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STORIA DI ROMA



LA REPUBBLICA

La seconda guerra punica - I° Parte
(218 - 216 a.C.)


Amilcare in Spagna - Annibale - L'invasione dalle Alpi - Le sconfitte del Ticino, del Trebbia e del Trasimeno - Quinto Fabio Massimo temporeggia - Canne



Amilcare in Spagna

Amilcare Barca non si dava per vinto. Nel 237 a.C. convinse il re cartaginese Annone il Grande a concedergli una spedizione in Spagna. Partendo dalle colonie che già si trovavano nella penisola iberica, Amilcare intendeva dominare quel territorio ricco di risorse naturali (oro, rame, ferro, stagno).

In Spagna Amilcare otteneva un successo dopo l'altro, sia militare che diplomatico, aveva portato con sè anche il figlio Annibale, al quale aveva fatto giurare di fronte all'idolo Baal, che avrebbe odiato i romani per tutta la vita. Amilcare si "portava avanti col lavoro", perché mentre si faceva sempre più strada l'idea di invadere l'Italia, morì in un fiume a causa di un tranello, nel 229 a.C.

Il comando passò al genero Asdrubale. Egli fondò sulle coste del sud una nuova colonia, Carthago Nova, che divenne la base cartaginese in Spagna.

Il compito di Asdrubale era quello di raggiungere le sponde del fiume Ebro, confine dell'influenza cartaginese in Spagna, come accordi stipulati con Roma, e poi da li prepararsi a invadere l'Italia.



Annibale Barca, l'assedio di Segunto

Alla morte di Asdrubale, nel 221 a.C., Annibale, appena venticinquenne, divenne il generale in capo dell'esercito cartaginese.
Annibale era un uomo deciso e spartano, personaggio dal grande carisma e dal grande coraggio in battaglia, nelle quali mai si tirava indietro, all'occorenza si accontentava di dormire per terra. Era crudele e sanguinario e aveva scarso rispetto per gli Dei, in compenso non era uomo di parola, ciò che interessava più di tutto al giovane generale era la sconfitta di Roma, come per rispettare la promessa fatta al padre.

Nel 219 cominciò l'assedio di Sagunto, una città autonoma protetta da Roma, e la espugnò dopo otto mesi di battaglia. I romani mandarono le loro ambasciate sia in Spagna sia a Cartagine, pregando il nemico di rispettare i patti e l'autonomia della città. Annibale continuò sanguinariamente ad attacare la città, tanto che si narrà del suicidio volontario dei suoi abitanti.
A Cartagine Annone il Grande, fautore della pace coi romani, era stato messo in minoranza dalla potente famiglia dei Barca, i quali permisero agli ambasciatori romani di ufficializzare formalmente il conflitto. Gli ambasciatori offrirono ciò che i cartaginesi avrebbero chiesto, sia pace che guerra, e i Barca decisero per la guerra.

Sagunto fu così il casus belli che diede inizio alla seconda guerra punica.


L'Invasione dalle Alpi

Annibale si apprestava ad invadere l'Italia romana da nord, nel 218 a.C. attraverso le Alpi. Il suo esercito era composto da 50.000 fanti e 90.000 cavalieri, nonché da trentasette elefanti. Passato l'Ebro, attraverso non senza difficolta i Pirenei, e qui si trovò di fronte alle popolazioni galliche.

Il piano era quello di allearsi con loro per rinforzare l'esercito. I volsci lo ostacolarono con le armi. Anche l'attraversamento del Rodano con gli elefanti fu alquanto difficile, ma ormai l'obiettivo era stato fissato e nulla poteva impedire di raggiungerlo.

Nel settembre del 218, Annibale giunse al passo del Monginevro. Attraversò le Alpi con gli Elefanti e il suo esercito, in una lunga carovana, per sentieri men che meno impervi e spaventosi, sotto le tormente di neve. Un'impresa titanica anche ai giorni nostri (gli elefanti sulle Alpi!).

Moltissime furono le perdite tra gli elefanti e gli uomini dell'esercito, nonostante ciò Annibale riusci nel suo intento di ridiscendere i monti e affaciarsi sulla Pianura Padana.


Le sconfitte del Ticino, del Trebbia e del Trasimeno

Roma aveva affidato il comando delle operazioni a due consoli: Publio Cornelio Scipione, patrizio, e a Tiberio Sempronio Longo, plebeo. Il Primo doveva partire per la Spagna, il secondo sbarcare in Africa per colpire Cartagine al cuore.

La notizia dell'invasione dalle Alpi fece saltare tutti i piani, e i due eserciti dovettero frettolosamente ritornare in Italia quando già erano sulla via dei rispettivi obiettivi (Longo era già arrivato a Malta).

Con sorpresa dei romani, che credevano i cartaginesi stanchi e malridotti dall'attraversamento delle montagne, l'esercito di Annibale inflisse una sonora sconfitta a quello di Scipione presso il Ticino, grazie all'aiuto di una formidabile cavalleria.
Lo stesso generale romano fu salvato dal suo giovane figlio diciassettenne, Publio Cornelio.
Scipione, ferito, si ritirò a Piacenza e aspettava di ricongiungersi con l'esercito di Longo, che proveniva da Ariminum attraverso la Flaminia. 35.000 erano i romani, 20.000 i cartaginesi, con il loro seguito di alleati.

Ma nel dicembre del 218 il gelo era tremendo. Con un tranello Annibale attirò l'esercito romano in una trappola sul fiume Trebbia, gli elefanti sbaragliarono i romani, la sconfitta fu disastrosa. A Roma cominciavano a temere un invasione simile a quella subita da Brenno.

Nel frattempo, il fratello maggiore di Publio Scipione, Gneo, otteneva buoni successi in Spagna, cercando idi interrompere i collegamenti tra Annibale e la penisola iberica (si veda la
III parte).

Intanto al comando dell'esercito romano era salito Caio Flaminio (il costruttore della Flaminia), plebeo, a furor di popolo. Annibale era giunto in Etruria e bisognava contrastarlo. La battaglia fu combatutta presso il lago Trasimeno, nel giugno del 217. Il disastro romano fu assoluto. Flaminio morì, 15.000 romani vennero uccisi e altri 12.000 si erano frettolosamente dispersi.

Le prime battaglie volsero decisamente a favore di Annibale: sotrasse ai romani la Gallia Cisalpina (la Pianura Padana) e gettava scompiglio in Etruria. Annibale stimava il sistema di alleanze create da Roma piuttosto debole, per questo ad ogni popolo conquistato dichiarava di essere venuto a liberarlo dal giogo dell'iniqua prepotenza romana.


Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore

Nel 217 i romani affidarono le sorti della città a un nuovo dittatore: il generale Quinto Fabio Massimo, di discendenza patrizia e già vittorioso contro i liguri. Egli non decise di attaccare Annibale, ma si limitò a fortificare le mura della città.

Annibale, in conseguenza di ciò, decise di non attaccare subito Roma, proseguendo nel suo piano di accerchiamento: egli intendeva conquistare i popoli italici sia del nord che del sud, in modo tale da indebolire la supremazia romana e schiacciarla nella morsa di una generale insurrezione popolare.

Incontrata una imprevista resistenza a Spoleto, saltò la città ostile e si diresse verso l'Apulia (l'odierna Puglia). Le colonie romane di Lucera e Venosa lo contrastarono però vigorosamente, cosicché decise di dirigersi verso la Campania in direzione del Sannio.

Quinto Fabio Massimo adottava una tattica attendista. Il suo esercito seguiva quello cartaginese da vicino, senza ingaggiare battaglia, nell'attesa di trovarsi sul terreno favorevole per attaccare. Fatto sta che i cartaginesi continuavano a saccheggiare i paesi che attraversavano, e lo scontento cominciava a farsi largo tra il popolo.
Marco Minucio Rufo, detrattore di Fabio Massimo, non perdeva occasione per cavalcare il malcontento popolare e stigmatizzare la tattica "codarda" del generale romano.

In effetto un occasione si presentò a Fabio Massimo: l'esercito cartaginese si era imbottigliato fra Teano e Cales. Fabio Massimo controllava l'uscita della valle, ma Annibale, con uno stratagemma degno di Ulisse, riuscì a cavarsela anche questa volta: ordinò di attaccare delle fascine sui fianchi di una mandria di buoi e poi, appiccato il fuoco, la scagliò contro l'esercito romano. Lo scompiglio fu tale che i cartaginesi ebbero il tempo di fuggire.


La sconfitta di Canne

Nella primavera del 216, scaduta l'investitura di Fabio Massimo, furono eletti due nuovi consoli: Lucio Emilio Paolo, patrizio, e Caio Terenzio Varrone, di "esemplare" estrazione plebea (figlio di un macellaio, egli stesso in passato garzone).
La parola d'ordine era attaccare finalmente Annibale per cancellare la "vergognosa" tattica attendista di Fabio Massimo.

Lo scontro tra i due eserciti avvenne a Canne, sconosciuto villaggio nei pressi del Gargano.
I romani avevano a disposizione 50.000 fanti e 6.000 cavalieri, i cartaginesi 35.000 fanti e 10.000 cavalieri.

L'esercito romano era però gravato del disaccordo tra i due consoli, l'uno era contro le decisioni dell'altro, il patrizio contro il plebeo. Annibale tese inoltre una trappola: finta la diserzione di 500 numidi, giunti presso i romani, i soldati sguainarono all'improvviso le spade contro i legionari.
Annibale era strategicamente superiore ai due consoli, la polvere accecava l'esercito romano e la cavalleria cartaginese accerchiò facilmente i nemici. Fu una strage.
L'attacco romano fu deciso da Varrone all'insaputa del console patrizio. I romani lasciarono sul campo 45.500 fanti 2.700 cavalieri. Morirono Lucio Emilio Paolo e i tribuni militari Gneo Servilio Gemino e Marco Minucio Rufo, oltre a ottanta senatori partiti come volontari. Varrone si rifugiò a Venosa.

Canne fu la sconfitta più pesante della seconda guerra punica: la Gallia Cisalpina era da tempo in rivolta, solo qualche avamposto romano ben difeso presidiava le zone del nord, con la sconfitta di Canne anche il sud della penisola era in balia dell'invasore, con Roma ora vi era solo l'Italia centrale, ovvero l'Etruria, l'Umbria, il Piceno e il Lazio.

A Roma le donne piangevano i morti, il clima generale era di paura, se non ti terrore: Annibale sembrava invincibile, e nulla sembrava impedire al generale cartaginese di impadronirsi anche della capitale.

 

 

 

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