CAPITOLO 8
Dall'antichità al Medioevo
Nel
periodo di tempo che intercorre tra i fatti appena descritti e il medioevo,
la moneta non è travolta da particolari novità. "Battere moneta era
una bella comodità" scrive Galbraith, e di questo ne erano consapevoli
tutti i sovrani che a partire dall’antica Grecia non smisero mai di imitare,
quando necessario per il bene dello Stato o di se stessi, i colleghi di
altri tempi. I metodi restarono i soliti: diminuire il peso delle monete
lasciandone inalterato il valore facciale, o dichiararle di metallo prezioso
quando in realtà si trattava di patacche. Anche la gloriosa civiltà romana,
non ha segnato svolte importanti, almeno per quanto riguarda la moneta
fiduciaria: l’unica informazione curiosa la tramanda Cedremo, il quale
narra che i Romani sarebbero ricorsi all’uso di monete di legno in momenti
particolarmente critici. Ma probabilmente si tratta di un aneddoto favoloso,
e, ad ogni modo, il supporto materiale che sostituisce il metallo prezioso
non cambia in modo sostanziale il concetto di moneta fiduciaria:
cosa importa se come moneta si usa il legno o lo stagno, o la terracotta,
o il cuoio di cui si sarebbero serviti, secondo alcuni autori, i Cartaginesi
e i Lacedemoni?
La
tradizione letteraria romana, attribuisce al re Servio Tullio la coniazione
delle prime monete a metà del sesto secolo avanti Cristo; si trattava
di monete quadrate con impressa l’immagine del bue e del montone. Tuttavia,
fino al 450 avanti Cristo, mentre Atene era al massimo del suo splendore,
"la legge delle dodici tavole, fondamento del diritto romano, fissa
ancora il montante delle multe in capi di bestiame" e solo a partire
da quella data i decemviri cambiarono in monete metalliche le contribuzioni
fissate in bestiame. Prima che le monete in metallo comincino a circolare
regolarmente dovranno passare ancora due secoli. Le diverse forme monetarie
che si ritrovano tra i Romani non differiscono particolarmente da quelle
già viste: i primi metalli utilizzati, in particolare il piombo, erano
in forma di lingotti chiamati aes (assi), da cui deriva il verbo
latino aestimare, e di conseguenza il verbo italiano stimare:
un’ennesima prova per ricordare come sempre i nomi che designano la moneta,
e i verbi che le ruotano attorno, trovino le loro radici nelle prime forme
in cui essa comparve e di come anche le parole siano importanti nello
studio delle origini della moneta. Infatti, proprio attraverso le parole
di origine latina presenti anche nel nostro vocabolario, si legge la storia
della monetizzazione romana: il primitivo uso di pesare il metallo ha
fatto sì che il verbo pendere (pesare) sia divenuto la radice di
un grande numero di parole che esprimono l’idea di pagamento e di salario:
expendere, compendium e stipendium sono facilmente
traducibili. Inoltre dal nome dell’unità di peso in uso presso i romani,
la libbram, deriva il termine Lira.
All’epoca
romana risale anche la vera data di nascita della moneta. Almeno
della parola moneta, perché prima di allora nessuno l’aveva mai
utilizzata per designare un oggetto. Accadde che gli agguerritissimi Galli,
nel 390 avanti Cristo, si trovarono alle porte di Roma. I Galli elusero
la sorveglianza delle sentinelle giungendo sino in Campidoglio, ma la
loro incursione fallì, perché le oche sacre alla dea Giunone, che erano
lì allevate, infastidite dagli intrusi, cominciarono a starnazzare rumorosamente.
Allora le sentinelle accorsero e così pure Marco Manlio che riuscì a frenare
l’impeto del contrariato nemico nei pressi del tempio dedicato a Giunone.
Da allora Giunone, prendendosi i meriti che spetterebbero alle sue oche,
fu soprannominata Moneta, cioè l’ammonitrice, dal verbo latino
monere. Alcuni decenni dopo, la zecca della città fu costruita
di fianco al tempio di Giunone Moneta e i suoi prodotti presero appunto
il nome di moneta.
Questo
è anche il periodo a partire dal quale le monete coniate cominciarono
a circolare. Dapprima furono monete in bronzo e, dopo la vittoria su Pirro
(275 a.C.) che relegò l’Italia del sud sotto il dominio romano, anche
di monete in argento, il denarius, e più tardi d’oro, l’aureus.
La scelta dell’oro e dell’argento risponde anche alla necessità politica
di tentare l’unificazione monetaria con i territori di recente conquista:
"L’importanza politica di Roma, nel III secolo avanti Cristo,"
spiega Grierson, "rese difficile accontentarsi di una monetizzazione
monometallica scomoda, in bronzo".
Per
riscoprire i sistemi utili a rastrellare soldi già utilizzati dai Greci,
è sufficiente riportare questo dato segnalato da Norman Angell: ai tempi
di Aureliano la moneta d’argento fondamentale era costituita per il 95
per cento di rame, e in seguito la quantità d’argento scese al due per
cento. E il carattere fiduciario della monetizzazione romana è avvalorato
dalle lettere da cui sono marcate, infatti la sigla SC indica "che
il loro carattere di moneta fiduciaria è stato autorizzato dal senato
(Senatus Consulto)".
In
sintesi, la storia del sistema monetario romano comportò un largo impiego
di monete fiduciarie, ma ad un certo punto la fiducia venne meno, tanto
che, probabilmente a partire dalle pressioni finanziarie imposte dalle
guerre puniche, la situazione degenerò in un ininterrotto deprezzamento
della moneta.
Del
resto, come già ricordato, è spesso l’ingordigia dei sovrani, il loro
perpetuo bisogno di soldi da impiegare nelle campagne militari, a sviluppare
cambiamenti monetari, che quando non possono più avvalersi del titolo
di innovazioni sembrano sempre più simili a degli imbrogli. Cosa
c’è di più comodo di possedere il potere di stabilire il valore della
moneta: se ne ho solo una che vale uno statere e mi servono due stateri,
mi basterà fondere quella che ho, stampargli sopra il valore che desidero
essa abbia, e il gioco è fatto: d’ora in avanti quella moneta vale due
stateri, anche se il suo valore reale non è cambiato di una virgola. Almeno
per un po’ di tempo, la nuova moneta circolerà col nuovo valore di due
stateri, sulla fiducia che tutti la accettino per il valore stabilito.
Secondo il parere di Babelon, per comprendere l’accettazione, da parte
del pubblico, di queste monete si deve anche fare i conti con la "tirannide
dell’abitudine" e come osserva anche Stanley Jevons, "l’abitudine
ha quasi tanto potere di mantenere in uso una moneta rappresentativa,
quanto ne ha per le vere monete metalliche": monete manipolate in
questo modo sono dunque come monete rappresentative, cioè rappresentano
un valore che in realtà non hanno. I Romani non sperimentarono nulla,
in questo senso, che non fosse già noto ai Greci. In seguito, le riforme
di tre imperatori, Aureliano, Diocleziano e Costantino, cercarono di nobilitare
la moneta romana. Solo Costantino riuscì a mettere un po’ di ordine, coniando
una moneta d’oro di grande prestigio: il solidus aureus, più semplicemente
chiamato solidus, nome che fa allusione alla sua buona lega, al
suo destino di riferimento per le altre monete, e nel contempo è un auspicio
di lunga vita; che in effetti ebbe, dal momento che a Bisanzio verrà coniato
e circolerà per quasi mille anni; e italianizzato in soldo continua
a circolare sulle bocche di tutti.
Se
i Romani non contribuirono in modo eccezionale alla storia della moneta
fiduciaria, alcune novità, invece, le hanno apportate negli usi, chiamiamoli
secondari, che della moneta si possono fare: forse, i Romani furono
i primi a intravederne le potenzialità propagandistiche. Il ritratto di
personaggi viventi fu autorizzato per la prima volta da Giulio Cesare
e "sotto di lui il denaro diventò non solo strumento di potere politico
e militare ma anche di propaganda". La testa di Cesare, stampata
sulle monete romane del primo secolo avanti Cristo, è inoltre all’origine
della consuetudine di lanciare la moneta scegliendo testa o croce.
Riporto ciò che scrive Charles Panati nel suo curioso libro che descrive
le origini di alcune usanze moderne: "La venerazione nei confronti
di Cesare era tale, che cause importanti, in cui venivano tirate in ballo
la proprietà, il matrimonio o la responsabilità in un crimine, spesso
venivano sistemate con il lancio di una moneta. Se la moneta cadeva con
la testa di Cesare rivolta verso l’alto, significava che l’imperatore
[sic], pur assente, era d’accordo con una particolare decisione e si opponeva
al contrario".
Ma
anche prima di Cesare, dice Quiggin, l’immagine stampata sulla moneta
- la scelta di una certa divinità o di un’altra - rivestiva un significato
propagandistico particolare: "È un fatto confermato dal continuo
variare delle più tarde monete d’argento, di cui in un anno si poteva
arrivare ad emettere un centinaio di tipi". Un vero e proprio primato
può essere attribuito a Galba il quale, nonostante abbia regnato per soli
sette mesi, riuscì a coniare dei sesterzi con quaranta effigi diverse.
Cambiare regolarmente il conio "era un sistema magnifico per attirare
l’attenzione del pubblico sugli avvenimenti in corso, e molte delle immagini
sulle monete si possono interpretare come vere e proprie orazioni riassunte
in un simbolo".
La
caduta dell’Impero lasciò l’Europa nelle mani di popolazioni molto più
regredite rispetto ai Romani, sotto tutti gli aspetti: quello monetario
non faceva eccezione. Essi continuarono a battere delle monete sul modello
di quelle romane, ma in pezzi molto ineguali, quanto al peso e al titolo.
Ma principalmente al crollo dell’Impero fece seguito una minore necessità
dell’uso della moneta. Le invasioni avevano devastato le città più importanti
e popolose, Roma, Milano, Napoli, si spopolarono e la gente abbandonava
il centro urbano per la campagna, dove si cercava la sicurezza e la protezione
di qualche potente signore. In questo periodo, tra il V e il IX secolo
avanti Cristo "s’insedia un nuovo sistema storico, che combina un
modo di produzione, un tipo di società e un sistema di valori: il sistema
feudale". In particolare nella prima epoca del sistema feudale, l’Alto
Medioevo, vale a dire prima dell’anno Mille, il nucleo economico principale
si sviluppa intorno alla villa ereditata dalla tarda antichità,
che ne è il fondamento. Scrive Le Goff: "Questo modello dominicale
è tutt’insieme un’unità di produzione (essenzialmente rurale), di rapporti
sociali, […] e di poteri giuridici e politici in forza dei quali una parte
crescente delle funzioni pubbliche giurisdizionali e amministrative passa
nelle mani dei padroni dei fondi indominicati (o curtes), i quali
appartengono sia alla nobiltà laica, sia alla gerarchia ecclesiastica
(chiese, cattedrali, monasteri)". Lo scenario alto medievale non
è certamente quello più adatto allo sviluppo di novità monetarie, anche
perché l’organizzazione economica tende a ritornare autarchica, la società
feudale torna a reggere la propria economia sui criteri della reciprocità
e della ridistribuzione. Un sistema al cui centro vi è la figura
del signore feudale. Solo dopo l’anno mille, anche in virtù della rinascita
delle città, l’aumento dei commerci, la ricomparsa dei mercanti e delle
fiere, la moneta esce da quella crisi in cui era piombata dopo il crollo
dell’Impero.
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