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BIOTECH, IL PIANETA OSTAGGIO DEL MERCATO
CARO direttore,
ammiro Tony Blair come statista del New Labour. L'articolo comparso su "Repubblica" dove difende a spada tratta l'uso delle biotecnologie che praticano manipolazioni genetiche, mi trova però in disaccordo oltre che per motivi politici o etici, anche per motivi strettamente scientifici. Personalmente, voglio premetterlo, ritengo giustissimo riconoscere alla ricerca scientifica il diritto e il dovere di proseguire il suo cammino anche nel campo delle manipolazioni genetiche. Ma non a qualsiasi condizione. In particolare ritengo vi siano dei confini etici da rispettare e un inviolabile Principio di Precauzione da tener sempre presente: l'applicazione all'agricoltura delle nuove scoperte della genetica non può avvenire prima che siano noti gli effetti della diffusione nell'ambiente degli Organismi geneticamente modificati (Ogm), ovvero, in questo caso, dei vegetali transgenici. A tutt'oggi, è bene ricordarlo, questi effetti sono largamente sconosciuti, mentre sono ben noti i fattori di rischio. È per questo che sono fermamente convinto che è opportuno potenziare la ricerca - nella medicina come in agricoltura - ma in ambiente confinato o in laboratorio. Questo anche per non sottovalutare gli infiniti appelli di scienziati del mondo intero contro un'applicazione irresponsabile delle biotecnologie. Ne citerò solo due: quello di Physicians and scientists for responsible application of science and technology (www.psrast.org/indexeng.htm) e quello dell'associazione Ecoropa. Quest'ultimo, in particolare, afferma che l'ingegneria genetica è ancora assai lontana da una conoscenza globale del funzionamento del genoma. Le infinite interazioni dei geni tra di loro e con il loro ambiente, come anche la fluttuazione degli elementi del genoma (il gene può mutare, trasferirsi ad altro organismo, anche di altra specie) rendono gli effetti del trasferimento di un gene da un organismo all' altro del tutto imprevedibili. L'esistenza di rischi per l'ambiente e la salute è comprovata da numerosi studi scientifici, prodotti anche dagli stessi scienziati del Fda, Food and drug administration, ente di controllo statunitense, ma tenuti nascosti da questo stesso ente finché l'azione legale dall'associazione Alliance for biointegrity (www.bio-integrity.org) non li ha resi di pubblico dominio. Ma andiamo con ordine. Blair dice: "Sta a noi decidere come utilizzare le scoperte, come orientare le loro applicazioni". Ma chi partecipa realmente a questa decisione? Non certo il cittadino. Piuttosto le aziende che sovvenzionano la ricerca, il cui "rientro" per gli investimenti è dato dal numero di brevetti ottenuti e dalla diffusione che riusciranno a garantire agli Ogm.
È evidente, dunque, che la scelta dell'uso delle scoperte non segue l'ottica di un maggiore benessere collettivo, ma quella, che spesso va in senso opposto, del profitto delle imprese. Le prime colture transgeniche negli Usa sono state autorizzate dal Fda senza l' obbligo di una verifica dei loro effetti. Oggi queste verifiche sono state fatte e hanno rivelato i rischi cui andiamo incontro, sia per l'ambiente, che per la salute (New Scientist. 1/99, Nature, 1997). Ma non solo. Essi rivelano anche che, diversamente da quanto millantato dalle aziende, le colture transgeniche - i cui costi più elevati sono stati spesso denunciati - hanno minore e non maggiore produttività e che l'impiego di sostanze chimiche, dannose per la salute, aumenta da 2 a 5 volte. Molti pericoli e nessun vantaggio, dunque, per consumatori e agricoltori. Ma, in compenso, grandi profitti per le aziende, grazie alle nuovissime - e discutibilissime - leggi che, con il pretesto della modifica genetica introdotta, consentono i brevetti sulla materia vivente e la privatizzazione del bene collettivo più prezioso, il patrimonio genetico del pianeta.
È un'abitudine negativa e scorretta cercare di promuovere le applicazioni delle biotecnologie in agricoltura - che comportano tanti rischi - confondendole con l'utilità, da noi mai contestata, delle biotecnologie nella ricerca medica. Le manipolazioni genetiche non comportano rischi se fatte in laboratorio, con le dovute precauzioni, su microrganismi e cellule. Esse richiedono però in questo caso un ancor più rigoroso controllo etico, che escluda, ad esempio, gli xenotrapianti, le modifiche genetiche delle cellule germinali e la clonazione dell'embrione umano (purtroppo consentita, per fini di ricerca, proprio dal governo inglese). Blair sostiene che opporsi alle colture transgeniche è aggressione e ricatto. Ritengo che il vero "ricatto" sia avere fatto in modo che in molte nazioni esista già un inquinamento genetico tale da non poter garantire, a chi desidera il cibo naturale, una totale purezza. Infatti nella situazione attuale noi dobbiamo accettare che gli alimenti definiti in etichetta "non manipolati" possano contenere fino all'1 per cento di Ogm. È "aggressione" nei confronti del cittadino consentire che le industrie, pur riscuotendo i diritti di brevetto, non accettino la responsabilità civile degli eventuali danni procurati dai prodotti transgenici. Così come è quanto meno discutibile che un organismo come l'Ufficio europeo dei brevetti (Epo) si arroghi il diritto di rendere brevettabili gli organismi viventi, in oltraggio alla stessa convenzione europea dei brevetti che esso dovrebbe applicare. I benefici economici derivanti dall' agricoltura biotecnologica, che invoca Blair, si sono rivelati anch'essi inesistenti. La fame dei popoli dei Sud del mondo non deriva da carenza di produzione, ma da carenza di denaro e da meccanismi economici perversi per cui in un paese come l'India, grande produttore ed esportatore di riso, una buona parte della popolazione non ha il necessario di cui sfamarsi. Mentre nel primo mondo vengono distrutte ogni anno milioni di tonnellate di prodotti agricoli in eccedenza. Non è un caso che queste popolazioni si appellino all'Europa contro i brevetti sugli Ogm: con le colture transgeniche rischiano il collasso economico e una nuova forma di colonizzazione.
Quanto ai popoli ricchi, i settori agricoli delle industrie biotech sono oggi in grave crisi, per la pessima riuscita dei prodotti (più costosi e non migliorativi) e a causa del forte e spontaneo movimento di dissenso che si sta sollevando in tutti i continenti, America del Nord inclusa. Gli Usa non riescono a vendere le loro derrate di vegetali modificati e, mentre la Deutsche Bank consiglia ai suoi alleati di disinvestire dal biotech, quest' anno è stato seminato negli Stati Uniti un buon 20-25 per cento in meno di mais transgenico. Nel movimento di opposizione alla diffusione di Ogm nessuno cerca la qualifica di "eroe", come sembra credere Blair. Basta sapere di avere agito secondo scienza e coscienza. Le conseguenze di una Chernobyl genetica sono difficilmente immaginabili. Come dice Erwin Chargaff, padre della biologia molecolare, "non si può revocare una nuova forma di vita. Un attacco irreversibile alla biosfera è qualcosa di così inaudito... che io potrei solo desiderare che la mia generazione non sia stata colpevole di questo".
Blair mostra grande fiducia nel mercato globale. Ma questo mercato potrà sopravvivere soltanto se riuscirà a rispettare le regole e le conquiste delle società civili e democratiche.
Oggi la tutela dei più elementari diritti umani come quello alla salute e a un ambiente di vita sano, viene messa nuovamente a repentaglio - il fallimento della conferenza dell'Aja ne dà una drammatica testimonianza - dagli interessi dei poteri economici e dagli accordi commerciali internazionali che essi impongono ai governi. È indispensabile pertanto che alla globalizzazione dei mercati corrisponda una globalizzazione dei diritti e delle responsabilità verso il futuro del nostro pianeta, che non può essere ostaggio delle scelte di mercato operate dalle industrie.
L'autore è ministro delle politiche agricole.
(Tratto da La Repubblica - mercoledì 6 dicembre 2000)