fonte: Greenpeace/SloWeb

COSTI DELL’ENERGIA:
L’ITALIA PRIMA

Secondo un rapporto del Consiglio mondiale dell'energia, l'uso intelligente ed efficiente della stessa permetterebbe un risparmio energetico pari almeno a 1/3 del consumo totale nazionale italiano. Il Consiglio avverte che i costi dell'energia aumentano sempre di più ed un risparmio energetico di queste dimensioni in Italia "contribuirebbe in modo considerevole non solo al miglioramento della bilancia commerciale, ma anche alla riduzione dei costi per unità di prodotto e quindi al recupero della competitività per un sistema che, come quello italiano, ne ha assolutamente bisogno, anche perché il costo di produzione dell'energia elettrica in Italia é di gran lunga il più elevato d'Europa e condizionato dalla volatilità del prezzo del petrolio e dal cambio dollaro/euro. Secondo il rapporto però è da notare che per consumi specifici di energia ed emissioni di Co2 l'Italia può considerarsi un paese "virtuoso" se comparato con gli altri Paesi industrializzati. In generale nel rapporto emerge che l'Italia non é un paese ricco di risorse energetiche e pertanto è necessario "valorizzare al meglio le opzioni disponibili" e sfruttare inoltre fonti di energia alternativa.

(Fonte: Help Consumatori)

VACANZE ITALIANE IN BICICLETTA 1000 ALBERGHI PER CICLISTI Alberghi e bed & brekfast "amici dei ciclisti" anche in Italia? Ebbene si. Sono ormai circa 1.000 le strutture ricettive - ma il numero è destinato a salire - per chi vuole viaggiare in bicicletta nel nostro Belpaese.

Fanno parte di un elenco on-line tra alberghi, bed & brekfast, ostelli e campeggi presenti in Italia e distinti per regioni, registrati sul sito www.albergabici.it , visitato ogni giorno da centinaia di cicloviaggiatori e cicloescursionisti.

Con tale iniziativa della Fiab www.fiab-onlus.it , non si intende certificare la qualità degli alberghi (ogni struttura si registra da sè, saranno i clienti a verificarne la bontà), ma ci si propone di colmare una
lacuna grande quanto una casa: creare un servizio, in questo caso su internet, che fa incontrare le esigenze di chi viaggia in bici in Italia e vuole cercare strutture ricettive con certe carattetteristiche e quelle strutture
che hanno ben compreso l'importanza anche economica del turismo in bicicletta, e che altrimenti non saprebbero come farsi conoscere. Infatti, mancando in Italia una politica del cicloturismo, questo settore di nicchia soffre e ritarda ad adeguarsi agli standard europei.

Cosa deve avere un albergo per ciclisti? Prima di tutto un luogo al chiuso e coperto per parcheggiare le biciclette. Poi un posto per riparare la bici o un'officina convenzionata, servire colazioni e pranzi adeguati, ospitare anche solo per una notte, avere materiali informativi su itinerari e percorsi ciclabili della zona. Non sono indispensabili palestre, saune o massaggi. Tali servizi sono eventualmente ricercati da chi pratica ciclismo
sportivo ma non da chi viaggia in bicicletta.

Alcuni dati per comprendere le potenzialità economiche del cicloturismo? Nel 2002 la rete "nazionale" svizzera di itinerari ciclabili (quindi escludendo dal computo itinerari cantonali o comunali), è stata percorsa in bici per 200 milioni di Km, ha ospitato nelle proprie strutture ricettive 600.000 cicloturisti, e ha generato un bilancio di 130 milioni di euro. L'anno scorso, invece, circa 2,5 milioni di tedeschi ha fatto vacanze in bici con un incremento del 9% rispetto all'anno precedente, usando, tra le altre sistemazioni, 3.300 strutture certificate "Bed and Bike". Il 6% di cicloturisti tedeschi è venuto in Italia, secondo i dati dell'ADFC, l'associazione tedesca dei ciclisti aderente alla European Cyclists' Federation.

Questi dati potrebbe salire immediatamente se in Italia fosse diffusa una politica del cicloturismo (infrastrutture, servizi, organizzazione, trasporto integrato bici e treno, nave, aereo): gli alberghi per i ciclisti, ma anche nuove professioni legate al settore, lavorerebbero quasi tutto l'anno.

Info: Segreteria organizzativa Fiab onlus: albergabici@fiab-onlus.it fax 02700433930 (Michele Mutterle).

 

 

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