Non è sicuraEsiste una lunga casistica di incidenti nel ciclo di produzione dell'energia nucleare commerciale, a parte, quindi, quelli legati alla produzione delle armi nucleari. Molti, come quello al reattore autofertilizzante di Detroit dell'ottobre 1966, agli impianti di ritrattamento del combustibile nucleare, eccetera sono stati dimenticati. Non sono stati dimenticati l'incidente al reattore nucleare di Three Mile Island negli Stati uniti, del 1979, e soprattutto quello al reattore di Chernobyl, in Ucraina, del 26 aprile 1986. L'interruzione della circolazione dell'acqua di raffreddamento di uno dei quattro reattori nucleari (del tipo a uranio-grafite), provocò, in tale reattore, un forte aumento della temperatura del nocciolo; molte delle parti metalliche e strutturali --- travi e contenitori di acciaio, pareti di cemento --- fusero o crollarono; la grafite che circondava il nocciolo prese fuoco; la corrente di fumo trascinò in sospensione nell'aria le polveri contenenti gran parte dei prodotti di fissione dell'uranio: gli isotopi radioattivi di stronzio, cesio, iodio, eccetera. La maggior parte dei prodotti ricadde al suolo, contaminando vaste estensioni di suolo ucraino, occupate da campi, villaggi, piccole città, scuole. Decine di migliaia di persone furono esposte a dosi di radioattività tali da provocare la morte, danni genetici irreversibili, in moltissimi casi danni genetici a lungo termine che faranno sentire i loro effetti tutta la vita. Una parte dei prodotti radioattivi fu trascinata nell'atmosfera dapprima verso il nord, poi verso ovest e l'Europa centrale, poi verso l'Europa sud occidentale, fino in Italia. Oggi si conosce abbastanza bene la quantità di sostanze radioattive uscite dal reattore e cadute nelle varie parti del continente europeo; voglio solo ricordare gli atti di generosità e di altruismo che accompagnarono tale catastrofe. Gli eroi che, esponendo la propria vita a sicura morte, sono volati sul reattore per gettare cemento e piombo sui ruderi fusi del reattore e quelli che hanno lavorato, a contatto con intensissime dosi di radioattività, per spegnere l'incendio, riuscendo così a fermare la fuoriuscita dei fumi radioattivi e a salvare milioni di vite, anche in Italia (eppure non una città italiana ha dedicato una strada a ricordo dei martiri di Chernobyl a cui tanti di noi devono la sopravvivenza). Si può leggere a questo proposito il libro di Grigorij Medveded, "Chernobyl. Tutta la verità sulla tragedia nucleare", Milano, SugarCo, 1991, e cercare il film, proiettato anche in Italia, "Chernobyl", di Anthony Page, 1991, che descrive lo sforzo fatto dai medici, fra cui l'americano Gale, per effettuare trapianti di midollo osseo nei casi più gravi. Voglio ricordare, oltre alla mobilitazione di medici sovietici e internazionali per alleviare i dolori delle popolazioni, l'ospitalità offerta da tante associazioni di volontariato ai bambini di Chernobyl. Con Chernobyl, tutti i centri economici che ruotavano intorno alla fabbricazione e vendita di centrali nucleari presero, allora, un grande spavento davanti al rischio di vedere sfumare lucrosi affari internazionali. In Italia, dove esisteva già un forte movimento popolare di protesta contro i programmi nucleari governativi, il referendum del novembre 1987, fermò il funzionamento dei reattori esistenti e i programmi di costruzione di altri. Con gli incidenti e gli insuccesso del reattore francese Superphenix (nel quale il governo italiano aveva sconsideratamente investito soldi che stiamo ancora restituendo con una maggiorazione delle tariffe elettriche dell'Enel), fece svanire anche l'avventura dei reattori autofertilizzanti. Ma i potenti interessi economici e politici che ruotano intorno al nucleare non si sono quietati e, nei venti anni trascorsi, anche in Italia si sono fatte sentire, prima timidamente, poi sempre più rumorose, le voci di coloro che chiedono la resurrezione di una tecnologia ormai dovunque agonizzante. Le centrali nucleari non sono puliteGli avvocati del nucleare fanno notare che le centrali elettro-nucleari non immettono nell'atmosfera l'anidride carbonica responsabile dell'"effetto serra". E' vero che dobbiamo fare i conti con le modificazioni climatiche dovute alla crescente immissione nell'atmosfera dell'anidride carbonica che si libera nella combustione di crescenti quantità di combustibili fossili: ogni anno circa 10 miliardi di tonnellate di carbone, petrolio e gas naturale; ogni anno oltre 25 miliardi di tonnellate di anidride carbonica finiscono nell'atmosfera. Ma la soluzione non è certo offerta da un nuovo crescente ricorso all'energia nucleare perché essa, se non provoca immissione di "gas serra" nell'atmosfera, comporta però pericoli e danni ambientali ben più gravi nelle fasi di funzionamento dei reattori e di trattamento e sepoltura dei prodotti di fissione e di attivazione, le code avvelenate di tutto il ciclo nucleare. Come è ben noto, i reattori nucleari commerciali, quelli che producono elettricità (oltre quattrocento nel mondo) sono alimentati, quasi dovunque, da uranio, separato dai suoi minerali, con formazione di grandi quantità di scorie (anche se poco radioattive), un problema che riguarda Canada, Russia, Niger, Cina, Australia, e pochi altri paesi. Prima di entrare nei reattori e generare elettricità l'uranio viene trattato in impianti che separano la parte "fissile" (l'uranio-235, quello che fornirà l'energia nel reattore) da un residuo, anch'esso (sia pure poco) radioattivo. Ma anche per questo uranio "impoverito" (dell'isotopo 235) le fertili menti degli ingegneri hanno trovato un "mercato" come materiale durissimo e resistente per corazze di carri armati o per proiettili e missili, con l'unico "inconveniente" che quando tali proiettili urtano l'obiettivo nemico si incendiano e la finissima polvere di ossido di uranio si sparge sul terreno, e lì resta per secoli con la sua radioattività. Durante la liberazione di energia dall'uranio si formano i "prodotti di fissione", atomi di elementi comuni --- cesio, stronzio, iodio --- in una forma, però, che emette radioattività per anni o per decenni o secoli e che sono facilmente assorbiti da vegetali e animali e quindi anche dagli esseri umani, nel cui corpo continuano a emanare radioattività. Al fianco di questi "frammenti", si formano altri elementi radioattivi come il plutonio e altri transuranici e i prodotti "di attivazione" dei materiali del reattore, sottoprodotti pericolosi e tossici, dal punto di vista della salute umana e della natura. A questo punto l'uranio, accompagnato dai "prodotti di fissione", dal plutonio e da altri elementi transuranici radioattivi può essere conservato come tale dentro i "tubi" estratti dal reattore nucleare dopo alcuni anni di funzionamento. Questi "elementi di combustibile", pur essendo pieni di materiale radioattivo, possono essere sepolti, sia pure con grandi precauzioni per evitare che vengano, nei futuri secoli, a contatto con acqua o esseri viventi, e con speciali accorgimenti per smaltire il calore che si libera continuamente per decadimento radioattivo degli atomi contenuti al loro interno. Ma per i potenti affari che circolano intorno al nucleare questo è uno spreco, perché il plutonio si può "vendere bene" alle imprese che fabbricano bombe atomiche, e anche come materiale fissile per altri reattori commerciali. A condizione che il plutonio venga separato chimicamente dall'uranio, dai "prodotti di fissione" e da altri prodotti radioattivi mediante complicati processi chimici industriali che hanno subito, nel corso degli anni, incidenti con perdite di radioattività nell'ambiente. I "prodotti di fissione", gli elementi transuranici come il plutonio e i prodotti "di attivazione" sono le vere e proprie "scorie radioattive". Ne abbiamo anche in Italia e, oltre alle scorie dei nostri reattori, ne abbiamo anche importate sotto forma del "combustibile irraggiato" del reattore americano di Elk River, l'unico che funzionava sottoponendo a fissione una miscela di uranio e torio; la soluzione era sbagliata e inefficiente tanto che il reattore di Elk River funzionò solo dal 1963 al 1969 e fu poi chiuso. I rifiuti nucleari (di terza categoria) sparsi per l'Italia hanno una radioattività di oltre 7 milioni di gigabecquerel, equivalente a quella di molti chili di radio. Un gran girare di numeri contradditori: perché non ci dicono mai la verità, lasciando aperta la porta al legittimo sospetto che chi ha le informazioni, per minimizzare la paura del "popolo", ci prenda sempre in giro ? Ci sono state perdite di radioattività sul suolo, scarichi nel mare? Quale è la condizione dei contenitori ? Ci sono corrosioni e pericoli di fughe ? D'altra parte dove si possono mettere, correttamente, i prodotti di fissione e le scorie radioattive che sono gli inevitabili sottoprodotti di qualsiasi reattore nucleare ? La domanda è senza risposta. Alcuni propongono di trasformarli in materiali vetrosi da seppellire in caverne rigorosamente isolate dal contatto con l'acqua e con gli esseri viventi, continuamente ventilate per eliminare il calore e la radioattività. Le proposte di utilizzare simili caverne a Yucca Mountain o a Carlsbad negli Stati uniti o a Gorleben in Germania non hanno finora avuto successo. Senza contare che attentati terroristici, atti di guerra, incidenti dovuti a disattenzione nei depositi di scorie radioattive possono avere conseguenze planetarie. Una sola esplosione in un limitato deposito di scorie radioattive nell'Unione Sovietica, a Celiabinsk, nel 1957 ha reso sterili migliaia di ettari di territorio e provocato tumori fra la popolazione vicina. Chi protesta e chi deve fare scelte di interesse pubblico farà bene a leggere il libro di Medveded, "Disastro atomico in URSS", proprio sull'incidente alle scorie radioattive di Celiabinsk. Alcuni propongono di seppellire le scorie radioattive nel fondo degli oceani; altri di caricarli su razzi da spedire nello spazio. La fantasia e sconsideratezza umana non hanno confini, come dimostra il fatto che, per decenni, francesi, inglesi, russi e americani, senza andare tanto per il sottile, e per risparmiare soldi, hanno versato le soluzioni di queste "scorie" radioattive, allo stato liquido, nel Mediterraneo e negli oceani, con effetti biologici di cui forse ci accorgeremo in futuro. Infine c'è un traffico internazionale, per terra, per mare, con aerei, di combustibile nucleare irraggiato, di "prodotti di fissione" alla ricerca di qualche discarica, di plutonio, ricercato da possibili clienti --- paesi dittatoriali, criminalità organizzata, terroristi, affaristi che speculano sull'ignoranza --- per avventure di bombe atomiche o a fini di ricatto. L'energia nucleare non è economicaL'energia nucleare non solo non è sicura né pulita ma non è neanche economica: non è vero che il costo aziendale dell'elettricità nucleare è inferiore a quello dell'elettricità ottenuta da altre fonti, come appare se si effettuano correttamente i calcoli, includendo i costi dello smantellamento delle centrali nucleari, alla fine della loro vita utile, i costi di sistemazione, nel lungo periodo, del combustibile nucleare irraggiato e delle scorie radioattive. L'ultimo apparente punto di forza degli avvocati dell'energia nucleare consiste nel presentare questa fonte di energia come l'alternativa al possibile esaurimento delle riserve --- non certo illimitate --- di combustibili fossili, soprattutto idrocarburi. L'alternativa va cercata altrove: in una revisione dei consumi energetici ed elettrici --- in una revisione dei modelli consumistici e merceologici dell'umanità --- e in un crescente ricorso alle fonti energetiche rinnovabili. Tale revisione e transizione richiede ricerche scientifiche di base, innovazioni tecniche e attività manifatturiere su una scala senza precedenti, tali da innescare un eccezionale aumento dell'occupazione, sia nei paesi industriali, sia in quelli del Sud del mondo. Il giorno in cui ci si deciderà, nel mondo, ad abbandonare l'uso dell'energia nucleare, inoltre, si dovrà cominciare ad affrontare i giganteschi problemi scientifico-tecnici della sistemazione del combustibile irraggiato e dei materiali radioattivi formatisi nelle attività passate; dello smantellamento delle centrali e dei reattori nucleari ancora esistenti, tutte operazioni che richiedono crescenti conoscenze, innovazioni e attività e l'impegno di decine di migliaia di specialisti nel campo della fisica, chimica, biologia, ingegneria. Ma nel frattempo come possiamo evitare nuove catastrofi ? Occorre rendersi conto che gli effetti devastanti delle catastrofi dipendono dalle condizioni sociali e politiche che consentono alla tecnologia di sfuggire ai controlli umani e collettivi. Tali condizioni sono rappresentate dal potere e dall'arroganza dei produttori, dalla complicità fra potere economico e governi, dalla debolezza o inesistenza di una cultura popolare nei confronti dei processi tecnico-scientifici, produttivi, merceologici, della società moderna. I grandi mezzi di comunicazione parlano di tutto, fuorché delle poche cose importanti della vita moderna: come sono fatti gli oggetti e le merci --- e l'energia e l'elettricità sono fra le merci più pervasive che si conoscano --- dove e da chi vengono fabbricati, come sono controllati. E non c'è da meravigliarsene perché i mezzi di comunicazione sono per la quasi totalità controllati dal potere politico-affaristico, dai fabbricanti e venditori di merci che inducono i "consumatori" ad acquistare le merci parlandone attraverso la pubblicità che ha raggiunto vette incredibili di banalità e tende ad escludere qualsiasi informazione su che cosa le merci sono e come sono fatte. La scuola e l'Università sono in genere assenti nella diffusione di una cultura popolare e critica sulle innovazioni e sulla produzione. Val la pena di continuare una corsa verso merci che portano verso il nulla, o proviamo a cominciare a chiederci --- e a spiegare --- che cosa produciamo, che cosa succede dentro la centrale o la fabbrica che troviamo vicino al nostro paese, che cosa acquistiamo, a che cosa servono le merci che spesso hanno un così elevato contenuto di violenza ? Scopriremmo, così, che un controllo pubblico degli atti dei governanti e degli imprenditori, oltre a ridurre le morti e i danni umani, diventa un formidabile stimolo per l'innovazione, la ricerca scientifica, per nuovi processi e per merci meno violente, capaci di soddisfare, molto meglio delle merci attuali, l'unica cosa che conta, i bisogni umani, che comprendono anche la sicurezza, il diritto alla vita, la dignità. E su questa strada non c'è posto per l'energia nucleare. Divulgatore e docente di merceologia dell'Università di Bari tratto da Greencossitalia 17/06/05 |